Rivista di Cavalleria - Volume I/II/L'iniziativa e l'autonomia degli squadroni
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L’iniziativa e l’autonomia degli squadroni
I.
L’iniziativa! Ecco una parola che quando fu ancor più esplicitamente consacrata nel nuovo Regolamento di istruzione e di servizio interno per la cavalleria di quel che già fosse nel nostro Regolamento di disciplina militare, fece sussultare il cuore degli ufficiali giovani della nostra arma. Ma agli slanci di contentezza intempestiva successe l’amarezza del disinganno; e, rimaste le cose allo stato di prima, invece di guadagnarci, il morale si depresse ancor più, per la ragione che mentre prima non era difficile rassegnarsi a principii gretti ma sanzionati dai regolamenti, dopo parve insopportabile soggiacere a uno stato di cose che, come vedremo subito, divenne in parte illogico ed in parte illegale.
Inoltre le difficoltà di compiere il proprio dovere crebbero a dismisura. Prima si attendevano ordini e non si aveva che la responsabilità di una meccanica esecuzione; l’orario ed il regolamento, l’uno più tassativo dell’altro, vigevano sovrani; la falsa riga era ben definita e tutto procedeva a suon di trombetta, con poca edificazione di certe doti essenzialissime nell’ufficiale di cavalleria, ma almeno senza scosse e senza contrasti; la prudente massima di legar l’asino dove vuole il padrone era la norma infallibile e tranquillante della vita militare. Dopo, a questa esistenza melensa ma almeno pacifica, a questo tanto celebrato tran-tran, successe e perdura una vita di attività sfibrante ma inutile, un incalzarsi di lotte infeconde coll’impossibile, una serie di attriti mascherati o latenti, uno stato di cose insomma tanto difficile e sì poco promettente per l’avvenire, che mi par non inutile segnalarlo in questa Rivista, sorta sotto gli auspicii d’un ufficiale generale, la cui parola ammonitrice si fece udire in tempo per evitarlo, ma purtroppo invano.
Quello che diremo non ci procaccerà certamente la fama di acuti osservatori, poichè le cose lamentate saltano, come suol dirsi, all’occhio, e ne sono al corrente perfino i non militari, coi quali spesso e con poca prudenza se ne discorre anche troppo. Quello che potremo attendercene — ne siamo quasi sicuri — è la generale approvazione dei comandanti di squadrone, e questa ci sarà sufficiente compenso.
⁂
Il lamentato stato di cose trae origine dal perchè «l’autonomia degli squadroni fu ammessa come principio, ma negata coi fatti» per le tante restrizioni fattevi dal nuovo Regolamento di istruzione e di servizio interno, restrizioni dalle quali i comandanti di corpo, e conseguentemente gli ufficiali superiori, si valsero per invadere, anche nel resto, il campo della libera azione dei capitani.
Quest’affermazione potrebbe sembrare ardita ed arbitraria ma fortunatamente ci è dato dimostrarla inoppugnabilmente coll’autorevole parola dell’attuale ispettore generale dell’arma di cavalleria, apparsa sulla Rivista Militare del 1° gennaio 1893 sotto il titolo Autonomia degli squadroni.
Il generale L. Majnoni, confortato dalla sentenza pronunziata dal generale Pelloux nel suo discorso di Livorno, che cioè «nulla è perfetto in questo mondo; e negare la perfettibilità è negare la vita, il moto, il progresso» si propone di fare alcune considerazioni sul nuovo Regolamento d’istruzione e di servizio interno per la cavalleria, in un punto che, a parer suo, non corrisponde ai sani precetti che lo rendono nel suo complesso pregevolissimo e lo fecero accogliere con molto favore dagli ufficiali dell’arma. Dice esser merito della cavalleria aver prodotto per la prima un regolamento che affermasse in modo esplicito il principio della libertà d’azione e della responsabilità in ciascun grado della gerarchia militare; ma che precisamente perchè la nostra arma aveva preso l’iniziativa di una riforma utilissima, a un certo punto le sia mancato l’ardimento di condurla usque ad finem, e abbia lasciato in vigore alcune regole le quali conservano il carattere di un accentramento, che oggi più che mai avrebbe dovuto scomparire; e che mentre la fanteria, sulle orme dell’arma sorella, facesse opera più perfetta avendo, una volta stabilito il principio della responsabilità, dato un frego alle vecchie regole che potevano contribuire a menomarla, la cavalleria, lungi dall’abolire tutto quanto potrebbe distogliere i riparti dall’addestramento per la guerra, ha conservato prescrizioni che distraggono molti militari dal corso normale dell’istruzione e li sottraggono ai loro capi diretti.
Infatti il N. 25 del nuovo regolamento suona così:
«Tutte le istruzioni alla truppa sono fatte per squadrone, ad eccezione di quelle degli allievi caporali, allievi sergenti, allievi ufficiali di complemento, volontari di un anno, trombettieri, zappatori, conducenti, musicanti e trombettieri, portaferiti, cavalieri scelti, caporali (meno l’istruzione a cavallo, che viene loro impartita nello squadrone) sottufficiali e caporali maggiori, le quali vengono fatte per reggimento».
«Non è necessario — continua il generale Majnoni — di essere molto addentro nel servizio dell’arma, per comprendere che quando uno squadrone venga spolpato come vuole il nostro regolamento, ne rimane uno scheletro il quale non può funzionare con regolarità e con frutto.
A questo stato di cose i capitani si rassegnano, ma rimangono sfiduciati, perdono la passione per il loro riparto; essi devono sopportare che altri ufficiali sottraggano loro uomini e cavalli, addestrati con fatica, per costituirne reparti speciali, nel momento appunto in cui avrebbero cominciato a servirsene.
È troppo esigere dalla natura umana.
Uno deve sempre dare, l’altro prendere senza ricambio.
Quale differenza da quanto avviene in Germania, donde abbiamo preso le massime del nostro regolamento!
Là il corso dell’anno militare, che comincia con l’incorporamento del contingente e finisce con il congedamento della classe anziana, scorre tranquillo e regolare in modo da permettere la applicazione invariata dei metodi d’istruzione prescelti. Nessun uomo può essere sottratto all’autorità del capitano, che, solo ha la facoltà di ricompensare e di punire.
Il vero decentramento del servizio, per squadrone, assicura a ogni unità la massima autonomia. L’iniziativa e la responsabilità del capitano restano intiere.
Gli è nettamente tracciato lo scopo, ma gli sono anche concessi i mezzi per raggiungerlo.
In Italia si è pur voluto sviluppare lo spirito d’iniziativa e il sentimento della responsabilità del capitano, al quale si è affidata la direzione dell’addestramento dei suoi uomini; ma per ciò che riguarda la cavalleria, si sono fatte tante eccezioni, che in verità non si può dire che egli disponga del suo personale. E per soprassello, ciò gli accade mentre egli si trova in condizioni molto inferiori a quelle in cui si trova il capitano in Germania, per quanto riguarda i mezzi materiali; i quali o gli mancano, o gli appartengono in una parte minima, in comunanza con altri comandanti di squadrone.
Al nostro capitano dì cavalleria per buona parte dell’anno sono tolti i migliori elementi, che se ne vanno con i loro cavalli a costituire riparti speciali. E come se ciò non bastasse, a ogni segnale di tromba del comando accentratore, graduati e specialisti d’ogni sorta sono chiamati ad istruirsi per reggimento, magari quando la loro presenza sarebbe più che mai necessaria allo squadrone.
Con tante sottrazioni, lo squadrone, che dovrebbe avere la forza di guerra, si reca alle esercitazioni con 70 o 75 cavalieri, male inquadrati, e costituisce uno strumento imperfetto sia nelle evoluzioni, sia nella tattica.
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All’ora del governo, nelle nostre caserme si verifica uno strano contrasto. Da un lato si vedono i riparti degli allievi sergenti, degli allievi caporali, della fanfara, dei volontarî d’un anno, riccamente dotati di quadri, e nei quali ogni allievo governa un solo cavallo nel modo che le buone regole dell’igiene prescrivono. Dall’altro squadroni spolpati, nei quali ogni uomo trascina tre cavalli all’abbeverata: è molto se gli riesce di togliere da dosso il fango a tutti, specie ai poledri non ancora ammansiti.
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O che non sono tutti cavalli dello Stato per avere un trattamento sì disparato?
In guerra tutto si fonde nello squadrone, che quasi sempre opera isolato: se l’istruzione vi sarà stata trascurata e i cavalli saranno in cattive condizioni, i risultati saranno infelici, malgrado gli sforzi del capitano e l’abilità speciale dei pochi cavalieri, che altri, contro loro voglia, si saranno preso l’incarico di istruire».
Quindi il generale Majnoni con opportunissima ed inoppugnabile dimostrazione, che, per brevità, ometto rimandando il lettore all’autorevole fonte, arriva alla pratica proposta che il terzo capoverso del detto N. 25 sia così modificato:
«Tutte le istruzioni della truppa sono fatte per squadrone, ad eccezione di quelle accessorie e speciali degli zappatori, dei conducenti e dei portaferiti».
e che il N. 29 sia compilato nei termini precisi usati per lo stesso numero nel regolamento per la fanteria.
E finalmente conclude con queste parole, che per l’autorità dell’Ispettore dell’arma e per le grandi verità contenutevi ed ormai più che sanzionate dai fatti, dovrebbero una buona volta indurre l’autorità competente ad annuire alle proposte su dette:
«Il movente della nostra proposta è quello di assicurare la autonomia degli squadroni, che, a parer nostro, fu ammessa come principio, ma negata coi fatti.
Noi crediamo di aver provato che nel regolamento di cui parliamo sono rimaste alcune disposizioni che possono avere funeste conseguenze sul valore dei nostri squadroni, specie con la riduzione della ferma in vista.
Rammentiamoci che, come lo dice il nome stesso, il capitano dev’essere un capo indipendente; che egli arriva a tale grado con una certa maturità di spirito e di carattere; che vi si trova in tutta la forza dell’età, nel pieno sviluppo del suo valore fisico e intellettuale; che vi passa i più belli anni della sua carriera militare. Creamogli dunque una posizione che lo soddisfi, accordiamogli la necessaria libertà d’azione e i mezzi corrispondenti alla grave responsabilità che gli si accolla».
Non abbiamo creduto di riportare dettagliatamente quest’importante articolo là dove giustamente disapprova le istruzioni speciali e la costituzione degli antiquati riparti di allievi caporali, fanfare ecc., tutta roba che si direbbe fatta a posta per turbare il logico andamento degli squadroni e la loro efficace preparazione alla guerra1. Non l’abbiamo fatto perchè a ben pochi ufficiali dell’arma sarà sfuggito l’articolo citato, ed anche perchè le son cose che se nel 1893 potevano parere previsioni pessimiste, oggi son divenute di tale palmare evidenza che sol chi non vive oggi negli squadroni e giudica alla stregua di parecchi anni fa può essere tanto miope da non vedere. Oggi colla effettuata riduzione della ferma a tre anni, col non insensibile contingente con ferma di due anni, coi congedi anticipati e gli arruolamenti volontarii ad epoche indeterminate, coll’andirivieni incessante dei militari e il codazzo di ritardatarii è necessario, è vitale, è indispensabile, è condizione sine qua non che il capitano abbia tutti gli ufficiali, tutti i graduati, tutti gli uomini, tutti i cavalli, e tutte le ore a sua completa disposizione. Bisogna persuadersi che non siamo più ai tempi delle ferme di otto o cinque anni; e che se allora potevano ripetersi le istruzioni per modo che ciascuno a turno vi assistesse, oggi ogni quarto d’ora perduto è perduto irreparabilmente.
Ma se non ci siamo più minutamente soffermati sull’articolo del generale Majnoni, è stato anche per conservare il posto ad alcune considerazioni morali di un peso niente affatto minore a quello delle ragioni d’indole militare già esposte.
Solo non resistiamo al godimento di riaccarezzarci l’orecchio con alcune sue frasi relative a certe cose, che formano anche oggidì la delizia e l’orgoglio ed occupano la laboriosa esistenza di troppi ufficiali vecchi e, pur troppo, anche giovani.
«Le riprese a guisa di carosello, i volteggi straordinarii, le evoluzioni a piedi precise, il maneggio delle armi automatico, i mirabili esercizi ginnastici, e tutto il corredo delle piccole rappresentazioni che procurano nomèa ad un aiutante maggiore in secondo, non giovano a dare al futuro caporale la giusta idea delle sue attribuzioni.»
⁂
Ed eccoci ora alle conseguenze morali che scaturiscono da questo dissenso fra il principio dell’iniziativa, della libertà di azione e della responsabilità, apparente informatore del regolamento, e le regole accentratrici in esso contenute di fatto.
Una volta il tipo di ufficiale spesso un po’ corto, ma tutto d’un pezzo, rigido, pedante, accentratore, intransigente, il così detto topo di quartiere era una specie d’ideale; e quasi quasi i giovani fantasiosi, dalle vedute e dalle aspirazioni più larghe e liberali, in un esame di coscienza dovevano confessarsi in colpa e studiarsi, modellandosi su quel tipo, di correggere i proprii difetti. Ma dopo la consacrazione in pagine ufficiali del principio dell’iniziativa e della responsabilità; dopo che quella tal larghezza di vedute ebbe la cresima del regolamento, quel tipo, già ideale, apparve un codino, refrattario alle nuove idee; mentre quei giovani fantasiosi, avidi di liberali innovazioni, i ribelli insomma di una volta, si sentirono conformi al nuovo tipo di ufficiale dipinto e voluto dal legislatore militare. In un ulteriore esame di coscienza, essi si compiacquero di aver presentito le nuove correnti che anche nell’esercito italiano dovevano finalmente infiltrarsi.
E siccome i giovani sono nei gradi inferiori, ecco d’un subito scosso il prestigio di quelli che, più elevati in grado ed approfittando del lato debole del regolamento, credettero di opporsi al salutare influsso che veniva dall’alto. Di qui la lotta, lotta latente, contenuta dalla salda disciplina militare, lotta di tacite proteste, di passive resistenze, senza clamori, senza scandali, ma pur lotta che non avrebbe mai dovuto esservi.
I vecchi, militari o no, hanno un senso di misoneismo che in certi casi può anche esser provvido: ma in questo non lo fu davvero. A molti le nuove idee parvero tanti strappi alle loro prerogative; abituati a tenere in mano tanti fili quante eran le macchine umane al loro comando, a vederle muovere simultaneamente ad un cenno, o meglio ad un comando sacramentale, a tenerle d’occhio ad ogni menomo atto, a provvedere a tutti i loro bisogni, parve loro inverosimile che quelle macchine potessero muoversi bene da sè, ed era impossibile seguirle e sorvegliarle tutte, una volta fuori dei limiti angusti della piazza d’armi, o di quelli minuziosi e tassativi dell’orario reggimentale. Irritati, disgustati anche da qualche esagerazione inevitabile all’inizio di un nuovo sistema tanto dissimile dal primitivo, eccoli sostituirsi al regolamento e ritornare al sistema antico, non più legale ma affatto arbitrario. Ciò non sarebbe avvenuto se vi fosse stato un taglio netto nelle disposizioni regolamentari, e l’autonomia degli squadroni non fosse stata ammessa in principio ma negata coi fatti.
Certo, adesso qualche piccola cosa s’è guadagnata, poichè le idee, volere o no, lentamente fin che vuoisi, ma pur s’impongono; e si cercherebbe forse invano un comandante di corpo che, come in principio avvenne, ardisse affermare: «L’iniziativa sono io!» (La France c’est moi!!) e neanche un altro che osasse proibire al gran rapporto di lasciarsi crescere la barba... in barba al regolamento. Tuttavia le cose, in fondo, non son di troppo cambiate.
Non par possibile che uno squadrone abbia sei guardie scuderia e un altro otto; che uno mantenga la lettiera lunga e l’altro corta; che uno rivesta di paglia le colonne o adotti un sistema qualunque, senza che tutti gli altri ne siano la copia conforme. Non par possibile che un capitano premî con una licenza un soldato per tanti titoli meritevole, se non si trova in date condizioni a tutto il reggimento comuni, a regole livellatrici più che giuste; poichè la giustizia sta più nella sostanza che nelle apparenze, e di quella nessuno è miglior giudice nè più interessato del capitano.
Non par possibile ch’egli assegni le gratificazioni secondo il proprio giudizio, invece che col criterio adottato per tutti ed in epoche stabilite; mentre tanto più utile ed esemplare sarebbe quel premio se dato quando, come e nella misura che crede il capo legittimo dello squadrone.
Ma che pretendo io enumerare tutte le cose che sarebbero mezzi efficacissimi nelle mani del capitano, mentre, passate al prisma accentratoro e livellatore fortemente invalso, diventano quisquiglie inutili quando non son dannose!
Eppure se si chiedesse: credonsi davvero indispensabili tali sistemi? credesi proprio perduto quello squadrone che fosse tolto per un istante a codesta potestà tutoria ed abbandonato alle imbelli mani di un uomo, pur pervenuto al comando dopo una quindicina d’anni di servizio, e spesso padre ed amministratore di numerosa famiglia? Ebbene si dovrebbe rispondere sinceramente di no.
Poichè quegli stessi superiori hanno stima dei comandanti di squadrone, e riposano tranquilli allorchè li vedono andare in distaccamento; nè è raro il caso che in tutto un anno vadano a trovarli più d’una volta o due per semplice formalità. Ma e dunque? — Dunque sarà la smania dell’accentramento, sarà una malattia che pervade e perverte il criterio, sarà una forza centripeta irresistibile, sarà l’influenza d’altri superiori.... non è certo la necessità creduta di tale ingerenza; chè altrimenti pochissimi comandanti di corpo dovrebbero prender sonno la sera, pensando ai malanni cui sono esposti quei derelitti squadroni distaccati, privi di tanto bene.
Ho detto l’influenza di altri superiori, e forse ho detta la cosa più vera. Infatti chi sa quanti, anche fra i comandanti di corpo, condividono le idee professate dal generale Majnoni e da noi. Ma venendo all’atto pratico, non tutti si arrischiano ad adottarle, perchè pur troppo quelle tali «riprese a guisa di carosello, quei volteggi straordinarii, quelle evoluzioni a piedi precise, quel maneggio delle armi automatico e tutto il corredo delle piccole rappresentazioni» non servono solo a procurare nomèa ad un aiutante maggiore in secondo, ma quasi sempre sono la stregua del giudizio che pronuncieranno i loro superiori. E forse gli stessi avversarii di codesta coreografia militare, all’atto pratico soggiacerebbero alla sua funesta influenza.
Per togliere dunque il male bisognerebbe, a parer nostro, cambiare radicalmente il sistema delle ispezioni. Esse non dovrebbero essere mai preannunciate, e solo in rarissimi casi turbare l’andamento ordinario delle operazioni quotidiane. Che avviene invece presentemente? Nell’interno dei reggimenti, quasi che non bastassero i già numerosi esperimenti prescritti, non passa una quindicina, senza che i colonnelli o gli ufficiali superiori abbiano ad ispezionare or questo, or quello; ed ecco l’orario degli squadroni variamente turbato. Ora trattasi di una rivista a piedi, ora dei cavalli, ora dei locali, ora del corredo; altra volta son le reclute od i cavalli giovani, o altre istruzioni; e sempre col passare in riga e coi mille preparativi per ricevere una visita preannunziata. I relatori dal loro canto per assicurarsi della buona manutenzione delle scope, dei lumi, del carreggio fanno ordinare riviste, in ore determinate, e là tutto in fila, eserciti di scope, e di tridenti, e di pale, carrette, ceste, lanterne; e furieri, sergenti di settimana, guardie di scuderia, magazzinieri e non raramente anche ufficiali distratti dalle loro incombenze, e tempo preziosissimo irreparabilmente perduto, a scapito sempre della sola cosa necessaria, dell’unico scopo, sì spesso perduto di vista, ch’è l’utile preparazione alla guerra.
Che dire delle ispezioni dei generali! Si comincia ad esserne avvertiti mesi, od almeno settimane, prima. Tutto il periodo che le precede è assorbito dal pensiero, dall’incubo dell’ispettore: tutto tende a quello, tutto passa in seconda linea. Imbianchini, pittori, incatramatori, armajoli, maniscalchi, falegnami, scritturali, tutti si fanno in quattro per coprire le abituali magagne; l’avarissimo Magazzino spalanca i suoi battenti e diventa prodigo per la circostanza; i piccoli furti di oggetti d’equipaggiamento e di corredo si moltiplicano perchè tutto corrisponda al caricamento; i capi operai raddoppiano di attività o si scuotono dall’inerzia; tutto è febbre, un armeggio, un moto perpetuo che vi ricorda qualche episodio della biblica torre di Babele. E l’istruzione? — Ormai chi sa, sa. E non se ne parla oltre.
Intanto lettere di ufficiali degli altri corpi, «usciti fuor del pelago alla riva» premoniscono di ciò che vuol vedere il generale, del come la pensi circa la tale e la taraltra cosa; i gran rapporti si succedono.
Finalmente arriva il giorno.
Il diroccato quartiere par di recente costrutto, tanto biancheggia al sole; il petrolio (!!) ha rinnovato la faccia di tutte le cose: zoccoli incatramati, porte, finestre, brande, perfino il pelo dei cavalli ne luccica e ne odora. Le lavandaje e le amanti dei soldati han dato ricetto a tutto ciò ch’è fuori d’ordinanza e che si tollera perchè comodo ed innocente; ogni uscio si pavoneggia d’un’etichetta fiammante; le lettiere han mezzo metro di paglia fresca ed i magazzini ne rigurgitano! Tutto fa eccellente impressione sull’animo dell’ispettore, immemore forse d’aver giuocato anch’egli, una ad una, tutte le parti della vecchia commedia. Le conclusioni sono ottimiste: il quartiere buono, decoroso, quasi di lusso, e quindi i fondi adibitivi più che sufficienti; la meschina razione di paglia esuberante all’uopo; il corredo, l’armamento, le bardature in ordine perfetto e tuttavia la massa generale con 200,000 lire di credito!
Oh, che bellezza! che bazza! Venga, venga il ministro delle finanze, venga nelle caserme ad apprendervi quest’arte superlativa di conciliare il lusso colla spilorceria!
Si provi un comandante di corpo a rifuggire da codesti artifizi e a presentare il reggimento quale è tutti i giorni; si provi a non offrire lo spettacolo di riprese ed istruzioni acrobatiche; si provi a dedicare lo scarsissimo tempo della ferma alla sola, alla vera istruzione militare certamente avrà a pentirsene. Egli farà una infelice figura a petto di quegli altri colonnelli che non avran cambiato la via vecchia per la nuova.
Ma per l’istruzione egli primeggerà di certo, direte.
Neanche: prima di tutto nessuno probabilmente potrà accorgersene, perchè finora e per quanto consti alla mia più che ventenne esperienza, rarissimi furono gl’ispettori che dedicarono qualche ora della loro attenzione alla tattica; e secondariamente dovendo essi, in pochissimi giorni, tutto vedere e tutto riferire, non potrebbero assicurarsi del grado maggiore d’istruzione in campagna, mentre stando sulla tribuna della cavallerizza è tanto più facile far dei confronti.
A parer nostro i comandanti di corpo e gli ufficiali superiori non debbono aver bisogno d’esperimenti per sapere se l’istruzione procede a dovere. E siamo in ciò confortati anche dal giudizio del generale Kraft de Hohenlohe-Ingelfingen, il quale nelle sue Conversazioni sulla cavalleria dice: «In quanto al servizio, io darei ordine che ogni ispezione finale fosse interdetta, e che il colonnello dovesse verificare se l’istruzione è ben fatta con l’assistere allo sviluppo della medesima, senza farsi mai annunciare».
Quanto alle ispezioni superiori, vorremmo egualmente che fossero sempre improvvise e senza un completo programma. Un ispettore che si sarà assicurato che due o tre cose vadano egregiamente avrà visto assai più di chi si facesse sfilar davanti tutto un complesso di cose al cui esame non basterebbe un mese.
⁂
I tempi, più che maturi, son fradici per le riforme di cui parliamo, le quali saranno accolte con entusiasmo quantunque arrivino abbastanza in ritardo.
Saranno sufficienti pochi tagli ma netti, perchè l’albero intelligentemente potato, rifiorisca in tutto il suo vigore, e si senta alfine circolare la linfa rigeneratrice in tutti i rami dell’istruzione e del servizio; perchè si assista al risorgere del morale degli ufficiali di cavalleria sollevati all’importanza della loro missione.
Lo squadrone, la vera unità tattica della cavalleria, in pugno del suo capitano, sottratto alle intromettenze di altri ed eterogenei istruttori, sarebbe tutto, ufficiali, sottufficiali, caporali, soldati e cavalli, plasmato dalla volontà e dall’esperienza del suo legittimo capo. Egli ne potrebbe disporre in tutte le ore del giorno e anche della notte, per esercitarlo a tutte le concepibili contingenze del servizio; egli potrebbe giovarsi di tutto il materiale che figura sulla carta, potrebbe assegnare i cavalli ai cavalieri in ragione inversa della rispettiva istruzione, lasciando che se la completino a vicenda, e non come ora che agli ottimi si danno i cavalli addestrati ed ai mediocri i restii; egli potrebbe fruire in maggior misura delle cavallerizze e sale di ginnastica; egli potrebbe pretendere che in tutte le chiamate ogni uomo prendesse posto nel proprio plotone e quasi nella riga assegnatagli, sempre; egli istruirebbe i graduati secondo le proprie viste, disporrebbe di singolari premi quali le promozioni, le gratificazioni e le licenze; egli, in possesso di tutta la sua forza, sarebbe fiero e desideroso di assumerne sempre il comando mentre ora, sfiduciato e depresso, sdegna perfin di assistere ad istruzioni frammentarie od inutili2.
Lo squadrone istruito, amministrato e comandato con criterio uniforme e costante sarebbe una cosa sola col suo capo, al quale potrebbesi soltanto allora accollare tutta intiera la responsabilità, e sul quale soltanto allora si potrebbe dare un illuminato giudizio.
Coi sistemi attuali invece, un po’ per l’imperfezione del regolamento, un po’ per le indebite intromissioni degli ufiiciali superiori nelle attribuzioni dei comandanti di squadrone, un po’ per la smania accentratrice ch’è nell’aria, si hanno risultati che — tranne forse in apparenza — nulla hanno di edificante. Ed invece del sentimento dell’iniziativa, cui platonicamente inneggia il nostro Regolamento di servizio interno; invece dell’abitudine di pensare colla propria testa, come si pretende fin dai primi gradi nell’esercito tedesco, piglia incremento la comoda rassegnazione di lasciarsi guidare con la conseguente incapacità di agire; mentre in chi ha ombra di fierezza e di carattere si desta o perdura un senso di sfiducia, di sconforto o di tacita ribellione. Agli occhi di tutti poi rifulge di nuovo splendore la sapienza pratica di un filosofo contemporaneo che dice: «Io ho, frattanto, imparato a riconoscere, disgraziatamente troppo tardi, che in moltissimi casi far niente è ciò che si può fare di più efficace, di più utile e di meno pericoloso». Ma mentre il von der Goltz, respinge tale massima pel soldato, che deve invece sempre fare qualche cosa, involontariamente da noi se ne fa la norma del quieto vivere per l’ufficiale dell’arma antonomastica dell’iniziativa.
Capitano F. Abignente.
Note
- ↑ Il generale Majnoni propugna l’abolizione di tutto ciò che non sia assolutamente necessario. Così nella Rivista Militare del marzo 1892 pubblica un altro notevole articolo sulle Scuole dei Corpi, dimostrandone l’inutilità.
- ↑ Ancora oggi che è prescritto le istruzioni facciansi per squadrone, ancora oggi si usa ammucchiare, nell’ora istessa, tutti gli squadroni in anguste piazze d’armi, ove ciascuno ha assegnata la sua fetta. Talune istruzioni, salti di ostacoli, corsa alle teste, sviluppo del galoppo ecc. son fatte per turno sotto gli occhi degli ufficiali superiori che, obbligati ad intervenirvi, debbono pur darsi un contegno, e più che spettatori, diventano essi stessi istruttori sostituendosi ai capitani; o supponendosi ispettori pretendono la perfezione fin dal primo giorno. Il capitano spesso ha appena finito una spiegazione od iniziato un movimento, che una staffetta od un segnale del comando accentratore gli rammenta il suo turno agli ostacoli od altrove. Il clangor delle trombe, l’incrociarsi dei comandi, il galoppare di aiutanti maggiori, medici, veterinari, furieri maggiori ecc; le distrazioni e le interruzioni di ogni genere, la nervosità generale fanno sì che la piazza d’armi sia la più antipatica ed uggiosa delle corvées.