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     Venite in danza, o gente amorosa,
non tenete ascosa
la dolce fiammetta
che sì ben s’ assetta
5in alma gentile.
Né sia uom tanto vile
che si gli accade amare
stia a sognare
e aspetti ben faremo,
10ché per venire allo stremo
quale si stima o brama,
convien che amor di dama
s’ acquisti per grande uso.
Sai chi rimane escluso?
15el troppo savio e ’l troppo bello,
il superbo, l’ inerte e fello,
e chi non sa soffrire.
Però pigliate ardire,
su, avanti, avanti,
20suoni, danze, canti
e triunfi d’ amore,
e così tale onore,
cenni, atti e risi,
sguardi non molto fisi,
25ma con arte e lieti,
parlar mozzi e quieti,
o strani e intesi,

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gli occhi e gli orecchi tesi
a usar mille pruove,
30palpeggiar dita e altrove
coperto e bellamente,
Così chi d’amor sente
or usi leggiadria.
E chi vorria
35d’amor esser privo
in luogo sì giulivo
e sì ornato?
Quale snervato
stesse a lellare
40e non disiasse amare
a tutta briglia?
Chi pur s’acciglia
e d’ogni cosa ha spavento
è come chi ha spento
45il lume a mezzo l’ombra.
Chi pur s’ingombra
di tanti io vorrei,
io farei,
ma pure,
50le sciagure,
doh,
io non so,
è uno intronato,
è uno trasognato,
55è uno pezzo di bue,
e pàrli esser più di due
ed è meno d’uno;
non gli parlare a digiuno,
che non ha mente.
60E chi d’amor non sente
o nello amar è lento,
è uno portento
svelto fuor d’un tronco,

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ed è monco
65d’ogni destro ingegno,
ed è sinestro legno
a maneggiarlo,
ed ha nel cuore un tarlo
che ’l fa star austero
70e ch’ogni bel pensiero
gli rode e sbarba
tal che non gli garba
gentilezza.
Ma l’alma che s’avezza
75a seguir l’orme
e le dolzi torme
che amor guida,
mai più si snida
di tal cova,
80perché troppo li giova
l’udire
e ’l seguire
amorose maniere,
ed usar fra le schiere
85degli amanti,
quali con risi e canti
osservan fra loro
un maraviglioso tesoro:
non metalli cari né avolio
90non gemme né pitto spolio,
né coniato auro,
sai ched è? - un verde lauro
a mezzo un fonte,
dove sono sconte
95tutte l’offese ch’amor par ch’ammetta,
ed ha in ogni vetta
fronde vezzose e belle
dove è il nome di quelle
che han pietade,

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100e che ornan suo biltade
di cortesia.
Ivi s’oblia
ogni vii pensiere,
ed è mestiere
105seguire voglie sublime,
e non fare stime
di quel che non dà laude.
Ivi s’aplaude
ed è onorato,
110non chi è fortunato
e ricco erede,
né chi possede
accumulato avere,
ma ben chi pò capere
115fra’ pregiati ingegni
e fra gli uomini degni
d’esser amati,
che non sono schifati,
né han divieto
120dal santo ceto
degl’immortali.
Ivi si prendon ali
a seguire ogni impresa,
e hane suo voglia incesa
125a ’quistar lodo per merto.
Hen, che un tal cuore erto
superchia ogni gran cosa.
Però, gente amorosa,
pigliate ardire,
130su, seguire, seguire
l’arte e l’officina
con che amor affina
ogni cor frale.
Di grado in grado sale
135l’acquistar merzede,

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e non s’avede
ch’ell’è giunta al sennone,
dove è tenzone.
E perché?
140Anzi, deh!
Oh, lasciami stare!
Ma non si vuole acquistare
grado in donna altiera,
o ch’è spiatata fiera
145a chi la trassina.
Ella rompe e sfascina
ogni amorosa impresa,
e sta sempre tesa
a vincer d’onte,
150colle sanne pronte,
colle ciglia grottose,
colle mani sdegnose.
Uh! oh! ch’è questo?
Lascialo star quel testo
155pien di bizzaria.
Questa pur si dovria
cacciarla a far lucignoli,
e fra i diti mignoli
mostrarli il dito grosso.
160L’una ha uno sopraosso
in sul naso e gli occhi infiati;
l’altra ha gli occhi schiacciati
adentro un mezzo miglio;
l’altra ti porge un piglio
165e par ch’ogni uom gli puta;
quale è scrignuta,
monca o sciancata,
cispa e sdentata,
o vizza e rognosa.
170Ho! ho! che dolce cosa
por amor a tal gente,

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che tanto son contente
quanto le strazian altrui.
Visi di bui,
175capi bitorzuti,
con vostri imbiuti,
con vostre trampe e streghioni,
con insaccar lomboni,
col ceffin composto,
180collo andar iscosto,
dite: chi ne vuole?
e date altrui cazzuole
coll’occhietto.
Ma io me ne diletto,
185e compro il temporale
per tanto quanto e’ vale
di merce a merce.
Bufole chiazzate e lerce,
trombe fesse e vane,
190gite a ’impastar pane
per li spedali.
E vo’, dive immortali,
che avete gentilezza,
fuggite chi amor sprezza
195in bella etate,
e voi stesse ornate
d’un costume amoroso
e d’un cuor piatoso
che ogni bellezza avanza,
200e gite in danza
come innamorata:
chi vuol esser amata
convien che ami.
Vostri lacci e legami
205non sia pompa né superbia
perch’ogni uom vi proverbia,
ma sien risin vezzosi

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dove stieno nascosi
dea Veste e Cupido;
210e gli occhi che son nido
di spiritelli accesi,
mai sian discortesi
a chi v’adora.
Quel che un bel viso onora
215non è il brasil né ’l velo,
né iscolorire el pelo;
anzi è amar chi v’ama
e nell’amorosa trama
un porger d’opra.
220E s’egli è chi vi scopra
con cenni e con sospiri
soffri per voi martiri
e ardendo merzè preghi,
ah non sie chi gli nieghi
225dargli talor conforto,
perché faresti torto
a vostra cosa.
Chi in voi riposa
ogni suo voglia e spene,
230merit’ e’ pene
al ben servire?
Aitatel’, oimè, soffrire
la pena amorosa.
E soffre ogni cosa
235chi un bel viso mira,
perché indi s’agira
al cor non so che dolce
che spesso lo soffolce
a mezzo il cielo.
240Non teme caldo né gelo
l’alma che si pasce
di quello che nasce
infra ’l pensare

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e ’l rassembrare
245le lodi d’un bel viso,
che quanto el miri più fiso,
tanto vie men ti sazi.
Ivi son gemme e topazi
che sprendon più che ’l sole.
250Rose, gigli, viole
son belle in verde prato,
ma un viso innamorato
è via più bello.
Io ho visto ausello
255fra’ ramuscei fioriti
con versi arditi
lodare,
magnificare
ciascuna stella;
260ma leggiadra donna e bella
merita più lode.
Ed ho visto alle prode
di curri triunfali
titoli immortali
265e gloriosi;
ma non son sì famosi
quant’un bel viso merta.
Ed ho visto inserta
fra’ sacrati ornamenti
270gemma ch’e’ lumi ha spenti;
ma un risin gentile
con uno aere umile
l’abatte,
e stanno quatte, astratte,
275muse, ninfe e dei
a vagheggiar colei
che save amare.
Deh non vi fate pregare
adunque per vincer prova,

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280di quel che poi vi giova
s’altri vince.
Sai chi è che pregio convince?
Non chi mantien contesa,
né chi tanto pesa
285ogni suo voglia
che altri si stoglia
dallo avezzato amore;
ma ben v’è palma e onore
a saziare,
290a superchiare
di grazia altrui,
anzi gire ambodui
fra lo amoroso sciame
ad un legame
295in un pari passo.
Aimè lasso!
che donna inamorata
può esser beata,
ma non me lo crede.
300Ben sai che la fede
e l’essere sciolta
non può essere svolta
più che altri si voglia;
el viver sanza doglia
305non ha pari,
e son preciosi e cari
i giorni lieti.
Ma chi è che divieti
alle donne amorose
310tor e dar ste cose
a ogni sua posta?
E forse che gli gosta
il soggiogarsi a tanti,
dargli allegrezza e pianti,
315altro ch’un volger d’occhi?

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Né par che mai si sbrocchi
strai ch’è ’n cuor gentile;
deh! né anche in cor vile
indi si scarchi,
320e con sì vivi marchi
al cuor s’impronta,
che per sdegno né per onta
mai si sforma.
Però chi ha da far non dorma,
325e segua il suo viaggio,
e chi non è saggio
impari,
e chi sta guari
e del star si contenta,
330convien certo si penta
tardi ma a suo costo.
Però levate su tosto,
donne innamorate,
gite, onorate
335questa festa.
     S’egli è tra voi chi stia mesta
perché il suo amante è altrove,
dicami dove,
e io lo manderò a chiamare.
340Io son disposto aitare,
servire,
gradire,
magnificare qui e in ogni lato
qualunque inamorato
345esser si voglia.
Ma io temo che vi spoglia,
come altre volte spesso,
forse anche adesso
d’un bel piacere,
350donne, il non sapere
contentare voi stesse,

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e aver sommesse
vostri pensieri e arte
da ogni parte
355a trassinare,
rivolgere e ripensare
troppo ogni forse.
Sapete quel che porse
nella albana vittoria
360trionfo e gloria
al già vinto Romano?
Fu l’astuta mano
del pronto Orazio,
che in tempo al Curiazio
365persecutor si volse
e insieme acolse
voluntà, arme e stagione,
e seppe collo sprone
vendicarsi,
370e ornarsi
nel triunfo lugubre
di tre spoglie rubre
in german sangue,
onde Alba fu langue
375sotto leggi esterne,
e a lui fur lode eterne,
talché in ogni storia
e in canuta memoria
ancor son verde.
380Né può chi tempo perde
o noi sa adoperare,
mai più racquistare
tesoro sì caro,
perché gli è troppo avaro
385a’ dolci spassi.
E poi che ’l tempo en vassi,
donne, e non torna mai,

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oimè! che doglie e guai,
e quanto stracca,
390oimè! anzi fiacca
el ricordarsi,
l’incolparsi:
i’ dovea,
i’ potea,
395e gastigarsi dapoi,
e gustar gli errori suoi,
e darsi el torto,
essere ardito e acorto
ove non giova
400né forza né prova
di saper, d’arte o d’inganno.
Oimè, oimè, che affanno!
oimè che doglia!
Ove cresce voglia
405el sperar scema.
Non abiate unque tema,
donne, non vi sfidate.
Che pur pensate,
che vi tenete a bade,
410ora che ’l tempo accade
a triunfar d’amore?
A che tenere in cuore
quel che vi strugge
e che vi cuopre d’ugge
415e tolvi ardire,
e potevi scoprire
meco a fé sicura?
Io so aver misura
nel parlar,
420nell’andar
e nello star muto,
e insieme essere astuto,
nescio e pronto;

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e voluntier m’affronto
425ove creda servire
ciascuno, svilire
ogni amor tardoso
solo per far gioioso
chi amor segue,
430e compor paci e tregue,
aitar, guidar, coprire
e scoprire
sospiri e doglie
e le dolci voglie
435di chi ama.
E che? Onde surge fama
più ardita
e più nutrita
di voci e lode,
440colle piume più sode
e più cianciera,
che della grata schiera
de’ cari
e avari
445servigi e doni,
che dovunche gli poni
fruttan merti,
né possono star coperti
sotto l’ingrata mano
450che non perda un gran brano
d’util grazie altronde?
Anche, e donde
si porge più grato
e più accertato
455il bene servire,
che quando e’ fa uscire
di sua opera e forza
un piacer che caccia e amorza,
isveglie e matura

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460ogni acerba cura,
ogni spavento,
ogni pensier lento,
ogni albagia?
Anzi, vero, chi potria
465star che non servisse,
non profferisse
soccorrer, satisfare
alle voglie, allo spettare
di chi amor sente,
470e cercasse far contente
l’alme affannate
ch’ogni ora mille fiate
infra sospir son gite ratenute,
sbigottite, sparute,
475smarrite, scambiate,
riposate
in altrui seno?
E per Dio non è meno
il piacer che contenta
480chi sua fiamma ralenta
per lo servir d’altrui,
che sia di colui
che ’l dono suo ben assetta
e più là non aspetta
485che insino che gli esca
di sua mano e acresca
util, grazia e piacere
a chi lo sa volere
cortese e presto.
490E non è meno foresto,
meno incivile,
men discortese e vile
chi ’l don porger non vole,
che chi ’l don pòrto non tole
495ov’è pregato.

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E di questo pur beato
mi comandiate
e adoperiate
in ogni vostro volere:
500a me sarà piacere
troppo il contentarvi,
aiutarvi,
andare, stare,
portare e riportare
505parole, doni,
che son gli sproni
che l’alma impinge,
insieme stringe
all’amarsi
510col desto ricordarsi
che pasce amore,
e non gli par disonore
essere suggetto.
E non arò men diletto
515del servire, quanto del sapere,
ridere, vedere,
udire che atti e che maniera
e quanto voluntiera
ascoltasse,
520e di che adomandasse
e costei di colui,
e colei di costui,
e prima e poi,
e stesse in su’ suoi,
525or sorridendo,
or dolze premendo
gli occhi e la voce,
quale a chi pur cuoce
ancora l’altrui foco,
530e come a poco a poco
usciron da entro al core

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sospiri pien d’amore,
queti queti e fucati,
e come con gli occhi ornati
d’un atto che scopriva
535quel che ’l cor pativa,
s’atterroe,
e ben mille fiate si scambioe
il bel colore al viso,
e mirando fiso
540si racolse pian piana
e poi si volse strana,
vaga e piatosa,
e in modo vergognosa
balenò fiamme ardente
545che furono accese e spente,
abagliate
e ralumate
in un momento,
con un tremolar di mento
550insieme e di labrucci,
e con mille vezzosi crucci
in fronte lieta,
come or turba or queta
le ciglia e ’l seno strinse
555con bella arte, e finse
non sapere,
non volere,
non ricordarsi,
e poi sdegnarsi
560con superchia onestade,
fuggir e aver pietade,
poi che si sente amare.
E perché ’l saper pregare
d’altrui l’accende,
565ove suo voglia pende
in poco spazio

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e il soffrir suo che sazio
di tarde speme
570e teme,
e l’alma insieme carcata,
impiuta, combattuta, atterrata
infra sospiri accolti
avesse e’ pensier stolti
575non so dove.
Mai sì, donne, questo mi move
a profferire
gradire, servire,
lodare, atare,
580magnificare
chi ama ardito,
che già chi n’è servito
ne gode,
e acquistane lode
585chi con fè serve.
E l’alma mia che ferve
ogni ora più che non sole
sotto un velato sole
cor a me nascoso
590mai fa esser piatoso
d’altrui pene.