Reso/Secondo episodio
Questo testo è completo. |
◄ | Primo stasimo | Secondo stasimo | ► |
Giunge Reso, con un gran seguito. Le sue armi squillanti
brillano al fulgor delle fiaccole.
corifeo
Ore grande! Un bel cucciolo, o Tracia,
tu nutristi, che il regno reggesse.
Vedi l’arm, che, d’oro fulgenti,
le sue membra riparano, ascolta
il clamor dei minaci, che squillano
tintinnaboli appesi alle guigge
degli scudi. È un Iddio questo germine
della Musa canora, è un Iddio,
è Marte medesimo, e giunge,
e spira salvezza per Ilio.
reso
Si rivolge ad Ettore.
Prode, e figlio d’un prode, Ettore, sire
di questa terra, salve. A te rivolgo
già da gran tempo la parola. Godo
che a te fortuna arrida, e che tu spinto
abbia il tuo pie’ su le nemiche torri.
Per abbatterne i muri io son qui giunto,
per arder teco dei nemici i legni.
ettore
O d’una madre armoniosa, o d’una
delle Muse figliuolo, e dello Strímone
fiume di Tracia, a me dir sempre il vero
piace, ché doppio non sono io. Da tempo,
da lungo tempo già, dovuto avresti
di questa terra alla difesa accorrere,
e non lasciar, che, per tua parte, almeno,
sotto l’armi nemiche Ilio cadesse.
Né dir potrai che non venisti, aiuto
non ci recasti, non badasti a nơi
perché gli amici a te non ricorressero.
E quale araldo, e quale ambasceria
di Frigi a te non giunse, a farti supplica
per la nostra città? Qual di presenti
pregio a te non mandammo? E tu, che sei
barbaro, sei parente nostro, i barbari,
per conto tuo, tradisti ai Greci. Eppure,
da signorotto, eccelso re dei Traci
con questa man ti resi, allor che intorno
di Pange al monte e ai campi dei Peóni,
sui piú forti dei Traci a fronte a fronte
piombai, spezzai le loro pèlte, e il popolo
servo a te diedi. A questo gran favore
vibrasti un calcio, e ben tardi a soccorrere
giungi gli amici dai malanni oppressi.
Da un pezzo invece qui venuti, molti
che non m’eran parenti, alcuni giacciono
caduti, e sopra lor s’ergono i tumuli,
prova di fede non esigua ad Ilio:
presso ai carri e ai cavalli altri nell’armi
gli aliti freddi e il sitibondo fuoco
sopportano del sol, con cuore intrepido,
e non sui letti del convivio, libano
come fai tu, le fitte coppe. A te
a faccia a faccia io volgo questo biasimo,
perché veda, che franco Ettore parla.
reso
E anch’io son come te: la via diritta
batto nei miei discorsi, e non son duplice.
Ed io pativo piú di te l’affanno
di rimaner lungi da Troia, e il fegato
mi consumavo. Ma una terra prossima
ai miei confini, degli Sciti il popolo,
mentre a venire ad Ilio io m’apprestavo,
mi mosse guerra; e a capo d’un esercito
tracio, del ponte Eusino ai lidi venni.
Qui di scitico sangue una poltiglia
fu sparsa a terra dalle lance, e mista
molta strage di Traci. E tale evento
m’impedí ch’io venissi al pian di Troia
al fianco tuo. Ma poi che vinti li ebbi,
e ostaggi m’ebbi i loro figli, e imposto
ch’essi ogni anno un tributo a me portassero,
parte delle mie schiere oltre le fauci
del Ponto spinsi su le navi, ed altre
per terra, attraversando altri confini,
non per cioncare, come tu rampogna
mi fai, non per dormire in auree case;
ma come glaciali i venti piombano
sul mar di Tracia, ed i Peóni opprimono,
insonne, in veste militare, appresi,
e so quanto patii. Tardi son giunto,
ma pure in tempo. Poi che tu combatti
già da dieci anni, e non approdi a nulla,
bensí di giorno in giorno i dadi getti
nella battaglia con gli Argivi. A me
la luce basterà d’un giorno solo,
per espugnar le torri, e degli Argivi
irrompere nel campo, e farne scempio;
e il giorno dopo, poi che fine avrò
posta alle tue fatiche, partirò
da Troia, e in patria tornerò. Dei vostri
niuno imbracci lo scudo. Io frenerò,
per vanto ch’essi menino, io gli Argivi
debellerò, sebbene ultimo giunto.
coro
Evviva, evviva!
Col favore di Giove, a noi propizia
la tua parola e la tua lancia arriva.
Pur, l’invidia temo
che suscitar le tue parole possano:
Giove lungi la tenga, il Dio supremo.
Piú valido di te la flotta argiva
niun guerriero addusse, ora né mai.
Come, Achille, alla sua lancia resistere,
come, Aiace, potrai?
Possa io quel giorno scorgere, o sovrano,
che la vendetta tu con la tua lancia,
esigerai da lor sanguinea mano.
reso
Della mia lunga assenza un tal compenso
voglio a te dare. Se Adrastèa ci assiste,
poi che questa città dai suoi nemici
fatta libera avremo, e del bottino
elette le primizie avrai pei Numi,
invadere con te voglio la terra
d’Argo, e l’Ellade tutta a sacco mettere,
ché i malanni a soffrire anch’essi apprendano.
ettore
Se dall’affanno ch’or ci opprime libero
viver nella città sicuramente
potessi, come ai dí trascorsi, ai Superi
molto sarei riconoscente. Ma
Argo mettere a sacco e i campi d’Ellade
facil non è cosí come tu pensi.
reso
I piú prodi non son qui degli Ellèni?
ettore
Non lo neghiamo; e assai duro è respingerli.
reso
Dunque, se li uccidiam, compiuta è l’opera.
ettore
Non trascurar, pei ben remoti, i prossimi.
reso
Patire i guai ti basta, e non infliggerli.
ettore
La terra ond’io son qui sovrano, è molta.
Or se nel destro corno, oppur nel manco,
o se nel mezzo vuoi pugnar, t’è lecito:
la pèlta spingi, ed ordina le schiere.
reso
Coi nemici pugnare io vo’ da solo;
ma se vergogna credi tu non ardere
meco le navi, poi che tanto già
t’affaticasti, contro Achille ponimi
a faccia a faccia, e contro alle sue schiere.
ettore
Non si può contro lui stringer la lancia.
reso
Pur navigò, voce ne corse, ad Ilio.
ettore
Navigò certo, è qui; ma contro i duci
d’ora s’accese, e piú lancia non stringe.
reso
Chi dopo lui, piú prode è nell’esercito?
ettore
Punto da meno Aiace non mi sembra,
né il figlio di Tidèo. Poi, lo scaltrissimo
Ulisse v’è, maestro di furbizie,
e cuore audace quanto basta. Mali
a questa terra egli recò gravissimi;
ché nel tempio d’Atena a notte ei venne,
e il simulacro ne rubò, l’addusse
ai legni achivi. In veste da pitocco,
da vagabondo un altro giorno entrò
dentro le torri, ed imprecava mille
danni agli Argivi; e ad Ilio esploratore
l’avean mandato. E uccise poi le scolte
delle porte i custodi, e s’involò.
Sopra l’ara timbrèa, nei pressi d’Ilio
sempre in agguato sta. Dobbiamo un tristo
di furbizie campione in lui combattere.
reso
A faccia a faccia abbattere il nemico,
e non di furto brama un cuor magnanimo.
Quest’uom, che, come dici tu, s’appiatta
in agguati furtivi, e trama insidie,
vivo lo prenderò, l’infilerò
per la schiena in un palo, e l’esporrò
sopra la soglia della porta, pasto
agli erranti avvoltoi. Esso è ladrone,
a saccheggiar dei Numi i santuarî
venne: la morte è tal ch’egli si merita.
ettore
Accampatevi adesso. È notte. Il luogo
ora ti mostro ove potran le schiere
tue pernottare, dalle mie divise.
Febo, se mai t’occorre, è la parola
d’ordine: a mente tienila, ed insegnala
alle schiere dei Traci. A voi conviene
muover sul fronte delle schiere, e attendere
Dolon, che delle navi esploratore
andò. Se pure è salvo, ei deve già
avvicinarsi al campo dei Troiani.
Tutti i personaggi della scena escono.
Rimane il Coro.