Relazione del Sindaco Ubaldino Peruzzi (1870)
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RELAZIONE
del sindaco
UBALDINO PERUZZI
al
CONSIGLIO COMUNALE DI FIRENZE
nell’Adunanza del 16 dicembre 1870.
FIRENZE.
tip. dei successori le monnier.
1870.
- Signori,
Ho l’onore di presentare al Consiglio una lettera della Prefettura, de’ 2 del corrente, colla quale mi viene comunicato il Real Decreto de’ 29 novembre che mi nomina Sindaco di Firenze per tutto il mese corrente; ed aggiungo che fino dal giorno 9 decembre ho prestato giuramento in questa qualità. Nel fare al Consiglio questa doverosa comunicazione, per la quale nell’ordinamento di questa Rappresentanza Comunale altro cambiamento di fatto non avviene se non che l’aggiunta di un Assessore che proporrei di eleggere nella prossima Adunanza, mi pare di dover dire il perchè alle recenti premure dell’Autorità governativa io abbia risposto accettando quest’ufficio che aveva altre volte reiteratamente dichiarato non esser disposto ad accettare.
Per antica esperienza conoscendo la gravità di questo ufficio che esercitai nella mia giovinezza, io ero deciso a non accettarlo, sia per le mie condizioni particolari, sia perchè parevami che esso m’impedisse soverchiamente lo adempimento dei doveri parlamentari.
Astrettovi da voi, o Signori, io non sapeva rifiutare di reggere provvisoriamente questo ufficio, sperando che o qualcuno di voi alla perfine si decidesse ad assumerlo definitivamente, ovvero che nelle parziali elezioni venisse fra noi qualche collega che lo accettasse.
Fattosi ora imminente il trasferimento della sede del Governo da Firenze a Roma, mi parve che le condizioni si facessero per la nostra Città così gravi, che sarebbe stato per essa poco conveniente il non avere un Sindaco alla lesta della sua Amministrazione Comunale.
Ora che al Parlamento nazionale è presentata la legge per lo imminente trasferimento della sede del Governo a Roma, mi parrebbe mancare al dover mio se più tardassi a richiamare il Consiglio allo studio degli effetti di questo avvenimento nazionale, per l'Amministrazione e per gli abitanti del nostro Comune.
La popolazione di questa Città ha dato splendidamente il segnale delle manifestazioni di gioia nazionale per la sospirata riunione di Roma all’Italia, andò altiera della nobile missione di festeggiare per l’Italia i Romani apportatori del Plebiscito, ed ascoltò con i sentimenti che animano tutti gli Italiani l'augusta parola del Re annunziatrice dell’imminente trasporto della sede del Governo nella Capitale acclamata, or sono quasi dieci anni, dal primo Parlamento Italiano.
Noi che abbiamo l’onore di curar gli interessi di questa popolazione, nel compiacerci grandemente dei sentimenti patriottici da lei manifestati, abbiamo il dovere di prendere a cuore questi interessi, d’indagare se e quanto possano patir danno, e come a questo possa venir riparato: dovere tanto più stringente quanto maggiore è la fiducia della quale gli interessati ci han date manifeste dimostrazioni.
Ricordevole e lieta al pari delle altre Città Italiane del voto solenne del 1864, che ho testè ricordato, Firenze accolse la sede del Governo trasferita per volontà della Nazione nella cerchia allora angusta delle vecchie sue mura del decimoterzo secolo, siccome un onorevole ufficio cui era chiamata affinchè l’Italia si avvicinasse al compimento dei suoi destini. La popolazione fiorentina accolse la Legge dell’undici Dicembre 1864 con quella serietà che si conviene a chi ha il sentimento di un dovere che è chiamato a compiere per il bene generale della Nazione; e chiaramente additò la via da battere a chi aveva allora ed ebbe dipoi la missione di reggere la sua Amministrazione Comunale.
Questa Amministrazione aveva ripresa fino dal 1860 l’opera di miglioramento che, avviata nel 1842, erasi rallentata dopo che nel 1853 la scelta degli Amministratori del Comune era stata tolta agli interessati per restituirla alla sorte.
Le migliorate condizioni di molti pubblici servizi, il progressivo aumento delle pubbliche scuole, i provvedimenti per assicurare la città dai pericoli d’inondazione, il compimento dei quartieri prossimi al nuovo Lung'Arno, l’esecuzione di quello del Maglio, l’allargamento della via Buia, ora dell’Orivolo, delle vie de’ Tornabuoni, de’ Cerretani, de’ Panzani ed altre importanti opere pubbliche attentano l’attività impressa allora a quest’Amministrazione dal compianto gonfaloniere marchese Ferdinando Bartolommei, e come questa fosse secondata dai cittadini.
Queste migliorie procedevano gradatamente, di pari passo collo accrescersi della pubblica prosperità; la quale andava svolgendosi per il benefico influsso della conseguita unità non che del libero reggimento, ed a misura che si andava compiendo la rete delle strade ferrate che dalle varie parti della penisola convergono in questa che è fra le sue grandi città la più centrale.
Per provvedere alle spese occorrenti a queste migliorìe si andavano accrescendo gradatamente le risorse del bilancio comunale, e si contraevano prestiti, sempre però nei limiti consentiti dagli aumenti di entrata, prossimamente sperabili: si procedeva insomma in conformità dei doveri agli amministratori comunali imposti dalla legge e delle tradizioni di questo comune che fra gli italiani gode antica reputazione piuttosto di massaio che di spendereccio.
Ed infatti al chiudersi dello esercizio 1864 il debito del comune ascendeva a L. 14, 305,693,88; del quale soltanto 4,553,922,51 in debito fluttuante, lo stato debitori e creditori si chiudeva senza disavanzo avvertibile, e le annualità passive gravavano per solo L. 662,744,57 il bilancio che giungeva già a circa tre milioni e mezzo di lire.
La popolazione e la prosperità pubblica e privata andavano gradatamente aumentando nel primo quinquennio che tenne dietro ai felici mutamenti del 1859 e 60, ed un numero ognor crescente di famiglie traeva qui da altre provincie Italiane, e dall’estero a cercarvi quella fidata quiete che ebbevi poi il Governo italiano, laonde aumentavano a poco a poco le pigioni; si costruivano nuove case; e cominciando a scarseggiare i terreni sui quali potessero queste venire erette, il Comune pensava ad aprire, a misura dei bisogni e delle richieste dei privati, nuove strade nei terreni ortivi della Mattonaia.
Promulgata la Legge del trasferimento della Capitale, se fra gli statisti poteva essere e fu argomento di discussione il carattere provvisorio o permanente di questa grave misura, ogni esitanza fu fatta impossibile, nell’ordine amministrativo, agli Amministratori del Comune di Firenze. Essi si provarono a prendere provvedimenti di un carattere provvisorio, sia col dar nuovi aiuti e garanzie alla benemerita Società Edificatrice perchè affrettasse la costruzione di molte e grandi case per inquilini poco agiati, sia col largheggiare nelle cessioni di terreni comunali a chi desse mano a simili costruzioni, sia col far venire prontamente dall’estero con vistosi sacrifizi vaste case di legno e ferro, sia col cedere con grave disagio propri locali per usi governativi, sia coll'allogare male e costosamente a pigione molti servigi comunali; ma i termini delle disposizioni legislative, delle comunicazioni pressantissime avute dal Governo, i lamenti del pubblico e dei privati, gli eccitamenti della stampa di tutta Italia, gli costrinsero a smettere ben presto le primitive esitanze.
Ne’ provvedimenti provvisorii si è perseverato quanto più si è potuto; ma soltanto rispetto ai servigii comunali, pe’ quali infatti si sono spese ingenti somme per pigioni e per riduzioni di locali presi in affitto, piuttostochè acquistarne o costruirne dei nuovi; ma non si potè esser avari verso il Governo ed il pubblico di quella larga cooperazione che il Prefetto di questa provincia scriveva ripromettersi dal Municipio di questa città la quale, sono sue parole, più che a se stessa appartiene ora all’Italia essendone la capitale.
Veduto come all’aumento di edifizii pubblici e privati fosse per riuscire insufficiente l’area racchiusa entro il territorio comunale limitato allora dalla strada circondaria attorno alle mura della città, fu preso in esame e intieramente studiato un progetto che per sole speranze di vederlo eseguito in un lontano avvenire l’ing. Poggi aveva ideato; secondo il quale, demolite le mura, i torrenti e fossi allaccianti le acque delle circostanti colline avrebbero dovuto costituire a destra dell’Arno il nuovo limite della città: la quale, nel vasto territorio compreso fra la vecchia e la nuova Cinta, avrebbe potuto allargarsi quanto occorresse.
E sulla base di questo vasto Progetto comprendente anche la demolizione delle Mura e l’ampliamento della Città a sinistra dell’Arno, fu provocato il riordinamento dei Territorii del Comune di Firenze e dei Comuni contermini decretato colla legge del 26 luglio 1865: per la quale, soppressi i Comuni di Legnaia, del Pellegrino, di Rovezzano, fu ampliato il territorio del Comune di Firenze e furono modificati quelli dei Comuni di Fiesole, Galluzzo, Bagno a Ripoli e Casellina a Torri. Il qual Progetto di Legge, stato approvato dalla Camera dei Deputati e dal Senato senza discussione ed alla quasi unanimità, era nella Relazione Ministeriale appoggiato alla seguente motivazione: «L’urgenza di provvedere all’ampliamento del Municipio fiorentino è evidente per chiunque consideri che da ciò dipende in molta parte il più sollecito e regolare aggrandimento della Città di Firenze, di guisa che possa rispondere alla nuova condizione nella quale avrà fra breve a ritrovarsi per il trasferimento della sede del Governo.»
Ed a queste nuove condizioni convenne provvedere per modo che non ha precedenti nelle istorie di verun’altra città italiana o straniera. Nel 1859 Torino era già sede fiorente del Governo di un Regno di oltre quattro milioni con Amministrazioni molto accentrate; Regno cresciuto progressivamente sino ai 7 milioni nella primavera del 1859, ai dieci milioni sul principio del 1860, ai 13 sul finir di quell'anno, ai ventidue al principio del 1861: e le Amministrazioni centrali si allargarono gradatamente prima per le soppressioni delle luogotenenze e dei Governi regionali, e poi delle amministrazioni compartimentali: tantochè l'accentramento totale era compiuto da poco, quando avvenne il trasferimento della Capitale.
A Firenze che da oltre un lustro avea cessato d’esser capitale d’un piccolo stato, in meno che un anno tutti i pubblici servizi allora all’apogeo del loro accentramento, furono installati, ad eccezione di poche Direzioni Generali venutevi più tardi: laonde convenne provvedere in questo breve tempo ai locali per i servizi stessi, alle abitazioni dei numerosi impiegati ed a tutte le occorrenze conseguenziali di un così grande ed improvviso cambiamento nelle condizioni della città. Non è quindi a meravigliare se, come fu detto recentemente al Parlamento dall’attuale Ministro dei Lavori Pubblici nella Relazione che precede il progetto di legge per l’onere di contributo, i miglioramenti verso i quali la città si era già incamminata alla misura delle site risorse si dovettero portare innanzi precipitosamente e sopra grande scala.
Col contratto de' 12 Agosto 1865 fa convenuta la pronta costruzione di case, strade e Piazze nel Quartière della Mattonaia, il quale divenne per questa necessaria precipitazione motivo di sacrifizii al comune che dal suo lento e graduale svolgimento avea sperato trarre un lucro; col contratto de' 7 settembre 1865 fu pattuita la demolizione delle mura, la costruzione de' viali e piazze attorno alle medesime e di un ingente numero di case, assumendo il Comune oneri considerevoli frai quali l’accettazione di prezzi unitari più elevati che quelli sperabili ove si fosse sperimentata la concorrenza, la cessione gratuita di 50 mila metri quadri di terreno fabbricativo, e quelle dei rimanenti a prezzi inferiori ai correnti; ma, come diceva il Prefetto nell’approvare la relativa deliberazione consigliare, convenne appigliarsi a questo partito perchè la necessità di nuove abitazioni si fa sentire ogni giorno più viva e più urgente in questa città, e perchè di fronte a questo resultato (supplire alla mancanza di case in breve spazio di tempo) il sacrifizio di 50,000 metri quadri di terreno che il Comune cede gratuitamente alla Società costruttrice e la perdita che eventualmente potrà incontrare per la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di cessione degli altri terreni destinati alla fabbricazione non è tale da non potere essere giustificata dalla straordinarietà delle circostanze.
La demolizione delle vecchie mura rese necessaria la costruzione di una nuova cinta assai più estesa, e molto meno sicura che la precedente; per la quale, se crebbe il prodotto lordo del dazio-consumo, non crebbe in proporzione del vasto territorio nuovamente chiuso perchè per adesso poco abitato, e crebbero altresì notevolmente le spese di percezione per l’aumentato numero delle barriere, per la necessità di una costosa illuminazione notturna e di una difficile ed insufficente vigilanza. E conviene avvertire come la celerità colla quale dovettero venire intraprese le costruzioni attorno alle mura avendone necessitata la demolizione molto avanti che fosse attivata la nuova cinta, si ebbero per parecchio tempo perdite notevoli sugli introiti del dazio-consumo atteso il difetto della indispensabile difesa: e la nuova cinta si è potuta attivare completamente soltanto da pochi mesi.
Nello intendimento di agevolare quanto più si potesse la sollecita edificazione di case e di provvedere, come dice l'articolo 93 della legge di espropriazione, all’ampliamento della città in modo che le disposizioni degli edifizi corrispondessero alla salubrità, al comodo ed al decoro, appena entrata in vigore questa nuova legge, l’amministrazione comunale si affrettò ad espropriare terreni per metterli in vendita a prezzi e condizioni convenienti, e prima in Italia deliberò vasti piani edilizi e di ampliamento attuabili, il primo in 10 il secondo in 25 anni.
Malgrado queste ed altre misure che attestano la prontezza dei provvedimenti energicamente promossi e condotti dal Gonfaloniere e poi Sindaco senatore De Cambray Digny, ognuno ricorda quanti fossero i lamenti per la insufficenza degli alloggi, e per il caro delle pigioni: e fu per non accrescere queste difficoltà con la demolizione di case esistenti, che ci astenemmo dal proseguire i già iniziati miglioramenti della città, i quali, certamente sarebbero riusciti più comodi e graditi ai Fiorentini. Furono invece costruite parecchie strade nel nuovo territorio, e migliorate le vecchie per indurre i privati a crescere il numero delle case abitabili, sia col costruirne di nuove, sia col riattare le esistenti. Soltanto dopo quattro anni di ingenti spese e di assidue cure, e quando il cresciuto numero delle abitazioni faceva certa la cessazione degli inconvenienti lamentati in principio, il Consiglio comunale tornò a pensare alla vecchia città, riprendendo nella via de’ Martelli l’opera degli allargamenti di strade interrotta nel 1864 dopo quello della via Tornabuoni.
I locali per i pubblici servizi e le abitazioni per la nuova numerosa popolazione, furono le prime necessità cui dovettero provvedere il Comune ed i cittadini; ma non furono le sole.
Per assicurare la circolazione immensamente cresciuta nelle anguste nostre vie e per vigilare le nuove, convenne accrescere il servizio della Polizia municipale e del pari crebbero le spese pel mantenimento de’ lastrici e delle massicciate e per l’illuminazione in specie del nuovo territorio reiteratamente reclamata dai cittadini e dalla Prefettura; la quale spesso fece vivi eccitamenti perchè fossero migliorate le condizioni, non solamente dei dintorni della città abitati da molti impiegati, ma altresì quelle dei mercati e delle acque.
Fin dal 20 luglio 1866 fu stipulata la concessione di un nuovo Macello con un mercato di bestiame ora già posto in attività; nella decorsa estate fu aggiudicata la costruzione dei nuovi Mercati delle vettovaglie, e sono già pronti per la esecuzione i progetti di acquedotti.
Non è a dire che queste migliorie e queste opere nuove non sarebbero prima o poi state fatte, nè si può disconoscere il vantaggio che recheranno a Firenze, ma si sarebbero fatte in più moderate proporzioni, a misura che le risorse economiche del Comune lo avessero consentito e con spese senza dubbio molto minori. E i tempi nei quali l’Amministrazione del Comune di Firenze ha dovuto ricorrere al credito pubblico, sono stati tali da accrescere gli oneri delle fatte operazioni: imperocchè il corso della rendita che dal 1859 al 1864 fu quasi sempre superiore o poco inferiore al 70, non salì mai nell’ultimo quinquennio al disopra del 61 e scese perfino al 47.
Perlochè, mentre i prestiti contratti avanti il 1864 in lire 12,000,000, impongono al Comune per anni 40 un onere di lire 668,000, quelli contratti nell’ultimo quinquennio (non computando il debito tuttora fluttuante) ascendono a lire 30,000,000 ed impongono per 50 anni un onere di lire 2,188,000: i quali oneri ragguagliano al 7 1/2 per % per le operazioni posteriori al 1864 ed al 5 1/2 per quelle antecedenti.
Fra tutti gli aumenti, quelli però che maggiormente gravano il bilancio di questo Comune sono i frutti e le restituzioni di capitale dell’aumentato passivo, ascendenti ad annue lire 2,800,000, tantochè, come avrete rilevato dall’ultimo rendiconto della Giunta, nell’Esercizio del 1869 si ebbe un disavanzo considerevole, quantunque fossero cresciute le entrate e fossero minorati diversi titoli di spese.
Gli aumenti notabili e progressivi dell’ entrate verificatisi in questi ultimi anni giustificano le speranze per le quali questa Amministrazione ha fatto le operazioni di credito cui ha dovuto aver ricorso su larga scala per provvedere prontamente alle necessità pubbliche e private improvvisamente fattesi manifeste; ma è evidente che mentre i progressi nelle entrate si vanno gradatamente svolgendo, tutti in una volta vengono a carico del Bilancio gli oneri resultanti dagl’imprestiti. Quindi è che nella durata soltanto del progressivo aumento delle entrate resultanti dalle opere fatte precipitosamente col denaro procacciatoci con reiterati imprestiti, quest’Amministrazione avrebbe potuto trovare il modo di porre uno stabile riparo al momentaneo sconcerto delle sue condizioni finanziarie.
E poichè per effetto «di eventi che niun giudizio umano poteva prevedere,» questa durata ci ha fatto difetto allora appunto quando cominciavamo a rallentare le spese nuove ed a fruire dei benefizi di quelle già fatte, a noi incombe, o Signori, il definire accuratamente quali siano gli oneri assunti dal nostro Comune per l’improvviso e breve transito del Governo centrale per questa città nel fortunato suo peregrinar verso Roma; e ci convien ricercare i provvedimenti pe’ quali possiamo trovar modo di aspettare lo immanchevole rinnuovarsi dello incremento della pubblica e privata prosperità. Il qual fine mi pare invero impossibile conseguire colle sole risorse onde quest’Amministrazione potrebbe disporre; imperocchè, al compiersi improvviso del gran fatto nazionale, la popolazione necessariamente diminuirà, parecchi interessi saranno perturbati; ed il Comune ne avrà impedimento a realizzare i suoi assegnamenti e ad accrescere le sue rendite con la sperata applicazione dei provvedimenti sanciti dalle recenti leggi finanziarie in compenso delle perdite ch’esse hanno inflitto ai bilanci delle grandi città.
Così i terreni che si andavano vendendo con profitto non troveranno, per ora almeno, acquirenti, le tasse di vetture e domestici, e degli esercizii e rivendite, largite ultimamente ai Comuni e gli aumenti nelle tariffe del dazio consumo autorizzati dalla recente legge daranno un introito molto minore a quello presagito; e rispetto all’imposta sui fabbricati sulla quale si era fatto assai largo assegnamento, io credo che nell’interesse dei contribuenti convenga che il Consiglio chieda al Ministro delle finanze di consentire che alla legge da lui proposta per Firenze, sia aggiunta una disposizione intesa a far ottenere ai proprietari lo sgravio proporzionale della imposta dal giorno in cui il reddito in precedenza denunziato sia venuto a diminuire. Della quale disposizione mi è apparsa evidente la necessità quando ho udito che pel primo del prossimo aprile il Governo avrà lasciato Firenze, imperocchè nel febbraio pochi confermeranno gli affitti, e dal Maggio all’Ottobre molte saranno le diminuzioni di rendite per spigionamenti e per diminuzioni di pigioni; lo che rinnovandosi in agosto pel secondo semestre che ha principio nel novembre, si avranno otto mesi, cioè due terzi dell’anno 1874 sotto l’influenza del grande evento del primo di aprile.
Per facilitare le indagini cui mi permetto richiamare il Consiglio perchè si possa poi devenire a quelle proposizioni che parranno più convenienti, ho unito a questa sommaria esposizione, parecchi prospetti pei quali è fatto palese il resultamaento dei bilanci comunali dal 1864 a tutto il 1869, ed il presente stato attivo e passivo del Comune comparato con quello del 1861. Ne’ quali prospetti figura separatamente il debito fluttuante contratto per far fronte alle spese anticipate per conto del Governo, per il mantenimento della guarnigione austriaca; e di questo converrà affrettare ora più che mai la liquidazione ed il rimborso. Il Consiglio vedrà se altri dati gli occorreranno per avere delle nostre condizioni finanziarie quella piena cognizione che or più che mai gli sarà necessaria per decidere intorno agli opportuni provvedimenti. Frattanto qualunque siano le misure che verranno adottate per tener luogo del tempo venutoci meno, converrà pur sempre mettere la nostra Amministrazione per una via assai più modesta che quella che ci fu forza battere precipitosamente in questi ultimi anni.
Ed innanzi tutto conviene che io richiami l’attenzione del Consiglio sulle opere deliberate in massima, e su quelle delle quali è già stata decisa, iniziata o spinta più o meno innanzi la esecuzione. Di queste opere talune sono talmente avanzate o così strettamente legate ad altre già compiute o prossime ad esserlo, che non mi par neppur disputabile la convenienza di proseguirle. — Altre sono già accollate a Società fra le quali primeggia la Florence Lend and Public Works Company; e di queste, per calcoli fatti noti al Consiglio nel 29 Luglio decorso, quando fu modificato il contratto d’accollo, rimarrebbero da eseguire lavori per poco meno che cinque milioni di lire.
Sebbene, atteso il vincolo del Contratto non si possa far assegnamento su larghi risparmi per questo titolo, pure converrà riprendere in esame questo Contratto e lo elenco delle Opere ad esso allogate, potendo per avventura per questo esame esser fatta palese la convenienza di una qualche modificazione che al pari di quella che ho sopra ricordata, scemi gli oneri così del Comune come della Società.
Ben diversa è la condizione nostra rispetto agli altri progetti deliberati in massima per la più o meno sollecita loro esecuzione, e segnatamente rispetto ai piani regolatori, edilizio e di ampliamento.
Ricorda senza dubbio il Consiglio come questi piani regolatori fossero deliberati e per Reali Decreti approvati nello intendimento di valersi di questa facoltà data dalla Legge per impedire che private costruzioni fatte innanzi lo intraprendimento delle opere pubbliche ideate per ampliare la città e migliorarne le condizioni, rendessero poi queste opere ineseguibili o ne accrescessero grandemente la spesa.
Ora parmi invero che convenga ridurre in proporzioni molto più modeste questi piani regolatori: e ciò nello interesse del credito del Comune pel quale occorre mostrare come quest’Amministrazione sia pronta alla prudenza quanto lo fu all’audacia, e nell’interesse dei cittadini cui non si deve recare impedimento al libero uso delle loro proprietà, se non in quanto ciò occorra nello interesse generale.
Sebbene non tutte le opere deliberate sieno comprese nei piani regolatori, nello studiare questi riesce agevole lo studiare tutte le altre; e questo studio complesso tanto più mi comparirebbe necessario in quanto che, se molto vi sarà da levare, alcun che vi sarà pure da modificare ed anche da aggiungere. Citerò fra le modificazioni quelle che si potrebbero introdurre nel progetto di riordinamento del centro di Firenze ora che certa e prossima è la remozione del mercato da quelle storiche dimore dei nostri maggiori, e che più accurati studi vennero fatti; e fra le aggiunte mi permetterei raccomandare una comunicazione fra il centro della città e la Porta Romana donde muove il Viale dei Colli; la quale comunicazione tanto più mi parrebbe necessaria se, come credo, dovremo lasciare ai futuri i progetti del Ponte Carlo Alberto di faccia alla Via Curtatone e dei Viali fra il torrino di Sta. Rosa e la porta summentovata. Un altro studio strettamente congiunto con quello testè indicato converrà istituire intorno alla convenienza di conservare per Cinta daziaria la lunga linea spezzata costituita dai torrenti Affrico e S. Gervasio tra la strada Provinciale del Pontassieve ed il Mugnone: imperocchè questa Cinta preordinata a racchiudere le molte abitazioni che sarebbero sorte immancabilmente nel vasto territorio chiuso entro la medesima, abbisogna di quelle maggiori difese che si era decisi ad aggiungerle gradatamente, e richiede una spesa di mantenimento, di vigilanza, di percezione sproporzionata all’introito della barriera di S. Salvi, Settignanese, Maiano, Fonte all’Erta e delle Forbici.
Senza che io abbia ancora un concetto ben definito intorno alla convenienza o no di questa misura, essa mi comparisce meritevole di studio ora che ogni speranza svanisce di veder convertiti in urbani i molti fondi rustici costituenti quella porzione considerevole del nostro Territorio chiuso; e credo dover raccomandare tanto più questo studio in quanto che esso va congiunto a quello della deliberata e non peranco eseguita deviazione della strada ferrata fra il Mugnone e la Strada Provinciale già nominata. Questa sezione di ferrovia esser doveva deviata per allontanarla dai viali che impaccia colla stazione di Porta alla Croce e dai Terreni sui quali meglio che altrove avrebbe potuto continuare lo svolgimento dei nuovi quartieri, fino a riunire quelli già quasi compiuti detti del Mugnone e Savonarola con gli altri della Piagentina e Porta alla Croce. Le espropriazioni sono fatte, e mercè le assidue cure dei nostri colleghi Covoni e Barsanti, furono concordate le basi delle relative convenzioni col Governo e colla Società delle SS. FF. Romane; e se la esecuzione di quest’opera ha subito un ritardo, ciò avvenne perchè è collegata colla cessione della antica Stazione di Porta al Prato, che ritornerebbe Stazione Ferroviaria destinata al servizio delle Mercanzie; cessione intorno alla quale, sebben in massima concordata, il Ministero delle Finanze ha sollevato qualche difficoltà che confidiamo abbia ad essere ora agevolmente superata.
Lo aver ricordato questa stazione mi richiama a due ordini di proposizioni che mi pare dover sottoporre allo esame del Consiglio; quelle relative ai locali, e quelle concernenti i Magazzini di deposito dei generi soggetti ai Dazi doganali e di consumo.
Il ricordato Edifizio dal quale ben scarso profitto trae oggi il Governo e minore lo trarrebbe nel seguito, unito ai locali ove ora è fatto a disagio il servigio delle Merci che partono ed arrivano per Strada Ferrata, potrebbe costituire una comoda Stazione Merci e dar modo di aggiungervi dei magazzini che esser potrebbero per avventura il nucleo di futuri magazzini generali.
Oggi abbiamo un magazzino di deposito dei generi soggetti a dazio consumo nell’ex-Convento di S. Spirito; ma dovendo i generi che per la massima parte giungono per Vie Ferrate, sopportare per esserci portati, spese di carico, di scarico, trasporto ec., esso non reca vantaggi nè al Comune nè al commercio. Se invece in un punto cui facilmente si accedesse per le ruotaje, e per strade ordinarie provenienti dalle campagne e dalla città, noi avessimo alcuni magazzini ov’esser potessero custoditi così i generi soggetti a dazii doganali o di consumo, come quelli soggetti al un solo dei due, e se a questi luoghi di deposito e di custodia fossero applicate le norme sancite dalla Legge pei Magazzini generali, non ci saremmo noi con poca spesa posti in grado di far questo esperimento senza il rischio de’ danni patiti da altri Comuni? E non sarebbe sperabile che da questo modesto esperimento traesse vita una istituzione capace di favorire lo sviluppo di un commercio già fiorente a Firenze ove parecchie provincie dell’Italia centrale vengono a far provviste di merci nazionali e straniere?
Ma sarebbe vano lo sperare lo svolgimento del commercio, se come si vocifera, al danno recato a Firenze dalla preferenza, che per servire all’Austria, i governi toscano e pontificio dettero alla ferrovia Bologna-Pistoia su quella Bologna-Firenze, si aggiungesse ora quello del prolungamento di questa linea, da Pistoia ad Empoli. Se questo prolungamento fosse il più giovevole agli interessi generali della Nazione, quello pel quale le provincie di oltr’Appennino fossero maggiormente avvicinate a Roma, non ne farei qui parola.
Ma in verità è ben facile il dimostrare come ad agevolare i celeri viaggi delle persone e lo economico trasporto delle mercanzie dalla Valle del Po a Roma, la via meglio adattata non sia quella Bologna-Pistoia-Empoli-Siena etc. Per Genova e la Liguria la linea preferibile per pendenze e per brevità sarà certamente quella per Pisa e Civitavecchia, specialmente qualora sia fatta più breve mercè il braccio Pisa-Colle Salvetti lungo poco più che 10 chilometri.
La distanza fra Genova e Roma per Pisa sarebbe di 502 chilometri quella per Bologna-Falconara-Foligno di 773 e per Bologna-Firenze-Siena 776. E poiché da Torino a Genova la distanza è di 166 chilometri e quella fra Milano e Genova per Novi di 152; anche per queste città e loro dintorni, sarebbe quella la linea preferibile, non potendosi coi progettati accorciamenti compensare per la via di Bologna la maggior lunghezza di 160 chilometri per Milano e di 146 per Torino e le peggiori condizioni di curve e di pendenze.
Ridotta così la importanza delle comunicazioni con Roma per la via di Bologna alle sole provenienze dal territorio compreso fra lo sbocco del Brennero e Ferrara, facile è dimostrare come il modo più efficace e men dispendioso per migliorarle, non sia quello del prolungamento della linea Porrettana verso Empoli.
In questa sezione di soli 28 chilometri circa si avrebbe da attraversare il Montalbano con una galleria e l’Arno con un ponte; talchè la spesa sarebbe assai considerevole, il tempo occorrente alla costruzione piuttosto lungo, la rendita particolare alla sezione stessa, attraversante un paese poco popolato, pressochè nulla.
E la distanza da Bologna a Roma che è ora per Falconara e Foligno di 481 chilometri; per Firenze-Foligno di 502, per Firenze-Empoli-Orte di 483, per Pistoia-Pisa e Civitavecchia di 518 e coll’abbreviamento di Colle Salvetti di 473, si ridurrebbe per Pistoia-Empoli e Siena a chilometri 458.
Quindi si avrebbe in confronto dell’ottima linea Pisa-Civitavecchia un accorciamento di soli 15 chilometri costruendo una sezione difficile e costosa, e portando il traffico sopra una strada qual’è quella di Siena per forti pendenze e per curve a breve raggio disadatta ai treni a grande velocità e ai considerevoli trasporti di mercanzie. Quando in quella vece venisse eseguita una delle congiunzioni state più volte proposte fra le strade ferrate Aretina e Senese superiormente a Firenze si raggiungerebbe la Senese ove questa si trova in condizioni migliori che nelle sezioni più prossime a Siena; e si potrebbe ridurre la distanza fra Bologna e Roma a chilometri 466, mercè una nuova sezione Bucine-Rapolano di 25 chilometri, a 462 per quella di Castiglion Fiorentino-Salarco di 26 chilometri; a chilometri 457 mercè quella dall’Olmo a Salarco di 34 chilometri; a 456 mercè quella Frassineto-Salarco di 26 chilometri ed a 451 chilometri mercè quella dal Bastardo a Salarco di 33 chilometri.
È da avvertire come queste comunicazioni fra le strade Aretina e Senese sarebbero meno costose, costruibili in minor tempo, di un esercizio normale e di una rendita particolare discreta perchè attraverserebbero contrade popolose e fiorenti.
E queste ragioni di preferenza si farebbero molto maggiori quando, come è da sperare, fossero accolte le istanze delle provincie romagnuole e della nostra per ottenere la strada ferrata Firenze-Faenza intorno alla quale deliberaste nella precedente Adunanza.
Confido quindi che il Consiglio vorrà occuparsi di questo importante affare e rappresentare al Governo ed al Parlamento quanto danno a Firenze senza vantaggio generale arrecherebbe la costruzione dell’ideata linea ferrata fra Empoli e Pistoja.
A proposito della stazione di Porta a Prato, ho detto poco fa, come converrebbe chiedere la cessione dei locali ora destinati ad usi governativi, ed ora dirò come di questi locali ve ne abbiano alcuni che il Comune ha diritto di avere ed altri che a noi molto gioverebbe il conseguire, e poco al Governo il conservare. Dei primi non è mestieri ch’io parli: bastando referirsi alla elaborata relazione del nostro collega Barsanti letta nella precedente adunanza relativa alla porzione dell’ex-Convento di S. M. Novella ora occupata dalla Direzione Generale dei Lotti, e mi restringo a raccomandare l’esame dei singoli locali, degli usi pei quali possono essere adoperati e delle pratiche da fare per conseguirli quanto prima, e più completamente si possa. Rispetto ai locali che non abbiamo diritto di avere è così evidente che molti di quelli ora occupati da Amministrazioni centrali sono per rimanere vuoti, ed è così notoria la larghezza usata dal Governo nel cedere ai Comuni gli edifizi da lui non più adoperati specialmente ai Comuni delle ex-Capitali dei singoli Stati, che basterà dimostrare le necessità nostre e l’utilità che i pubblici servizi trarrebbero da questa cessione perchè vi sia fondato motivo di ripromettercele. E quello che abbiamo detto più sopra degli oneri da noi sopportati per pigioni e riduzioni di locali non nostri è di questo bisogno un’eloquente dimostrazione; da confortar poi con quegli argomenti che per lo studio che mi permetto raccomandare al Consiglio gli saranno suggeriti.
Molte sarebbero state le migliorie che avremmo introdotte nei nostri servizi e specialmente in quelli che hanno più stretta attinenza col miglioramento morale ed intellettuale della popolazione, se non ci avesse trattenuto la insufficienza dei locali!
Firenze, per più ragioni non può aspirare a ridivenire città industriale, specialmente ora che persino la scarsa forza motrice che si può trarre dall’Arno dovrà essere distratta dagli usi industriali e destinata alla distribuzione di quell’acqua onde è in tutti vivissimo il desiderio; ma può sperare in quella vece di trar profitto dalle sue tradizioni nella lingua e nelle arti, e dalla sua posizione centrale, sol che sia qui particolarmente favorito lo svolgimento della pubblica educazione, cui è raccomandato l’avvenire della Nazione, e più particolarmente quello della nostra città.
Le condizioni nostre singolarmente favorevoli allo studio della lingua nazionale hanno fatto sorgere da parecchi anni il desiderio di ridurre a convitto la scuola magistrale femminile, nella quale senza un locale ove le alunne possano dimorare con le garanzie volute dalle famiglie, è molto difficile ch’esse accorrano dalle altre Provincie ove pur sarebbe vivissimo il desiderio di maestre educate nella nostra città. Sarebbe questo uno dei più proficui fra gli usi che si potranno fare dei locali che ci saranno ceduti, e sarebbe bene che sin d’ora la Commissione per la pubblica istruzione ponesse gli occhi sul locale che reputasse più adatto ed apparecchiasse le norme per ordinare questo Istituto così lungamente invocato. E della possibilità di sviluppare maggiormente anche la scuola magistrale maschile parrebbemi pure opportunissimo lo studio.
Meritevoli parimente di studio mi sembrano i provvedimenti che converrebbe invocare intorno all’Istituto di studi superiori. Il nostro Consiglio si è sempre astenuto dal prender parte alle controversie che intorno a questo Istituto furono in questi ultimi anni agitate e si è ristretto ad aiutare un certo numero di studenti; ma ora credo venuto per esso il momento di occuparsene seriamente e d’invocare i provvedimenti che valgano ad assicurarne la esistenza per modo ch’esso possa contribuire efficacemente ad inalzare il livello della coltura in Italia, ad attirare a Firenze un eletto stuolo di insegnanti e di studenti.
Ho detto poc’anzi come io non creda che Firenze possa sperare un grande svolgimento delle industrie; ma vi hanno industrie che qui fiorirono e fioriscono tuttavia e maggiormente potrebbero fiorire se lo insegnamento delle discipline attinenti alle arti del disegno efficacemente intendesse a formare così gli artisti come gli artigiani; laonde mi pare che giovar potrebbe alla città nostra un largo ed efficace ordinamento degli sludi del disegnare e del modellare.
E poichè parlo di Arti belle, mi permetta il Consiglio che io gli faccia noto come fra i progetti dei quali la Giunta avea ordinato lo studio, vi fosse pur quello di concentrare nei vasti locali di S. Maria Nuova le Gallerie dei Pitti e degli Uffizi, collocare lo Spedale in uno o varii edifizi più idonei che il presente, liberare così la Regia Residenza da un’incomoda, sebbene nobilissima servitù, destinare gli uffizi agli usi pe’ quali furono eretti, sgombrare il Ponte Vecchio dalle costruzioni ad esso sovrapposte.
Sarebbe stato intendimento della Giunta il proporre poi che all’esecuzione di questo vasto Progetto concorressero col Comune, il Demanio e lo Spedale. Io ho voluto far ricordo di ciò, sia perchè rimanga un documento che attesti come la Giunta avesse pensato al soddisfacimento di questo desiderio di quanti hanno a cuore le buone condizioni igieniche della città ed il buon regime degli Spedali, non meno che di quelli i quali lamentano lo sparpagliamento delle opere d’arte qui raccolte, il vizioso loro collocamento, i pericoli cui sono esposte. Sarebb’egli per avventura sperabile che, rimanendo ora vuoti tanti locali, fossero gli Uffizi dedicati ai Tribunali o ad altre pubbliche Amministrazioni, e fossero le gallerie, gli archivi, le biblioteche convenientemente collocate non lungi le une dalle altre?
Checchè abbia ad essere di questo che probabilmente rimarrà un desiderio, io esorto i miei concittadini a tener sempre a mente quello che in una lettura di pubblica economia disse il venerando marchese Gino Capponi: le migliori e più fruttuose speculazioni fatte dal popolo di Firenze essere state le costruzioni dei suoi monumenti. Ed esorto il Consiglio ad instare presso il Governo perchè nel disporre dei locali che saranno sgombrati dalle Amministrazioni centrali, sia proceduto d’accordo con questo Municipio e con criterii che ne assicurino l’uso meglio rispondente al pubblico interesse.
E poichè fu molte volte avvertita la convenienza di assicurare gli stabilimenti militari, collocandone taluni al di qua dell’Appennino, sarebbe questo un uso cui qualche locale esser potrebbe destinato con vantaggio della nostra popolazione operaia.
Come conclusione di questo discorso del quale, grazie alla gravità dell’argomento, spero mi sarà perdonata la soverchia lunghezza, io propongo che piaccia al Consiglio di deliberare:
1° Che alla Commissione IV (Finanze) sia affidato lo studio:
a) Delle presenti condizioni finanziarie ed economiche del nostro Comune, comparate con quelle anteriori al trasferimento della Capitale a Firenze; di quelle presumibili per effetto dell’uguale trasferimento da Firenze a Roma, c delle misure da prendere e da invocare per provvedervi.
b) Delle modificazioni ed aggiunte da invocare nel progetto di legge per la revisione dei fabbricati, già presentato dal Ministro delle Finanze alla Camera dei Deputati.
2° Che ad una o più Commissioni miste da eleggersi nel seno delle Commissioni terza (Lavori) e quarta (Finanze) sia affidato lo studio:
a) Delle opere pubbliche deliberate o proposte da proseguire o sospendere.
b) Dei nuovi piani regolatori edilizio e d’ampliamento da sostituire a quelli attuali, mediante nuovi Decreti reali da invocare.
c) Delle modificazioni da introdurre nella cinta daziaria.
d) Dei provvedimenti da prendere od invocare rispetto alla deliberata deviazione della Strada ferrata ed alle Stazioni di Porta alla Croce e di Porta al Prato.
e) Della instituzione di magazzini di deposito delle merci, soggette a dazi doganali e di consumo in comunicazione colle strade ferrate.
f) Dei locali da chiedersi al R. Governo e degli usi cui essi potrebbero destinarsi.
3° Che alla Commissione VI sia raccomandato lo studio dei provvedimenti che esser potrebbero adottati o invocati per lo incremento delle istituzioni di pubblico insegnamento nella città di Firenze.
4° Che alla Commissione già instituita per diversi studii relativi a strade ferrate sia affidato lo incarico di fare quelle proposizioni che reputerà convenienti intorno alle comunicazioni ferroviarie fra Roma e l’Italia superiore e centrale in relazione agli interessi del Comune di Firenze.