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U
n mese dopo, Ida, sbadigliando leggermente, depose sul tavolino da lavoro le stava accanto, il romanzo francese stava leggendo, gettò uno sguardo e lancette del pendolo, e sdraiandosi più orizzontalmente che le fu possibile nel seggiolone, disse:

— Oh Dio, che noia!

Poi appoggiata la testa, per così dire luminosa, sulla spalliera imbottita della poltrona, stette a guardare il soffitto e a raccogliere i suoi pensieri vaganti.

— Qui bisogna ch’io pensi ai casi miei. Se lui non può più mandarmi neppur que’ miserabili trecento franchi al mese... non è mia la [p. 52 modifica] colpa. Così già non si tira innanzi. È chiaro, E necessario che io riceva il duca. I brillanti di mia madre già non li vendo. Piuttosto morir di fame!

Si levò, andò allo scrittoio, levò da una cartella un biglietto di visita e scrisse:


«Signor duca,

«Terrò ad onore una vostra visita. Questa sera avrò il piacere di offrirvi una tazza di tè come si fa in Russia. Ieri sera lanciai la camelia invano.

«Ida


Infilò il biglietto in una busta e vi scrisse sopra:

«All’illustriss. signor duca Raimondo Delpardo - Riservata.»

Poi diede un picchiotto sul timbro, e alla cameriera che si presentò consegnò il biglietto, spiegandole dove dovesse portarlo.

Il duca Raimondo Delpardo aveva venticinque anni e apparteneva ad una delle famiglie [p. 53 modifica] più antiche e più ricche di una città della Emilia.

Era venuto ad accasarsi a . . . . coll’assegno paterno - tre mila franchi al mese - dopo essersi diviso da una moglie avventuriera, che lo aveva sedotto, e che era poi scappata con un cantante francese a Cracovia.

Nessuno ne sapeva nulla di questa sua sventura. Ella non gli scriveva mai.

Il duca abitava una palazzina in un quartiere giù di mano e non usciva mai di casa che in carrozza, piovesse, tempestasse o cadessero polvere e lapilli. Tutto al contrario di certi ricchi, i quali, quando fa brutto tempo e sarebbe tanto comodo di usar del veicolo, non osano far attaccare per paura di infreddar i cavalli, e stanno a casa, oppure escono coll’ombrello e coi calzoni arrovesciati in sù all’inglese per risparmiare l’orlatura, o mandano a pigliar la carrozza di rimessa.

Raimondo spendeva regolarmente i suoi trentasei mila franchi di assegno, ma non faceva un centesimo di debito. Era un giovane rangé. Amava tutto ciò che sa di arti belle, di sport, di galanteria, ma senza passione. Non giuocava, non faceva correre, non scommetteva. Amava il melodramma, ma odiava la letteratura e il teatro di prosa... e tanto più quando era in versi. [p. 54 modifica]

Egli aveva veduto la Ida a teatro, e gli occhioni eterei, e i capelli di fuoco, e la persona snella e seducentissima gli avevano fatto entrar in corpo, più ancora che nell’anima, una voglia sterminata di fare la sua conoscenza.

Aveva cercato invano per molte sere un amico che lo potesse presentare alla bellissima sconosciuta, e non trovandolo, aveva preso la determinazione tanto naturale in questi casi. Le aveva scritto un bigliettino molto discreto, pieno di rispetto e di profumo di ireos, e le aveva così confessata la sua immensa simpatia, anzi il suo nascente amore.

Ida di queste letterine ne aveva ricevute già tante, che ormai non le facevano più nessun effetto. Quella del duca però era migliore di moltissime altre, e terminava colla raccomandazione che, se la sua preghiera non le fosse tornata sgradita, dovesse comparir in teatro con una camelia bianca nelle trecce. Egli avrebbe aspettato pazientemente anche un, mese, fin tanto che ella l’avesse potuto vedere e avesse chiesto di lui.

La sera ch’ella si fosse presentata con una camelia bianca in capo, le avrebbe fatta una visita in palco.

Ida, durante il mese, andò tre sere in teatro, ma senza camelia. Voleva prima veder bene [p. 55 modifica] il duca, sapere che uomo fosse, capire che non le sarebbe stato antipatico. Quando le parve di non poter oltre ragionevolmente resistere, quando si trovò allo stremo, arrischiò la camelia.

Quella sera il duca non c’era. Era andato la mattina a caccia con due amici.

Ecco perchè le era toccato di scrivergli il biglietto.

Raimondo non si fece aspettare alla sera.

Ella era in orgasmo. Pensava: Mi piacerà? Avrà una voce simpatica? Guai, se la voce non mi piace. E le mani? Ma se è proprio un duca, dovrebbe averle belle! Ah le mani! Vergine santa, fa ch’egli abbia le mani belle!

E i denti? Vergine santa, fa ch’egli abbia de’ bei denti! Il resto non m’importa. Non è bello da lontano. Ma non conta. Se ha la bella voce, le belle mani e i bei denti, mi potrà forse innamorare. La sua lettera prometteva bene!

Lo vide davvicino dunque, e la prima impressione fu piuttosto buona. Il duca aveva [p. 56 modifica] una voce dolce e armoniosa, aveva belle mani, e bei denti.

— Chi sa che cosa penserà di me, duca diss’ella abbassando gli occhi come una bimba colta in fallo.

La corte ch’egli le fece quella sera fu discretissima, quantunque egli avesse già un bel pegno di non esserle indifferente. Parlarono di molte cose estranee all’amore, dello spettacolo, della caccia del giorno dianzi, della vita cittadina, del carnevale che incominciava, di cavalli e di sport, della carriera artistica a cui Ida aspirava; ma la disinvoltura e la freddezza di Ida non gli fecero trovar il posto per una vera dichiarazione in regola. La pregò di cantare, ed ella, senza farsi ripregare, accondiscese. Fu sbalordito dalla bellezza della sua voce e le predisse un immenso avvenire; ma fece poco o nulla per suscitare dell’entusiasmo nell’adorabile creatura.

Raimondo era un modellino della gioventù dorata del nostro tempo che in tutte le grandi città d’Europa sorge uniforme con tutte le caratteristiche della vecchiaia. Raimondo poi faceva l’inglese per progetto.

Chi desidera di trovar ancora della poesia, dell’entusiasmo, della verve, del buon umore, della bonomia, si volga ai bambini che hanno [p. 57 modifica] passati i quarant’anni, giacchè i vegliardi che stanno al di sotto dei venticinque si mostrano assolutamente superiori a quelle debolezze e crederebbero di riuscir ridicoli, frivoli e giù di moda se si mostrassero giovani.

Nati ed allevati dopo che i grandi avvenimenti nazionali erano già trascorsi, imbevuti di massime positive e materialistiche, i decrepiti di vent’anni cominciano laddove i loro padri stanno per terminare.

Certo che verso mezzanotte, dopo il tè, un momento di ardore arrivò, e la fanciulla si senti amata. L’inevitabile:

— Dio! Come siete bella! - fu pronunciato con abbastanza espressione di affetto.

— Mi trovate bella davvero? — gli dimandò Ida ridendo - o me lo dite per farmi un complimento necessario?

— Ma voi sapete già che vi amo - rispose il duca - e se vi amo, come non dovrei trovarvi per me la più bella donna del mondo? [p. 58 modifica]

Senza dubbio lo stile del duca era molto diverso da quello dell’agente di cambio.

Ida incominciò a sperare d’aver trovato finalmente il suo ideale.

I primissimi palpiti dell’amore che nasce, del resto, chi potrebbe descriverli? Ohi può dipingere con colori nuovi il crepuscolo di questo sentimento che fu già tante volte studiato?

Una corrente magnetica fra quelle due anime giovani, piene di speranza e di desiderio di amare, si era destata certamente.

Nondimeno Ida aveva come un penoso indistinto presentimento che il duca non sarebbe riuscito a innamorarla, a soggiogarla come essa avrebbe voluto. Il temperamento di Raimondo le pareva un po’ troppo docile, troppo tranquillo, troppo riguardoso, troppo freddo, troppo timido.

Egli partì dopo averle chiesto invano il primo bacio.

Per la sera dopo, il duca le mandò una chiave di palco.

Voleva farsi vedere da’ suoi amici del [p. 59 modifica] proscenio dirimpetto, a entrar trionfante laddove fino allora non s’era mai veduto nessun visitatore.

Quando egli, infatti, andò a stringerle la mano nell’intermezzo fra il primo e il secondo atto, nella barcaccia - se così si può chiamare il palco doppio d’un teatro non bolognese, - accadde un tramestìo di braccia, di spinte in fuori e di cannocchiali. Per poco quella sera il duca, che non aveva detto nulla a nessuno, si pigliava dell’impostore e della gatta morta.

Ida era raggiante e adorabile di buon umore e di spirito.

E anche il duca lo fu, quella sera, più del solito.

Ma dove diamine prendeva egli il fuoco e la vena che ispiravano le sue parole, di solito così calme, così metodiche, così corrette?

Negli occhi di Ida, certamente.

Quando si alzò la tela del secondo atto, Raimondo fece alle due donne uno de’ suoi più belli inchini e s’affrettò verso il suo palco a ricevere le congratulazioni degli amici.

Non ne vedeva l’ora, per quanto vicino a Ida si sentisse come rapito in quieto cielo!

A metà del ballo, egli tornò nel palco di Ida a domandar alle due signore se volevano [p. 60 modifica] qualche cosa. Esse risposero di no, ed egli fece loro portar subito due gelati.

Poi dimandò a lei se non le pareva possibile di accettare la sua carrozza invece dell’esecrabile brougham... per tornare a casa.

— No, no, duca, vi prego... andremmo troppo di galoppo... co’ vostri cavalli.

Raimondo chinò il capo.

— Mi permetterete, se non altro, di darvi d braccio per accompagnarvi al brougham?

— Oh questo poi sì. Questo non si rifiuta mai.

Esse montarono nella vettura che portava il numero 13.

L’amica notò il fatto con un po’ di spavento.

— Taci. Se ti sente il brumista è capace di rovesciarti - disse Ida ridendo come un fanciullo viziato.

Raimondo, allo sportello, stringendole la mano le dimandò quando la potrebbe rivedere.

Ella esitò un momento, poi gli disse a mezza voce; — Tant’è. Venite domani alle due. Sarò in casa.