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scenio dirimpetto, a entrar trionfante laddove fino allora non s’era mai veduto nessun visitatore.

Quando egli, infatti, andò a stringerle la mano nell’intermezzo fra il primo e il secondo atto, nella barcaccia - se così si può chiamare il palco doppio d’un teatro non bolognese, - accadde un tramestìo di braccia, di spinte in fuori e di cannocchiali. Per poco quella sera il duca, che non aveva detto nulla a nessuno, si pigliava dell’impostore e della gatta morta.

Ida era raggiante e adorabile di buon umore e di spirito.

E anche il duca lo fu, quella sera, più del solito.

Ma dove diamine prendeva egli il fuoco e la vena che ispiravano le sue parole, di solito così calme, così metodiche, così corrette?

Negli occhi di Ida, certamente.

Quando si alzò la tela del secondo atto, Raimondo fece alle due donne uno de’ suoi più belli inchini e s’affrettò verso il suo palco a ricevere le congratulazioni degli amici.

Non ne vedeva l’ora, per quanto vicino a Ida si sentisse come rapito in quieto cielo!

A metà del ballo, egli tornò nel palco di Ida a domandar alle due signore se volevano