Prima parte del Re Enrico VI/Atto terzo

Atto terzo

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ATTO TERZO


SCENA I.

Il Parlamento.

Squillo di trombe. Entrano il re Enrico, Exeter, Glocester, Warwick, Sommerset, Suffolk, il vescovo di Winchester, Riccardo Plantageneto ed altri. Glocester si fa innanzi per presentare uno scritto. Winchester glie lo strappa e lo lacera.

Win. Vieni tu qui con scritture apparecchiate a tuo agio, con infami libelli, o Humfrey di Glocester? Se accusare mi vuoi, e intendi addossarmi qualche carico, parla tosto e improvviso, com’io ti risponderò tosto, e senza prepararmi.

Gloc. Altero prelato, questo luogo m’impone pazienza; se ciò non fosse, conosceresti dalla mia vendetta la grandezza del tuo oltraggio. Non credere che se io narro per iscritto le vili offese che mi facesti, inventato io abbia nulla che vero non sia. Io potrei qui ripetere di viva voce quello che notato aveva la mia penna. Prelato orgoglioso, è tanta la tua audacia e la tua perversità, sono tali le tue perfidie e la malizia innata nel tuo cuore amante delle discordie, che fino i fanciulli ti mostrano a dito per uomo malvagio e pericoloso. Son note le tue infami usure; la tua tempra bollente, intrattabile nemica di pace, abbandonata alla licenza e alle passioni vili, più che non si addice ad uomo del tuo stato e del tuo grado. E v’ha egli nulla di più conosciuto dei tradimenti tuoi? Tu mi tendesti un laccio per togliermi la vita al ponte di Londra e alla Torre. E bene è a temere, se scrutar si dovesse il fondo de’ tuoi pensieri, che il re, tuo signore, non sia andato interamente esente dalle insidie del tuo cuore ambizioso.

Win. Glocester, io ti sfido. — Lórdi, ascoltatemi, ecco la mia risposta. Se fossi avido, perverso, ambizioso come ei vuole, come sarei così povero? Come avviene ch’io non cerchi di innalzarmi, e mi stia nei limiti del mio stato? In quanto allo spirito di discordia di cui mi dà nota, a chi è cara la pace più che a me, seppur non sono offeso? No, miei degni lórdi, non è ciò che [p. 33 modifica]cruccia il duca. — Queste non sono le cause vere che hanno acceso il fino sdegno; ciò che lo irrita è, ch’ei vorrebbe che niun altri fuori di lui reggesse; che niuno fuori di lui si appressasse al re. Ecco quello che sveglia le tempeste nel suo cuore; quello che lo fa prorompere in tali clamori, e in sì forsennate accuse contro l’onor mio. Ma ei saprà ch’io sono così illibato.....

Gloc. Illibato! Tu bastardo del mio grande avolo!

Win. Schiavo che la fai da signore, che sei tu altro se non un usurpatore di un trono non tuo?

Gloc. Non sono io protettore di questo regno, prete ribelle?

Win. Ed io non prelato della Chiesa?

Gloc. Sì, come un proscritto nel castello che gli serve d’asilo, e di cui abusa colle sue rapine.

Win. Irriverente Glocester!

Gloc. La tua veste merita certo riverenza, ma non le tue opere.

Win. Roma mi vendicherà di quest’oltraggio.

War. Va dunque ad implorare il suo soccorso.

Som. Milord, sarebbe vostro dovere di contenervi.

War. Voi pure dovreste tenere il vescovo nei limiti del rispetto.

Som. A me sembra che milord avrebbe ad essere più rispettoso e dovrebbe conoscer meglio la dignità degli ecclesiastici.

War. Io penso che Sua Signoria potrebbe essere più umile per mostrar meglio quello che ad un prelato si addice.

Som. Ma non quando il suo sacro carattere è tanto manomesso.

War. Sacro o profano, che vale? Non è Sua Grazia il protettore di questo regno?

Plan. (a parte) Plantageneto, lo veggo, deve qui rattenere la lingua, perocchè gli si potrebbe dire: parlate quando siete richiesto; le vostre audaci parole debbono esse mescolarsi a quelle dei lórdi? Senza tal timore avrei già vibrato un dardo a Winchester.

Enr. Ziì di Glocester e di Winchester, primi rettori della nostra Inghilterra, vorrei pregarvi, se le preghiere avessero su di voi qualche impero, di rimettere i vostri cuori in pace, e in sentimenti di amistà. Oh quale scandalo per la nostra corona che due Pari tanto illustri quali voi siete discordino! Credetemi, signori, i miei giovani anni possono dirvi come la dissensione sia un serpe funesto che rode le viscere dello Stato. (si ode al di dentro un gran rumore e grida di: morte ai mantelli bruni!) Che tumulto è questo? [p. 34 modifica]

War. Una sommossa, ve ne fo fede, incominciata dalla malignità delle genti del vescovo. (s’ode di nuovo il rumore e grida di: alle selci, alle selci! Entra il prefetto di Londra con seguito)

Pref. Oh miei buoni lórdi, oh virtuoso Enrico, abbiate pietà della città dì Londra, abbiate pietà di noi! Gli uomini del vescovo e del duca di Glocester, a cui vietato era di portar armi, si empierono le mani di selci, e schieratisi gli uni contro gli altri, se le avventano con tal furore, che molti ne hanno il cranio infranto: tutte le finestre son rotte, e ogni officina fu chiusa.

(Entrano scaramucciando i seguaci di Glocester e di Winchester, la maggior parte col volto insanguinato)

Enr. Noi vi imponiamo, per l’obbedienza che ne dovete, di trattenere le vostre mani omicide, e di restarvene in pace. — Rattemperate, zio Glocester, ve ne scongiuro, questa contesa.

Dom. Se ci si tolgono le pietre, combatteremo coi denti.

Dom. Fate ciò che volete, noi siamo risoluti come voi.

Gloc. Voi, aderenti della mia casa, desistete da tal contesa, e ponete fine all’indegno combattimento.

Dom. Milord, noi sappiamo che Vostra Grazia è uomo equo, e a nessuno secondo per nascita, fuorchè a Sua Maestà: ora prima che patiamo che sì nobile principe, sì buon padre dello Stato, insultato venga da un vil chierico, combatteremo tutti, le nostre mogli e i nostri figli, e consentiremo a vederci macellati dai vostri nemici.

Dom. Sì, e morti ancora ci si vedrà scavare la terra colle unghie. (tornano a combattere)

Gloc. Fermatevi, fermatevi, dico, e se mi amate, come dite, concedetemi di rattenere il vostro furore per qualche istante.

Enr. Oh come questa discordia affligge la mia anima! Potete voi, milord di Winchester, vedere le mie lagrime e i miei sospiri, e non rimettere del vostro odio? Chi sarà pio, se voi nol siete? O chi vorrà più la pace, se i santi ecclesiastici si piacciono in tali torbidi?

War. Milord protettore, cedete... cedete, Winchester; a meno che non vogliate colla vostra protervia far morire il nostro sovrano, e distruggere il regno. Voi vedete qual danno e quanti mali ingeneri la vostra inimistà; rimanetevi dunque in pace, se assetati non siete di sangue.

Win. Cominci egli dal sottoporsi, o io non cederò.

Gloc. L’amore pel mio re mi comanda di desistere; se ciò non fosse, vorrei vedere il cuore di quel prete divelto dalle sue [p. 35 modifica]viscere, primachè vantar si potesse d’avere ottenuto tal vantaggio su di me.

War. Mirate, milord di Winchester, il duca ha di già bandito dalla sua anima ogni collera, ogni risentimento; la sua fronte addolcita ve lo annunzi: perchè continuano dunque i vostri sguardi così feroci?

Gloc. Winchester, io ti offro la mia mano.

Enr. Vergogna, zio Beaufort! Vi ho udito predicare che l’odio era un gran peccato: or non vorrete voi praticare la morale che insegnate? Vorrete voi esserne il primo trasgressore?

War. Buon re! Il prelato è tocco dalla vostra rimostranza. In nome dell’onore, milord Winchester, calmatevi. Che! dovrà un fanciullo insegnarvi il vostro dovere?

Win. Ebbene, duca di Glocester, cedo alle tue istanze; do amore per amore, e mano per mano.

Gloc. Sì; ma temo che il cuore ascoso..... Ricordatevene, miei amici: la pace è stretta fra noi e i nostri vassali: così mi aiuti Iddio, com’io non dissimulo!

Win. (a parte) Così Iddìo mi aiuti, come bugiarda è la mia riconciliazione.

Enr. Oh, amato zio, gentil duca di Glocester, quanta gioia mi infonde questa pace! Itevene ora voi tutti, nè ci sturbate mai più; ma unitevi in amicizia come i vostri signori.

Dom. Son pago, e vo dal cerusico.

Dom. Così io pure.

Dom. Ed io vo’ vedere qual farmaco alle ferite sia il buon vino. (escono i Dom. e il Prefetto)

War. Grazioso sovrano, degnatevi accettare questa petizione che noi presentiamo a Vostra Maestà per la riabilitazione di Riccardo Plantageneto.

Gloc. Approvo l’opera vostra, milord Warwick. Affè, caro principe, se Vostra Maestà contempla tutte le circostanze, avrete grandi motivi per rintegrare Plantageneto in tutti i suoi diritti, ove vi riferiate sopratutto alle cose accadute in Eltham.

Enr. Sì; furono quelli atti di violenza; e perciò, miei cari lórdi, è nostro piacere che Riccardo sia ristabilito nei suoi onori.

War. Così facendo avran riparo gli oltraggi a cui andò soggetto suo padre.

Win. Il decreto dell’assemblea sarà quello di Winchester.

Enr. Se Riccardo è fedele, i nostri beneficii non si limiteranno a questo. — Ei riceverà ancora tutta l’eredità che appartenne alla casa di York, da cui discende in linea retta. [p. 36 modifica]

Plan. Il vostro umile servo vi consacra la sua obbedienza, e si inchinerà innanzi a voi fino alla morte.

Enr. Abbassatevi adunque, e genuflettete ai miei piedi; in ricompensa di sì umile positura, io vi cingerò l’illustre spada di York: sorgi ora, Riccardo, come un vero Plantageneto, e sorgi da noi creato principe, e duca di York.

Plan. Così prosperi Riccardo come i vostri nemici cadranno! Periscano tutti coloro che nascondono un solo pensiero sospetto contro di voi, e tutti vi divengano com’io fidi e sinceri

Tutti i pari. Salute, magnanimo principe, potente duca di York.

Som. (a parte) Morte a te, vil uomo, ignobilissimo duca!

Gloc. Ora giovi a Vostra Maestà il traversare i mari, e il farvi incoronare in Francia. La presenza di un re sveglia l’amore nel cuor dei sudditi e degli amici, e sbaldanzisce gli avversarii.

Enr. Allorchè Glocester parla, Enrico non esita più; il consiglio di un amico saggio è la morte di molti nemici.

Gloc. I vostri vascelli son pronti; tutto è apparecchiato.

(escono tutti tranne Exeter)

Ex. Sì, noi potremo ben incedere in Francia, o in Inghilterra senza prevedere gli avvenimenti che ci minacciano. Il fuoco di quest’ultima contesa arde ancora sotto i veli d’un’amicizia bugiarda e ingannatrice, e in breve quella scintilla susciterà un vasto incendio. Le membra tocche da lebbra contagiosa si corrompono a poco a poco, finchè la carne, le ossa e i nervi cadono a brani; nè dissimili saranno i frutti di quest’odio funesto. Io temo non si avveri la sinistra predizione, che a’ tempi di Enrico V era nella bocca pur de’ fanciulli: che l’Enrico nato a Monmouth guadagnerebbe tutto: e quello nato a Windsor, tutto perderebbe. L’avvenimento è tanto probabile, che Exeter desidererebbe di finire i suoi di prima che giunti siano quei dolorosissimi tempi. (esce)

SCENA II.

Francia. — Dinanzi a Rouen.

Entra la Pulcella travestita con alcuni soldati in abito contadinesco portanti sacchi sul dorso.

Pul. Ecco le porte della città, le porte di Rouen che la nostra astuzia deve far spalancare; siate cauti allorchè abbiate a [p. 37 modifica]discorrere; vi valga la pronunzia de’ più volgari coloni quando vanno al mercato a vendere il grano. Se adito abbiamo (come io confido), e non troviamo che una guardia debole e trascurata, con un segno ne daremo notizia a’ nostri amici onde Carlo il Delfino possa venirci incontro.

Sol. Sì, i sacchi che portiamo apprestano il sacco della città, e noi diverremo signori e donni di Rouen; perciò battiamo.

(batte)

Guardia (dal di dentro). Qui est là?

Pul. Paysan, pauvres gens de France: poveri agricoltori che vengono a vendere il loro grano.

Guardia. Entrate, entrate; la campana del mercato ha squillato. (si aprono le porte)

Pul. Ora, o Rouen, io scuoterò i tuoi baloardi fin dalle fondamenta. (entra col suo seguito. Vengono Carlo, il Bastardo d’Orléans, Alençon e l’esercito)

Car. San Dionigi benedica questo felice stratagemma! Una volta ancora dormiremo sicuri in Rouen.

Bast. Di qui certamente è entrata la Pulcella col suo seguito. Ora che essa è in città come farà per indicarci il passo più facile e più sicuro?

Alen. Mostrandoci una torcia da quella torre. Nel luogo in cui la vedremo ivi sarà la nostra via.

(la Pulcella si mostra sulle mura con una torcia accesa)

Pul. Mirate, questo è il fortunato fanale che riunirà Rouen ai suoi compatrioti: ma esso brilla d’un chiarore funesto per Talbot e i suoi compagni.

Bast. Guarda, nobile Carlo, il faro dell’amica nostra, l’ardente torcia sta là su quella torre.

Car. Ora risplenda essa come cometa di vendetta, e foriera ne sia della caduta dei nostri nemici.

Alen. Non perdiamo i momenti; gl’indugi sono fatali; entriamo tosto gridando: viva il Delfino! e sgozziamo le sentinelle.

(Entrano. Allarme. Viene Talbot, con alquanti Inglesi)


Tal. Francia, le tue lagrime espieranno questo tradimento se Talbot gli sopravvive. Fu la Pulcella, quell’infernale maga che compiè questa frode: se un istante indugiavamo eravam fatti prigionieri. (escono; allarme; escursione. Entrano Bedford portato sopra una sedia con Talbot, Borgogna, e l’esercito inglese. Quindi sulle mura si mostrano la Pulcella, Carlo, il Bastardo, Alençon ed altri.)

Pul. Buon giorno, miei prodi! Abbisognate di pane? Credo che [p. 38 modifica]il duca di Borgogna digiunerà lunga pezza, prima che io comperi un’altra volta al prezzo di qui; pieno era di zizzania; voi come lo trovate?

Bor. Segui le tue beffe, vil furia, cortigiana indegna. Ho fede che fra poco ti soffocheremo col tuo grano e ti faremo maledire di averlo raccolto.

Cor. Vostra Grazia potrebbe bene affamare prima che siffatto tempo giungesse.

Bed. Oh non con parole ma con opere vendichiamo questo tradimento!

Pul. Che volete voi fare, buon vecchio? Rompere una lancia e vibrare un colpo mortale da una lettiga?

Tal. Lurido demone di Francia, fattucchiera d’obbrobrio, che segui senza pudore i tuoi lascivi amanti, devi tu insultar così la sua onorevole canizie, e dispregiar vilmente un uomo quasi morto? Mia vaga, anch’io vo’ provarmi vosco, o perirò nell’ignominia.

Pul. Siete voi sì caldo, messere? — Nondimeno, Pulcella, statti in pace, se Talbot tuona, la pioggia seguirà. — (Talbot e gli altri conferiscono insieme) Dio presieda a quel parlamento! Chi sarà l’oratore?

Tal. Osate voi discendere, e venirci ad incontrare sul campo?

Pul. Vossignoria adunque ci reputa pazzi proponendoci di rimettere in dubbio se ciò che ne appartiene è nostro?

Tal. Io non parlo a quella schernitrice Ecate, ma a te, Alençon, e al resto: volete, come soldati, discendere e combatter qui con noi?

Alen. No, signore.

Tal. Al diavolo col tuo signore! Vil mulatiere di Francia! Ei se ne stanno sulle mura come villani che non osano prender lo armi a mo’ de’ gentiluomini.

Pul. Capitani, via di qui: perchè gli sguardi di Talbot ne annunziano intenzioni maligne. — Dio sia con voi, milordi! eravam venuti soltanto per dirvi che siamo qui.

(si allontana cogli altri dalle mura)

Tal. Ed ivi noi pure frappoco saremo, o il disonore diverrà la gloria di Talbot! Profferisci il medesimo voto, tu, duca di Borgogna, offeso da’ pubblici oltraggi che la Francia osa sostenere giura per l’onore della tua illustre casa, o di riprendere la città, di morire; ed io, quant’è vero che Enrico d’Inghilterra è al mondo, che suo padre è entrato qui da conquistatore, e che il gran cuore di Riccardo Cuor-di-leone è sepolto nella città, che un tradimento ci ha tolta, giuro di ripigliarla o di morire. [p. 39 modifica]

Bor.'. Pronunzio anch’io i medesimi giuramenti.

Tal. Ma prima che ce ne andiamo, mira questo moribondo principe, questo prode duca di Bedford: venite, milord, vi porremo in qualche miglior luogo più dicevole pei vostri mali e per la vostra età.

Bed. Lord Talbot, non mi disonorate: qui voglio io sedere dinanzi alle mura di Rouen per dividere le vostre sconfitte, o le vostre vittorie.

Bor. Coraggioso Bedford, lasciato che vi induciamo.....

Bed. Non a partire di qui: rammento di aver letto che l’intrepido Pendragon, moribondo, si fece portare sopra una lettiga nel campo di battaglia, e vinse i suoi nemici; a me pare che io pure francheggierò il cuore dei nostri soldati che trovai sempre uguali a me stesso.

Tal. Indomabile spirito in un corpo moribondo! Ebbene, sia così: custodisca il Cielo il vecchio Bedford! Ora, duca di Borgogna, non dobbiam più che radunare l’esercito per avventarlo sui nostri avversari. (escono; allarme ed escursioni. Entra sir Giovanni Fastolfe e un capitano)

Cap. Dove andate, sir Giovanni, con tanta sollecitudine?

Fast. Dove? Mi riparo fuggendo; noi saremo sconfitti di nuovo.

Cap. Che! vorrete voi fuggire, e lasciare lord Talbot?

Fast. Si, e tutti i Talbot del mondo per mettere in salvo la mia vita. (esce)

Cap. Codardo cavaliere! la mala fortuna ti colga.

(esce; batte la ritirata: escursione. Entrano dalla città la Pulcella, Alençon, Carlo, ecc., e passano fuggendo. Sopraggiunge Bedford co’ suoi)

Bed. Ora, o mia anima, puoi partire in pace, quando piacerà al Cielo di chiamarti; poichè ho veduti i nostri nemici vinti. Quanto vana è la forza dell’uomo e stolida la sua fidanza! Coloro che non ha molto ci insultavano e schernivano, si stimano ora troppo felici potendo fuggire e tutelare le loro vite.

(muore ed è portato altrove; allarme. Entrano Talbot, Borgogna ed altri)

Tal. Perduta, e ricuperata in un sol giorno! È un doppio onore, Borgogna: lasciamo nondimeno al Cielo la gloria di questa vittoria!

Bor.'. Prode Talbot, intrepido eroe; il duca di Borgogna ti apre un santuario nel suo cuore, e vi incide le tue nobili geste come altrettanti monumenti del tuo valore. [p. 40 modifica]

Tal. Grazie, gentile duca. — Ma dove è ora la Pulcella? Credo che il suo demone familiare siasi assopito. Dove sono ora le ciance del Bastardo, e gli schemi del Delfino? tutto svanì! Rouen è in lutto, e geme per aver perduto si cari ospiti! Adesso ci è forza il mettere qualche ordine nella città, porvi ufficiali esperti, e andar quindi a Parigi a raggiungere il re, venuto colà coi suoi nobili.

Bor. Tutto ciò che vuole lord Talbot piace al duca di Borgogna.

Tal. Ma prima di partire non dimentichiamo l’illustre Bedford che cessò di vivere, e assistiamo alle sue esequie. Non mai alcun più prode guerriero tenne una lancia in resta; non mai uomo più amabile governò la corte di un re. Ma i re, e i potentati devono morire; è questo il termine comune delle nostre sventure. (escono)

SCENA III.

Le pianure vicino alla città.

Entrano Carlo, il Bastardo, Alençon, la Pulcella e l’esercito.

Pul. Non vi scoraggite, principe, per un infortunio, nè gemete per vedere Rouen ricaduto in mano al nemico. Il dolore non sana i mali irreparabili; esso non giova che ad avvelenare la piaga. Concedete che il furioso Talbot trionfi un momento, e spieghi il suo vano orgoglio come il pavone spiega le sue penne; noi quelle penne strapperemo, e lo porremo a mal partito se vorrete lasciarvi guidare da’ miei consigli.

Car. Da te fammo guidati fin qui, e tutta la nostra fiducia fu in te riposta; una subita disfatta non varrà a sbaldanzirci.

Bast. Cerca nel tuo spirito qualche bella astuzia, e nol divulgheremo la tua fama pel mondo.

Alen. E porremo la tua statua in qualche santo luogo, e ti adoreremo come una benedetta. Adoperati, dolce vergine, pel nostro meglio.

Pul. Ebbene, ecco ciò che Giovanna propone, e dell’esito di cui essa risponde. Con un discorso artificioso e parole ben tornite noi indurremo il duca di Borgogna a lasciare Talbot e a seguitarci.

Car. Ah! cara fanciulla, se ciò potessimo ottenere, la Francia non avrebbe più un asilo pei soldati d’Enrico: quella nazione non sarebbe più così fiera con noi, e noi la sradicheremmo dalle nostre Provincie. [p. 41 modifica]

Alen. L’Inglese sarebbe per sempre cacciato da questa terra, nè vi serberebbe pure una contea.

Pul. Sarete testimonii del modo con cui riescirò al bramato intento, (si odono tamburi) Udite? dal suono di questi tamburi potete argomentare che l’esercito inglese marcia verso Parigi. (una marcia inglese. Entrano e passano a gran distanza Talbot e il suo esercito) Ecco Talbot che procede a bandiere spiegate con tutte le sue schiere inglesi. (marcia francese. Entra il Duca di Borgogna coi suoi) Alla retroguardia viene il duca di Borgogna; e la fortuna ci asseconda facendolo rimanere così lungi dagli altri. Suonate a parlamento; c’intratterremo con lui.

(si ode la chiamata)

Car. Un parlamento col duca di Borgogna.

Bor. Chi chiede un parlamento con Borgogna?

Pul. Il principe Carlo di Francia, tuo compatriota.

Bor. Che mi dici tu, Carlo? sii breve; debbo partire.

Car. Parla, Pulcella; e affascinato colle tue parole.

Pul. Prode Borgogna, cara speranza di Francia! concedi a una tua umile ancella di favellarti.

Bor. Parla; ma breve.

Pul. Guarda il tuo paese, contempla la fertile Francia; mira le sue campagne e le sue città mutilate dagli strazi di un nemico crudele; mira la tua patria con quell’occhio di tenerezza con cui una madre guarda il suo bambino in culla moribondo, e vicino a chiuder gli occhi per sempre. Vedi, vedi i mali che consumano questa terra. Vedi i dolori, le piaghe con cui la tua mano snaturata ha squarciato il suo seno infelice! Ah rivolgi altrove il ferro della tua spada: abbatti coloro che ti offendono, nè ferir quelli che ti amano. Una sola goccia del sangue della tua patria dovrebbe causarti maggiori affanni che flutti di sangue straniero. Placa tal sangue colle tue lagrime, e blandisci ai guai del paese che ti diè vita.

Bor. O essa mi ammaliò colle sue parole, o perduta ho di subito la mia tempera naturale.

Pul. Tutta la Francia e i suoi figli stupiscono di te, e dubitano de’ natali tuoi. A qual popolo ti sei tu conlegato? A un popolo perverso, che non ti sarà fedele che finchè duri il suo bisogno. Allorchè Talbot avrà soggiogata la Francia e ti avrà fatto servire da strumento a’ suoi furori; dimmi, qual altro fuorchè Enrico sarà qui re, e qual parte toccherà a te se non quella del proscritto fuggitivo? Rammenta quel che ora obblii, e ciò valga a convincerti. Il duca d’Orléans non era tao nemico? Non era prigioniero [p. 42 modifica]in Inghilterra? Ebbene, da che seppero ch’era tuo nemico, tosto gli han resa la libertà senza riscatto. Apprendi quindi che combatti contro i tuoi concittadini e che associato ti sei con perfidi che diverranno un di tuoi carnefici. Su, ritorna, ritorna, principe traviato: Carlo e tutta la sua corte son pronti a riceverti fra le loro braccia.

Bor. Son vinto. La forza inesprimibile delle parole di questa maravigliosa fanciulla ha domata la mia volontà, come il cannone doma i baluardi d’una città assediata; e sto per piegare il ginocchio. — Perdono, mia patria: perdono, miei compatrioti; e voi, principi, accettate gli amplessi che v’offre questo cuor sincero. Le mie forze e i miei soldati son vostri. Addio, Talbot; non più mi fiderò di te.

Pul. Riconosco un Francese a questo mutamento.

Car. Sii il benvenuto, prode duca: la tua amicizia ripara e francheggia le nostre forze.

Bast. Essa rianima il coraggio nel nostro petto.

Alm. La Pulcella ha compita mirabilmente la sua parte e merita una corona d’oro.

Car. Andiamo, duca, marciamo: uniamo i nostri eserciti, e adoperiamo tutti i mezzi per nuocere ai nostri nemici.

SCENA IV.

Parigi. — Una stanza nel palazzo.

Entrano il re Enrico, Glocester 'ed altri lórdi; Vernon, Basset e Talbot con alcuni suoi ufficiali si fan loro incontro.

Tal. Mio grazioso principe... e voi, illustri Pari,... avendo appreso il vostro arrivo in questo regno, interruppi per alcun tempo le mie opere di guerra per venire a rendere omaggio al mio sovrano. Questo braccio che ha rimesse sotto la vostra obbedienza cinquanta fortezze, dodici città, e cento castelli, oltre cinquecento prigionieri illustri, lascia cadere la sua spada ai piedi della Maestà Vostra, e colla sommessione d’un cuor leale e fedele riconosce tutto il merito delle sue conquiste prima da Dio e poi dal re.

Enr. È questi quel magnanimo Talbot, zio Glocester, quel terriero che da tanto tempo combatte nelle pianure di Francia?

Gloc. Sì, mio sovrano, è questo.

Enr. Siate il ben giunto, prode generale, vittorioso Talbot. [p. 43 modifica]Allorchè io era giovine (sebbene non pur vecchio sia) rammento il mio genitore quando diceva, che non mai cavalier più intrepido di voi snudò una spada. Da lungo istruiti eravamo del vostro merito e dei vostri fedeli servigi, delle vostre fatiche guerresche, e nondimeno voi non avete mai conosciute le ricompense del vostro sovrano; voi non avete neppur ricevuto i suoi ringraziamenti: perchè prima d’oggi non mai io vi avea veduto. Alzatevi, e per tutti i vostri illustri servigi noi vi creiamo qui conte di Shrewsbury; nella nostra incoronazione salirete al vostro posto. (esce con Gloc., Tal. e i lórdi)

Ver. Ora, signore, voi che eravate sì ardente in mare e che insultato avete ai colori che io porto in onore del mio illustre York, osate voi ora sostenere quanto diceste?

Bas. Sì; come voi osate difendere le gelose calunnie della vostra lingua insolente contro milord duca di Sommerset.

Ver. Onoro il tuo signore per ciò che è.

Bas. E che è egli? ei ben vale quanto York.

Ver. No: e in prova abbine questo oltraggio. (lo percuote)

Bas. Vile, tu sai che la legge delle armi danna a morte chiunque snuda la spada nel palagio del re; se ciò non fosse, questo insulto ti costerebbe il più puro tuo sangue. Ma mi volgerò a Sua Maestà, e gli chiederò licenza di vendicarmi: allora apprenderai se so punirti.

Ver. Bene, malvagio, io sarò sempre parato a risponderti; e di gioia mi fia sempre un ritrovo con te. (escono)