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ATTO TERZO


SCENA I.

Il Parlamento.

Squillo di trombe. Entrano il re Enrico, Exeter, Glocester, Warwick, Sommerset, Suffolk, il vescovo di Winchester, Riccardo Plantageneto ed altri. Glocester si fa innanzi per presentare uno scritto. Winchester glie lo strappa e lo lacera.

Win. Vieni tu qui con scritture apparecchiate a tuo agio, con infami libelli, o Humfrey di Glocester? Se accusare mi vuoi, e intendi addossarmi qualche carico, parla tosto e improvviso, com’io ti risponderò tosto, e senza prepararmi.

Gloc. Altero prelato, questo luogo m’impone pazienza; se ciò non fosse, conosceresti dalla mia vendetta la grandezza del tuo oltraggio. Non credere che se io narro per iscritto le vili offese che mi facesti, inventato io abbia nulla che vero non sia. Io potrei qui ripetere di viva voce quello che notato aveva la mia penna. Prelato orgoglioso, è tanta la tua audacia e la tua perversità, sono tali le tue perfidie e la malizia innata nel tuo cuore amante delle discordie, che fino i fanciulli ti mostrano a dito per uomo malvagio e pericoloso. Son note le tue infami usure; la tua tempra bollente, intrattabile nemica di pace, abbandonata alla licenza e alle passioni vili, più che non si addice ad uomo del tuo stato e del tuo grado. E v’ha egli nulla di più conosciuto dei tradimenti tuoi? Tu mi tendesti un laccio per togliermi la vita al ponte di Londra e alla Torre. E bene è a temere, se scrutar si dovesse il fondo de’ tuoi pensieri, che il re, tuo signore, non sia andato interamente esente dalle insidie del tuo cuore ambizioso.

Win. Glocester, io ti sfido. — Lórdi, ascoltatemi, ecco la mia risposta. Se fossi avido, perverso, ambizioso come ei vuole, come sarei così povero? Come avviene ch’io non cerchi di innalzarmi, e mi stia nei limiti del mio stato? In quanto allo spirito di discordia di cui mi dà nota, a chi è cara la pace più che a me, seppur non sono offeso? No, miei degni lórdi, non è ciò che