Plico del fotografo/Libro III/Parte III/Sezione I

Sezione I

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SEZIONE PRIMA

Produzione della prova su lamina.

Una piastra di rame rivestita da uno dei suoi lati con un sottile strato d’argento è ciò che costituisce la lamina destinata a ricevere l’immagine fotografica secondo il metodo del celebre Daguerre. Questa lamina deve essere esattamente piana, • atta a ricevere un polito perfetto ed uniforme. Quanto più puro è l’argento, tanto più grande riesce la sensibilità della lamina.

Egli è per un tale motivo che le lamine inargentate con una corrente galvanica si trovano essere più sensibili delle lamine comuni presso cui l’argento venne laminato col rame. Lo strato d’argento non deve essere troppo sottile, ossia di un titolo troppo basso, minore dei trentesimo.

Presso la lamina, le operazioni e manipolazioni differiscono notevolmente da quelle sino ad ora descritte. Ma le reazioni chimiche ed i principi! della pratica sono in fondo sempre della stessa natura. Sempre si ha bisogno di produrre uno strato di ioduro d’argento, impressionarlo, rendere visibile l’cITetto latente prodotto dall’agente luminoso, e renderlo permanente.

Operazione I,

Brunitura della lamina.

Per questa operazione si fa uso di una tavoletta piana ricoperta di panno ed armala ai suoi quattro angoli di piccoli e [p. 474 modifica]sollili bottoni metallici che servono a contenere la lamina. Una vite di legno o di ferro attinente alla tavoletta serve a fissare questa sul margine di un tavolo. Due brunitoi di legno oblunghi, coperti di pelle di daino o di velluto, provvisti di un manico, servono a dare l’ultima mano di pulimento alla lamina. La semplice visita di questi istrumenti ne insegna più di quello che io fossi per dirne.

Si prende la lamina metallica, e prima di assoggettarla alla tavoletta fissata sul margine di un tavolo, si passa un ferro per tutta quanta è la lunghezza de) suo perimetro, onde smozzarne gli spigoli taglienti, che potrebbero guastare, lacerare i brunitoi.

Si fa un miscuglio di alcool a 3G° e di essenza dì IremCulina a parli eguali, si inumidisce con esso un bioccolo di cotone, con un fiasco ricoperto di mussolina si semina sulla lamina tripoli di Venezia calcinato e porfirizzato, quindi col cotone inumidito si stropiccia fortemente sullo strato d’argento. Dopo un certo tempo si sparge sulla lamina una nuova quantità di tripoli, e si strofina con un secondo bioccolo di cotone inumidito. Finalmente con un terzo bioccolo asciutto, e senza aggiungere nè tripoli, nè altra polvere di sorta, si stropiccia ancora la lamina, effettuando sempre un moto circolare sopra di essa, dal centro agli orli e dagli orli al centro, sino a renderla ben tersa e pulita.

Giunto che sia l’operatore a questo punto, non deve lusingarsi che la sua lamina sia brunita abbastanza bene. Per poco che egli osservi minutamente la superficie ripulita discernerà sopra di essa una folla di linee circolari che si debbono assolutamente far scomparire.

A quest’effetto si sparge una parca quantità di polvere di rosso d’ Inghilterra, lavato con ammoniaca liquida e perfettamente secco, sopra di uno dei due brunitoi; quindi con vivacità si strofina il brunitoio sulla lamina, dapprima nel senso diagonale, ossia da un angolo all’altro delia lamina, sinlanto che le linee circolari lasciate dal cotone siano scomparse; dopo si strofina, ma più dolcemente, nel senso perpendicolare alla direzione verticale dell 1 immagine che si tratta di produrre; e finalmente si darà l’ultima mano con il secondo brunitoio, sul quale noo sia posta alcuna polvere di sorla, uè materia alcuna. [p. 475 modifica]In questa maniera le ultime righe che tuttavia lasciano i brunitoi sono tenuissime, e sono molto meno sensibili alla vista di quello che sarebbero, se fossero parallele alla verticale direzione dell’immagine.

La lamina che venne brunita perfettamente, osservata sotto un angolo fuori del riflesso della luce, deve sembrare di un bel nero, e, gettandovi sopra il fiato, ricoprirsi di un appannamento uniforme e continuo. Ogni ineguaglianza, nell’aspetto nero o nella condensazione del fiato, sarà indizio non equivoco che la brunitura non è ancora al suo colmo, e che converrà riprendere la lamina col brunitoio contenente del rosso d’Inghilterra, e se ciò non è sufficiente, incominciare da capo col lripoli e col cotone.

Giova sempre fare attenzione a ciò che il cotone, le polveri a brunire, ed i brunitoi siano per quanto si può difesi dalla umidità dell’aria, la quale, ove si insinui in queste materie ed islrumenli in troppa abbondanza, è di un’ influenza molto più perniciosa di quello che si potrebbe a prima giunta sospettare. Oltre il lripoli ed il rosso d‘ Inghilterra molle sostanze vennero proposte per dare una brunitura perfetta alla lamina. La pietra pomice, le ossa calcinale, la fuligine, il nero di fumo, la calce estinta, l’amido, ecc. Tutte queste sostanze, essendo come le prime ridotte in forma di polveri tenuissime, hanno la proprietà di assorbire facilmente l’umidità, e così di diventare incapaci a servire se non si conservano in vasi chiusi. Quando il cotone ed i brunitoi coperti di velluto si caricano di umidità, pel contatto dell’aria umida, si debbono far seccare col calore. 11 dagherrotipista deve sapere che alla temperatura ordinaria la lana e.l il cotone ( anche quando sembrino alla vista ed al tatto perfettamente asciutti) contengono sempre circa il IO per 100 del loro peso di acqua alio stato igrometrico, e che, net tempi piovosi, presso la lana questa quantità sale facilmente sino al 18 por 100, senza che ancora si possa scoprire una reale umidità sopra di essa da chi non è esperto conoscitore in questa materia.

Riscaldando il cotone e la lana e mantenendoli per qualche tempo ad un grado di calore che poco si scosti da quello dell’acqua bollente, quasi tutta l’acqua igrometrica viene cacciata. [p. 476 modifica]PARTE TERZA

Operazione li.

Sensibilizzare la /anùria.

Abbiasi una scatola di legno con due particolari compartimenti in modo che ciascuno di questi si possa chiudere ed aprire al bisogno, facendo scorrere per attinenti incanalature un coperchio di legno, o di vetro.

Nel compartimento a sinistra si pone uno strato regolare di iodio asciutto dello spessore di due o Ire millimetri, e nel compartimento a destra uno strato di bromuro di calce dello spessore di un mezzo centimetro.

Quesl’uilima sostanza proposta da Bingham si ottiene con calce estinta e bromo liquido. Per ottenere la calce estinta si immerge nell’acqua uu pezzo di calce viva, quando cessa di stridere si estrae, e si pone in mezzo ad un foglio di carta. La calce in breve tempo si riscalda, esala abbondanti vapori, e cade in polvere. Questa polvere è la calce estinta, si raccoglie, si passa al setaccio, e si conserva pel bisogno in fiasco ben otturalo. Quando si vuole produrre la combinazione della calce col bromo si pone nel compartimento a destra uno strato di calce estinta dello spessore di un mezzo centimetro circa, quindi nel mezzo della calce si introduce una piccola capsula di vetro o di porcellana contenente circa SO parti di bromo liquido per 100 parti di polvere di calce; si ricopre il compartimento, e quando la calce ha preso un coloramento rosso di carne intenso, il nostro bromuro di calce sarà fatto, ed atto a servire.

In vicinanza della scatola si appende ad un piccolo chiodo un filo della lunghezza di circa 40 centimetri portante al fondo una pallottola di piombo, in modo da avere un pendolo da poter far oscillare a volontà (a).

Allestita così ogni cosa si piglia la lamina brunita e pulita

(a) Pendolo si chiama ogni corpo sospeso ed oscillante intorno ad un asse orizzontale. Il fotografo avendo spesso ricorso a questo istrumento [p. 477 modifica]di fresco, si passa sulla sua superficie un pennello fino e largo per scacciare i piccoli corpicciuoli che polcssero essere caduti sopra di essa, e, col mezzo di un quadro della camera oscura, si porta sull’iodio nel compartimento a sinistra della scatola. Si fa oscillare il pendolo, si conta il numero delle oscillazioni, e si osserva ad intervalli il colore che la lamina va acquistando. Si può impunemente operare ad una luce ancora abbastanza forte, ncll’osservare la lamina, ma sarà sempre più sicuro usare con moderazione di questa latitudine quando si desidera di ottenere la massima sensibilità.

Per osservare il coloramento che riceve la lastra metallica si solleva la lamina e tenendola inclinala a 45 gradi circa, le si avvicina un pezzo di carta bianca, la luce della quale riflessa dalla lamina accuserà colle sue modificazioni la tinta che l’argento va assumendo. Dal giallo chiaro essa passa al giallo d’oro quindi all’arancio intenso. A questa ultima tinta si chiude il compartimento dell’iodio, e si trasferisce la lamina su quello del bromuro di calce, ove si lascierà sino a che abbia preso il color rosa violaceo. Ora si rimette

per misurare il tempo dell’azione della luce e degli altri agenti sulle sue preparazioni, è bene che abbia una chiara idea di esso.

[1] I tempi delle oscillazioni stanno tra loro come le radici quadrate delle lunghezze. Siano refi tempi delle oscillazioni di due pendoli£ ed l le rispettive lunghezze ai ha T: t = J/ £: (/ l.

[2] il numero delle oscillazioni nello stesso tempo p. e. in un minuto, sta in ragione inversa dei tempi delle oscillazioni e quindi anche in ragione inversa delle lunghezze. Siano £ ed / le lunghezze di due

pendoli,,Ved n il numero delle oscillazioni, si avrà.V: n = p’ t; |/ £.

Ni il peso del pendolo, ni la maggiore o minore ampiezza dell’arco descritto da esso hanno una sensibile influenza sui tempi, o sulla durata delle oscillazioni.

Un pendolo per fare una semplice oscillazione in un minuto secondo deve avere la luughezza di circa 0»’ 99. Perciò il pendolo di 0 m 40 farà

94 oscillazioni, avendosi dalla prop. sopra: n =

94 oscillo, 40

lozioni semplici e 47 oscillazioni doppie.

Il fotografo non conta d’ordinario che le oscillazioni doppie, così un pendolo di circa t metro farà 30 oscillazioni doppie, ed un pendolo che debba fare 60 oscillazioni doppie non dovrà avere che la lunghezza di [p. 478 modifica]la lamina sopra dell’iodio, e, senza più esaminare il coloramento che possa ricevere, si lascia che essa vi rimanga per il terzo, oppure la metà del tempo che dapprima occorse per portarla al color arancio, valutando questo tempo dal numero delle oscillazioni del pendolo. Ciò fatto, la lamina avrà lutti i requisiti voluti per impressionarsi bene, e prontamente nella camera oscura.

Con l’ultima esposizione ai vapori dell’iodio si producono due elicili. Il primo è quello di terminare il iodameulo della lamina. Il secondo è quello che consiste nel ristorare la sensibilità che la lamina avesse perduto nell’osservarc l’andamento della sua colorazione. Imperciocchè i signori Sliaw e Percy hanno provato che una lamina sensibilizzata, quindi privata di ogni sensibilità, portandola in piena luce, riceve la sua sensibilità primitiva, esponendola per breve tempo sopra i vapori di iodio, o di bromo.

Dagucrre col suo metodo primitivo iodava semplicemente la lamina per renderla sensibile. In tal modo la sensibilità era piccolissima mentre la riuscita era certa. Il bromuro di calce nel nostro caso fa l’ufficio di accelerare, di rendere mille volte più

0 ln 25. I.a seguente tavola che tolgo dal Vademecum des Mechaniktrs di Bemoxtilli, e che trovasi in quasi tutti i trattati di meccanica, fa conoscere le oscillazioni corrispondenti alta lunghezza del pendolo.

X» delle oscillazioni doppie

Lunghezza

del

pendolo

delle

oscillazioni

doppie

Lunghezza

del

pendolo

30

0 m 89

46

0o> 42

32

87

48

38

34

77

50

36

36

69

52

33

38

6<

54

31

40

56

56

28

42

51

58

27

44

46

60

25 [p. 479 modifica]sensibile il ioduro d’argento. Molte altre sostanze vennero proposte per accelerare, ma niuna è più vantaggiosa del bromuro di calce. Coll’uso degli acceleranti, la riuscita diviene più difficile ed incerta, perchè si deve sempre arrivare ed ottenere un rapporto esatto Ira la quantità dell’iodio e la quantità dell’accelerante. Infatti se non si dà alla lamina una sufficiente quantità di materia accelerante, l’immagine non solo è lenta, ma riesce incompiuta, indeterminala, fredda. Se all’opposto la materia accelerante abbonda troppo, il disegno diventa nebuloso, velato. Il fotografo deve continuamente combattere coutro questo dualismo, tra l’eccesso ed il difetto, e non fare come gli stolti, i quali ritmi villini vitia, in contraria cumini.

Operazione 111.

Esporre nella camera oscura.

Intorno a colesta operazione il lettore non ha bisogno che noi qui ripetiamo quello che prima d’ora venne diffusamente descritto trattando del collodio e dell’albumina; solamente aggiungeremo che per correggere il difetto del rovesciamento dell’immagine che hanno le prove su lamina, si propose l’uso di uno specchio inclinato a 45 gradi, oppure di un prisma, quantunque una tal pratica non vada esente dai suoi inconvenienti, i quali vengono raramente compensali dal raddrizzamento dell’immagine. Infatti la durala del tempo della posa deve essere più lunga almeno di un terzo di quello che essa sia col metodo ordinario, riesce più difficile il mettere al foco, e per causa della tendenza a spostare le linee, propria dello specchio e del prisma, si perde necessariamente mollo in nitidezza.

Se si volesse, far servire questo procedimento su lamina per prendere delle vedute non si potrebbe ottenere un buon risultato che con grande, difficoltà, perche è quasi impossibile il trasportare la piastra sensibile senza che si guasti; inoltre essa ha la proprietà di perdere assai presto la sensibilità ricevuta. [p. 480 modifica]Si potrebbe ricorrere alla tenda portabile ohe alcuni usano per le vedute su collodio umido. Una tenda porlabile, che è assai conveniente per la sua leggerezza, semplicità, solidità, e pel suo poco costo, è quella che venne proposta dal signor cav. G. Monleliore Levi (a).

Nel libro primo, in cui abbiamo trattato dell’ottica applicata alla fotografìa, abbiamo descritto le proprietà delle lenti che servono a produrre l’immagine nella camera oscura. Queste lenti il fotografo italiano è costretto comperarle all’estero, perchè i nostri costruttori di istrumenti ottici non si sono mai seriamente occupati intorno alla fabbricazione di buone lenti fotografiche.

Non si potrebbe in un trattato di fotografia insegnare il modo di costrurre le varie combinazioni di lenti che servono per fare le vedute ed i ritratti; quindi ci limi.eremo a dare qui le formole per la costruzione della comune lente acromatica da vedute, che troviamo nell’eccellente Dizionario di fotografia di Sulton (l>).

1 dati sono: — 1° la lunghezza focale della lente; 2“ gli iudici di rifrazione per i vetri crown e flint \ 3" i poteri dispersivi dei vetri; e 4“ il raggio della superficie di fronte. Queste quantità siano espresse dai seguenti simboli:

F = lunghezza focale della lente composta,

= l’indice rifraltivo del vetro flint,

/a, = » » i crown,

0 = il rapporto della forza dispersiva del vetro di fronte col vetro di dietro,

H = il raggio della superficie anteriore della lente.

Le incognite quantità sono:

S = raggio dell’interna superficie della lente,

T = » della posteriore superficie della lente di dietro,

f j = lunghezza focale della lente di fronte, f t = » » » » di dietro.

(a) Journal o( thè photogYaphic Society. 21 september 4857. London.

(б) A Metionary of pholoyraphy by Thomat Sutton, B. A., London, 47 Ludgate Hill, 1858. [p. 481 modifica]Quindi le equazioni che connettono queste quantità sono:

\ \ 1 f

H=-r

£ = 0’, — <1 ( )-"< 3 ) f t = ’>.— •} (3 f) "W Coi mezzo delle quali quattro equazioni le ignote quantità possono venire determinate.

Operazione IV.

Sviluppare f immagine.

Si porta al buio il quadro mobile della camera oscura che iochiude la lamina impressionata, si inserisce la lamina stessa nella cassetta a mercuriare. Col mezzo di una lampada ad alcool si riscalda il fondo della cassetta ove sta il mercurio, fino a che questo sia arrivato alla temperatura di circa -t- 60°, come si osserverà in un piccolo termometro posto nella cassetta stessa. Dopo un minuto 0 due si approssima il lume di una candela alla finestrina gialla dcH’islrumento, e si segue coll’occhio lo svilupparsi dell’immagine. Quando si giudica la prova abbastanza intensa, si estrae dalla cassetta, si esamina di nuovo attentamente, e se si stima sviluppala a dovere, si procede alla sua fissazione. In caso diverso, riponendo la lamina nella camera mercuriatrice, si prolunga l’azione dei vapori mercurei sino a che lo sviluppamenlo dell’immagine sia arrivato alla desiderata intensità e vigoria.

Il mercurio nel momento dello sviluppare l’immagine fa vedere se la sostanza accelerante, se il bromo venne dato alla prova nella giusta quantità richiesta. Una tinta grigia nebulosa accusa un eccesso di bromo, mentre i bianchi deboli, i neri troppo taglienti, senza semitinle, nc accusano una mancanza troppo grande.

In ogni caso il mercurio non dovrà essere umido per agir bene. La lamina nelle stagioni fredde non si dovrà introdurre troppo fredda nella cassetta mercuriatrice, perchè la differenza di temperatura farebbe si che verrebbe a condensarsi sulla lamina l’umidità dell’aria ambiente. L’operatore guarderà di non

3| Fotografili. [p. 482 modifica]esporsi troppo ai vapori del mercurio, dannosi a respirare. Coll’uso il mercurio si ricopre di uno strato di ossido nero che lo pregiudica nella saa facoltà di sviluppare l’immagine; bisognerà liberamelo, filtrandolo a li uvei so di una pelle di camoscio, minutamente perforata, oppure facendolo semplicemente passare sopra di un bioccolo di cotone posto al fondo di un imbuto di vetro.

Se invece di sviluppare l’immagine col mercurio si pone la lamina impressionala dietro di un vetro rosso o giallo, e quindi si espone il tutto alla luce, l’immagine fotografica sotto l’azione della luce rossa o gialla si sviluppa egualmente. Questa proprietà assai curiosa non è però di un vantaggio diretto per la pratica, perchè le prove che così si possono produrre sono sempre assai i -perfette. E poi cosa singolare che il vetro gi Ilo basta per sviluppare l’immagine sopra lamine semplicemente iodate, mentre è indispensabile il vetro rosso, quando dopo dell’iodamenlo si fece uso di cloro, o di bromo per accelerare la formazione dell’immagine.

Operazione V.

Fissare tunimujine.

L’immagine di Dagucrre vuole esser fissata in modo alTallo analogo a quello preconizzato per le prove negative su albumina, collodio e carta. Laonde adattala la Irmina da fissare in uu appropriato bacino si versa sul disegno, e d un sol tratto, una soluzione composta di

40 parli di iposolfito di soda tOO » acqua.

Questa soluzione deve previamente essere stala filtrata per due volte almeno, essendo affare di sommo rilievo pel buon esito che la soluzione non contenga la piu piccola impurità, e sia affatto limpida.

Quando il coloramento blù, o violaceo della prova sarà tolto dall’iposolfito, e la lamina avrà riguadagnato il suo naturale splendore. si introduce la prova in un bacino ripieno di acqua fil [p. 483 modifica]rnOVB SU LAMINA.

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trala, o distillata se occorre, e cbc si rinnova alcune volle, per effettuare un compiuto lavamenlo.

Ora si può ese-.i ’re la prova al libero contatto della luce, essa è fìssala. lì se si trova clic è ben riuscita sarà pregio dell’opera il fissarla col cloruro d’oro, il quale con indebolire il riflesso metallico dell’argento farà acquistare al disegno una tinta più ricca, vigorosa e piacevole.

Ciò che i fologrrfi su lamina designano col nome di cloruro d’oro è una prep; razione dovuta al signor Fizeau, la quale si può ottenere

4° Sciogliendo da una parlo

1 gramola di cloruro d’oro neutro in 500 » acqua

2" Sciogliendo dall’altra

4 grammi di iposolfito di soda in 500 » acqua,

quindi mischiando le due soluzioni nel modo seguente.

Si agita con una spatola di legno, o di vetro la soluzione di iposolfito di soda, e nel medesimo tempo sì fa cadere sopra di essa, a poco a poco, con sotti! getto, tutta la soluzione di cloruro d’oro. Il precipitato a misura che si va formando si scioglie nel miscuglio La soluzione ottenuta si filtra, e si conserva all’oscuro.

Ora ecco in qual modo giova prendersela per clorurare la prova.

Si pone la prova su di un treppiede orizzontale, si ricopre con tanto cloruro d’oro, quanto la lamina è capace di contenerne, indi, transitando sotto di questa una lampada ad alcool accesa, si riscalda la prova sino a che essa, col sorgere di una folla di bollicine, abbia ricevuto un grande splendore, e che le bollicine si siano divelle dalla lamina per la forza del calore. Col mezzo di una tanaglielta si afferra ora per l’apice di un angolo la lamina, si scaccia di un tratto il liquido soprastante e tosto la si immerge in un bacino ripieno d’acqua. Si riprende la lamina colla tanaglielta, si diluvia con un forlè getto [p. 484 modifica]d’acqua filtrala per allontanare tutto il cloruro d’oro che potesse ancora rimanere su di essa.

Ora l’operatore tenendo la lamina verso di sè inclinata, la porla sopra la fiamma della lampada per riscaldarla e seccarla, e va via agevolando l’essiccamento col soffiarvi sopra il suo fiato.

Se l’operazione procederà in modo regolare, e se il calore dato dalla lampada nell’essiccamento è abbastanza forte, senza essere eccessivo, si otterrà una magnifica prova, vigorosa, di un’estrema freschezza, con un insieme di tinte e di dettagli che non lascia nulla a desiderare, e non rimarrà più altro a fare che ad inquadrarla su adattata cornice ( passepartout ) come si usa.

Osservazione.

Riproduzione eoi messo del galvanismo. — Quando in una soluzione di solfato di rame si pone una prova digherrolipa, ed una lastra di rame, e si fanno entrambi, col mezzo di fili conduttori, comunicare con una pila voltaica di Daniel, si può ottenere, come venne osservato da Ch. Chevalicr (a), una perfetta copia incavata dell’originale.

Per ottenere un risultato passabile bisogna che la prova sia. fortemente accusala, ed è indispensabile che essa sia stala fissata col cloruro d’oro nel modo predetto.

1° S’incomincia per preparare una soluzione concentrata di solfato di rame (4 chilog. di acqua sciolgono circa 1 chilog. di sale) e si pone questa soluzione nel vaso esteriore della pila; quindi si riempie il diafragma, o tubo poroso interno, con una soluzione di sale comune, che è preferibile all’acqua acidulata con acido solforico.

2° Si salda sul rovescio della prova un filo di rame, quindi si ricopre di cera il rame della prova ed il rame del filo che viene ad immergersi nel solfato, e si salda un altro filo di rame ad una lamina pure di rame e della stessa dimensione della prova.

3° Si fissa il filo conduttore della prova nel zinco della pila, ed il filo dell’anodo di rame si fissa nel cilindro di rame della pila. L’anodo e la prova debbono stare di fronte l’un l’altro, ben paralleli, e tra loro distanti circa 4 centimetri.

(a) Guide du Photographe, par Charles Cbevalier. Paris, 1854. [p. 485 modifica]Si incomincia per introdurre l’anodo nel solfato di rame, e quindi si introduce la prova. Uopo 24 ore la prova si trova ricoperta di una foglia di rame così forte che si può staccare facilmente. Aggiungendo al solfato di rame della pila 3 per 100 di acido solforico, la corrente elettrica è più energica.

Queste copie galvanoplastiche di immagini dagherrolipiche si possono indorare ed inargentare secondo il metodo di Valicourt per semplice immersione, oppure per azione galvanica (6).

Per inargentare con semplice immersione la copia, si lava con ammoniaca liquida, quindi con acqua, e si introduce in una soluzione d’argento-cianuro doppio, preparato sciogliendo

1 parte di nitrato d’argento in 3 » acqua.

e mescolando con

5 parti di cianuro di potassio

50 » acqua.

Si fa riscaldare il lutto, si dilunga con 1 40 parli di acqua, si fa bollire alcuni minuti, e si filtra.

Per indorare con semplice immersione si prepara il bagno con

1 1 6 parti di acqua

3 » cianuro di potassio

I » cloruro d’oro.

Queste soluzioni per inargentare ed indorare la lamina d’argento potrebbero anche servire coll’apparato galvanico, mettendo la prova in comunicazione col zinco della pila, e l’anodo in comunicazione col rame. Mescolando 10 parli del bagno d’oro con una parte della soluzione d’argento, e facendo agire la pila voltaica, le immagini assumono un rivestimento verdastro o, come si dice, un’indoratura in oro verde.

Abbiamo qui sopra dato una troppo breve descrizione della pila. Ma faremo osservare che si impara più facilmente a conoscere questo islrumento dal vederlo una volta a funzionare, che non da una minuta descrizione: Eia Mal se Iteli ist tesser ale telili Mal leseti.

(’) Phatographie sur mètal, sur papier et sur terre, par E. DkValicocrt. Paris, 1851.