Piccola morale/Parte seconda/II. Il tempo
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II.
IL TEMPO.
Par quasi inevitabile agli uomini tutti, tolti pochissimi della spezie molto privilegiati, di considerare sotto un solo aspetto le cose sebbenc tutte ne abbiamo due per lo meno. Vedete il Tempo, a cagion d’esempio, si considera egli mai, o descrive, o dipinge, fuori che cogli emblemi di un ente funesto e distruggitore? Non se gli dà di comune la canutezza colla vecchiaia, e colla morte la falce? E tuttavia è desso per altra parte giovine sempre, ristora e rinfranca ciò che sarebbe per poca età infermo e canuto, ha ragioni ad essere amato, eguali per lo meno di numero e d’importanza a quelle che gli uomini sauno trovare per l’averlo in orrore e in dispetto. Col tempo si operano e ottengono di assai grandi cose — col tempo vengono le nespole a maturità — datemi tempo e vedrete — a chi ha tempo non deve calere d’altro — sono pur queste frasi e proverbii che vanno per tutte le bocche, e si ascoltano ripetute ad ogni ora. Onde nasce egli dunque che non siasi mai pensato a ritrarre il tempo con emblemi meno terribili, che non siasi mai imparato a parlarne senza un po’ d’astio e sbigottimento? Dovremo dire che una bella chioma cui egli ha forza di diradare e poi svellere affatto, od un bel volto cui toglie, in onta ai panegirici degli ammiratori idolatri, le proporzioni e il colore, siano quanto vi ha di più caro e pregevole nella vita; e per nulla si debbano contare, rispetto a queste rovine, le cognizioni che per mezzo d’esso s’acquistano, le amicizie ch’egli rassoda, e cento altri doni de’ quali, da volere a non volere, gli siamo pur debitori?
A ben considerare la cosa, gli uomini in generale sono così fatti, che poco curandosi del passato, e diremo anche del presente, che solo tengono in possessione, ogni loro studio ed amore ripongono nel futuro. Non tanto si allegrano dei beni onde godono, che maggiormente non si atterriscano dei mali che loro sovrastano; e di qui la guerra che muovono al tempo, e il considerarlo come nemico tenendo sempre l’armi impugnate ad offenderlo.
Ma, signori mici, e la speranza? Questa dolce e non mai stanca compagna del nostro pellegrinaggio, a chi porge i suoi voti se non al Tempo? Da chi aspetta, se non dal Tempo, l’avveramento de’ sogni co’ quali blandisce tante volte le nostre pene? Oh questo sa di romanzo! No, mici signori; al più, al più troverete il romanzo nel genere delle speranze; ma sieno pur desse altre o altre, che meglio vi piaccia, se non ci fosse il Tempo che le alimenta, sarebbero tutte spacciate ad un modo. Molto lodiamo chi favorisce i miseri e i bisognosi, a fronte di chi ama la compagnia de’ felici e ben provveduti; ma non è egli questo propriamente i fare del Tempo? Non sono appunto gli addolorati, qualunque sia la cagione del loro dolore, che sperano da esso conforto? Non sono queglino appunto che nuotano a galla nelle delizie, a cui il passaggio di un’ora porta la desolazione nell’anima, in quanto si fanno più sempre vicini a quella notte interminabile, o giorno che dir si voglia, che non ha nè crepuscolo nè tramonto?
Io vorrei proprio vedere un tempo giovinetto, o di quell’acerba virilità che da Virgilio si attribuisce al barcaiuolo d’Averno, e con sublimità d’intenzione si appropriò da Canova diventato pittore all’Antico de’ tempi: vorrei vedere simboleggiati i molti cambiamenti si nella fisica, e sì nella morale organizzazione del globo, a’ quali dà origine colla sua inavvertita operosità; vorrei vedergli abbracciata, come a padre figliuola, la Speranza che gli domanda di voler condurre al frutto que’ fiori cui si compiace di vagheggiare. E mentre da un lato crollanti edifizii, e polverose biblioteche, e cranii sparuti di scheletri rendessero vista orribile e compassionevole, vorrei sorgessero in cara ed allettante mostra dall’altro città edificate, ordigni di scienze di fresco trovate, ed un’allegra gioventù che, rassodata dagli anni nella volontà e nelle membra, si vede aperta dinanzi una nobil carriera in cui esercitare le sue forze.
Più che tutto io vorrei mettergli a fianco un nobile aspetto di donna soavemente malinconica, nella quale si avesse simboleggiata l’Esperienza. Malinconica, perchè bene spesso accoppia le sue lezioni a molto miseri disinganni; perchè facendo piombar dalle nuvole i suoi proseliti, ove se ne stavano a dialogare colle stelle, non può a meno di non infondere in essi un poco di malinconia che va sempre compagna a chi dee cangiare l’estasi in meditazione: soave poi, e dirò anche serena, solo che sia una serenità non superba, in quanto, dopo aver fatto saggio dei beni ai quali vuol concedere tutto il suo cuore, li ha trovati rispondere in giusto peso e misura a’ suoi bisogni e a’ suoi desiderii. Tolta ad una grande perplessità, conosce di non aver gettato l’ancora in un mare infedele, e per tempeste che la combattano, sa di aver trovato un porto accoucio al riposo. E quegli avventurosi tra gli uomini ch’essa raccoglie al suo seno, e protegge sotto l’ampio manto reale che le casca dali’ omero, per tribolati che siano, sanno fin dove possa giungere la tribolazione, e quale conforto sia loro apparecchiato.
Non è vero diletto quello che non sa vivere fuorchè del presente, e si consuma da se stesso in un’ora. Ci accorgiamo pur tutti da quanto ci accade di esperimentare ciascun giorno in noi stessi, che una simpatica forza ne tiene irresistibilmente congiunti al passato ed all’avvenire e che tutto il meglio della vita è trascorso e trascorrerà di continuo tra il ricordarsi ed il desiderare. A che ci servirebbero la memoria e l’iminaginazione in noi si potenti? Che cosa sarebbe il presente, fosse pure quanto mente più ardita sa figurarlo secondo od avventurato, tolte le lusinghe di che lo avvolgono le rimembranze e i desiderii? Il presente ci riesce si caro, appunto perchè in preda alla lotta delle realtà del passato colle illusioni dell’avvenire. Ed al Tempo solo è conceduto avverare quelle illusioni, ed all’esperienza sola prevenire il lento, tutto che certo, cammino del Tempo.
Al Tempo, come depositario delle nostre speranze, come generatore dell’esperienza, stieno in mano gli emblemi della riproduzione, non meno che quelli del disfacimento. Ma con qual pro, dice forse taluno, questo culto novello; con qual pro tutto questo discorso per inculcarlo? Non piccolo è il danno chea tutti proviene dall’inquietudine e dalla soverchia rattezza,
Che l’onestade ad ogni atto dismaga.
C’è tempo adogni cosa; acchetiamoci alle leggi del Tempo, che tutto rapisce e tutto conduce. Affrettandone l’opera ci può accadere di sconciarla, quando la perfezione non può venire d’altronde che dal Tempo. Nè la perfezione soltanto, ma ci hanno pur cose, le quali, non che perfezione, senza il tempo non avrebbero nemmeno cominciamento. Io li veggo talvolta certi uomini, che credono tulto potere, affaccendarsi a puntellare l’edifizio della loro vanità che minaccia rovina; e per altra parte altri uomini, desiderosi di trovarsi presenti a quella caduta, dar d’urto ne’ fianchi delle muraglie per affrettarla. Sono questi e quelli salvo fanciulli, che con arginature di creta e cannucce intendono arrestare il torrente nella sua maggior fuga; o con una scossa che danno ad un albero antico e ben radicato si avvisano smuoverlo e porlo in terra? Che nce avviene pertanto? Sì gli uni che gli altri rimangono schiacciati dalla rovina: quale, per averla anzi tempo tentata, rimanendo accoppato da qualche tegola o da qualche pietra separatamente caduta; quale, per averla discreduta ostinatamente, lasciandovi sotto la vita, quando venner meno tutti i sostegoi, e le compagini tutte furono disciolte. Abbiamo un bel dire, cun bel fare: ciò che noi possiamo dire e possiamo fare, egli è nulla rispetto a quanto può esser fatto dal Tempo; e noi con tutta la nostra albagia e con tutti gli empiti nostri, sia per dare la spinta, sia per far puntello, non più adoperiamo che la forza di un dito. Non consiglio per questo di starsene colle mani alla cintola, bensi di operare con molta mitezza e rassegnazione.