Piccola morale/Parte seconda/III. L'ozio

Parte seconda - III. L'ozio.

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III.

L’OZIO.

S’intende per ozio generalmente il non far nulla: ma c’è un’altra guisa d’ozio meno avvertita, e della quale ci hanno più frequenti esempi fra gli uomini d’ogni età e d’ogni condizione. Dico d’ogni età e d’ogni condizione, perchè sonovi età e condizioni da cui sembra che l’ozio dovesse rimanersi sbandito. Credo non inutile un qualche esame sopra questa specie di oziosità.

Prima di entrare a discorrere, mi sembra necessario di richiamare alla mente de’ miei lettori il dialogo tenuto da Cinea al Re Pirro, quando questi, impaziente di starsene entro i confini del paterno retaggio, aveva già dati i primi passi nel cammino di quelle imprese a capo le quali gli venne trovata la sepoltura. Mentre dunque re Pirro vagheggiava tra sè le conquiste che proponevasi di tentare, vennegli innanzi Cinea con[p. 75 modifica]sigliere filosofo, e gli disse a che pensasse. A cui il re di assoggettare non so che provincia. E il filosofo e vinta questa? - Per la strada che mi sarei aperta con quel primo fatto passar oltre a domare tal popolo. E quindi? - Tal altro. — E dipoi? - Oltre ancora, portando il terrore delle mie armi al di là di quel confine. E procedendo più sempre il filosofo colle interrogazioni, l’altro colle risposte si trovò in breve aver fatto il giro di tutto quanto era il mondo che a quei di conoscevasi, e di tutto già tenersene a signore. E qui essendo giunto il filosofo a quel passo che gli stava a cuore; e allora, proruppe, che farete? Mi darò, rispose il monarca, a godermi riposatamente la vita. Alle quali parole Cinea: e chi vi toglie che godiate oggi stesso di questo bene senza indugio e fatica? Il re non potè a meno di sentire la verità del detto del filosofo, ma si lasciò portar via dall’ambizione, e non conobbe riposo finchè non fu morto.

Ora questo discorso fatto da Cinea al re Pirro potrebbe con eguale verità essere ripetuto a quei molti fra gli uomini, i quali impiegano un grandissimo tempo e un lavoro grandissimo a conseguire ciò che avevano come alla mano. Probabilmente essi continuerebbero a battere la loro strada, nè più nè meno di quello che fece l’Epirota, finchè la morte, non so ben dire se colla caduta della tegola o con altro mezzo, tagliasse loro in sul meglio i disegni. Ecco, a parer mio, [p. 76 modifica]quella spezie d’ozio comunissima tra gli uomini e poco conosciuta. Non dee bastarci di vedere taluno che si affaccendi in qualche cosa per dire di lui che non sia dominato dall’ozio, ma vuolsi esaminare se la fatica ch’egli impiega sia proporzionata al fine cui si propone di arrivare. Chi per giungere alla casa propria, chiamatovi da una improvvisa notizia d’incendio o d’altro sinistro in essa accaduto, o, se volete qualche cosa d’allegro, da un amico di presente arrivato, anzichè tenere la via diritta, o come suol dirsi la scorciatoia, si mettesse a girare al largo, non direste che operasse da ozioso? E quand’anche si conducesse alla soglia di quella sua casa sudato e sbuffante, non gli dareste la taccia medesima senza scrupolo alcuno? Se questo non fosse, come potrebbe avervi una spezie d’ozio cui convenisse l’epiteto di faticoso, affibiatogli da chi certamente non gettava gli epiteti a caso, il Parini?

Ancora è da por mente a coloro che si propongono un fine al quale non possono aver mezzi corrispondenti, e questi ancora vanno annoverati tra gli oziosi. E con più ragione degli altri testé ricordati. Quelli di cui abbiamo parlato i quali, potendo toccare il termine del loro desiderio subitamente, si piacciono d’indugiare, creandosi, a così dire, difficoltà pel diletto che trovano nel superarle, mostrano se non altro una specie di ardimento e una disposizione d’animo non punto [p. 77 modifica]spregevole. Ma quelli che mirano al conseguimento di cose per le quali non sono loro concedute bastevoli forze, mostrano a prima giunta una grande leggerezza di mente, e quanto da essi si fa, procedendo pur sempre da non retto uso della ragione, sono operazioni oziose, o peggio che oziose, quando un tal nome non si credesse lor convenire. E per verità se a taluno venisse in capo, a cagion d’esempio, di trovar modo che i colori fossero veduti all’oscuro, o altro simile stravagante concetto, e in questo vano studio sprecasse il tempo e l’ingegno, nol direste uomo ozioso più ancora, di quello ricordato poc’anzi, che se ne veniva alla casa dov’era ansiosamente chiamato aggirandosi per le vie più remote? Senza dubbio il chiamereste più ozioso, in quanto che, laddove a quest’ultimo dovete dar taccia d’indugiare di recarsi al termine del suo viaggio, è forza che accusiate quel primo di non aver al suo viaggio termine alcuno.

Se vorrete dietro questa regola fondamentale farvi a considerare la generalità degli uomini, quanti e quanti fra i più affaccendati non vi sembreranno altro che oziosi! Quanti li troverete deviarsi dalla onestà a cui sembrano di agognare, quanti avere una meta impossibile ad essere raggiunta, ch’è quanto dire non averne nessuna! Che occorre a quel Tiburzio di portare per tutte le conversazioni la noia de’ suoi discorsi ad acquistarne fama di chiacchierone indiscreto? Bastereb[p. 78 modifica]be quel tanto che ne dice all’orecchio di Valentina, amica sua da oltre vent’anni, e che da oltre vent’anni si sente ripetere ciascun giorno quell’antifona nauseosa: voi già sapete che io non voglio prendermela con chicchessia. Non prendete tante giravolte, signor Tiburzio; andate per la più corta, quel nome a cui mostrate di voler aspirare ve lo avete già fatto. Il resto, credetemi, è pretta oziosità, è inutile spendio di voce. E voi, Ambrogio mio caro, desistete dal fingervi la carità stessa piovuta dal cielo a consolazione della umanità derelitta. Voi non avete, nè mai saprete trovare in voi stesso quel tanto che occorre guadagnarvi il bel titolo di soccorritore del prossimo. Tutte le cure che vi date riescono a nulla; le vostre elemosine, quanto al guadagnarvi la fama che ambite, sono oziose: quella fama non si accompagnerà mai al nome vostro. Chi fabbrica case, e mentre sale col muro non ha di che costruire il soffitto, è ozioso, nè più nè meno di chi guarda in alto, e, se la notte è serena, se ne sta a fare il computo delle stelle. Chi in un cuore assiderato vuole infondere il fuoco delle passioni, e crede a questo bastare un trepido fiato, o il tenue calore di una facellina, è del pari ozioso, e non è preferibile punto nel giudizio dei savii a chi lascia andare le cose tutte a modo loro, pago che il sole gli scaldi la nuca la state e l’inverno gl’imbianchi colla neve il lastricato che ha dinnanzi la porta. Conchiudasi: ozioso clhi [p. 79 modifica]non fa nulla, e ozioso egualmente chi fa inutil lavoro, sia perchè soverchio, sia perchè ineguale all’intento.

Non voglio staccarmi da questo chiacchierio sopra l’ozio senz’aver parlato anche di quelli che sembrano oziosi e non sono, dopo le varie cose dette di quelli che nol sembrano e pur sono oziosi. Hannovi certe volte molti fini degnissimi ed onorati, i quali alla più parte degli uomini sembrano impossibili ad essere raggiunti. Hannovi mezzi riposti ma efficacissimi, che dalla generalità sono creduti insufficienti a conseguire lo scopo cui vengono indirizzati. Chi mira a que’fini, o usa que’ mezzi, si guadagna assai facilmente il titolo d’ozioso. Non può entrare nel capo a Silvestro che possa avervi chi si affaccendi a favore de’ pupilli che gli furono dati in custodia pel solo fine di fare una buona azione; e però deve parere a Silvestro che Stanislao abbia assai dell’ozioso, non avendo fine alcuno tutto l’affanno ch’egli si prende per que’ pupilli. Par incredibile a Maurizio che l’operare il bene senza darsene il vanto possa acquistare a chi lo pratica quel sodo concetto di galantuomo, a cui ciascuno o aspira di cuore o fa per lo meno le viste di aspirare; dee quindi parerc a Maurizio oziosa la virtù di Demetrio, che cerca la notte più buia a visitare la stanza del mendico, e interrogato quanto fossero acerbe le parole di quell’arrogante a cui oppose il silenzio più rassegnato, non se [p. 80 modifica]ne ricorda, o ne parla languidamente. E quanti stancano gli occhi leggendo, e tengono in continua briga le dita nelle scritture, sono essi chiamati altro che oziosi? Passeggiano, o se ne stanno seduti ruminando non so che pensieri; e questo si dice da molti non altro essere che un far nulla. Il tedesco Kleist lasciò scritto che ne’ suoi passeggi predava idee, come altri pernici: quanti non rideranno di questo nuovo genere di caccia intellettuale? Può derivare questo giudizio di parecchi fra gli uomini, che non so chiamar giusti, tanto dal non credere che gli studii possano avere alcuna meta, quanto dal presumere che a quella meta gli studii non giovino punto. E forse a questi giudizii può con ragione darsi accusa d’oziosità. Ma tutti, in onta a quanto s’é fin qui detto, continueranno la loro via; altri stimandosi savii oziosamente giudicando, altri sembrando oziosi mentre si affaticano ad arricchire se ed altri d’utili cognizioni. Chi possiede per altro l’interna attività dei pensieri possiede un tesoro, non teme dell’ozio, i suoi desiderii, le sue speranze il tengono sempre desto, sempre operoso. Quando altri il crede smemorato e ozioso ha colloquii ineffabili, popola di fantasmi la solitudine della notte, rivive nel passato, preoccupa l’avvenire, ha sempre una meta davanti gli occhi, infaticabile nel vagheggiarla, ma non mai tranquillo finchè non l’abbia raggiunta.