Pastorali/Autunno
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Terza pastorale
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A U T U N N O
TERZA PASTORALE
A U T U N N O.
TERZA PASTORALE.
AL SIGNOR WICHERLEI.
Otto l’ombra, che spande un ampio faggio,
Ila, ed Egon le lor selvagge rime
Già cantavan un dì. Doleasi Questi
Dell’Amica infedel; Quel dell’assente:
5E i nom di Delia, e Dori empian il bosco.
Voi Ninfe Mantovane il vostro sacro
Almo soccorso or mi recate; Io canto
D’Ila, e d’Egone le silvane note.
O tu, che dalle Nove unit’ ottieni
Di Plauto il brio, e l’arte di Terenzio,
E insiem il foco del divin Menandro;
Il cui saver s’insegna, e ’l gusto alletta,
E ’l cui giudizio ne comanda; e ’l cui
Spirto ci rende ai ben oprar ferventi;
O tu nell’arte di natura esperto!
Deh! volgi il guardo a cor di pastorelli
A passioni senz’arte, a pene innate.
Già tramontando Febo i raggi fulgidi
Spargea sereno, e le fioccose nuvole
Eran vergate di lucente porpora,
Allor ch’Ila canoro con melodici
Piant’ insegnava l’aspre nocche a gemere,
E facea monti ancor sciogliers’ in lagrime.
[PAGINA MANCANTE NELLA FONTE]
Languidi fior, che al suol giacete stesi
Perchè da primavera abbandonati;
Mesti augelletti dal cantar sospesi
Perchè la calda state v’ha lasciati;
Alberi voi, che siete smorti, quando
L’autunno n’ha i calori allontanati;
Dite, non è di morte un fiero brando
L’assenza a cor che langue in vivo amore?
Itene, aurette, i miei sospir recando,
Maldette quelle aren, che le dimore
Forman a Delia mia; sian vizzi i germi;
Secchi ogni pianta, e moravi ogni fiore;
Ogni cosa vi pera, e guasti e infermi
Salvo sol lei . . . . . Che dissi mentecatto?
Sia, dove Delia mia le piante fermi,
Sia primavera sempre, e sorgan ratto...
Bei fior novelli; sian rose sbuccianti
Anch’a nodose querci onore adatto.
E veggansi ambre liquide, e fragranti
Da’ pruni ancor, e bronchi distillare.
Itene aurette, e i miei sospiri ansanti!
Pria cesseran gli augelli d’intonare
De’ canti vespertini i dolci accenti;
I venti cesseran pria di spirare;
Il dolce mormorio alle sorgenti,
E all’ondeggianti selve i moti usati
Pria cesseran, ch’io mai d’amar mi penti.
I gorgoglianti fonti non sì grati
Sono al pastor che ha sete, o ’l dolce sonno
A’ languidi bifolchi affaticati:
Non alle Lodolette giammai ponno
Recar tanto piacer le piogge care;
Nè i raggi del bel Sol le pecchie vonno
Nemmen per la metà cotanto amare,
Quanto io veder il tuo viso vezzoso.
Ite i sospir, aurette, ite a recare!
Vien Delia, vieni: A che così nojoso
Lungo induggiar? se. già per antro, e colle
Di Delia il dolce nom s’ode famoso?
Delia rimbomba ogn’antro, ed ogni colle
Con Ecco risonar Delia si sente.
Cieli! qual di repente pensier folle
Del più dolce piacer m’empie la mente?
Son sogni d’un’amante, o ver pur sia
Che Delia mia gentil sia quì presente?
Ella già vien; sì vien già Delia mia.
Or cess’il pianto, e voi ancor cessate
Aurette i miei sospir di portar via.
Poi cantò Egon, e ne furo ammirate
Le selve di Windsor. Deh! muse il canto
Qual lo dettaste allor, voi replicate.
Deh risonate, o monti, del mio pianto.
Per la spergiura Dori, i miei lamenti,
Prima ch’io mora almen, udite intanto;
Qui dove sceman mole i monti algenti
Quanto s’ergono più, le valli al basso
Lasciano, e dentro i ciel volan possenti,
Or che il bue arator del caldo lasso
E del lavor del campo si ritira
Col giogo sciolto, e faticoso il passo;
Mentre che il fumo inanellato gira
Delle capanne in cima, e l’ombra scura
Ratto cader sul verdebrun si mira.
Deh risonate, o monti, mia sventura!
Sotto quel pioppo oh Dio, passammo spesso
Il giorno insiem, e i suoi voti d’amore
Nella corteccia io avea sovente impresso;
Ella intanto solea con vivo ardore
Legar ghirlande in sù rami pendenti.
Son secche ah! le ghirlande dal calore;
I voti consumar le piogge, e i venti.
Sì pere l’amor suo, sì la mia speme.
Deh risonate o monti, i miei lamenti!
Il risplendente Arturo ora le vene
Fa del frumento pur liete, e feconde;
Or brilla ogni arbuscello, e carchi tiene
Di frutti d’oro i rami; ora diffonde
Anch’ il grato racem di mosto eletto
I dolci rivi; or bacche rubiconde
Pingon il bosco già reso gialletto,
Cieli! ogni cosa dunque fuorch’ Amore
Ritorna il contraccambio, con diletto?
Deh risonate, o monti, al mio dolore!
„Ila le greggi tue son mal guardate„
Gridanmi i pastorelli a tutte l’ore:
Ah! che mi giova mai d’aver salvate
Le greggi, le me lasso! il core ho perso,
Mentre pecore sol ho preservate?
Pan venne, e me richiese in duolo immerso
Qual’arte maga il faccia od occhio infesto
Or ne saetti il fascino perverso;
Ma in qual’altr’occhi ohimè! quel vivo innesto
D’alto poter, che turba e mente, e core,
Se non che in que’ di lei si trova intesto?
E fuor di quella ch’or siede in amore,
Dove magia mai si può trovare?
Deh risonate monti il mio dolore.
Se da’ pastor mi voglio allontanare
Da’ greggi, e prati; Non mi si disdice
Pastori, e greggi, e prati abbandonare.
Ogni consorzio uman lasciar mi lice
E ’l mondo tutto ancor. Amor, ahi pene!
D’abbandonar non mai sarò felice.
Or ti conosco Amor sin nelle vene;
Crudele! come il mare tempestoso,
Più feroce che Tigri in Libie arene!
Fosti svelto dal rio ventre focoso
D’Etna, poi dato fra tempeste, e venti
D’onde col tuon veniste aspro e penoso.
Deh risonate, monti, i lai dolenti.
Addio! voi selve, addio! luce del giorno
Ch’un salto da quel monte a’ miei tormenti
Darà pur fin. Non più dunque d’intorno
Non risonate monti i miei lamenti.
Così cantavan i pastori allora
Mentre la notte era vicina, essendo
Pur rosso il Ciel della partente luce,
Quando cadendo il rugiadoso umore
Ornava il suolo d’argentine stille
E basso il Sol rendea l’ombre più stese.