Orlando innamorato/Libro secondo/Canto ventesimottavo

Libro secondo

Canto ventesimottavo

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1   Segnori e dame, Dio vi dia bon giorno
     E sempre vi mantenga in zoia e in festa!
     Come io promissi, a ricontar ritorno
     De Brandimarte, che con tal tempesta
     Presso a Biserta va suonando il corno
     Ed isfida Agramante e la sua gesta,
     Dicendo nel suonare: - O re soprano,
     Odi mio suono, e nol tenire a vano.

2   Se non è falsa al mondo quella fama
     La qual per tutto tua virtù risuona,
     E per valore un altro Ettor ti chiama,
     Perché hai de ogni prodeza la corona,
     Onde per questo ti verisce ed ama
     Tal che giamai non vidde tua persona,
     Ed io tra gli altri certamente sono,
     Che non te ho visto, ed amo in abandono:

3   Fa che risponda a ciò che se ne dice,
     O valoroso ed inclito segnore,
     Della tua corte, che è tanto felice
     Che de ogni vigoria mantiene il fiore.
     A me soletto in su quella pendice
     Provarli ad un ad un ben basta il core;
     Ma non so se al pensier cotanto ardito
     Mancarà lena, e vengami fallito. -

4   Stava Agramante in quel tempo a danzare
     Tra belle dame sopra ad un verone
     Che drittamente riguardava al mare,
     Ove era posto il ricco pavaglione.
     Odendo il corno tanto ben sonare,
     Lasciò la danza e venne ad un balcone,
     Apoggiandosi al collo al bel Rugiero,
     E giù nel prato vidde il cavalliero.

5   E stando alquanto a quel sonare attento,
     La voce e le parole ben comprese,
     E vòlto alli altri disse: - A quel ch’io sento,
     Questo di noi ragiona assai cortese;
     E certo che me ha posto in gran talento
     De essere il primo che faccia palese
     Se ponto ha di prodezza o di valore;
     Siano qua l’arme e il mio bon corridore. -

6   Benché dicesse alcun che facea male,
     E mormorasse assai la baronia
     Che sua persona nobile e reale
     Aponga ad un che non sa chi se sia:
     Lui di natura e de animo è cotale
     Che mena a fretta ciò che far desia;
     Onde lascia da parte l’altrui dire,
     E prestamente se fece guarnire.

7   De azuro e de ôr vestito era a quartiero,
     E a tale insegne è il destrier copertato;
     La rocca e’ fusi porta per cimiero.
     Ver Brandimarte se ne vien al prato;
     E solo è seco il giovane Rugiero,
     Senza alcuna arma, for che ’l brando a lato,
     E dopo alcun parlar tutto cortese,
     Voltò ciascuno e ben del campo prese.

8   Poi ritornarno con le lancie a resta
     Quei dui baron, che avean cotanta possa,
     Drizzando i lor ronzon testa per testa.
     Ciascuna lancia a meraviglia è grossa,
     Ma entrambe se fiaccarno con tempesta,
     E l’uno a l’altro urtò con tal percossa,
     Ch’e lor destrier posâr le groppe al prato,
     Benché ciascun di subito è levato.

9   E via correndo come imbalorditi
     Ne andarno a gran ruina quasi un miglio,
     E credo che più avanti serian giti,
     Ma fu dato a ciascun nel fren di piglio.
     E duo baroni al tutto eran storditi,
     E a l’uno e a l’altro uscia il sangue vermiglio
     Di bocca e da l’orecchie e per il naso,
     Tanto fu il scontro orribile e malvaso!

10 Or se vengono a dietro a passo a passo,
     Ciascun di vendicar voluntaroso;
     Poi spronarno e destrieri a gran fraccasso,
     L’un più che l’altro a corso ruïnoso.
     Alcun di lor non segna al scudo basso,
     Ma dritto in fronte a l’elmo luminoso;
     Le lancie de le prime eran più grosse,
     Ma non restarno integre alle percosse.

11 Però che nel scontrar di quei baroni
     Sino alla resta se fiaccarno, in tanto
     Che non eran tre palmi e lor tronconi,
     Né più che prima se donarno il vanto
     De alcun vantaggio e forti campïoni,
     E l’uno e l’altro è sangue tutto quanto;
     E, come e lor destrier sian senza freno,
     Ne andâr correndo un miglio, o poco meno.

12 Due lancie fece il re portare al prato,
     Che avea il tempio de Amone, antiquo deo,
     E, sì come da vecchi era contato,
     Di Ercole l’uno, e l’altra fo de Anteo.
     Bene era ciascun tronco smisurato:
     Ognuna a sei bastasi portar feo;
     Vedise adunque aperto in questo loco
     Che la natura manca a poco a poco,

13 Se questi antiqui fôr tanto robusti,
     Che avean forza per sei de quei moderni;
     Ma non so se gli autor fosser ben giusti,
     E scrivesseno il vero a’ lor quaderni.
     Or son portati al campo e duo gran fusti;
     E guarda pur, se vôi: tu non discerni
     Qual sia più forte, ché senza divaro
     Di vena e di grossezza son al paro.

14 A Brandimarte fu dato la eletta:
     Ciò volse il re Agramante per suo onore.
     Ben vi so dir che ogniomo intorno aspetta
     Veder che abbia più lena e più vigore.
     Ma, mentre che ciascun di lor se assetta,
     Di verso al fiume se ode un gran romore.
     Fugge la gente trista e sbigottita:
     Tutti venian cridando: - Aita! aita! -

15 Il re Agramante sì come era armato
     Ver là se tira e lascia il gran troncone;
     E Brandimarte a lui se pose a lato,
     Per aiutarlo in ogni questïone.
     Via vien fuggendo il popol sterminato;
     Ed Agramante prese un ragazone,
     Qual sopra ad un ronzone era a bisdosso
     E senza briglia corre al più non posso.

16 - Ove ne andati? - diceva Agamante
     - Ove ne andati, pezzi de bricconi? -
     E quel rispose con voce tonante:
     - Per beverare andavamo e ronzoni
     Dietro a quel fiume che è quivi davante,
     E là fummo assaliti da leoni,
     Qual posti ce hanno in tal disaventura,
     Che bene è paccio chi non ha paura.

17 Da trenta insieme sono, al mio parere,
     Che ce assalirno con tanta tempesta,
     Che de scampare apena ebbi il potere,
     Ben che io gli vidi uscir de la foresta.
     Che sia de gli altri, non potea vedere,
     Perché giamai non ho volta la testa
     A remirar quel che de lor se sia;
     Or fa al mio senno, e tuotti anco te via. -

18 Il re sorrise e a Brandimarte volto
     Gli disse: - Certo alquanto ho di dispetto
     Che il piacer della giostra ce sia tolto,
     Benché alla caccia avrem molto diletto. -
     E Brandimarte, il qual non era stolto,
     Rispose: - Il tuo comando sempre aspetto;
     Sì che adoprame pure in giostra o in caccia,
     Ch’io son disposto a far quel che ti piaccia. -

19 Il re dapoi mandò nella citate
     Che a lui ne vengan cacciatori e cani,
     De’ qual sempre tenìa gran quantitate,
     Segusi e presti veltri e fieri alani,
     Ed altre schiatte ancora intrameschiate.
     Or via ne vanno e tre baron soprani,
     Brandimarte, Agramante e il bon Rugiero,
     Per dare aiuto ove facea mestiero.

20 Ma ne la corte se lasciâr le danze,
     Come il messo del re là su se intese,
     E fuor portarno rete e speti e lanze,
     E furvi alcun che se guarnîr de arnese,
     Ché a cotal caccia vôle altro che cianze;
     Né lepri o capre trova quel paese,
     Ma pien son e lor monti tutti quanti
     Di leoni e pantere ed elefanti.

21 E molte dame montarno e destrieri,
     Con gli archi in mano ed abiti sì adorni,
     Che ogniom le accompagnava volentieri,
     E spesso avanti a lor facean ritorni.
     E tutti e gran segnori e cavallieri
     Uscîr sonando ad alta voce e corni:
     Da lo abaglio de’ cani e dal fremire
     Par che ’l cel cada e ’l mondo abbia a finire.

22 Ma già Agramante e il giovane Rugiero
     E Brandimarte, che non gli abandona,
     Sopra a quel fiume ove è l’assalto fiero,
     Ciascuno a più poter forte sperona;
     E ben de esser gagliardi fa mestiero,
     Ché ogni leone ha sotto una persona;
     Alcuna è viva e soccorso dimanda,
     E qual morendo a Dio se aricomanda.

23 A ciascadun di lor venne pietate,
     E destinarno di donarli aiuto,
     Avendo prima già tratte le spate:
     Non vôle indarno alcun esser venuto.
     Ecco un leon con le chiome arrizzate,
     Maggior de gli altri, orribile ed arguto,
     Che in su la ripa avea morto un destrero:
     Quello abandona e vien verso Rugiero.

24 Rugier lo aspetta e mena un manroverso,
     E sopra della testa l’ebbe aggionto,
     E quella via tagliò per il traverso,
     Ché tra gli occhi e l’orecchie il colse a ponto.
     Ora ecco l’altro, ancora più diverso
     E più feroce di quel che io vi conto,
     Al re se aventa da la banda manca,
     E l’elmo azaffa e nel scudo lo abranca.

25 E certamente il tirava de arcione,
     Se non ne fosse il bon Rugiero accorto,
     Qual là vi corse e gionselo al gallone,
     Sì che de l’anche a ponto il fece corto.
     Brandimarte ancor lui con un leone
     Fatto ha battaglia, e quasi l’avea morto,
     Quando se odirno e corni e’ gran rumori
     Di quella gente, e’ cani e’ cacciatori.

26 Ora cantando a ricontar non basto
     Di loro e cridi grandi e la tempesta;
     Tutte le fiere abandonarno il pasto,
     Squassando e crini ed alciando la testa.
     Quale avean morto, e qual è mezo guasto;
     Pur li lasciarno, e verso la foresta,
     Voltando il capo e mormorando d’ira,
     A poco a poco ciascadun se tira.

27 Ma la gente che segue, è troppo molta,
     E fa stornir del crido e il monte e il piano;
     Dardi e saette cadeno a gran folta,
     A benché la più parte ariva invano.
     De quei leoni or questo or quel se volta,
     Ma pur tutti alla selva se ne vano;
     E il re cinger la fa da tutte bande:
     Allor se incominciò la caccia grande.

28 La selva tutto intorno è circondata,
     Che non potrebbe uscire una lirompa;
     Più dame e cavallieri ha ogni brigata,
     Che mostrava alla vista una gran pompa.
     Il re dato avia loco ad ogni strata,
     Né bisogna che alcun l’ordine rompa;
     Alani e veltri a copia sono intorno,
     Né se ode alcuna voce, o suon di corno.

29 Poi son poste le rete a cotal festa
     Che spezzar non le può dente né graffa,
     Indi e sagusi intrarno alla foresta:
     Altro non si sentia che biffi e baffa.
     Or se ode un gran fraccasso e gran tempesta,
     Ché per le rame viene una ziraffa;
     Turpino il scrive, e poca gente il crede,
     Che undeci braccia avia dal muso al piede.

30 Fuor ne venìa la bestia contrafatta,
     Bassa alle groppe e molto alta davante,
     E di tal forza andava e tanto ratta,
     Che al corso fraccassava arbori e piante.
     Come fu al campo, intorno ha la baratta
     De molti cavallieri e de Agramante
     E molte dame che erano in sua schiera,
     Onde fu alfine occisa la gran fiera.

31 Leoni e pardi uscirno alla pianura,
     Tigri e pantere io non sapria dir quante;
     Qual se arresta a le rete e qual non cura.
     Ma pur fôr quasi morti in uno istante.
     Or ben fece alle dame alta paura,
     Uscendo for del bosco, uno elefante:
     Lo autore il dice, ed io creder nol posso
     Che trenta palmi era alto e vinti grosso.

32 Se il ver non scrisse a ponto, ed io lo scuso,
     Ché se ne stette per relazïone.
     Ora uscì quella bestia e col gran muso
     Un forte cavallier trasse de arcione,
     E più di vinti braccia gettò in suso,
     Poi giù cadette a gran destruzïone,
     E morì dissipato in tempo poco;
     Ben vi so dir che gli altri gli dàn loco.

33 Via se ne va la bestia smisurata,
     Né de arestarla alcun par che abbia possa;
     La schiera ha tutta aperta ove è passata,
     A benché de più dardi fu percossa,
     Ma non fu da alcun ponto innaverata;
     Tanto la pelle avea callosa e grossa
     E sì nerbosa e forte di natura,
     Che tiene il colpo come una armatura.

34 Ma già non tenne al taglio di Tranchera,
     Né al braccio di Rugiero in questo caso;
     A piedi ha lui seguita la gran fiera,
     Ché il destrier spaventato era rimaso.
     Tanto ha quello animale orribil ciera
     Per grande orecchia e pel stupendo naso
     E per li denti lunghi oltra misura,
     Che ogni destriero avia di lui paura.

35 Ma, come vidde solo il giovanetto,
     Che lo seguiva a piedi per lo piano,
     Voltando quel mostazzo maledetto,
     Qual gira e piega a guisa de una mano,
     Corsegli adosso, per darli di petto;
     Ma quel furore e lo impeto fu vano,
     Perché Rugier saltò da canto un passo,
     Tirando il brando per le zampe al basso.

36 Dice Turpin che ciascuna era grossa,
     Come ène un busto d’omo a la centura.
     Io non ho prova che chiarir vi possa,
     Perché io non presi alora la misura;
     Ma ben vi dico che de una percossa
     Quella gran bestia cadde alla pianura:
     Come il colpo avisò, gli venne fatto,
     Ché ambe le zampe via tagliò ad un tratto.

37 Come la fiera a terra fu caduta,
     Tutta la gente se gli aduna intorno,
     E ciascun de ferirla ben se aiuta:
     Ma il re Agramante già suonava il corno,
     Perché oramai la sera era venuta,
     E ver la notte se ne andava il giorno.
     Or, come il re nel corno fu sentito,
     Ogniomo intese il gioco esser finito.

38 Onde tornando tutte le brigate
     Se radunarno ove il re se ritrova;
     Tutti avean le sue lancie insanguinate,
     Per dimostrar ciascun che fatto ha prova.
     Le fiere occise non furno lasciate,
     Benché a fatica ciascuna se mova;
     Pur con ingegno e forza tutti quanti
     Furno portati a’ cacciatori avanti.

39 Da poi de cani un numero infinito
     Era menato in quella cacciasone:
     Qual da tigre o pantere era ferito,
     E quale era straziato da leone.
     Come io vi dissi, il giorno era partito,
     Che fo diletto di molte persone,
     Però che ciascadun, come più brama,
     Chi va con questa, e chi con quella dama.

40 Qual de la caccia conta meraviglia,
     E ciascadun fa la sua prova certa;
     E qual de amor con le dame bisbiglia,
     Narrando sua ragion bassa e coperta.
     E così, caminando da sei miglia
     Con gran diletto, gionsero a Biserta,
     Ove parea che ’l celo ardesse a foco,
     Tante lumiere e torze avea quel loco.

41 E dentro entrarno a gran magnificenzia,
     Quasi alla guisa de processïone;
     Omini e donne a tal appariscenzia
     Per la citade stavano al balcone.
     Brandimarte al castel prese licenzia
     Per ritornar di fora al paviglione,
     E benché il re il volesse retenire,
     Per compiacerlo al fine il lasciò gire;

42 E dal nepote il fece accompagnare,
     E da cinque altri. Lì con grande onore
     La sera istessa il fece appresentare
     De più vivande, ciascuna megliore;
     E una sua veste gli fece arrecare,
     Con pietre e perle di molto valore:
     La veste è parte azurra e parte de oro,
     Come il re porta, senza altro lavoro.

43 Poi l’altro giorno, come è loro usanza,
     Una gran festa se ebbe ad ordinare,
     E venne Fiordelisa in quella danza,
     Ché Brandimarte e lei fece invitare.
     Tre son vestiti ad una somiglianza,
     Ché tal divisa altrui non può portare;
     Brandimarte, Agramante con Rugiero
     D’azurro e d’or indosso hanno il quartiero.

44 Standosi in festa ed ecco un tamburino
     Vien giù del catafalco a gran stramaccio.
     Per tutto traboccava quel meschino,
     Ché ogni festuca gli donava impaccio,
     O che la colpa fosse il troppo vino,
     O che di sua natura fosse paccio;
     Ma sopra al tribunal ove è Agramante,
     Pur se conduce e a lui se pone avante.

45 Il re credendo de esso aver diletto,
     Lo recevette con faccia ridente;
     Ma, come quello è gionto al suo cospetto,
     Batte la mano e mostrase dolente,
     E diceva: - Macon sia maledetto,
     E la Fortuna trista e miscredente,
     Qual non riguarda cui faccia segnore,
     Ed obedir conviensi a chi è peggiore!

46 Costui de Africa tutta è incoronato,
     La terza parte del mondo possiede,
     Ed ha cotanto popolo adunato
     Che spaventar la terra e il cel si crede.
     Or ne lo odor de algalia e di moscato
     Tra belle dame il delicato siede,
     Né se cura de guerra, o de altro inciampo,
     Pur che se dica che sua gente è in campo.

47 Non si dièno le imprese avere a ciancia:
     Seguir conviensi, o non le cominciare,
     E fornir con la borsa e con la lancia,
     Ma l’una e l’altra prima mesurare.
     Così faccia Macon che il re de Francia
     Te venga a ritrovar di qua dal mare,
     Ché alor comprenderai poi se la guerra
     Fia meglio in casa, o ver ne l’altrui terra. -

48 Parlando il tamburin, fo presto preso
     Da la guarda del re che intorno stava,
     Né fu però battuto, né ripreso,
     Perché ebriaco ogniomo il iudicava.
     Ma il re Agramante che lo ha ben inteso,
     Gli occhi dolenti alla terra bassava;
     Mormorando tra sé movia la testa,
     E poi crucioso uscì fuor de la festa.

49 Onde la corte fo tutta turbata:
     Langue ogni membro quando il capo dole;
     La real sala in tutto è abandonata,
     Né più se danza, come far se suole.
     Il re la zambra avea dentro serrata:
     Alcun compagno seco non vi vôle;
     Pensando il grande oltraggio che gli è detto,
     Se consumava de ira e de dispetto.

50 Poi, come l’altro giorno fo apparito,
     Fece il consiglio ed adunò suo stato,
     Dicendo come ha fermo e stabilito
     Di fornire il passaggio che è ordinato;
     E poi fa noto a tutti a qual partito
     E da cui serà il regno governato,
     Perché il vecchio Branzardo di Bugea
     Vôl che a Biserta in suo loco si stea,

51 A lui dicendo: - Attendi alla iustizia,
     E ben ti guarda da procuratori
     E iudici e notai, ché han gran tristizia
     E pongono la gente in molti errori.
     Stimato assai è quel che ha più malizia,
     E gli avocati sono anco peggiori,
     Ché voltano le legge a lor parere;
     Da lor ti guarda, e farai tuo dovere.

52 Il re di Fersa, Folvo, anche rimane,
     E Bucifar, il re de la Algazera;
     L’uno al diserto alle terre lontane,
     E l’altro guarda verso la rivera.
     Se forse qualche gente cristïane
     Con caravella, o con fusta ligiera,
     Over gli Aràbi te donino affanno,
     Sia chi soccorra e chi proveda al danno. -

53 Dapoi gli fece consegnar Dudone,
     Che era condotto de Cristianitate,
     Dicendo a lui che lo tenga pregione,
     Sì che tornar non possa in sue contrate;
     Ma poi nel resto il tratti da barone,
     Né altro gli manchi che la libertate.
     Da poscia a Folvo e a Bucifar comanda
     Che a Branzardo obedisca in ogni banda.

54 E perché ciò non sia tenuto vano,
     Per la citate il fece publicare,
     Ed a lui la bacchetta pose in mano,
     La quale è d’oro, e suole esso portare.
     Or se aduna lo esercito inumano:
     Chi potrebbe il tumulto racontare
     De la gente sì strana e sì diversa,
     Che par che ’l celo e il mondo se sumersa?

55 Quando sentirno il passaggio ordinare,
     Chi ne ha diletto, e chi n’avea spavento.
     La gran canaglia se adunava al mare,
     Per aspettar sopra le nave il vento.
     Chi vôle odir l’istoria seguitare,
     Ne l’altro canto lo farò contento,
     E se gran cose ho contato giamai,
     Seguendo le dirò maggiore assai.