Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 5
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CANTO QVINTO
[1]
O ch viuon qeti e ſtanno in pace:
O ſevengono a riſſa: e ſi fan guerra:
Alla femina il maſchio non la face,
l’orſa con l’orſo al boſco ſicura erra:
La Leoneſſa appreſſo il Leon giace:
Col Lupo uiue la Lupa ſicura:
Ne la Iuuenca ha del Torel paura.
[2]
Ch’abomineuol peſte che Megera
E venuta a turbar gli humani petti?
Che ſi ſente il marito e la mogliera
Sempre garrir d’ingiurioſi detti,
Stracciar la faccia: e far liuida e nera:
Bagnar di pianto i geniali letti:
E non di pianto ſol: ma alcuna volta
Di ſangue gli ha bagnati 1* ira ſtolta.
[3]
Parmi no ſol gra mal: ma ch Y mio faccia
Contra natura: e ſia di Dio ribello
Che s’induce a percuotere la faccia
Di bella dona: o romperle vn capello,
Ma chi le da veneno: o chi le caccia
l’alma del corpo con laccio o coltello:
C huomo ſia quel nò crederò in eterno:
Ma I viſta humana vn ſpirto de l’iferno.
[4]
Cotali eſſer doueano i duo ladroni
Che Rinaldo caccio da la donzella,
Da lor condotta in quei ſcuri valloni
Perche non ſé n’udiſſe piū nouella,
10 laſciai ch’ella render le cagioni
S’apparechiaua di ſua ſorte fella
Al Paladin: che le ſu buono amico
Hor ſeguendo l’hiſtoria coſi dico.
[5]
La donna incomincio: tu intenderai
La maggior crudeltade e la piū eſpreffa
Ch’in Thebe o in Argo, o ch’in Micene mai
O I loco piū crudel foſſe comeſſa
E ſé rotando il Sole i chari rai
Qui men ch’ll’altre region s’appreffa:
Credo ch’a noi mal volentieri arriui
Perche veder ſi crudel gente ſchiui.
[6]
Ch’agli nemici gli huomini ſien crudi
In ogni etā ſé n’e veduto eſempio
Ma dar la morte a chi procuri e ſtudi
11 tuo bé femp: e troppo Igiuſto & èpio
E accio che meglio il vero io ti denudi:
Perche coſtor voleſſero far ſcempio
De gli anni verdi miei contra ragione:
Ti diro da principio ogni cagione
[7]
Voglio ch ſappi Signor mio, ch’eſſendo
Tenera anchora, alli ſeruigi venni
De la ſiglia del Re, con cui creſcendo
Buon luogo in corte, & honorato tenni,
Crudele Amore al mio ſtato inuidendo,
Fé che ſeguace (ahi laſſa) gli diuenni
Fé d’ogni cauallier, d’ogni donzello
Parermi il Duca d’Albania piú bello.
[8]
Perch egli moſtro amarmi piú ch molto
Io ad amar lui con tutto il cor mi moſſi
Ben s’ ode il ragionar, ſi vede il volto:
Ma dentro il petto mal giudicar poſſi,
Credendo, amando, no cenai, che tolto
l’hebbi nel letto, e nò guardai ch’io ſoſſi
Di tutte le real camere in quella
Che piú ſecreta hauea Gineura bella.
[9]
Doue tenea le ſue coſe piú care:
E doue le piú volte ella dormia,
Si può di quella in s’ un verrone entrare
Clie ſuor del muro al diſcoperto vſcia,
Io facea il mio amator quiui montare
E la ſcala di corde, onde ſalia,
10 ſteffa dal verron giú gli mandai
Qual volta meco hauer lo deſiai.
[10]
Che tante volte ve lo fei venire
Quanto Gineura me ne diede l’agio
Che ſolea mutar letto, hor per ſuggire
11 tépo ardete, hor il brumai maluagio
Non ſu veduto d’alcun mai ſaliro:
Perho che quella parte del palagio
Riſponde verſo alcune caſe rotte
Doue neſſun mai paſſa o giorno o notte
[11]
Continuo per molti giorni e meſi
Tra noi ſecreto l’amorofo gioco,
Sempre crebbe l’amore, e ſi m’acceſi
Che tutta dentro io mi ſentia di ſoco,
E cieca ne ſui ſi, ch’io non compreſi
Ch’ egli ſingeua molto e amaua poco,
Anchor che li fuo’ inganni diſcoperti
Eſſer doueami a mille ſegni certi,
[12]
Dopo alcun di: ſi moſtro nuouo amante
De la bella Gineura, io non ſo appunto
S’ allhora cominciaſſe, o pur inante
De l’amor mio, n’haueſſe il cor giá púto
Vedi s, in me venuto era arrogante:
S’imperio nel mio cor s’haueua aſſunto,
Che mi ſcoperſe, e non hebbe roffore
Chiedermi aiuto in qsto nuouo amore.
[13]
Ben mi dicea ch’uguale al mio non era
Ne vero amor, ql ch’egli hauea a cortei
Ma ſimulando eſſerne acceſo, ſpera
Celebrarne i legitimi hymenei,
Dal Re ottenerla ſia coſa leggiera,
Qual’hor vi ſia la volontá di lei,
Che di ſangue e di ſtato i tutto il regno
No era dopo il Re di lu’ il piú degno.
[14]
Mi perſuade ſé per opra mia
Poteſſe al ſuo Signor genero farſi,
;Che veder poſſo che ſé n’alzeria
A quáto pſſo al Re poſſa huo alzarli)
Che me n’hauria bon merto, e non faria
Mai tanto beneſicio per ſcordarſi:
E ch’alia moglie e ch’ad ognaltro inate
Mi porrebbe egli in ſemp eſſermi amate
[15]
Io ch’era tutta a ſatisfargli intenta
Ne ſeppi o volſi contradirgli mai:
E ſol quei giorni io mi vidi contenta
C’hauerlo compiaciuto mi trouai:
Piglio l’occaſion che s’ appreſenta
Di parlar d’effo, edi lodarlo assai,
Et ogni induſtria adopro ogni fatica:
Per far del mio amator Gineura amica.
[16]
Feci col core e con l’effetto tutto
Quel che far ſi poteua, e fallo Idio,
Ne con Gineura mai potei far ſrutto
Ch’ io le poneſſi in gratia il Duca mio,
E qſto che ad amar ella hauea indutto,
Tutto il penſiero, e tutto il ſuo diſio:
Vn gentil cauallier bello e corteſe,
Venuto in Scotia di lontan paeſe.
[17]
Che con vn ſuo ſratel ben giouinetto
Venne d’ Italia a ſtare in queſta corte,
Si ſé ne l’arme poi tanto perfetto,
Che la Bretagna non hauea il piú ſorte,
Il Re l’amaua: e ne moſtro l’effetto
Che gli dono di non picciola ſorte
Caſtella: e ville: e iuriditioni:
Et lo ſé grande al par de i gran baroni.
[18]
Grato era al Re: piú grato era alla ſiglia
Quel cauallier chiamato Ariodante:
Per eſſer valoroſo a marauiglia:
Ma piú ch’ella ſapea che l’era amante,
Ne Veſuuio: ne il monte di Siciglia:
Ne Troia auampo mai di ſiamme tante:
Quante ella conoſcea che p ſuo amore
Ariodante ardea per tutto il core.
[19]
l’amar che dunque ella facea colui
Con cor ſincero: e con perfetta Fede:
Fé che pel Duca male udita ſui:
Ne mai riſpoſta da ſperar mi diede,
Anzi quanto io pregaua piú per lui,
E gli ſtudiaua d’ impetrar mercede:
Ella biaſmandol ſempre e diſpregiado
Se gli venia piú ſempre inimicando.
[20]
Io confortai l’amator mio ſouente
Che voleſſe laſciar la vana impreſa:
Ne ſi ſperaffe mai volger la mente
Di coſtei: troppo ad altro amore inteſa
E gli feci conoſcer chiaramente
Come era ſi d’ Ariodante acceſa:
Che quata acq e nel mar piccola drama
No ſpegneria de la ſua immenſa ſiama.
[21]
Queſto da me piú volte Polineſſo
(Ch coſi nome ha il Duca) hauédo vdito
E ben compreſo e viſto per ſé ſteffo
Che molto male era il ſuo amor gradito
Non pur di tanto amor ſi ſu rimeſſo:
Ma di vederli vn’ altro preferito:
Come ſuperbo, coſi mal foſſerſe
Che tutto in ira e in odio ſi conuerſe.
[22]
E tra Gineura e l’amator ſuo penſa
Tanta diſcordia: e tanta lite porre:
E farai inimicitia coſi intenſa
Che mai piú non ſi poſſino comporre,
E por Gineura in ignominia immenſa
Donde nò s’ habbia, o viua, o morta a torre
Ne del’iniquo ſuo diſegno meco
Volſe, o con altri ragionar che ſeco.
[23]
Fatto il penſier: Dalinda mia mi dice
(Che coſi ſon nomata) ſaper dei
Che come ſuol tornar da la radice
Arbor che tronchi e quattro volte e fei
Coſi la pertinacia mia inſelice
Benché ſia tronca da i ſucceſſi rei:
Di germogliar non reſta: che venire
Pur vorria a ſin di queſto ſuo deſire.
[24]
E non lo bramo tanto per diletto:
Quato perche vorrei vincer la pruoua
E non poſſendo farlo con effetto
S’ io lo ſo imaginado ancho mi giuoua,
Voglio qual’uolta tu mi dai ricetto
Quando allhora Gineura ſi ritruoua
Nuda nel letto: che pigli ogni veſta
Ch’ ella poſta habbia: e tutta te neveſta.
[25]
Come ella s’ orna: e come il crin diſpone
Studia imitarla, e cerca il piú che fai
Di parer deſſa: e poi fopra il Verrone
A mandar giú la ſcala ne verrai:
Io verro a te con imaginatione
Che quella ſii: di cui tu i panni haurai:
E coſi ſpero me ſteffo ingannando
Venir in breue il mio deſir ſciemando.
[26]
Coſi diſſe egli: io che diuiſa e ſcura
E lungi era da me: non poſi monto
Che queſto in che pregado egli pfeura
Era vna ſraude pur troppo euidente,
E dal Verron coi panni di Gineura
Mandai la ſcala: onde ſali ſouente:
Et non m’accorti prima de l’inganno
Che n’era giá tutto accaduto il danno.
[27]
Fatto in quel tempo con Ariodante
Il Duca hauea queſte parole, o tali:
Che grandi amici orano ſtati inante
Che per Gineura ſi feffon riuali,
Mi marauiglio (icomício il mio amate)
C’hauendoti io ſra tutti li mie’ uguali
Sempre hauuto í riſpetto, e ſemp amato
Ch’ io ſia da te ſi mal rimunerato.
[28]
Io ſon ben certo che comprendi e fai
Di Gineura e di me l’antiquo amore,
E por ſpofa legitima hoggimai
Per impetrarla ſon dal mio Signore,
Perche mi turbi tu ? perche pur vai
Senza ſrutto in cortei ponendo il core?
Io ben a te riſpetto haurei per Dio
S’ io nel tuo grado ſoſſi e tu nel mio.
[29]
Et io (riſpoſe Ariodante a lui)
Pi te mi marauiglio maggiormente,
Che di lei prima inamorato ſui
Che tu l’haueffi viſta ſolamente,
E ſo che fai quanto e l’amor tra nui:
Ch’ eſſer no può, di ql che ſia piú ardete
Et ſol d’effermi moglie intéde e brama
Et ſo che certo fai ch’ella no t’ama
[30]
Perche no hai tu dunq? a me il riſpetto
Per l’amicitia noſtra? che domande
Ch’ ate hauer debba? e ch’io t’ haure’ I effetto
Se tu ſoſſi co lei di me piú grade?
Ne men di te p moglie hauerla aſpetto:
Se ben tu fei piú ricco in queſte bande:
Io no ſon meno al Re che tu ſia grato:
Ma piú di te da la ſua ſiglia amato.
[31]
O (ditte il Duca a lui) grande e coteſto
Errore: a che t’ ha il ſolle Amor códutto
Tu credi eſſer piú amato, io credo qſto
Medeſmo, ma ſi può vedere al ſrutto,
Tu fammi ciò e’ hai ſeco manifeſto:
Et io il ſecreto mio t’ aprirò tutto
E ql di noi che maco hauer ſi veggia
Ceda a chi vince, e d’altro ſi pueggia.
[32]
E faro pronto ſé tu vuoi ch’io giuri
Di non dir coſa mai che mi riueli
Coſi voglio ch’anchor tu m’aſſicuri
Che quel ch’io ti diro ſempre mi celi:
Venner dunque d’ accordo alli ſcògiuri
E poſero le man ſu gli Euangeli,
E poi che di tacer fede ſi diero,
Ariodante incomincio primiero.
[33]
E diſſe per lo giuſto e per lo dritto
Cóe tra ſé e Gineura era la coſa:
Ch’ ella gli hauea giurato e a bocca, e in ſcritto
Che mai no faria ad altri ch’allui ſpofa,
E ſé dal Re le venia contraditto,
Gli promettea di ſempre eſſer ritroſa
Da tutti gli altri maritaggi poi,
E viuer ſola in tutti i giorni ſuoi.
[34]
E ch’eſſo era in ſperanza pel valore
C hauea moſtrato I arme a piú d’ u ſegno
Et era per moſtrare a laude, a honore:
A beneſicio del Re: e del ſuo regno,
Di creſcer tato in gratia al ſuo Signore,
Che farebbe da lui ſtimato degno
Che la ſigliuola ſua p moglie haueſſe,
Poi che piacer a lei coſi, intendeſſe.
[35]
Poi diſſe a queſto termine fon’ io,
Ne credo giá ch’alcun mi vèga appſſo,
Ne cerco piú di queſto: ne delio
De l’amor d’ eſſa hauer ſegno piú eſpffo
Ne piú vorrei: ſé non quanto da Dio
Per connubio legitimo e conceſſo
E faria in vano il domandar piú inanzi
Che di bota ſo come ogn’ altra auanzi.
[36]
Poi e’ hebbe il vero Ariodante eſpoſto
De la merce ch’aſpetta a ſua fatica,
Polineſſo che giá s’ hauea propoſto
Di far Gineura al ſuo amator nemica:
Comincio, fei da me molto difeoſto,
E vo che di tua bocca ancho tu ’l dica,
E del mio ben veduta la radice
Che confeffi me ſolo eſſer felice.
[37]
Finge ella teco ne t’ ama ne prezza
Che ti paſce di ſpeme e di parole,
Oltra qſto il tuo amor ſemp a ſciochezza
Quado meco ragiona, iputar ſuole
Io ben d’ eſſerle caro altra certezza
Veduta n’ ho che di promeſſe e ſole:
E tei’ diro ſotto la ſé in ſecreto
Bè che farei piú il debito a ſtar cheto.
[38]
Non paſſa meſe che tre: quattro: e fei:
E tal’hor diece notti: io non mi truoui
Nudo, abbracciato in quel piacer co lei
Ch’ all’amoroſo ardor par che ſi gioui,
Si che tu puoi veder s’ a piacer miei
Son d’aguagliar le ciance ch tu pruoui,
Cedimi dunque, e d’ altro ti prouedi
Poi che ſi inſerior di me ti vedi.
[39]
Non ti vo creder queſto (gli riſpofe
Ariodante) e certo ſo che menti:
E comporto ſra te t’ hai queſte coſe,
Accio che da l’imprefa io mi [pallenti:
Ma perche a lei ſon troppo ingiurioſe,
Qneſto e’ hai detto foſtener conuienti:
Che no bugiardo ſol, mavoglio achora
Che tu fei traditor, moſtrarti hor hora.
[40]
Suggiuſe il Duca: non farebbe honeſto
Che noi voleſſen la battaglia torre
Di quel che t’offerifeo manifeſto,
Quado ti piaccia: inSzi a glíocchi porre
Reſta ſmarrito Ariodante a queſto,
E per l’oſſavn tremor ſreddo gli ſcorre,
E ſé creduto ben gli haueſſe a pieno,
Venia ſua vita allhora allhora meno.
[41]
Con cor trafitto, e con pallida faccia:
E con voce tremante, e bocca amara:
Riſpofe, quando ſia che tu mi faccia
Veder queſta auentura tua ſi rara,
Prometto di coſtei laſciar la traccia:
A te ſi liberale: a me ſi auara,
Ma ch’io tei voglia creder nò far (lima
S’ io non lo veggio co qſti occhi prima.
[42]
Quando ne fará il tempo auiſarotti
Suggiunſe Polineſſo, e dipartiſſe,
Non credo che paſſar piú di due notti
Ch’ordine ſu che ’l Duca a me veniſſe,
Per ſcoccar dunque i lacci che cOdotti
Hauea ſi cheti: andò al riuale e diſſe,
Che s’afeondeſſe la notte ſeguente
Tra quelle caſe oue non ſta mai gente.
[43]
E dimoſtrogli vn luogo a dirimpetto
Di quel Verrone, oue ſolea ſalire,
Ariodante hauea preſo ſoſpetto
Che lo cercaſſe far quiui venire,
Come in vn luogo doue haueſſe eletto
Pi por gli aguati, e faruelo morire,
Sotto queſta ſintion ch vuol inoltrargli
Quel di Gineura ch’impoſſibil pargli.
[44]
Di volerui venir preſe partito.
Mi in guiſa che di lui non ſia men ſorte.
Perche accadendo che foſſe aſſalito,
-Si truoui ſi, che non tema di morte,
Yn ſuo fratello hauea faggio & ardito,
Il piú famoſo in arme de la corte:
Detto l.urcanio: e hauea piú cor co eſſo
ih li dieci altri haueſſe hauuto appſſo
[45]
Seco chiamollo: e volſe che prendeſſe
L’arme, e la notte lo meno con lui,
Non che ’l ſecreto ſuo giá gli diceſſe,
N< l’hauria detto ad eſſo ne ad altrui.
Da ſé lótano vn trar di pietra il meſſe
Se mi lenti chiamar, vien (diſſe) a imi
Ma ſé non Centi prima ch’io ti chiami,
Non ti partir di qui ſrate ſé m’ami.
[46]
V.i pur non dubitar (diſſe il fratello)
E coſi venne Ariodante cheto,
El ſi celo nel ſolitario hoſtello,
Ch’era d’incòtro al mio Veron ſecreto,
Vien d’altra parte il ſraudolente e fello,
Che d’infamar Gineura era ſi lieto,
E fa il ſegno, tra noi ſolito inante,
A me che de l’inganno era ignorante.
[47]
Et io con veſte candida, e ſregiata
Per mezo a liſte d’oro, e d’ognintorno,
E con rete pur d’ or, tutta adombrata
Di bei ſiocchi vermigli al capo intorno,
Foggia che ſol ſu da Gineura vſata:
Non d’alcuna’ltra, vdito il ſegno torno
Sopra il verron, ch’in modo era locato
Che mi ſcopria dinanzi, e d’ogni lato.
[48]
Lurcanio in queſto mezo dubitando.
Che ’l fratello a pericolo non vada:
O come e pur comun diſio: cercando
Di ſpiar ſempre ciò che ad altri accada,
l’era pian pian venuto ſeguitando,
Tenèdo l’ombre, e la piú oſcura ſtrada:
E a men di dieci paſſi a lui diſcoſto,
Nel medeſimo hoſtel s’ era ripoſto.
[49]
No ſappiendo io di queſto coſa alcuna
Venni al verron nel’habito e’ ho detto,
Si come giá venuta era piú d’una
Et piú di due ſiate a buono effetto,
Le veſte ſi vedean chiare alla Luna,
Ne diſſimile eſſendo anch’io d’aſpetto
Ne di perſona da Gineura molto,
Fece parere vn pervn’ altro il volto.
[50]
E tanto piú, ch’era gran ſpatio in mezo
Fra doue io veni: e quelle inculte caſe:
Ai dui ſratelli, che ſtauano al rezo
Il Duca ageuolmente perſuaſe
Quel ch’era falſo, hor pèſa I ch ribrezo
Ariodante in che dolor rimaſe,
Vien Polineſſo e alla ſcala s’appoggia
Che giú madagli, e mòta I ſu la loggia.
[51]
A prima giunta io gli getto le braccia
Al collo, ch’io non penſo eſſer veduta,
Lo bacio in bocca, e per tutta la faccia:
Come far ſoglio ad ogni ſua venuta,
Egli piú de l’uſato ſi procaccia
D’accarezzarmi, e la ſua ſraude aiuta,
Queir altro al rio ſpettacolo condutto
Mifero ſta lontano, e vede il tutto.
[52]
Cade in tanto dolor, che ſi diſpone
Allhora allhora di voler morire:
Eil pome de la ſpada in terra pone,
Che ſu la punta ſi volea ferire,
Lurcanio, che co gráde ammiratione
Hauea veduto il Duca a me ſalire:
Ma non giá conoſciuto chi ſi foſſe,
Scorgendo l’atto del ſratel: ſi moſſe.
[53]
E gli vieto, che con la propria mano
Non ſi paſſaſſe in quel furore il petto,
S’ era piú tardo, o poco piú lontano,
No giugnea a tepo, e non faceua effetto,
Ah miſero ſratel, fratello inſano
(Grido) pere’ hai perduto l’intelletto ?
Ch’ una femina a morte trar ti debbia
Ch’ir poſſan tutte come al vèto nebbia.
[54]
Cerca far morir lei: che morir merta,
E ſerua a piú tuo honor tu la tua morte:
Fu d’amar lei, quando non t’era aperta
La ſraude ſua, hor’ e da odiar ben ſorte:
Poi che con gliocchi tuoi tu vedi certa
Quanto ſia meretrice, e di che ſorte,
Serba queſt’ arme che volti in te ſteffo
A far dinanzi al Re tal fallo eſpreffo.
[55]
Quando ſi vede Ariodante giunto
Sopra il ſratel, la dura impreſa laſcia,
Ma la ſua intention, da quel ch’affante
Hauea giá di morir, poco s’ accafeia:
Quindi ſi lieua, e porta nò che punto,
Ma trapaſſato il cor d’ eſtrema abaſcia,
Pur fínge col ſratel, che quel furore
Nò habbia piú ch diazi hauea nel core.
[56]
Il ſeguente matin ſenza far motto
Al ſuo fratello o ad altri, in via ſi meſſe,
Da la mortai diſperation condotto:
Ne di lui per piú di, ſu chi ſapeſſe
Fuor che ’l duca, e il fratello ogn’ altro indotto
Era chi moſſo al diptir l’haueſſe,
Ne la caſa del Re di lui diuerſi
Ragionamenti: e in tutta Scotia ferfi.
[57]
In capo d’otto, o di piú giorni, in corte
Venne inanzi a Gineura vn viandante,
E nouelle arreco di mala ſorte,
Che s’ era in mar ſummerſo Ariodante:
Di volontaria ſua libera morte,
Non per colpa di Borea, o di Leuante,
D’u ſaſſo ch ſui mar ſporgea molt’ alto
Hauea col capo in giú pſo vn gra ſalto.
[58]
(Colui dicea) pria che veniſſe a qſto,
A me, che a caſo riſcontro per via,
Diſſe vieti meco, accio che manifeſto
Per te a Gineura il mio ſucceſſo ſia,
E dille poi, che la cagion del reſto
Che tu vedrai di me, e’ hor hora ſia.
E ſtato ſol pere’ ho troppo veduto,
Felice ſé ſenza occhi io ſoſſi ſuto.
[59]
Erano a caſo fopra Capobaſſo,
Che verſo Irlada alquáto ſporge i mare
Coſi dicendo di cima d’ un ſaſſo
Lo vidi a capo in giú fott’ acqua andare.
Io lo laſciai nel mare, & a gran paſſo
Ti ſon venuto la nuoua a portare,
Gineura ſbigottita, e in viſo ſmorta
Rimaſe a quello annuntio meza morta.
[60]
O Dio che diſſe e fece, poi che ſola
Si ritrouo nel ſuo ſidato letto,
Percoſſe il ſeno, e ſi ſtraccio la ſtola:
E fece all’aureo crin danno e diſpetto,
Ripetendo ſouente la parola
Ch’ Ariodante hauea in eſtremo detto,
Ch la cagió del ſuo caſo empio e triſto,
Tutta venia per hauer troppo viſto.
[61]
Il rumor ſcorſe di coſtui per tutto,
Che per dolor s’ hauea dato la morte,
Di queſto il Re nò tene il viſo aſciutto,
Ne cauallicr, ne donna de la corte,
Di tutti il ſuo ſratel moſtro piú lutto,
Et ſi ſommerſe nel dolor ſi ſorte,
Ch’ad eflempio di lui, contra ſé ſteffo,
Volto quaſi la man, per irgli appreſſo.
[62]
E molte volte ripetendo ſeco,
Che ſu Gineura che ’l ſratel gli eſtinfe
E che non ſu ſé non quell’atto bieco
Che di lei vide ch’a morir lo ſpinfe,
Di voler vendicarſene, ſi cieco
Venne, e ſi l’ira e ſi il dolor lo vinſc
Che dí perder la gratia vilipeſe
Et hauer l’odio del Re e del paeſe.
[63]
E inanzi al Re, quando era piú di gente
•La ſala piena, ſé ne venne e diſſe
Sappi Signor che di leuar la mente
Al mio ſratel, ſi ch’a morir ne giſſe:
Stata e la ſiglia tua ſola nocente:
Ch’alui tanto dolor l’alma traffiſſe
D’ hauer veduta lei poco pudica:
Che piú ch vita: hebbe la morte amica.
[64]
Erane amante, e perche le ſue voglie
Diſhoneſte non ſur, noi vo coprire,
Per virtú meritarla hauer per moglie
Da te ſperaua, e per fedel ſeruire,
Ma mentre il laſſo ad odorar le ſoglie
Staua lontano, altrui vide ſalire
Salir fui’ arbor riſerbato, e tutto,
Eſſergli tolto il diſiato ſrutto.
[65]
E ſeguito come egli hauea veduto
Venir Gineura ſui verrone, e come
Mando la ſcala, onde era a lei venuto
Vn drudo ſuo, di chi egli no fa il nome,
Che s’ hauea (per non eſſer conoſciuto)
Cambiati i panni, e naſcoſe le chiome,
Suggiunſe che con l’arme, egli volea
Prouar tutto eſſer ver, ciò che dicea.
[66]
Tu puoi penſar ſé ’l padre addolorato
Riman, quando accuſar ſente la ſiglia
Si perche ode di lei quel che penſato
Mai nò haurebbe, e n’ha gra marauiglia
Si perche fa che ſia neceſſitato,
Se la difeſa alcun guerrier non piglia:
Il qual Lurcanio poſſa far mentire:
Di condannarla, e di farla morire.
[67]
10 non credo Signor che ti ſia nuoua
La legge noſtra, che condanna a morte
Ogni donna, e donzella, che ſi pruoua
Di ſé far copia altrui ch’ai ſuo cóſorte,
Morta ne vien, s’ in vn meſe non truoua
In ſua difeſa vn cauallier ſi ſorte
Che contra il falſo accufator foſtegna
Che ſia innocente, e di morire indegna.
[68]
Ha fatto il Re bandir, per liberarla
(Ch pur gli par ch’a torto ſia accuſata)
Che vuol p moglie: e co grá dote darla
A chi torra l’inſamia che V e data,
Chi p JepTcòpariſca non ſi parla
Guerriero áchora, azi l’un l’altro guata,
Che quel Lurcanio in arme e coſi fiero,
Che par che di lui tema ogni guerriero.
[69]
Atteſo ha l’empia ſorte che Zerbino
Fratel di lei: nel regno non ſi truoue,
Che va giá molti meſi peregrino
Moſtrádo di ſé in arme inelyte pruoue,
Che quando ſi trouaſſe piú vicino
Quel cauallier gagliardo: o 1 luogo doue
Poteſſe hauere a tempo la nouella,
Non mancheria d’ aiuto alla ſorella.
[70]
11 Re ch’in tanto cerca di ſapere
Per altra pruoua, che p arme anchora
Se ſono queſte accuſe o falſe, o vere,
Se dritto o torto e che ſua ſiglia mora,
Ha fatto prender certe cameriere
Che lo dourian ſaper, ſé vero ſora,
Ond’io preuidi che ſé preſa era io
Troppo periglio era del Duca e mio.
[71]
E la notte medeſima mi tradí
Fuor de la corte, e al Duca mi conduſſi,
E gli feci veder quanto importaſſi
Al capo d’amendua, ſé preſa io ſuſſi,
Lodommi, e diſſe, ch’io non dubitaſſi,
A ſuoi conſorti poi venir m’induffi
Ad vna ſua ſortezza: ch’e qui pretto
In cópagnia di dui: che mi diede elfo.
[72]
Hai ſentito Signor: co quanti effetti:
De l’amor mio fei Polineſſo certo,
E s’ era debitor: per tai riſpetti
1>’ liauermi cara o no, tu ’l vedi aperto,
Hor ſenti il guidardon che io riceuetti,
Vedi la gra merce del mio gran merlo:
Vedi ſé deue per amare assai
Donna ſperar d’eſſere amata mai.
[73]
Che queſto ingrato perfido e crudele
De la mia fede ha preſo dubbio al ſine,
Venuto e in foſpition ch’io non riuele
Al lungo andar: le ſraudi ſue volpine,
Ha ſinto, accio che m’allontane e cele:
Fin che l’ira, e il furor del Re decline:
Voler mandarmi ad vii ſuo luogo ſurie:
E mi volea mandar dritto alla morte.
[74]
Che di ſecreto ha cómeſſo alla guida
Ctí come m’abbia i queſte ſelue tratta,
Per degno premio di mia ſé m’uccida,
Coſi l’intention gli venia fatta
Se tu non eri appretto alle mia grida.
Ve come Amor be chi lui ſegue tratta,
Coſi narro Dalinda al paladino
Seguendo tutta volta il lor camino,
[75]
A cui ſu fopra ogn’auetura gratia
Queſta d’ hauer trouata la donzella,
Che gli hauea tutta l’hiſtoria narrata
De l’innocentia di Gineura bella,
E ſé ſperata hauea (quando accuſata
Ancbor ſotte a ragion) d’aiutar quella:
Co via maggior baldaza, horviene in pua
Poi che euidéte la calúnia truoua.
[76]
E verſo la citta di ſanto Andrea
Doue era il Re: con tutta la famiglia:
E la battaglia ſingular douea
Etter de la querela de la ſiglia:
Ando Rinaldo, quanto andar potea:
Fin che vicino giunſe a poche miglia
Alla Citta vicino giunſe, doue
Trouo vn feudier e’ hauea piú freſche
[77]
Ch’ini eaualliere iſtrano era venuto:
Ch’a difender Gineura s’ hauea tolto,
Con non vſate inſegne, e ſconoſciuto:
Perho che ſempre aſcoſo adaua molto,
E che dopo che v’era, anchor veduto
NO gli hauea alcúo al diſcopto ilvolto:
E che ’l proprio feudier che gli feraia
Dicea giurando: io non ſo dir chi ſia.
[78]
Non caualcarO molto! ch’alle mura
Si trouar de la terra, e in ſu la porta,
Dalinda andar piú ínanzi banca paura,
Pur va, poi che Rinaldo la conforta:
La porta e chiuſa, & a chi n’ hauea cura
Rinaldo domando: quo ch’importa?
E fugli detto: perche ’I popul tutto
A veder la battaglia era ridutto.
[79]
Che tra Lurcanio e vn cauallier’ iſtrano
Si fa ne l’altro capo de la terra,
Oue era vn prato ſpatiofo e piano
E che giá cominciata hanno la guerra,
Aperto ſu al Signor di Montealbano
E toſto il Portinar dietro gli ferra.
Per la vota citta Rinaldo paſſa,
Ma la Dózella al primo albergo laſſa.
[80]
Et dice che ſicura iui ſi ſtia
Fin che ritorni allei, che fará toſto,
E verſo il campo poi ratto s’ inuia,
Doue li dui guerrier- dato e riſpoſto
Molto s’ haueano, e dauan tutta via,
Staua Lurcanio di mal cor diſpoſto
Contra Gineura: e l’altro in ſua difeſa
Ben foſtenea la fauorita impreſa.
[81]
Sei cauallier con lor ne lo ſteccato
Erano a piedi, armati di corazza,
Col Duca d’ Albania, ch’era montato
S’ un poſſente corſier di buona razza,
Come a Gran conteſtabile: a lui dato
La guardia ſu del capo, e de la piazza
E di veder Gineura in gran periglio
Hauea il cor lieto, & orgogliofoil ciglio
[82]
Rinaldo ſé ne va tra gente e gente
Faſſi far largo il buon deſtrier Baiardo,
Chi la tempeſta del ſuo venir ſente
A dargli via non par zoppo ne tardo,
Rinaldo vi compar fopra eminente:
E bè raſſembra il fior d’ ogni gagliardo,
Poi ſi ferma all’incotro oue il Re ſiede:
Ognun s’accoſta per vdir che chiede.
[83]
Rinaldo diſſe al Re: magno Signore
Non laſciar la battaglia piú ſeguire,
Perche di queſti dua qualunche more:
Sappi ch’a torto: tu ’l laſci morire,
l’un crede hauer ragione, & e in errore,
E dice il falſo, e non fa di mentire,
Ma qlmedeſmo error: che ’l ſuo germao
A morir traſſe, a lui pon l’arme in mano.
[84]
L’altro non fa: ſé s’ habbia dritto o torto,
Ma ſol per gentilezza e per bontade
In peri col ſi e poſto d’ eſſer morto
Per non laſciar morir tanta beltade,
Io la ſalute all’innocentia porto,
Porto il contrario a chiuſa falſitade,
Ma per Dio queſta pugna prima parti
Poi mi da audièza, a ql ch’iovo narrarti
[85]
Fu da l’authorita d’ un huom ſi degno
Come Rinaldo gli parea al ſembiante:
Si moſſo il Re, che diſſe e fece ſegno
Che non andaſſe piú la pugna inante,
Al quale iſieme, & ai baro del regno,
E a i cauallieri, e all’altre turbe tante:
Rinaldo ſé l’inganno tutto eſpreffo
C hauea ordito a Gineura Polineſſo.
[86]
Indi s’ oſſerſe di voler prouare
Coli’ arme, ch’eraver ql e’ hauea detto,
Chiamaſi Polineſſo: & ei compare:
Ma tutto conturbato nel’aſpetto,
Pur con audacia comincio a negare,
Diſſe Rinaldo hor noivedrem l’effetto,
L’uno e l’altro era armato, il campo fatto
Siche ſenza indugiar vengono al fatto.
[87]
O cgto ha il Re, (ſtto ha il ſuo popul caro
Ch Gineura aprouar s’habbi ínocéte
Tutti ha ſperaza che Dio moſtri chiaro
Ch’impudica era detta ingiuſtamente,
Crudel: ſuperbo: e riputato auaro
Fu Polineſſo: iniquo, e ſraudolente:
Si che ad alcun miracolo non ſia,
Che l’inganno da lui, tramato ſia.
[88]
Sta Polineſſo con la faccia meſta,
Col cor tremante: e con pallida guancia
E al terzo ſuon mette la lancia in reſta,
Coſi Rinaldo inuerſo lui ſi lancia,
Che diſioſo di ſinir la feſta,
Mira a pattargli il petto con la lancia,
Ne diſcorde al diſir ſegui l’effetto,
Che meza l’haſta gli caccio nel petto.
[89]
Fiſſo nel tronco lo tranſporta in terra
Lóta dal ſuo deſtrier piū di fei braccia.
Rinaldo ſmonta ſubito, e gli afferra
L’elmo, pria che ſi lieui, e gli lo ſlaccia,
Ma ql che nò può far piū troppa guerra
Gli domanda merce con humil faccia,
E gli confetta vdendo il Re e la corte
La ſraude ſua, che l’ha 9dutto a morte.
[90]
Non ſini il tutto: e in mezo la parola
E la voce, e la vita l’abandona,
11 Re, che liberata la r%liuola
Vede da morte, e da fama non buona,
Piū s’allegra, gioiſce: e raconſola:
Che s’hauendo perduta la corona
Ripor ſé la vedeſſe allhora allhora:
Si che Rinaldo vnicamente honora.
[91]
Et poi ch’ai trar de l’elmo conoſciuto
L’hebbe, pch’altre volte l’hauea viſto.
Leuo le mani a Dio, che d’un’aiuto
Come era quel: gli hauea ſi bé prouiſto.
Quell’altro cauallier che ſconoſciuto
Soccorſo hauea Gineura al caſo triſto:
Et armato per lei s’era condutto,
Stato da parte era a vedere il tutto.
[92]
Dal Re pregato ſu, di dire il nome,
O di laſciarfi al men veder ſcoperto,
Accio da lui foſſe premiato: come
Di ſua buona itètion, chiedeuail merto,
Quel dopo lughi preghi: da le chiome
Si leuo l’elmo: e ſé paleſe e certo
Quel che ne l’altro cato ho da ſeguire
Se grata vi farā l’hiſtoria vdire.