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O (ditte il Duca a lui) grande e coteſto
Errore: a che t’ ha il ſolle Amor códutto
Tu credi eſſer piú amato, io credo qſto
Medeſmo, ma ſi può vedere al ſrutto,
Tu fammi ciò e’ hai ſeco manifeſto:
Et io il ſecreto mio t’ aprirò tutto
E ql di noi che maco hauer ſi veggia
Ceda a chi vince, e d’altro ſi pueggia.
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E faro pronto ſé tu vuoi ch’io giuri
Di non dir coſa mai che mi riueli
Coſi voglio ch’anchor tu m’aſſicuri
Che quel ch’io ti diro ſempre mi celi:
Venner dunque d’ accordo alli ſcògiuri
E poſero le man ſu gli Euangeli,
E poi che di tacer fede ſi diero,
Ariodante incomincio primiero.
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E diſſe per lo giuſto e per lo dritto
Cóe tra ſé e Gineura era la coſa:
Ch’ ella gli hauea giurato e a bocca, e in ſcritto
Che mai no faria ad altri ch’allui ſpofa,
E ſé dal Re le venia contraditto,
Gli promettea di ſempre eſſer ritroſa
Da tutti gli altri maritaggi poi,
E viuer ſola in tutti i giorni ſuoi.
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E ch’eſſo era in ſperanza pel valore
C hauea moſtrato I arme a piú d’ u ſegno
Et era per moſtrare a laude, a honore:
A beneſicio del Re: e del ſuo regno,
Di creſcer tato in gratia al ſuo Signore,
Che farebbe da lui ſtimato degno
Che la ſigliuola ſua p moglie haueſſe,
Poi che piacer a lei coſi, intendeſſe.
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Poi diſſe a queſto termine fon’ io,
Ne credo giá ch’alcun mi vèga appſſo,
Ne cerco piú di queſto: ne delio
De l’amor d’ eſſa hauer ſegno piú eſpffo
Ne piú vorrei: ſé non quanto da Dio
Per connubio legitimo e conceſſo
E faria in vano il domandar piú inanzi
Che di bota ſo come ogn’ altra auanzi.
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Poi e’ hebbe il vero Ariodante eſpoſto
De la merce ch’aſpetta a ſua fatica,
Polineſſo che giá s’ hauea propoſto
Di far Gineura al ſuo amator nemica:
Comincio, fei da me molto difeoſto,
E vo che di tua bocca ancho tu ’l dica,
E del mio ben veduta la radice
Che confeffi me ſolo eſſer felice.
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Finge ella teco ne t’ ama ne prezza
Che ti paſce di ſpeme e di parole,
Oltra qſto il tuo amor ſemp a ſciochezza
Quado meco ragiona, iputar ſuole
Io ben d’ eſſerle caro altra certezza
Veduta n’ ho che di promeſſe e ſole:
E tei’ diro ſotto la ſé in ſecreto
Bè che farei piú il debito a ſtar cheto.
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Non paſſa meſe che tre: quattro: e fei:
E tal’hor diece notti: io non mi truoui
Nudo, abbracciato in quel piacer co lei
Ch’ all’amoroſo ardor par che ſi gioui,
Si che tu puoi veder s’ a piacer miei
Son d’aguagliar le ciance ch tu pruoui,
Cedimi dunque, e d’ altro ti prouedi
Poi che ſi inſerior di me ti vedi.