Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 37

Canto 37

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Canto 36 Canto 38

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CANTO XXXVII



[1]

S
E come in acquiſtar qualch’altro dono

     Che ſenza induſtria no può dare Natura,
     Affaticate notte e di ſi ſono
     Con ſomma diligentia e lunga cura
     Le valoroſe donne, e ſé con buono
     Succeſſo, n’e vſcit’opra non oſcura,
     Coſi ſi ſoſſon poſte a quelli ſtudi
     Ch’immortai fanno le mortai virtudi.

[2]
E che per ſé medeſime potuto
     Haueſſon dar memoria alle ſue lode,
     Non mendicar da gli ſcrittori aiuto
     Aiquali aſtio & inuidia il cor ſi rode
     Che’l bé ch ne puon dir ſpeffo e taciuto,
     E’l mal, quanto ne fan per tutto s’ode,
     Tanto il lor nome forgeria, che ſorſè
     Viril fama a tal grado vnqua non ſorſè.

[3]
Non baſta a molti di preſtarfi l’opra
     In far l’un l’altro glorioſo al mondo,
     Ch’ancho ſtudia di far ch ſi diſcuopra
     Ciò che le dóne hano ſra lor d’immQdo,
     Non le vorrian laſciar venir di fopra
     E quato puon fan p cacciarle al fondo,
     Dico gli antiqui, quaſi l’honor debbia
     D’eſſe, il lor’ofeurar, come il Sol nebbia.

[4]
Ma non hebbe e non ha mano ne lingua
     Formado in voce, o diferiuendo in carte,
     Quatucflil mal tjjto può accreſce e Ipigua
     E minuendo il ben va con ogni arte,
     Poter perho, che de le donne eſtingua
     La gloria ſi: che non ne reſti parte,
     Ma no giā tal che pſſo al ſegno giunga
     Ne ch’acho ſé gli accoſti di gra lunga.

[5]
Ch’Arpalice non ſu, nò ſu Tomyri
     No ſu chi Turno, no chi Hettor ſoccorſe
     Non chi ſeguita da Sidonii e Tyri
     Ando p lungo mare in Lybia a porſe,
     Nò Zenobia, non qlla che gli Aſſyri
     I Perſi e gl’Indi con vittoria ſcorſe:
     Nò fur qſte e poch’altre degne ſole,
     Di cui p arme eterna fama vole.

[6]
E di fedeli e caſte e ſaggie e ſorti
     Stato ne ſon no pur in Grecia e in Roma,
     Ma i ogni pte oue ſra gl’Indi e gli Horti
     De le Heſperide il Sol ſpiega la chioma,
     De le quai ſono i pregi a gli honor morti
     Si ch’a pena di mille vna ſi noma
     E qſto perche hauuto hano a i lor tempi
     Gli ſcrittori bugiardi inuidi & empi.

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[7]
Non reſtate perho donne a cui gioua
     Il bene oprar, di ſeguir voſtra via,
     Ne da voſtra alta impreſa vi rimuoua
     Tema che degno honor non vi ſi dia,
     Che come coſa buona non ſi troua
     Che duri ſempre, coſi anchor ne ria,
     Se le charte ſin qui ſtate e gl’inchioſtri
     Per voi non ſono, hor ſono a tèpi noſtri.

[8]
Dianzi Marullo, & il Pontan per vui
     Sono e duo Strozzi il padre e’l figlio ſtati
     Ce il Bèbo, c’è il Capei, c’è chi qual lui
     Vediamo, ha tali i cortigian ſormati:
     C evn Luigi Alaman ce ne ſon dui
     Di par da Marte, e da le Muſe amati
     Ambi del ſangue che regge la terra,
     Che’l Menzo fende e d’alti ſtagni ferra

[9]
Di queſti l’uno oltre che’l proprio inſtito
     Ad honorarui e a riuerirui inchina
     E far Parnaſſo riſonare e Cintho
     Di voſtra laude: e porla al ciel vicina,
     l’amor la fede il ſaldo e non mai vinto
     Per minacciar di ſtratii e di ruina
     Animo ch’Iffabella gli ha dimoſtro:
     Lo fa assai piú, che di ſé ſteffo: voſtro.

[10]
Si che non e per mai trouarſi ſtanco
     Di farui honor ne i ſuoi viuaci carmi,
     E s’ altri vi da biaſmo, non e ch’ancho
     Sia piú pròto di lui per pigliar l’armi,
     E non ha il mondo cauallier che manco
     La vita ſua per la virtú riſpiarmi,
     Da inſieme egli materia ond’ altri ſcriua
     E fa la gloria altrui ſcriuendo viua.

[11]
Et e ben degno che ſi ricca Donna
     Ricca di tutto quel valor che poſſa
     Eſſer ſra quante al mòdo portin gonna,
     Mai non ſi ſia di ſua conſtantia moſſa,
     E ſia ſtata per lui vera colonna
     Sprezzando di Fortuna ogni percoſſa,
     Di lei degno egli, e degno ella di lui
     Ne meglio s’accoppiaro vnque altri dui.

[12]
Nuoui Trophei pon ſu la riua d’ Oglio
     Ch’in mezo a ferri a ſuochi anaui a ruote
     Ha ſparfo alcun tanto ben ſcritto ſoglio
     Che’l vicin fiume Tuidia hauer gli puote:
     Appreſſo a qſto vn’ Hercol Bentiuoglio,
     Fa chiaro il voſtro honor co chiare note
     E Renato Triuulcio, e’l mio Guidetto
     E’l Molza a dir di voi da Phebo eletto.

[13]
C’e’l Duca de Carnuti Hercol ſigliuolo
     Del Duca mio, che ſpiega l’ali come
     Canoro Cigno, e va cantando a volo
     E fin’ al cielo vdir fa ilvoſtro nome,
     C e il mio Signor del Vaſto a cui no ſolo
     Di dare a mille Athene, e a mille Rome
     Di ſé materia baſta, ch’ancho accenna
     Volerai eterne far con la ſua penna.

[14]
Et oltre a queſti & altri e’ hoggi hauete
     Che v’ hanno dato gloria, e ve la danno:
     Voi per voi ſteſſe dar ve la potete,
     Poi che molte laſciando l’ago e’l panno
     Son con le Muſe a ſpegnerfi la ſete
     Al ſonte d’ Aganippe andate, e vanno,
     E ne ritornan tai che l’opra voſtra
     E piú biſogno a noi ch’a voi la noſtra.

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[15]
Se chi ſian queſte, e di ciaſcunavoglio
     Render buon conto, e degno pgio darle,
     Biſognera ch’io verghi piú d’un ſoglio
     E c’hoggi il canto mio d’altro non parie:
     E s’ a lodarne cinque o fei ne toglio
     Io potrei l’altre oſſendere e ſdegnarle,
     Che faro duque? ho da tacer d’ognuna?
     O pur ſra tante ſceglierne ſol vna?

[16]
Sceglieronne vna, e ſceglierolla tale
     Che ſuperato haura [’ inuidia in modo
     Che neſſun’ altra potrá hauere a male
     Se l’altre taccio e ſé lei ſola lodo,
     Queſt’ una ha no pur ſé fatta immortale
     Col dolce ſtil di che il meglior non odo,
     Ma può qualunque di cui parli o ferina
     Trar del ſepolchro, e far ch’eterno viua.

[17]
Come Phebo la candida ſorella
     Fa piú di luce adorna: e piú la mira
     Che Venere, o che Maia, o ch’altra ſtella
     Che va col cielo, o che da ſé ſi gira,
     Coſi facundia piú ch’all’altre: a quella*
     Di ch’io vi parlo, e piú dolcezza ſpira,
     E da tal ſorza all’alte ſue parole
     Ch’orna a di noſtri il ciel d’un’ altro Sole.

[18]
Vittoria e’l nome, e ben conuienſi a nata
     Fra le vittorie, & a chi o vada o ſtanzi
     Di Trophei ſempre e di Trióphi ornata
     l.a vittoria habbia ſeco, o dietro o inazi:
     Queſta e vii’ altra Artemiſia, che lodata
     Fu di pietá verſo il ſuo Mauſolo: anzi
     Tato maggior: qjto e piú assai bell’opra
     Che por ſotterra vn huo, trarlo di fopra.

[19]
Se Laodamia: ſé la moglier di Bruto:
     S’Arria: s’ Argia: s’ Euadne: e s’ altre molte
     Meritar laude per hauer voluto
     Morti i mariti eſſer con lor ſepolte,
     Quanto honore a vittoria e piú douuto
     Che di Lethe: e del Rio che noue volte
     L’Obre circòda: ha tratto il ſuo conſorte
     Mal grado de le Parche e de la Morte.

[20]
S’al fiero Achille inuidia de la chiara
     Meonia Tromba il Macedonico hebbe,
     Quato inuitto Franceſco di Peſcara
     Maggiore a te, ſé viueſſe hor, l’haurebbe
     Che ſi caſta mogliere, e a te ſi cara
     Canti l’eterno honor che ti ſi debbe,
     E che per lei fi’l nome tuo rimbobe
     Che da bramar no hai piú chiare tròbe.

[21]
Se quanto dir ſé ne potrebbe, o quanto
     Io n’ho deſir, voleſſi porre i carte,
     Ne direi lungamente, ma non tanto
     Ch’ a dir no ne reſtaffe ancho gran parte,
     E di Marphiſa e de i compagni in tanto
     La bella hiſtoria rimarria da parte,
     Laquale io vi promiſi di ſeguire
     S’ in queſto canto mi verrette a vdire,

[22]
Hora eſſendo voi qui per aſcoltarmi:
     Et io per non mancar de la promeſſa,
     Serberò a maggior otio di prouarmi
     Ch’ ogni laude di lei (la da me eſpreffa,
     No perch’ io creda biſognar miei carmi
     A chi ſé ne fa copia da ſé ſteffa,
     Ma ſol per ſatisfare a queſto mio
     C’ho d’honorarla e di lodar diſio.

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[23]
Dune io 9chiudo í sòma, ch’ogni etate
     Molte ha divoi degne d’hiſtoria hauute,
     Ma per inuidia di ſcrittori ſtate
     Non ſete dopo morte conoſciute,
     Uche piú non fará, poi che voi fate
     Per voi ſteſſe immortai voſtra virtute,
     Se far le due cognate ſapean queſto
     Si ſapria meglio ogni lor degno geſto.

[24]
Di Bradamante e di Marphiſa dico
     Le cui vittorioſe inelyte proue
     Di ritornare in luce m’affatico:
     Ma de le diece mancami le noue,
     Queſte ch’io ſo, ben volentieri eſplico,
     Si perche ogni bell’opra ſi de doue
     Occulta ſia ſcoprir, ſi perche bramo
     A voi Dòne aggradir e’ honoro & amo.

[25]
Staua Ruggier com’io vi diſſi in atto
     Di partirli, & hauea cómiato preſo
     E dall’arbore il brando giá ritratto
     Che come dianzi non gli ſu conteſo,
     Quado vn gra piato che no lungo tratto
     Era lontan, lo ſé reſtar foſpefo
     E con le Donne a qlla via ſi moſſe,
     Per aiutar doue biſogno foſſe,

[26]
Spingòſi inazi: e via piú chiaro il ſuon ne
     Viene, e via piú ſon le parole inteſe:
     Giunti ne la vallea trouan tre done
     Che fan quel duolo, assai ſtrane I arneſe:
     Che fin’ all’ombilico ha lor le gonne
     Scorciate, non ſo chi poco corteſe,
     E per non ſaper meglio elle celarſi
     Sedeano in terra: e no ardian leuarſi,

[27]
Come quel figlio di Vulcan che venne
     Fuor de la polue ſenza madre in vita,
     E Pallade nutrir ſé con ſolenne
     Cura d’Aglauro, al veder troppo ardita,
     Sedendo aſcoſi i brutti piedi tenne
     Su la quadriga, da lui prima ordita,
     Coſi quelle tre giouani le coſe
     Secrete lor, tenean fedendo aſcoſe.

[28]
Lo ſpettacolo enorme e dishoneſto
     l’una e l’altra magnanima guerriera
     Fé de’l color, che ne i giardin di peſto
     Eſſer la roſa ſuol da primauera,
     Riguardo Bradamante, e manifeſto
     Toſto le ſu, ch’Vllania vna d’eſſe era,
     Vllania che da l’Iſola perduta
     In Francia meſſaggiera era venuta.

[29]
E riconobbe non men l’altre due
     Che doue vide lei vide eſſe anchora,
     Ma ſé n’ andaron le parole ſue
     A quella de le tre ch’ella piú honora,
     E le domanda chi ſi iniquo ſue
     E ſi di legge e di coſtumi ſuora
     Che quei ſegreti a gliocchi altrui riueli
     Che quanto può, par che Natura celi.

[30]
Vllania che conoſce Bradamante
     No meno ch’alle inſegne, alla fauella:
     Eſſer colei che pochi giorni inante
     Hauea gittati i tre guerrier di fella,
     Narra che ad vn caſtel poco diſtante
     Vna ria gente e di pietá ribella
     Oltre a IP ingiuria di ſcorciarle i panni
     l’hauea battuta e fattoi’ altri danni.

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[31]
Ne le fa dir che de lo ſcudo ſia
     Ne de i tre Re: che per tanti paeſi
     Fatto le hauean ſi lúga compagnia,
     Non fa ſé morti, o ſian reſtati preſi,
     E dice e’ ha pigliata queſta via:
     Anchor ch’andare a pie molto le peſi,
     Per richiamarli del’oltraggio a Carlo,
     Sperando che non ſia per tolerarlo.

[32]
Alle guerriere & a Ruggier che meno
     Nò ha pietoſi i cor ch’audaci e ſorti,
     De bei viſi turbo l’aer ſereno
     L’udire, e piú il veder ſi graui torti:
     Et obliando ogn’ altro aflar che hauieno
     E ſenza che li prieghi o ch gli eſhorti
     La Dona afflitta a far la ſua vendetta:
     Pigliali la via verſo ql luogo in fretta.

[33]
Di commune parer le fopraueſte
     Moſſe da gran bota, s’ haueano tratte,
     Ch’a ricoprir le parti meno honeſte
     Di qlle ſuenturate, assai ſuro atte,
     Bradamante non vuol ch’Vllania peſte
     Le ſtrade a pie, e’ hauea a piede acho fatte
     E ſé la leua in groppa del deſtriero:
     L’altra Marphiſa, l’altra il buO Ruggiero

[34]
Vllania a Bradamante che la porta
     Moſtra la via che va al cartel piú dritta,
     Bradamante all’incontro lei conforta
     Che la vendicherá di chi l’ha afflitta,
     Laſcian la valle: e per via lunga e torta
     Sagliono ſi colle hor’a ma maca hor ritta,
     E prima il Sol ſu dentro il mare aſcoſo
     Che voleffer tra via prender ripoſo,

[35]
Trouaro vna villetta che la ſchena
     Dun erto colle aſpro a ſalir tenea,
     Oue hebbó buono albergo e buona cena
     Quale hauere in ql loco ſi potea,
     Si mirano d’intorno: e quiui piena
     Ogni parte di donne ſi vedea,
     Quai giouai quai vecchie: e í tato ſtuolo
     Faccia no v’ apparia d’un’huomo ſolo.

[36]
Non piú a Iaſon di marauiglia dèno
     Ne agli Argonauti che venian con lui,
     Le donne che i mariti morir fenno
     E i ſigli, e i padri co i ſratelli ſui,
     Si che per tutta l’itola di Lenno
     Di viril faccia non ſi vider dui,
     Ch Ruggier quiui e chi co Ruggier era
     Marauiglia hebbe all’alloggiar la ſera.

[37]
Fero ad Vllania & alle Damigelle
     Che veniuan con lei: le due guerriere
     La ſera proueder di tre gonnelle,
     Se no coſi polite almeno intere,
     A ſé chiama Ruggiero vna di quelle
     Donne e’ habitan quiui: e vuol ſapere
     Oue gli huomini ſian, ch’ú non ne vede
     Et ella a lui queſta riſpoſta diede.

[38]
Queſta che ſorſè e marauiglia a voi
     Che tante donne ſenza huomini ſiamo,
     E graue e intolerabil pena a noi
     Che qui bandite miſere viuiamo,
     E perche il duro eſilio piú ci annoi
     Padri, ſigli, e mariti, che ſi amiamo,
     Aſpro e lungo diuortio da noi fanno
     Come piace al crudel noſtro Tyranno.

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[478]
ORLANDO FVRIOSO
     
[39]
     Da le ſue terre lequai ſon vicine
     A noi due leghe, e doue noi ſian nate,
     Qui ci ha madato il barbaro in confine:
     Prima di mille ſcorni ingiuriate,
     Et ha gli huomini noſtri e noi meſchine
     Di morte e d’ ogni ſtratio minacciate
Se qlli a noi verranno: o gli ſia detto
Che noi dian lor, venendoci, ricetto.

[40]
Nimico e ſi coſtui del noſtro nome
     Che no ci vuol, piú ch’io vi dico, appſſo:
     Ne ch’a noi vega alcu de noſtri, come
     L’odor l’ammorbi del femineo feſſo,
     Giá due volte li honor de le lor chiome
     S’ hano ſpogliato gli alberi e rimeſſo,
     Da indi in qua che’l rio Signor vaneggia
     In furor tato, eno e ch’il correggia.

[41]
Che’l populo ha di lui quella paura
     Ch maggior hauer può lhuo de la morte
     Ch’ aggiuto al mal voler gli ha la natura
     Vna poſſanza ſuor d’ humana ſorte,
     Il corpo ſuo di Gigantea ſtatura
     E piú che di cent’ altri inſieme ſorte,
     Ne pur a noi ſue fuddite e moleſto
     Ma fa alle ſtrane anchor peggio di qſto.

[42]
Se l’honor voſtro e queſte tre vi ſono
     Punto care e’ hauete in compagnia:
     Piú vi fará ſicuro vtile e buono
     No gir piú inanzi: e trouar altra via:
     Queſta al caſtel de lhuo di chio ragiono
     A prouar mena la coſtuma ria.
     Ch v’ ha poſta il crudel co ſcorno e dano
     Di dóne e di guerrier che di la vanno.

[43]
Marganor il fellon (coli ſi chiama
     Il Signore il Tyran di ql cartello)
     Delqual Neróe o s’ altri e e’ habbia fama
     Di crudeltá, nò ſu piú iniquo e fello
     Il ſangue hutna ma’l feminil piú brama
     Che’l lupo nò lo brama de l’agnello,
     Fa con onta ſcacciar le donne tutte
     Da lor ria ſorte a ql caſtel condutte.

[44]
Perche quell’empio in tal furor veniſſe
     Volſon le donne intendere e Ruggiero,
     Pregar colei ch’in corteſia ſeguiſſe
     Anzi che cominciaſſe il conto intero,
     Fu il Signor del caſtel (La Donna diſſe)
     Sépre crudel ſemp inhumano e fiero,
     Ma tene vn tepo il cor maligno afeoſto
     Ne ſi laſcio conoſcer coſi toſto.

[45]
Che mentre duo ſuoi ſigli erano viui
     Molto diuerſi da i paterni ſtili
     Ch’ amauan foreſtieri & eran ſchiui
     Di crudeltade: e de gli altri atti vili
     Quiui le corteſie fioriuan, quiui
     I bei coſtumi e l’opere gètili
     Che’l padre mai: quatunqj auaro foſſe:
     Da quel ch lor piacea non li rimoſſe.

[46]
Le Dóne e i Cauallier che queſta via
     Facean tal’hor, venian ſi ben raccolti,
     Che ſi partian de l’alta corteſia
     De i duo germani inamorati molti,
     Amendui queſti di caualleria
     Parimète i fanti ordini hauean tolti
     Ciladro l’un: l’altro Tanacro detto
     Gagliardi arditi e di Reale aſpetto.

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[47]
Et eran veramente e farian ſtati
     Semp di laude degni e d’ ogni honore,
     S’ in preda non ſi ſoſſino ſi dati
     A ql deſir che nominiamo Amore,
     Per cui dal buon ſentier fur trauiati
     Al labyrinto & al camin d’errore,
     E ciò che mai di buono haueano fatto
     Reſto cótaminato e brutto a vn tratto.

[48]
Capito quiui vn cauallier, di corte
     Del greco Imperator, che ſeco hauea
     Vna ſua dona, di maniere accorte,
     Bella quanto bramar piú ſi potea:
     Cilandro in lei s’ inamoro ſi ſorte
     Che morir non l’hauédo gli parea,
     Gli parea che doueſſe alla partita
     Di lei partire inſieme la ſua vita,

[49]
E perche i prieghi non v’ hauriano loco
     Di volerla per ſorza ſi diſpofe,
     Armoſſi, e dal caſtel lontano vn poco
     Oue paſſar douean: cheto s’ aſcofe,
     l’uſata audacia e l’amorofo fuoco
     Non gli laſcio penſar troppo le coſe,
     Si che vedendo il cauallier venire
     L’andò lancia per lancia ad aſſalire.

[50]
Al primo incontro credea porlo in terra,
     Portar la Donna e la vittoria in dietro,
     Ma’l cauallier che maſtro era di guerra
     L’ofbergo gli ſpezzq come di vetro,
     Venne la nuoua al padre ne la terra,
     Che lo ſé riportar fopra vn feretro,
     E ritrouandol morto: con gran pianto
     Gli die ſepulchro a gli antiq ani a canto.

[51]
Ne piú perho ne manco ſi conteſe
     L’albergo e l’accoglienza a qſto e a qllo,
     Perche non men Tanacro era corteſe
     Ne meno era gentil di ſuo fratello,
     l’anno medeſmo di lontan paeſe
     Co la moglie vn Baron véne al cartello
     A marauiglia egli gagliardo, & ella
     Quanto ſi poſſa dir leggiadra e bella.

[52]
Ne men che bella honeſta e valoroſa,
     E degna veramente d’ogni loda,
     Il cauallier di ſtirpe generoſa
     Di tato ardir quato piú d’altri s’oda:
     E ben conuienſi a tal valor, che coſa
     Di tanto prezzo e ſi eccellente goda,
     Olindro il cauallier da Lungauilla
     La donna nominata era Druſilla.

[53]
Non men di queſta il giouene Tanacro
     Arie, che’l ſuo ſratel di qlla ardeſſe
     Che gli ſé guſtar ſine acerbo & acro
     Del deſiderio ingiuſto ch’in lei meſſe,
     Non men di lui di violar del ſacro
     E ſanto hoſpitio ogni ragione elleſſe,
     Piú toſto che patir che’l duro e ſorte
     Nuouo deſir lo códuceſſe a morte.

[54]
Ma pere’ hauea dinazi a gli occhi il tema
     Del ſuo ſratel, che n’era ſtato morto,
     Penſa di torla in guiſa: che non tema
     Ch’ Olindro s’ riabbia a vedicar del torto,
     Toſto s’ eſtingue in lui non pur ſi ſcema
     Quella virtú ſu che ſolea ſtar ſorto.
     Che no lo fommergea de i vitii l’acque
     De le quai ſemp al fondo il padre giacqj.

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[55]
Con gran ſilentio fece quella notte
     Seco raccor da vent’ huomini armati,
     E lontan dal caſtel ſra certe grotte
     Che ſi trouan tra via, meſſe gli aguati,
     Quiui ad Olindro il di le ſtrade rotte
     E chiuſi i paſſi fur da tutti i lati,
     E ben che ſé lunga difeſa, e molta,
     Pur la moglie e la vita gli ſu tolta.

[56]
Vcciſo Olindro ne meno captiua
     La bella Dona, addolorata in guiſa
     Ch’ a patto alcun reſtar non volea viua
     E di gratia chiedea d’ eſſere vcciſa,
     Per morir ſi gitto giú d’una riua
     Che vi trouo fopra vn vallone aſſiſa,
     E nò potè morir, ma con la teſta,
     Rotta rimaſe, e tutta ſiacca e peſta.

[57]
Altrimente Tanacro riportarla
     A caſa no potè che s’ una bara:
     Fece con diligentia medicarla,
     Che perder non volea preda ſi cara,
     E mentre che s’ indugia a riſanarla
     Di celebrar le nozze ſi prepara,
     C hauer ſi bella Donna e ſi pudica
     Debbe nome di moglie e non d’ amica.

[58]
No penſa altro Tanacro, altro no brama:
     D’altro non cura, e d’altro mai non parla:
     Si vede hauerla oſſeſa, e ſé ne chiama
     In colpa, e ciò che può fa d’emendarla,
     Ma tutto e in vano, quato egli piú l’ama
     Quanto piú s’ affatica di placarla,
     Taf ella odia piú lui, tato e piú ſorte:
     Tato e piú ferma: in voler porlo a morte

[59]
Ma non perho queſt’ odio coſi ammorza
     La conoſcenza in lei: che non compréda
     Che ſé vuol far quato diſegna, e ſorza
     Che ſimuli, & occulte inſidie tenda,
     E che’l deſir ſotto contraria ſcorza
     (Ilquale e ſol come Tanacro oſſenda)
     Veder gli faccia: e che ſi moſtri tolta
     Dal primo amore, e tutto a lui riuolta.

[60]
Simula il viſo pace, ma vendetta
     Chiama il cor detro, e ad altro no attede:
     Molte coſe riuolge, alcune accetta,
     Altre ne laſcia, & altre in dubbio appède
     Le par che quado eſſa a morir ſi metta
     Haura il ſuo intèto, e qui al ſin s’ apprède:
     E doue meglio può morire? o quando
     Che’l ſuo caro marito vendicando?

[61]
Ella ſi moſtra tutta lieta: e ſinge
     Di qſte nozze hauer ſommo diſio,
     E ciò che può Idugiarle a dietro ſpinge
     No ch’ella moſtri hauerne il cor reſtio:
     Piú de l’altre s’adorna, e ſi dipinge,
     Olindro al tutto par meſſo in oblio,
     Ma che ſian fatte queſte nozze vuole,
     Come ne la ſua patria far ſi ſuole,

[62]
Non era perho ver che queſta vſanza
     Che dir volea, ne la ſua patria foſſe,
     Ma pche in lei penſier mai non auanza
     Che ſpender poſſa altroue, imaginoſſe
     Vna bugia: laqual le die ſperanza
     Di far morir chi’l ſuo Signor percoſſe,
     E diſſe di voler le nozze a guiſa
     De la ſua patria: e’l modo gli deuiſa.

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[63]
La vedouella che marito prende
     Deue prima (dicea) ch’a lui s’appreffe,
     Placar l’alma del morto ch’ella oſſende,
     Facendo celebrargli orſici e meſſe,
     In remiſſion de le panate mende
     Nel tèpio oue di quel ſon l’oſſa meſſe,
     E dato ſin ch’al ſacriſicio ſia
     Alla ſpofa l’annel lo ſpofo dia.

[64]
Ma e’ habbia in qſto mezo il Sacerdote:
     Su’I vino iui portato a tale effetto,
     Appropriate oration deuote
     Sempre il liquor benedicendo detto,
     Indi che’l ſiaſco in vna coppa vote
     E dia alli ſpofi il vino benedetto,
     Ma portare alla ſpofa il vino tocca
     Et eſſer prima a porui ſu la bocca.

[65]
Tanacro che non mira quanto importe
     Ch’ella le nozze alla ſua vſanza faccia,
     Le dice pur che’l termine ſi ſcorte
     D’ eſſere inſieme, in queſto ſi compiaccia,
     Ne s’ auede il meſchin ch’effa la morte
     D’ Olindro vèdicar coſi procaccia,
     E ſi la voglia ha in vno oggetto intenſa
     Che ſol di qllo, e mai d’altro non penſa.

[66]
Hauea ſeco Druſilla vna ſua vecchia
     Che ſeco preſa, ſeco era rimaſa:
     A ſé chiamolla e le diſſe all’orecchia
     Si che non potè vdire huomo di caſa,
     Vn ſubitano toſco m’apparecchia
     Qual ſo che fai cóporre, e me lo inuaſa,
     C’ho trouato la via di vita torre
     Il traditor ſigliuol di Marganorre.

[67]
E me ſo come, e te ſaluar non meno,
     Ma diferiſco a dirtelo piú adagio,
     Ando la vecchia e apparecchio ilveneno
     Et acconciollo: e ritorno al palagio,
     Di vin dolce di Cadia vn ſiaſco pieno
     Trouo da por con ql ſucco maluagio,
     E lo ſerbo pel giorno de le nozze
     C homai tutte l’indugie erano mozze.

[68]
Lo ſtatuito giorno al tépio venne
     Di geme ornata, e di leggiadre gonne:
     Oue d’ Olindro come gli conuéne
     Fatto hauea l’arca alzar ſu due coiòne:
     Quiui l’oſſicio ſi canto ſolenne,
     Traſſeno a vdirlo tutti huomini e donne,
     E lieto Marganor piú de l’uſato
     Vene col figlio, e co gli amici alato.

[69]
Torto ch’ai ſin le fante eſequie ſoro
     E ſu col toſco il vino benedetto:
     Il Sacerdote in vna coppa d’oro
     Lo verſo, come hauea Druſilla detto,
     Ella ne bebbe quanto al ſuo decoro
     Si conueniua, e potea far l’effetto:
     Poi die allo Spoſo con viſo giocondo
     Il Nappo, e ql gli ſé apparire il fondo.

[70]
Renduto il Nappo al Sacerdote, lieto
     Per abbracciar Druſilla apre le braccia:
     Hor quiui il dolce ſtile e manſueto
     In lei ſi cangia, e quella gran bonaccia,
     Lo ſpinge a dietro, e gli ne fa diuieto
     E par ch’arda ne gliocchi, e ne la faccia,
     E con voce terribile e incompoſta
     Gli grida, traditor da me ti feoſta.

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[71]
Tu dúque haurai da me ſolazzo e gioia
     Io lagrime da te martiri e guai,
     10 vo per le mie ma e’ hora tu muoia
     Queſto e ſtato veneri, ſé tu noi fai,
     Ben mi duol e’ hai troppo honorato Boia
     Che troppo lieue e facil morte fai:
     Che mani e pene io non ſo ſi neſande
     Che ſoſſon pari al tuo peccato grande.

[72]
Mi duol di non vedere in queſta morte
     11 ſacriſicio mio tutto perfetto,
     Che s’ iol poteua far di quella ſorte
     Ch’era il diſio, non hauria alcun difetto,
     Di ciò mi ſcuſi il dolce mio conſorte,
     Riguardi al buO voler e l’habbia accetto
     Che non potendo come haurei voluto,
     10 t’ho fatto morir come ho potuto.

[73]
E la punition che qui, fecondo
     11 deſiderio mio non poſſo darti,
     Spero l’anima tua ne l’altro mondo
     Veder patire, & io ſtaro a mirarti,
     Poi diſſe alzando con viſo giocondo
     I turbidi occhi alle ſuperne parti
     Queſta vittima Olindro in tua vendetta
     Col buon voler de la tua moglie accetta.

[74]
Et impetra per me dal Signor noſtro
     Gratia ch’in Paradiſo hoggi io ſia teco,
     Se ti dira che ſenza merto al voſtro
     Regno anima nòvien, di ch’io l’ho meco,
     Che di qſto empio e federato Moſtro
     Le ſpoglie opime al ſanto tempio arreco,
     E che merti eſſer puon maggior di qſti?
     Spenger ſi brutte e abominoſe peſti?

[75]
Fini il parlare inſieme con la vita:
E morta ancho parea lieta nel volto
D’ hauer la crudeltá coſi punita
Di chi il caro marito le hauea tolto,
Non ſo ſé preuenuta: o ſé ſeguita
Fu da lo ſpirto di Tanacro ſciolto,
Fu preuenuta credo, ch’effetto hebbe
Prima il veneno in lui perche piú bebbe.

[76]
Marganor che cader vede il ſigliuolo
     E poi reſtar ne le ſue braccia eſtinto,
     Fu per morir co lui, dal graue duolo
     Ch’ alla ſprouiſta lo trafiſſe, vinto
     Duo n’ hebbe ſl tépo, hor ſi ritroua ſolo:
     Due femine a ql termine l’han ſpinto:
     La morte a I’ un da l’una ſu caufata
     E l’altra all’altro di ſua man l’ha data.

[77]
Amor, pietá, ſdegno, dolore, & ira,
     Diſio di morte, e di vendetta inſieme
     Quell’infelice & orbo padre aggira
     Che come il mar che turbi il vèto ſreme:
     Per vendicarli va a Druſilla, e mira
     Che di ſuavita ha chiuſe l’hore eſtreme,
     E come il punge e sferza l’odio ardente
     Cerca oſſendere il corpo che non ſente.

[78]
Qual ſerpe che ne l’haſta ch’alia ſabbia
     La tenga ſiſſa, indarno identi metta,
     O ql maſtin ch’ai ciottolo che gl’habbia
     Gittato il viandante, corre in fretta,
     E morda in vano co ſtizza e con rabbia
     Ne ſé ne voglia andar ſenza vendetta:
     Tal Marganor d’ogni maſtí: d’ogni ague
     Via piú crudel, fa cotra il corpo eſangue.

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[79]
E poi che per (tracciarlo e farne ſcempio
     Non ſi sfoga il fellon, ne diſacerba,
     Vien ſra le donne di che e pieno il tèpio,
     Ne piú l’una de l’altra ci riſerba,
     Ma di noi fa col brando crudo & empio
     Quel che fa co la falce il villan d’ herba,
     Nò vi ſu alcun ripar ch’in vn momento
     Trenta n’uccife, e ne feri ben cento.

[80]
Egli da la ſua gente e ſi temuto
     C Imorao no ſu ch’ardiſſe alzar la teſta:
     Fuggon le donne col popul minuto
     Fuor d la chieſa, e chi puovſcir nò reſta,
     Quel pazzo impeto al ſin ſu ritenuto
     Da gli amici co prieghi, e ſorza honeſta,
     E laſciando ogni coſa in pianto al baffo
     Fatto entrar ne la rocca in cima al ſaſſo.

[81]
E tuttauia la cholera durando
     Di cacciar tutte per partito preſe,
     Poi che gli amici e’l populo pregando
     Che non ci vcciſe a fatto gli conteſe,
     E quel medeſmo di ſé adare vn bando
     Che tutte gli ſgombraſſimo il paeſe,
     E darci qui gli piacque le confine
     Mifera chi al caſtel piú s’ auuicinc.

[83]
Da le mogli coſi ſuro i mariti
     Da le madri coſi i ſigli diuiſi,
     S’ alcuni ſono a noi venire arditi
     Noi ſappia giá chi Marganor n’auifi:
     Che di Multe grauiſſime puniti
     N’ha molti, e molti crudelmente vcciſi:
     Al ſuo catello ha poi fatto vna legge
     Di cui peggior non s’ode ne ſi legge.

[84]
Ogni donna che trouin ne la valle
     La legge vuol (ch’alcúa pur vi cade)
     Che percuotali con vimini alle ſpalle
     E la faccian ſgombrar queſte contrade,
     Ma ſcorciar prima i pani, e moſtrar falle
     Quel che Natura aſconde & Honeſtade,
     E s’ alcuna vi va ch’armata ſcorta
     Habbia di cauallier, vi reſta morta.

[84]
Quelle e’ hanno per ſcorta cauallieri
     Son da queſto nimico di pietate
     Come vittime tratte a i cimiteri
     De i morti ſigli, e di ſua man ſcannate,
     Leua con ignominia arme e deſtrieri
     E poi caccia in prigion chi l’ha guidate:
     E lo può far: che ſemp notte e giorno
     Si troua piú di mille huomini intorno.

[85]
E dir di piú vi voglio anchora, ch’eſſo
     S’ alcun ne laſcia, vuol che prima giuri
     Su l’hoſtia ſacra, che’l femineo feſſo
     In odio haura ſin che la vita duri,
     Se perder qſte donne e voi appreſſo
     Dunque vi pare: ite a veder quei muri,
     One alberga il fellone, e fate proua
     S’ in lui piú ſorza o crudeltá ſi troua,

[86]
Coſi dicendo le guerriere moſſe
     Prima a pietade, e poſcia a tanto ſdegno,
     Che ſé come era notte giorno foſſe,
     Sarían corſe al caſtel ſenza ritegno,
     La bella compagnia quiui poſoſſe,
     E toſto che l’Aurora fece ſegno
     Che dar doueſſe al Sol loco ogni ſtella,
     Ripiglio l’arme e ſi rimeſſe in fella.

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[87]
Giá fendo in atto di partir: s’udirò
     Le ſtrade riſonar dietro le ſpalle,
     D’un lugo calpeſtio: che gli occhi í giro
     Fece a tutti voltar giú ne la valle,
     E lungi quanto eſſer potrebbe vii tiro
     Di mano, andar per vno iſtretto calle
     Vider da ſorſè venti armati in ſchiera
     Di che parte in arcion parte a pied’era.

[88]
E che trahean con lor fopra vn cauallo
     Dona ch’ai viſo hauer parea molt’anni,
     A guiſa che ſi mena vn che per fallo
     A fuoco o a ceppo o a laccio ſi condanni,
     Laqual ſu (non oſtante l’interuallo)
     Toſto riconoſciuta al viſo e a i panni
     La riconobber queſte de la villa
     Eſſer la cameriera di Druſilla.

[89]
La Cameriera che con lei ſu preſa
     Dal rapace Tanacro come ho detto,
     Et a chi ſu dipoi data l’impreſa
     Di quel venen: che fe’l crudele effetto,
     No era entrata ella con l’altre in chieſa,
     Che di quel che ſegui ſtaua in ſoſpetto,
     Anzi in quel tempo de la villa vſcita
     Oue eſſer ſpero ſalua: era fugita.

[90]
Hauuto Marganor poi di lei ſpia
     Laqual s’ era ridotta in oſtericche,
     Non ha ceſſato mai di cercar via
     Come í ma l’habbia accio l’abruci o ipicche
     E ſinalmente l’Auaritia ria
     Moſſa da doni e da proferte ricche
     Ha fatto ch’un Baron ch’afficurata
     L’hauea I ſua terra, a Marganor l’ha data.

[91]
E mandata glie l’ha fin’ a Coſtanza
Sopra vn ſomier come la merce s’ uſa:
Legata e ſtretta e toltole poſſanza
Di far parole, e in vna caffa chiuſa,
Onde poi queſta gente l’ha ad inſtanza
Del’huom ch’ogni pietade ha da ſé eſclufa
Quiui gdotta, co diſegno e’ habbia
l’empio a sfogar fopra di lei ſua rabbia.

[92]
Come il gran fiume che di Vefulo eſce
     Quato piú inanzi e verſo il mar diſcède:
     E che con lui Lambra, e Ticin ſi meſce,
     Et Ada, e gli altri onde tributo prende,
     Tanto piú altiero e impetuoſo creſce:
     Coſi Ruggier: quante piú colpe intende
     Di Marganor: coſi le due guerriere:
     Se gli fan contra piú fdegnoſe e ſiere.

[93]
Elle fur d’odio, elle fur d’ira tanta
     Contra il crudel per tante colpe acceſe,
     Che di punirlo, mal grado di quanta
     Gente egli hauea, concluſion ſi preſe,
     Ma dargli preſta morte troppo ſanta
     Pena lor parue, e indegna a tante oſſeſe,
     Et era meglio fargliela ſentire
     Fra ſtratio prolungandola e martire.

[94]
Ma prima liberar la Dona e honeſto
     Che ſia condotta da quei Birri a morte,
     Lentar di briglia col calcagno preſto
     Fece a preſti deſtrier far le vie corte,
     Non hebbon gliaſſaliti mai di queſto
     Vno incontro piú acerbo ne piú ſorte:
     Si che han di gratia di laſciar gli feudi
     E la Donna, e l’arneſe, e ſuggir nudi.

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[95]
Si come il Lupo che di preda vada
     Carco alla tana, e quando piú ſi crede
     D’effer ſicur: dal cacciator la ſtrada
     E da ſuoi cani attrauerſar ſi vede,
     Getta la Coma: e doue appar men rada
     La ſcura macchia inazi, affretta il piede:
     Giá men preſti non fur quelli a ſuggire
     Che li ſuſſon queſt’ altri ad aſſalire.

[96]
Non pur la Dona e l’arme vi laſciaro
     Ma de caualli anchor laſciaron molti,
     E da riue e da grotte ſi lanciaro
     Parendo lor coſi d’effer piú ſciolti,
     Il che alle Donne & a Ruggier ſu caro
     Che tre di quei caualli hebbono tolti
     Per portar qlle tre, che’l giorno d’ hieri
     Feron ſudar le groppe a i tre deſtrieri.

[97]
Quindi eſpediti ſegueno la ſtrada
     Verſo l’infame e diſpietata villa,
     Voglion che ſeco quella vecchia vada
     Per veder la vendetta di Druſilla,
     Ella che teme che non ben le accada
     Lo niega idarno, e piage e grida e ſtrilla
     Ma per ſorza Ruggier la leua in groppa
     Del buon Frontino, e via co lei galoppa.

[98]
Giúfeno in ſomma onde vedeSo al baffo
     Di molte caſe vn ricco borgo e groſſo:
     Che nò ferraua d’alcun lato il paſſo
     Perche ne muro intorno hauea ne ſoſſo:
     Hauea nel mezo vn rileuato ſaſſo
     Ch’ un’ alta rocca foſtenea fu’I doſſo:
     A qlla ſi drizzar con gran baldanza
     Ch’effer ſapean di Marganor la ſtanza.

[99]
Toſto che ſon nel Borgo alcuni fanti
     Che v’ erano alla guardia de l’entrata
     Dietro chiudon la ſbarra, e giá d’auanti
     Veggion che l’altra vſcita era ferrata:
     Et ecco Marganorre e ſeco alquanti
     A pie, e a cauallo, e tutta gente armata:
     Che con breui parole, ma orgoglioſe
     La ria coſtuma di ſua terra eſpofe.

[100]
Marphiſa laqual prima hauea comporta
     Con Bradamante e con Ruggier la coſa
     Gli ſprono incOtro in cambio di riſpoſta,
     E com’era poſſente e valoroſa
     Senza ch’abballi lacia o che ſia poſta
     In opra quella ſpada ſi famoſa,
     Col pugno in guiſa l’elmo gli martella
     Che lo fa tramortir fopra la fella.

[101]
Con Marphiſa la giouane di Francia
     Spige a vn tépo il deſtrier, ne Ruggier reſta:
     Ma co tato valor corre la lacia
     Che fei: ſenza leuarſela di reſta
     N’uccide, vno ferito ne la pancia,
     Duo nel petto, vn nel collo, vn ne la teſta
     Nel feſto che ſuggia l’haſta ſi roppe
     Ch’entro alle ſchene e riuſci alle poppe,

[102]
La ſigliuola d’Amon quanti ne tocca
     Con la ſua lancia d’ or tanti n’ atterra,
     Fulmine par che’l Cielo ardendo ſcocca
     Che ciò ch’incótra ſpezza e getta a terra,
     Il popul ſgóbra, chi verſo la rocca,
     Chi verſo il piano, altri ſi chiude e ferra:
     Chi ne le chieſe, e chi ne le ſue caſe:
     Ne ſuor ch morti i piazza huomo rimaſe

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[103]
Marphiſa Marganorre hauea legato
     In tanto con le man dietro alle rene,
     Et alla vecchia di Druſilla dato
     Ch’appagata e contenta ſé ne tiene:
     D’ arder quel borgo poi ſu ragionato
     S’ a penitentia del ſuo error non viene,
     Leui la legge ria di Marganorre,
     E queſta accetti ch’effa vi vuol porre.

[104]
Non ſu giá d’ ottener queſto fatica
     Che qlla gente oltre al timor e’ hauea
     Che piú faccia Marphiſa che non dica:
     Ch’ uccider tutti & abbruciar volea,
     Di Marganorre affatto era nimica
     E de la legge ſua crudele e rea,
     Ma’l populo facea come i piú fanno
     Ch’ ubbidifeo piú a qi ch piú I odio háno

[105]
Perho che l’un de l’altro nò ſi ſida,
E non ardiſce conferir ſua voglia,
Lo laſcia ch’un badiſea: vn’ altro vecida,
A quel l’hauere, a qſto l’honor toglia,
Ma il cor che tace qui, ſu nel ciel grida:
Fin che Dio e Sati alla vedetta inuoglia,
Laqual ſé ben tarda a venir: cópenfa
l’indugio poi, con punitione immenſa,

[106]
Hor qlla turba d’ ira e d’ odio pregna
     Con fatti e con mal dir cerca vendetta.
     Com’è in puerbio ognu corre a far legna
     All’arbore che’l vento in terra getta:
     Sia Marganorre eſſempio di chi regna,
     Che chi mal’opra male al ſine aſpetta,
     Di vederlo punir de ſuoi neſandi
     Peccati, hauean piacer piccioli e grandi.

[107]
Molti a chi fur le mogli o le ſorelle
O le ſiglie o le madri da lui morte,
Non piú celando l’animo ribelle
Correan per dargli di lor man la morte:
E con fatica lo difeſer quelle
Magnanime guerriere, e Ruggier ſorte:
Che diſegnato hauean farlo morire
D’affanno di diſagio e di martire.

[108]
A quella vecchia che l’odiaua quanto
     Femina odiare alcun nimico poſſa,
     Nudo in mano lo dier, legato tanto
     Che non ſi ſciogliera per vna ſcoſſa,
     Et ella per vendetta del ſuo pianto,
     Gli andò facendo la perſona roſſa
     CO vn ſtimulo aguzzo, ch’un villano
     Che quiui ſi trouo le poſe in mano.

[109]
La meſſaggiera e le ſue giouani ancho
     Che quell’onta nò ſon mai per ſcordarſi,
     Nò s’ hano piú a tener le mani al ſianco,
     Ne meno che la vecchia a vendicarſi,
     Ma ſi e il deſir d’ oſſenderlo, che manco
     Viene il potere, e pur vorrian sfogarli,
     Chi con faſſi il percuote, chi con l’unge:
     Altra lo morde, altra co gliaghiil punge.

[110]
Come torrente che ſuperbo faccia
     Lunga pioggia tal volta o nieui ſciolte,
     Va ruinoſo e giú da monti caccia
     Gliarbori: e i faſſi: e i campi, e le ricolte:
     Vien tempo poi che l’orgoglioſa faccia
     Gli cade, e ſi le ſorze gli ſon tolte,
     Ch’un fanciullo, vna femina per tutto
     Paſſar lo puote, e ſpeffo a piede aſciutto,

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[111]
Coſi giá ſu ch Marganorre intorno
     Fece tremar, douunqs vdiaſi il nome,
     Hor vèuto e chi gli ha ſpezzato il corno
     Di tanto orgoglio, e ſi le ſorze dome,
     Che gli puon far fin’ a bambini ſcorno,
     Chi pelargli la barba, e chi le chiome,
     Quindi Ruggiero e le Donzelle il paſſo
     Alla rocca voltar ch’era ſui fallo.

[112]
La die ſenza contratto in poter loro
     Chi v’era dentro, e coſi i ricchi arneſi,
     Ch’ in parte meſſi a ſacco, in parte ſoro
     Dati ad Vllania, & a compagni oſſeſi,
     Ricourato vi ſu lo ſcudo d’oro,
     E quei tre Re e’ hauea il Tyranno preſi:
     Liquai venendo quiui, come parmi
     D’hauerui detto: erano a pie fenz’armi.

[113]
Perche dal di che fur tolti di fella
     Da Bradamate, a pie ſempre eran’iti
     Senz’ arme, in copagnia de la Donzella
     Laqual venia dafi lontani liti,
     Non ſo ſé meglio o peggio ſu di quella
     Che di lor’ armi non ſuſſon guerniti,
     Era ben meglio eſſer da lor difeſa,
     Ma peggio assai ſé ne perdean l’impreſa.

[114]
Perche ſtata faria com’eran tutte
Quelle ch’armate hauean ſeco le ſcorte,
AI cimitero miſere condutte
De i duo ſratelli, e in ſacriſicio morte,
Glie pur me ch morir: moſtrar le brutte
E diſhoneſte parti: duro e ſorte,
E ſemp qſto e ogn’ altro obbrobrio amorza
Il poter dir che le ſia fatto a ſorza.

[115]
Prima ch’indi ſi partan le guerriere
     Fan venir gli habitanti a giuramento,
     Che daranno i mariti alle mogliere
     De la terra e del tutto il reggimento,
     E caſtigato con pene ſeuere
     Sara chi cOtraſtare habbia ardimento,
     In ſomma ql ch’altroue e del marito
     Che ſia qui de la moglie e ſtatuito.

[116]
Poi ſi feccion promettere ch’a quanti
     Mai verrian quiui, non darian ricetto,
     O ſoſion cauallieri, o ſoſſon fanti,
     Ne’ntrar li laſcerian pur ſotto vii tetto,
     Se per dio non giuraſſino e per fanti
     O s’altro giuramento v’e piú ſtretto,
     Che farian ſempre de le donne amici
     E de i nimici lor ſempre nimici.

[117]
E s’hauranno in ql tempo, e ſé faranno
     Tardi o piú toſto mai per hauer moglie,
     Che ſempre a qlle ſudditi faranno
     E vbbidienti a tutte le lor voglie:
     Tornar Marphiſa prima ch’efea l’anno
     Diſſe, e che perdan gli arbori le ſoglie,
     E ſé la legge in vſo non trouaſſe
     Fuoco e ruina il Borgo s’aſpetaffe.

[118]
Ne quindi ſi partir che de l’immondo
     Luogo dou’era, ſer Druſilla torre,
     E col marito in vno Auel, fecondo
     Ch’ iui potean piú riccamente porre,
     La vecchia facea in tanto rubicondo
     Con lo ſtimulo il doſſo a Marganorre,
     Sol ſi dolea di non hauer tal lena
     Che poteſſe non dar triegua alla pena.

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[119]
l’animoſe guerriere a lato vn tempio
     Videno quiui vna colóna in piazza:
     Ne laqual fatt’hauea ql Tyranno empio
     Scriuer la legge ſua crudele e pazza,
     Elle imitado d’un Tropheo I’ eſempio
     Lo ſcudo v’attaccaro, e la corazza
     Di Marganorre, e l’elmo: e ſcriuer fenno
     La legge appreſſo ch’eſſe al loco denno.

[120]
Quiui s’indugiar tanto che Marphiſa
     Fé por la legge ſua ne la colonna,
     Cetraria a qlla che giā v’era inciſa
     A morte & ignominia d’ogni donna,
     Da qſta compagnia reſto diuiſa
     Quella d’Iflanda per rifar la gonna:
     Che coparire in corte obbrobrio ſtima
     Se non ſi veſte, & orna come prima.

[121]
Quiui rimaſe Vllania, e Marganorre
     Di lei reſto in potere, & eſſa poi
     Perch no s’habbia I qlche modo a ſciorſ
     E le Donzelle vn’altra volta annoi,
     Lo ſé vn giorno ſaltar giū d’una torre
     Che no ſé il maggior ſalto a giorni ſuoi,
     Non piū di lei, ne piū de i ſuoi ſi parli,
     Ma de la cOpagnia che va verſo Arli.

[122]
Tutto ql giorno e l’altro fin’appreſſo
     L’hora di terza andaro, e poi che ſuro
     Giunti doue in due ſtrade e il camin feſſo
     l’una va al capo: e l’altra d’Arli al muro,
     Tornar gli amati ad abbacciarſi, e ſpeffo
     A tor connato, e ſempre acerbo e duro:
     Al ſin le Done in capo: e in Arli e gito
     Ruggiero, & io il mio cato ho qui ſinito.