Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/509


 [15]
Se chi ſian queſte, e di ciaſcunavoglio
     Render buon conto, e degno pgio darle,
     Biſognera ch’io verghi piú d’un ſoglio
     E c’hoggi il canto mio d’altro non parie:
     E s’ a lodarne cinque o fei ne toglio
     Io potrei l’altre oſſendere e ſdegnarle,
     Che faro duque? ho da tacer d’ognuna?
     O pur ſra tante ſceglierne ſol vna?

 [16]
Sceglieronne vna, e ſceglierolla tale
     Che ſuperato haura [’ inuidia in modo
     Che neſſun’ altra potrá hauere a male
     Se l’altre taccio e ſé lei ſola lodo,
     Queſt’ una ha no pur ſé fatta immortale
     Col dolce ſtil di che il meglior non odo,
     Ma può qualunque di cui parli o ferina
     Trar del ſepolchro, e far ch’eterno viua.

 [17]
Come Phebo la candida ſorella
     Fa piú di luce adorna: e piú la mira
     Che Venere, o che Maia, o ch’altra ſtella
     Che va col cielo, o che da ſé ſi gira,
     Coſi facundia piú ch’all’altre: a quella*
     Di ch’io vi parlo, e piú dolcezza ſpira,
     E da tal ſorza all’alte ſue parole
     Ch’orna a di noſtri il ciel d’un’ altro Sole.

 [18]
Vittoria e’l nome, e ben conuienſi a nata
     Fra le vittorie, & a chi o vada o ſtanzi
     Di Trophei ſempre e di Trióphi ornata
     l.a vittoria habbia ſeco, o dietro o inazi:
     Queſta e vii’ altra Artemiſia, che lodata
     Fu di pietá verſo il ſuo Mauſolo: anzi
     Tato maggior: qjto e piú assai bell’opra
     Che por ſotterra vn huo, trarlo di fopra.

 [19]
Se Laodamia: ſé la moglier di Bruto:
     S’Arria: s’ Argia: s’ Euadne: e s’ altre molte
     Meritar laude per hauer voluto
     Morti i mariti eſſer con lor ſepolte,
     Quanto honore a vittoria e piú douuto
     Che di Lethe: e del Rio che noue volte
     L’Obre circòda: ha tratto il ſuo conſorte
     Mal grado de le Parche e de la Morte.

 [20]
S’al fiero Achille inuidia de la chiara
     Meonia Tromba il Macedonico hebbe,
     Quato inuitto Franceſco di Peſcara
     Maggiore a te, ſé viueſſe hor, l’haurebbe
     Che ſi caſta mogliere, e a te ſi cara
     Canti l’eterno honor che ti ſi debbe,
     E che per lei fi’l nome tuo rimbobe
     Che da bramar no hai piú chiare tròbe.

 [21]
Se quanto dir ſé ne potrebbe, o quanto
     Io n’ho deſir, voleſſi porre i carte,
     Ne direi lungamente, ma non tanto
     Ch’ a dir no ne reſtaffe ancho gran parte,
     E di Marphiſa e de i compagni in tanto
     La bella hiſtoria rimarria da parte,
     Laquale io vi promiſi di ſeguire
     S’ in queſto canto mi verrette a vdire,

 [22]
Hora eſſendo voi qui per aſcoltarmi:
     Et io per non mancar de la promeſſa,
     Serberò a maggior otio di prouarmi
     Ch’ ogni laude di lei (la da me eſpreffa,
     No perch’ io creda biſognar miei carmi
     A chi ſé ne fa copia da ſé ſteffa,
     Ma ſol per ſatisfare a queſto mio
     C’ho d’honorarla e di lodar diſio.