Opere complete di Carlo Goldoni - Volume I/Prefazioni dell'edizione Pasquali/Tomo XIII

Tomo XIII

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Prefazioni dell'edizione Pasquali - Tomo XII Prefazioni dell'edizione Pasquali - Tomo XIV

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L'AUTORE

A CHI LEGGE.

(Tomo XIII)


G
IUNTO a Venezia coll’Imer, mi condusse egli alla di lui casa, situata nella Parrocchia di S. Samuele, poco distante dal Teatro, in luogo detto alla Cà del Duca: mi offerse una camera assai propria sul gran Canale, ed io l’accettai fin tanto che, ritornando mia madre di Modona, fossi in grado di ristabilirmi di nuovo.

Non posso bastantemente spiegare, Lettor mio caro, qual fu il mio piacere nel ritrovarmi un’altra volta in Venezia. Io ho sempre amato la mia Patria, sempre mi parve bella, e più bella ancora dopo il confronto d’altri Paesi, e sempre è cresciuto in me quest’amore e quest’ammirazione qualunque volta, dopo una lunga assenza, ho ritornato a vederla. Era un’ora di notte, quando colà arrivammo: sortii di casa immediatamente; e andai a fare una corsa per la città. Volli subito rivedere il mio Ponte di Rialto, la mia Merceria, la mia Piazza San Marco, la mia Riva degli Schiavoni. Che bel piacere in tempo di notte trovare le strade illuminate, e le botteghe aperte, e un’affluenza di popolo come di giorno, e un’abbondanza di viveri dappertutto, sino e dopo la mezza notte, come trovasi in altre Città la mattina al mercato? Che allegria, che vivacità in quel minuto Popolo! Cantano i Venditori spacciando le merci o le frutta loro: cantano i Garzoni ritornando dalle botteghe alle loro case: cantano i Gondolieri, aspettando i Padroni: cantasi per terra e per acqua, e cantasi non per vanità, ma per gioja.

Andai subito a visitare la Signora Maria Salvioni, Sorella di mia Madre, la quale dopo la mia partenza ita era a dimorare co’ suoi e miei parenti Bertani. Mi accolge1 la buona Zia con amore. Non approvò da principio la mia nuova intrapresa; ma finalmente persuasa dalle mie ragioni si lusingò di vedermi riuscire, e siccome amava molto il Teatro, si consolò che col mezzo mio avrebbe avuto [p. 98 modifica]qualche palchetto e la porta franca. Dopo tali ragionamenti, mi chiese ella che cosa io pensava rispetto alla giovane, a cui io aveva data parola di matrimonio.

Prima di risponderle della mia intenzione, chiesi a lei se ne aveva novelle; poichè dopo la mia partenza io non ne avea più inteso parlare. Mi disse che la Madre e la Figlia, piccatesi del mio abbandono, se n’erano chiamate offese, e non le avea più vedute. Buon per me, dissi allora, se i loro sdegni mi mettono in libertà. Ringrazio il Cielo di avermene liberato, e credo utile, per un tal fine, ogni mio sacrificio. Mi lodò la Zia, che non le poteva soffrire; mi consigliò a resistere in caso di qualche loro insistenza. Mi congedai da lei e da’ nostri congiunti: ritornai dall’Imer, che mi attendeva. Si cenò assai bene, dormii la notte tranquillamente; e la mattina, sapendo che tutta la Compagnia dovea trovarsi al Teatro per provare una Commedia nuova dell’Arlecchino, vi andai anch’io per vederla.

Siccome questa è la Compagnia per la quale ho principiato a scrivere, ed ho scritto parecchi anni, e come io ne’ miei drammatici Componimenti ho sempre avuto in veduta il carattere e la abilità degli Attori, per li quali dovea comporre, credo non sarà male a proposito, ch’io faccia un breve ritratto di quelli che componevano allora la Compagnia medesima, riserbandomi poi a farlo di coloro che ci sono entrati dopo, in luogo di quei che ne sono usciti. Primo Amoroso di titolo e per onore il prefato Giuseppe Imer, Direttore della Compagnia, ed Attore assai comico e caratteristico per gl’Intermezzi. Non sapea di Musica; ma cantava passabilmente, ed apprendeva a orecchio la parte, l’intonazione ed il tempo, e suppliva al difetto della scienza e della voce coll’abilità personale, colle caricature degli abiti, e colla cognizion dei caratteri che sapeva ben sostenere.

Primo Amoroso in attuale esercizio Antonio Vitalba Padovano, comico il più brillante, il più vivo che siasi veduto sopra le Scene. Parlava bene e con una prontezza ammirabile, e niuno meglio di lui ha saputo, come dicono i Commedianti, giocar le Maschere; cioè sostenere le scene giocose colle quattro Maschere [p. 99 modifica]della Commedia Italiana, e fade risaltare e brillare. Qualche volta però gli Arlecchini si dolevan di lui, perchè scordandosi il carattere dell’Amoroso, faceva egli l’Arlecchino. Mi sovviene, che rappresentandosi il mio Bellisario (in cui sosteneva egli un tal Personaggio), nella scena tenera e dolente, in cui comparisce senz’occhi, con un bastone alla mano, moralizzando sulle vicende umane, diede un colpo di bastone a una guardia per far ridere l’Uditorio.

Nelle scene più serie e più interessanti cercava di cavar la risata; e non esitava a rovinar la Commedia, quando gli potea riuscir di far ridere. Eppure piaceva al Pubblico, ed era l’idolo di Venezia; e licenziato qualche anno dopo dalla Compagnia di S. Samuele, fu preso con avidità dalla Compagnia di S. Luca.

Secondo Amoroso Gaetano Casali Lucchese, di cui ho parlato molto finora. Quest’onorato galant’uomo, provveduto d’intelligenza e di capacità nel mestiere, di bella statura e di buona voce, parlando bene, e con una pronunzia avvantaggiosa e grata, non ha mai avuto buona disposizione per la parte dell’Amoroso. Una certa serietà nel sembiante, una certa durezza nella persona, un inclinazione involontaria del fianco e della spalla verso il Personaggio con cui recitava, lo facevano scomparire, malgrado le belle cose ch’egli diceva: all’incontro nelle Tragedie riusciva mirabilmente, e soprattutto nelle parti gravi, come nel Catone del Metastasio, nel Bruto dell’Abate Conti, nella parte di Giustiniano nel mio Bellisario, ed in altre simili. Del resto poi il più attento, il più zelante comico della Compagnia; sempre il primo al Teatro, sempre il primo alle prove, vestendosi colla maggior verità, secondo i caratteri che dovea sostenere, e tanto internandosi in quelli, che quando aveva intorno i’abito di Giustiniano, non degnava rispondere a chi gli parlava.

Terzo Amoroso Tommaso Monti Bolognese; cattivo comico, finchè fece la parte dell’Amoroso, e divenuto eccellente, quando dopo la morte di suo Padre prese la Maschera di Dottore, nel qual Personaggio la sua grassa e goffa figura non disdiceva, anzi lo rendeva di piacevole caricatura.

Prima Donna Andriana Bastona Veneziana, detta la Bastona [p. 100 modifica]vecchia, per distinguerla da Marta Foccheri sua figliuola, detta essa pur la Bastona. Questa era una brava Attrice, una brava Amorosa, del carattere di Vitalba; e vecchia, com’ella era, si conservava brillante e vivace sopra la scena, un poco troppo anch’ella nelle parti serie ed interessanti cercando, come il suddetto Comico, di porre tutto in ridicolo. Mi ricordo, che rappresentando ella la parte di Rosmonda in una Tragedia mia, che Rosmonda era intitolata, mancando la Ballerina che danzava fra gli Atti, e gridando il Popolo: Furlana: furlana, ch’è il ballo favorito dei Veneziani, sortì la Bastona vestita all’eroica, e Rosmonda ballò la Furlana.

Prima Donna, a vicenda colla suddetta, Cecilia Rutti detta la Romana, Moglie del comico Collucci; ma che non vivendo con suo Marito, aveva ripreso il nome della famiglia dov’era nata. Questa brava Attrice conservava nella sua età avanzata un resto di quella bellezza, che la rese amabile ne’ suoi begli anni, e che meritò le attenzioni dell’Imperator Giuseppe, Ella non valeva gran cosa nelle Commedie dell’Arte; ma era eccellente nelle parti tenere delle Tragedie, conservando ancora una grazia ed una delicatezza nel gesto, nella voce e nell’espressione, che la faceano piacere e applaudire.

Seconda Donna Giovanna Casanova dell’isola di Burano, detta Zanetta, o la Buranella, giovane, vedova e bella. Non aveva grande abilità per la Comica; ma essendo, come dissi nel Tomo XI, la ben veduta e la prediletta dell’Imer, la rese utile e quasi necessaria al Teatro, facendola cantare ed instruendola negl’Intermezzi. Ella ne sapeva di Musica quanto il suo Maestro; anzi, meno pronta di lui, stuonava ed andava fuori di tempo con maggiore facilità: ma piace facilmente una bella e giovane, e tutto le si passa, in grazia di que’ vezzi e di quella freschezza, che incantano gli Spettatori. Negl’intermezzi principalmente facile è la riuscita, se la parte è allegra e graziosa; onde la Zanetta piaceva: e siccome aveva io composta la Pupilla per lei, ed aveva colto assai bene nella sua abilità principale, ch’era di una scaltra malizia, coperta da una studiata modestia, riuscì ella in questo mirabilmente. [p. 101 modifica]

Terza Donna Paolina Imer, moglie del Direttore suddetto, e della quale ho bastantemente parlato.

Servetta la Pontremoli. Brava, eccellente Comica.

Primo Vecchio, cioè Pantalone, Andrea Cortini, del Lago di Garda, il quale aveva la figura disavvantaggiosa e non era buon parlatore; ma gran Lazzista e ottimo per li Zanni; poichè avea moltissima grazia, e contraffaceva assai bene i personaggi ridicoli, e soprattutto era ammirabile nelle scene di spavento e di agitazione. Egli è il Padre di quella bravissima danzatrice, detta la Pantaloncina, che si è poi maritata al celebre Monsieur Deny danzatore Francese.

Secondo Vecchio, cioè Dottore, Giuseppe Monti Bolognese, padre del sopraddetto Tommaso Monti. Sosteneva egli mirabilmente un tal Personaggio; ma riusciva ancor meglio nel carattere di Petronio. San Petronio è il Santo Protettore de’ Bolognesi, e moltissimi di loro si chiamano con tal nome; onde il celebre Alessandro Tassoni nella Secchia rapita volendo parlare de’ Bolognesi, li chiama i Petronj. Questo Personaggio rappresenta ordinariamente un buon bottegajo, e per lo più un Maestro lavoratore di canapa, di che abbonda più che d’altro quel Territorio. Figurasi un uomo di buona fede, facile a lasciarsi ingannare, ed è quasi sempre nelle Commedie dell’Arte lo scopo delle furberie del Brighella, delle impertinenze dell’Arlecchino, e della derisione degli Amorosi.

Tale è il povero Pantalone nelle Commedie a soggetto; ma io nelle Commedie mie di carattere ho reso la riputazione a questo buon personaggio, che rappresenta un onesto Mercante della mia Nazione.

Primo Zanni, cioè Brighella, Pietro Gandini Veronese, Comico di grandissima abilità, eccellente nelle Commedie, dette de’ Personaggi; poichè è arrivato in una sola rappresentazione a cambiare diciotto volte d’abito, di figura e linguaggio, e sostenere mirabilmente diciotto differenti caratteri. Egli è stato de’ primi a far vedere sopra le scene queste trasformazioni istantanee, che sorprendono per la velocità, e dilettano per gli adornamenti, di canzonette, di balli, di giochi, di facezie ed altre cose ridicole; [p. 102 modifica]spettacolo dilettevole, ma lontano dalla buona Commedia. Il primo inventore di questa novità incantatrice è stato Gabriele Costantini, che sosteneva il personaggio dell’Arlecchino, ed era al servizio della Corte di Napoli.

Secondo Zanni, cioè l’Arlecchino, Antonio Costantini, Nipote del sopraddetto Gabriele. Non valeva egli gran cosa nel suo personaggio; ma aveva degli adornamenti, che attiravano il basso popolo. Era gran saltatore, e giocava mirabilmente sopra la corda.

Quest’era tutta la Compagnia, aggiuntavi la brava Agnese, di cui ho parlato nell’antecedente mia prefazione. Ella era destinata per gl’Intermezzi; e la sua bella voce, chiara e sonora, e la sua vivacità e prontezza, quantunque niente sapesse ella pure di Musica, la faceano ammirare e piacere.

Anche le due figliuole dell’Imer, Marianna e Teresa, cantavano qualche volta in Teatro, ed erano riuscite assai bene in una comica rappresentazione per Musica, intitolata Mestre e Malghera, Componimento del Signor Antonio Gori Avvocato Veneto, posto in musica dal Signor Salvator Appolonj, barbiere e suonator di violino.

Due erano in quel tempo le Compagnie de’ Comici di Venezia, le quali poi si moltiplicarono sino a cinque in un anno. La Compagnia del Teatro di S. Luca, della nobile famiglia de’ Vendramini, passava per la migliore. Infatti le quattro Maschere erano eccellenti. Il famoso Garelli Pantalone, il bravo Campioni Fichetto, il graziosissimo Cattoli Traccagnino: l'erudita Eularia moglie di Pompilio Mitti prima Donna, il gentile Amoroso Bernardo Vulcani, e lo strepitoso Argante, uniti ad altri Personaggi di mediocre valore, rappresentavano le Commedie dell’arte con tutta quella perfezione, della quale erano capaci le Commedie di cotal genere. La Compagnia di S. Samuele si sosteneva colle Tragedie, coi Drammi del Metastasio e cogl’Intermezzi; ma la buona Commedia non erasi ancora introdotta nè in Venezia, nè in alcun altro paese d’Italia.

Il Fagiuoli faceva recitare a Firenze da dilettanti le sue Commedie in lingua fiorentina, le quali non passarono i confini della [p. 103 modifica] Toscana; e il solo Cicisbeo sconsolato era stato addottato dai Comici fra le Commedie dell’Arte, ma sfigurato, e ridotto alla foggia de’ loro pasticci, come fatto avevano della Sorella del Porta, dei Menechmi di Plauto, del Convitato di pietra e di molte altre, che non conoscevano de’ loro Autori che il titolo.

Conevano altresì su quelle scene d’allora alcune Commedie, dette di carattere, come il Conte Pasticcio, il Don Chisciotte, la Maestra di scuola, lo Smemorato, il Paroncino, il Prepotente, il Servo sciocco ed altre in buon numero; ma i caratteri erano falsi, fuor di natura, e sagrificati al ridicolo grossolano, senza condotta, senza verità e senza ragione.

Io moriva di voglia di metter mano ai caratteri veri, e di tentar la riforma ch’io divisava; ma non era ancora venuto il tempo, e ho dovuto contentarmi di lavorare passabilmente negl’intermezzi, e di fare alcuna di quelle Opere sceniche, ch’io lasciava dai comici chiamar Tragedie; ma sapeva in coscienza, che non poteano passar per tali.

Fui presentato dall’Imer a sua Eccellenza il Signor Michele Grimani, il secondo de’ cinque fratelli padroni del Teatro di S. Samuele; e il Cavaliere di cuor nobile e generoso, e di maniere dolci e soavi, mi accolse con estrema bontà; e all’insinuazione dell’Imer mi stabilì per Compositore, con un onorario non molto considerabile, ma che poteva bastarmi per il mio bisogno d’allora.

Il Signor Gori accennato, mio collega nella professione dell’Avvocato ed in quella di Poeta comico, autore di Mestre e Malghera, e che avea lavorato l’intermezzo della Pellarina sul piano della mia Cantatrice, non fu contento della mia associazione; e quantunque l’Imer gli protestasse che le opere sue sarebbero state ben ricevute e ricompensate, si sdegnò, privò i Comici dei suoi lavori e me della sua amicizia: l’invidia ha preso a perseguitarmi, prima ancora ch’io cominciassi. Non aveano ancora dato niente del mio.

Studiavano le parti serie il mio Bellisario, ed attendevano il ritomo de’ Villeggianti per porlo in iscena. La mia Pupilla era fra le mani del Signor Maestro Maccari Romano compositore di [p. 104 modifica]musica, il di cui stile facile e chiaro era bene adattato al bisogno di quelli che doveano rappresentarla.

Finalmente andò sul Teatro il mio Bellisario, Fu sì grande, fu sì strepitoso l’incontro, ch’io ne rimasi stordito, e fu quella la sola notte, che senza malattia di corpo non mi fu possibile di prender sonno. La mia consolazione era estrema: non ne era avvezzo, e mi pareva un sogno. Tutti i Commedianti mi si affollarono intomo; mi accompagnarono, o mi portarono a casa, e l’Imer piangeva di tenerezza, e la sua famiglia esultava, e la vezzosa Marianna mi rendea piacevole il mio trionfo. Io avea composta quell’Opera con piacere e con attenzione; ma non mi lusingava di tal riuscita. Sapeva benissimo che a fronte delle buone Tragedie Italiane e delle eccellenti Tragedie Francesi la mia non poteva meritare gran lodi. Io non sono mai stato, nè prima, nè dopo, elegante versificatore, specialmente nello stile eroico: ho avuto della facilità, della naturalezza, e nel tragico vi vuol dell’elevazione; eppure malgrado i miei versi, più famigliari che sostenuti, la Tragedia è andata alle stelle. Piacque in essa l’interesse, la verità e la condotta. Io faceva parlare l’Imperatore ed il Capitano, come parlano gli uomini, e non col linguaggio degli eroi favolosi, al quale siamo avvezzati dalle penne sublimi de’ valorosi Poeti. Volendo io esprimere un sentimento, non ho mai cercato il termine più scelto, più elegante, o sublime; ma il più vero ed il più esprimente. Veduto ho per esperienza, che la semplicità non può mancar di piacere. Non intendo, quando dico semplicità, di far parlare un Imperatore, come parlerebbe un Pastore; ma intendo di non far parlare i sovrani, uomini come noi, con un linguaggio incognito alla natura. Per dire la verità gli Attori contribuirono infinitamente alla riuscita dell’opera, e le parti erano bene distribuite. Il mio Casali era fatto apposta per il carattere di Giustiniano, e sostenea egregiamente quel Personaggio, grave, intelligente ed umano. Teodora Imperatrice, vana, superba e feroce non potea esser meglio rappresentata: la Bastona la sostenea a maraviglia, e s’investiva sì bene di quel carattere odioso, che più e più volte i Gondolieri, ch’erano nel Parterre, la caricavan d’ingiurie, ch’erano insulti alla [p. 105 modifica]parte rappresentata ed applausi alla brava Attrice. La Romana faceva piangere nella parte tenera ed interessante di Antonia: ed il Vitalba, malgrado qualche licenza comica, ch’egli si prendeva di quando in quando, sosteneva talvolta con forza ed arte maestra la dignità di un Capitano valoroso, intrepido e perseguitato. Non so s’io potrò determinarmi a mettere un giorno quest’Opera nella mia edizione: essa è stata stampata a Bologna pessimamente, in dodici, sopra un originale rubato e scorretto. So ch’è divenuta rarissima, e ne ho piacere; poichè in oggi che il Teatro si è infinitamente purgato, non sarebbe con quel favor ricevuta, col quale in que’ tempi di cecità fu generalmente applaudita. Ciò non ostante ho posto nel frontispizio di questo Tomo il Bellisario in trionfo, perchè sendo la prima opera ch’io ho dato al pubblico, la sua buona riuscita ha prodotto in me il Contento ed il buon Augurio, spiegati nelle due figure che sostengono il Cartello del frontispizio medesimo. Durarono lungo tempo le recite fortunate di questa Tragedia, e intanto gli Attori degl’intermezzi studiavano la Pupilla, la quale posta in iscena verso la fin dell’autunno, fu ben ricevuta e applaudita; e scorgendovi il Pubblico uno stile nuovo, cercarono di sapere chi n’era l’Autore, e sapendo che la medesima mano aveva composto la Pupilla ed il Bellisario, fu allora che cominciai a vedermi onorato di Partigiani, di Protettori ed Amici. Fra gli altri preziosi acquisti di tal natura conto a mia gloria e con mio estremo piacere la protezione accordatami da Sua Eccellenza il Signor Niccolò Balbi, in oggi Senator prestantissimo, al quale ho dedicato la mia Commedia della Vedova scaltra, e di cui avrò frequenti ed onorevoli occasion di parlare.

La buona riputazione acquistatami per queste due rappresentazioni giunse all’orecchio e può essere agli occhi di quella Signora, che volea farmi l’onore della sua mano. Venne qualcheduno a parlarmi, e si esibì di rimettermi nella sua grazia; ma sentendo che la sua fortuna non erasi migliorata, lo ringraziai, anzi mi determinai a cercar i modi di sciogliermi da lei per sempre, e rimettermi nella prima mia libertà, lo che non mi fu difficile ad ottenere. [p. 106 modifica]

Durante le recite dell’Autunno avea preparato qualche cosa pel Carnovale: un’altra Tragedia ed un altro Intermezzo; la prima intitolata Rosmonda ed il secondo la Birba. La Tragedia, quantunque a mio credere meglio scritta, e meglio condotta, non ebbe la fortuna del Bellisario; ma l’Intermezzo sorpassò di molto l’incontro della Pupilla, e si terminò il Carnovale con esso. Trattenendomi di quando in quando nella Piazza San Marco, in quella parte che dicesi la Piazzetta, e veggendo ed attentamente osservando quella prodigiosa quantità di vagabondi, che cantando, suonando o elemosinando, vivono del soave mestier della birba, mi venne in mente di trar da coloro il soggetto di un intermezzo giocoso; e mi riuscì a maraviglia. Ho promesso nelle mie prefazioni di svelare i motivi, che mi hanno indotto ad intraprendere ad uno ad uno i miei drammatici Componimenti, e spero di mantener la parola. Alla Rosmonda suddetta mi ha dato eccitamento la Rosimonda del Muti2, cattivo romanzo del secolo oltrepassato, e l’ho composta per contentar la Bastona, la quale sostenuto avendo il carattere odioso di Teodora, pretendeva di farsi onore con una parte virtuosa ed eroica; ma tutti e due c’ingannammo: ella non era fatta per queste parti, ed io non era ancora assai pratico per iscegliere gli argomenti.

Queste mie compiacenze mi hanno qualche volta giovato; ma moltissime volte mi hanno pregiudicato.

Giunto il tempo della Quaresima, l’Imer mi ha procurato un altro avvantaggio. Soleva Sua Eccellenza Grimani per la Fiera dell’Ascensione far rappresentare nello stesso Teatro un’Opera seria per musica. Si serviva ordinariamente di Drammi vecchi; e questi avevan sempre bisogno, o di essere accorciati per adattarli alla calda stagione, o di essere in parte cangiati secondo il bisogno del Compositor della Musica, o secondo il capriccio de’ Virtuosi. Per questo dunque, ed anche per la direzione e per l’istruzion degli Attori, vi voleva un Poeta, che sapesse far delle Arie nuove ed avesse qualche cognizion di Teatro. Era da molti anni in possesso di tale esercizio, tanto per il Teatro di San Samuele, che per quello [p. 107 modifica]di San Gio. Crisostomo, appartenente alla stessa famiglia Grimani, il Signor Sebastiano Biancardi Napolitano, uomo di estrazione molto civile, il quale lasciata la Patria erasi (non so per qual causa) cambiato il nome, e chiamavasi Domenico Lalli. Aveva egli del genio per la Poesia; e dalle opere sue stampate si può giudicare del suo talento. Le dediche in quel tempo erano decadute di quella fortuna di cui godevano ne’ tempi addietro; ma pure si sostenevano ancora in qualche riputazione: e il Lalli dedicando i libretti de’ Drammi vecchi, quando ricomparivano vestiti di nuovo sopra la scena, ne ricavava qualche profitto. Io fui proposto per succedergli in quest’impiego; ma non curandomi di un guadagno, che mi pareva assai stravagante, fu detto che l’utile delle dediche resterebbe al Lalli, ed a me la direzion del Teatro, rimettendo alla generosità del Cavalier padrone la ricognizion delle mie fatiche. Ciò piacque al Lalli medesimo, e fummo sempre in buona armonia ed amicizia.

Era il Compositor della Musica di quell’anno per l’Opera dell’Ascensione il Signor Abbate Vivaldi, detto il Prete Rosso, per il colore de’ suoi capegli, e malamente da alcuni chiamato il Rossi, credendolo il nome della sua Famiglia.

Questo famosissimo Suonator di violino, quest’uomo celebre per le sue suonate, specialmente per quelle intitolate le quattro stagioni, componeva altresì delle Opere in musica; e quantunque dicessero i buoni conoscitori ch’egli mancava nel contrappunto, e che non metteva i Bassi a dovere, faceva cantar bene le parti, e il più delle volte le Opere sue hanno avuto fortuna.

Dovea recitare in quell’anno per prima Donna la Sig. Annina Giro o Giraud, figlia di un Parrucchiere originario Francese, la quale sendo scolara di esso Vivaldi chiamavasi comunemente l’Annina del Prete Rosso. Non avea bella voce, non era gran virtuosa di musica, ma era bella e graziosa: gestiva bene (cosa rara in que’ tempi) ed aveva de’ Protettori: non ci vuole di più per meritar il posto di prima Donna. Premeva estremamente al Vivaldi un Poeta per accomodare o impasticciare il Dramma a suo gusto, per mettervi bene o male le Arie, che aveva altre volte cantate [p. 108 modifica]la sua scolara; ed io, ch’era destinato a tale incombenza, mi presentai al Compositore d’ordine del Cavaliere padrone. Mi ricevette egli assai freddamente. Mi prese per un novizio, e non s’ingannò, e non trovandomi bene al fatto nella scienza degli stroppiatori de’ Drammi, si vedea ch’egli avea gran voglia di rimandarmi.

Sapeva egli l’applauso, che avea riportato il mio Bellisario, sapeva la riuscita de’ miei intermezzi; ma l’impasticciare un dramma era cosa calcolata da lui per difficile, e che meritava un talento particolare. Mi sovvenne allora di quelle Regole, che mi fecero delirare a Milano, quando lessi la mia Amalasunta, e aveva anch’io volontà d’andarmene; ma la mia situazione, e il dubbio di scomparire in faccia di Sua Eccellenza Grimani, e la speranza di aver la direzione del grandioso Teatro di San Giovanni Crisostomo mi fece dissimulare e pregar quasi il Prete Rosso a provarmi. Mi guardò egli con un sorriso compassionevole, e preso in mano un libretto: Ecco, dice, ecco il Dramma, che si dee accomodare: la Griselda di Apostolo Zeno. L’opera, soggiunse, è bellissima: la parte della prima Donna non può essere migliore: ma ci vorrebbero certi cambiamenti.... Se Vossignoria sapesse le Regole.... Basta; non le può sapere. Ecco qui, per esempio, dopo questa scena tenera vi è un’aria cantabile; ma come la Signora Annina non... non... non ama questa sorta di Arie (cioè non le sapeva cantare) qui vorrebbe un aria d’azione.... che spiegasse la passione, ma che non fosse patetica, che non fosse cantabile. Ho capito, risposi, ho capito; procurerò di servirla: mi favorisca il libretto. Ma io, riprende il Vivaldi, ne ho di bisogno: non ho finito i recitativi; quando me lo renderà? Subito, dico, mi favorisca un pezzo di carta, ed un calamajo.... Che? Vossignoria si persuade, che un’aria di un’opera sia come quelle degl’intermezzi! Mi venne un poco di collera, e gli replicai con faccia tosta: mi dia il calamajo, e tirai di tasca una lettera, stracciando da quella un pezzo di carta bianca. Non vada in collera, mi disse modestamente, favorisca, si accomodi qui a questo tavolino: ecco la carta, il calamajo e il libretto; faccia a suo comodo: e torna allo scrittojo, e si mette a recitar il breviario. Leggo [p. 109 modifica] allora attentamente la scena; raccolgo il sentimento dell’aria cantabile, e ne faccio una d’azione, di passione, di movimento. Gliela porto, gliela faccio vedere, tiene colla dritta il breviario, colla sinistra il mio foglio, legge piano; e finito di leggere, getta il breviario in un canto, si leva, mi abbraccia, corre alla porta, chiama la Signora Annina. Viene la Signora Annina, e la Signora Paolina sorella: legge loro l’arietta, gridando forte: l’ha fatta qui, qui l’ha fatta, l’ha fatta qui; e nuovamente mi abbraccia, e mi dice bravo, e sono diventato il suo Caro, il suo Poeta, il suo Confidente, e non mi ha più abbandonato. Ho poi assassinato il Dramma del Zeno quanto e come ha voluto. L’Opera è andata in iscena, ha incontrato; ed io terminata la Fiera dell’Ascensione mi sono portato a Padova, dov’era l’Imer e la Compagnia, a passar magramente in quell’anno la stagion della Primavera.

  1. Correggi: accoglie. - Ed.
  2. Nel testo: Mutti. - Ed.