Novelle gaje/Un ideale
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UN IDEALE
. . . . Ben molti a naufragar |
Pindaro
— Per carità non ripetetelo; mi fa male al cuore.
— Siete pur bizzarra. Che importa a voi?
— Che m’importa? ma è un’amica d’infanzia; una fanciulla che ho sempre amata come sorella.
— Ebbene, ella ha ora trovato qualcuno che ama come fratello.
— Deh! non scherzate... e poi, dopo tutto, non vi credo. No, siete una lingua d’inferno; non vi credo un ette.
— Padronissima; ma quello è il suo amante.
— Quello! chi è questo quello misterioso? Un uomo che non conoscete, che non sapete neanco chi sia, che avete veduto per caso insieme a Carolina. Bell’affare! Anche voi adesso siete con me.
— Sì, ma non andiamo a spasso alle dieci di sera, sul bastione, durante il primo quarto di luna, sapete bene, quando fa le corna.
— O Dio — risposi impazientita — e che prova in fin dei conti una passeggiata sul bastione?
— Eh! può provare molte cose; questa per esempio, mi ha provato l’utilità diretta delle panchine poste all’ombra degli ipocastani fioriti e l’utilità indiretta dei medesimi ipocastani, dietro il cui tronco un osservatore intelligente...
— Ah vergogna! voi li avete spiati.
— No, accendevo un sigaro, ma siccome i fiammiferi si prestavano di mala voglia, ebbi campo di ascoltare il sostantivo angelo ripetuto due volte e il verbo adorare in due o tre tempi; vi avrei adorata, adorarvi! vi adorerò. Ora, se voi acconsentite a chiamarmi angelo o a lasciarvi adorare, mi indurrò a credere anch’io che il colloquio della nostra amica col nostro amico fosse innocente come un bambino appena nato. Andiamo, volete chiamarmi angelo?
— Demonio!
— Non credo che Tommasèo abbia posto queste due parole nel Dizionario dei sinonimi.
— E poi — interruppi — come volete che io creda a un amante? Carolina amava suo marito. Lo deve amare ancora; sembrano fatti apposta l’uno per l’altra.
— Ogni uomo ed ogni donna, a parer mio, sono fatti l’uno per l’altra.
— Insomma, vi proibisco di parlare.
— Alla buon’ora! ecco un mezzo semplice e sicuro per aver ragione voi.
⁂
Non avrei potuto altrimenti far tacere quella linguaccia. Ma che spina ei m’aveva fitta nel cuore! Figuratevi che Carolina è la più simpatica fra le mie amiche; buona, cortese; ci siamo maritate insieme; ci vogliamo un bene! un bene!
E suo marito, dunque? che brav’uomo! quasi come il mio. Assolutamente io non potevo ammettere le insinuazioni di quel ciarliero maldicente; ma d’altra parte se era vero, com’egli aveva giurato, di averla veduta una sera sul bastione in compagnia d’uno sconosciuto... oh, imprudente Carolina! Lo stesso giorno mio marito, rientrando a pranzo, mi disse:
— Ho incontrato la tua amica...
— Carolina?
— Appunto; era insieme a un giovanotto...
— Biondo, alto, pallido... è suo marito.
— Ma no, ma no. Costui è piccolo, bruno, volto rosso quasi imberbe.
— Ti sei forse ingannato, non sarà stata Carolina.
— Oh! per questo era proprio lei; aveva un cappello nero.
— Tutte le donne oramai portano cappelli neri; sono di moda.
— Ma aveva una certa piuma azzurro-mare che non tutte hanno; e poi, se ti dico che era lei!
Io non avevo proprio nessun argomento per negare il fatto; chinai il capo sospirando e promettendo a me stessa di venirne in chiaro. Andai difilato da Carolina; ella mi accolse colla solita squisita gentilezza, mi fece molta festa, ma non tardai a osservare che era un po’ eccitata, un po’ distratta. La strinsi di domande, feci lodi sterminate di suo marito, mi congratulai sulla sua felicità domestica... e intanto la osservavo profondamente. Ella spiegazzava i suoi manichini.
— Tu sei stata ben fortunata sposando Filippo!
— Oh sì! — e sbadigliò.
— I vostri caratteri armonizzano perfettamente.
— Senti, vuoi farmi un piacere? Parliamo d’altro. Sei stata ai Lituani?
— È dunque vero? — esclamai prendendole con forza una mano e fissandola negli occhi.
Ella si svincolò un po’ imbarazzata e diffidente, ricollocò a suo posto il velo della poltrona che non si era menomamente smosso e disse con accento strisciante, molle, come di persona annoiata:
— Non so che vuoi dire, mia cara.
⁂
— Tu sei ben padrona de’ tuoi segreti, o Carolina; ma allora custodiscili meglio.
— Che?
— Non lasciarti vedere alle dieci di sera sui bastioni...
Ella arrossì fino al bianco dell’occhio, ma non osò rispondere.
— Cara, io ti voglio tanto bene che non so tollerare le dicerie che si fanno sul tuo conto; anzitutto non voglio credere...
— Ma che dicerie si fanno? — Interruppe ella un po’ altera.
— Sai bene... le solite. Ti hanno veduta con un giovane...
— E così? I miei amici sono dunque obbligati ad avere l'età dei senatori?
— Devi giudicare tu stessa ciò che conviene e ciò che non conviene. Io non voglio farti la maestra. Ho voluto soltanto avvertirti che il mondo è tutt’occhi, tutt’orecchi e tutta lingua.
Ella aveva abbandonato l’aria fiera e giaceva accasciata sulla sua poltrona, meditabonda. A un tratto scattò come una molla:
— Senti, mia buona amica, a te posso dir tutto; non son felice!
— Non sei felice?
— No, no. Mio marito non mi comprende; siamo agli antipodi. Io tutta nervi, tutta cuore, tutta sensibilità; egli un materialone, un prosaico!
— Oh! oh! — feci col più malizioso sorriso.
— È vero che sei materialista anche te! — esclamò guardandomi colla superiorità di un essere che appartiene a un altro mondo.
— Vediamo tuttavia se possiamo intenderci; iniziami ai gaudi di queste tue sfere soprannaturali. Perchè dici che tuo marito è un materialone?
— O Dio! un uomo che non gusta nessuna delle purissime gioie del pensiero, che non legge mai un verso, estraneo alle intime commozioni del sentimento.
— Scommetto che tu poni il sentimento nel raggio della luna e la poesia in qualche terzina sfogata colle rime in ore.
— Già la poesia è una sola. Quando mio marito viene a casa e infilza quelle sue orribili pantofole ricamate a canovaccio — imagina! l’eterno fondo nero colle eterne rose — Dio! come detesto quelle rose; poi accende la lucerna, poetica occupazione! poi legge... che cosa credi tu ch’ei legga?
— Il giornale.
— Hai indovinato; quel prosaico giornale! Io da una parte con Prati e Berchet; egli dall’altro col pareggio e colla guerra di Spagna. Auf!
Carolina si faceva vento.
⁂
— Che vuol dire il punto di vista! Anche mio marito ha un paio di pantofole ricamate al canovaccio; sono rosse con una testa di cane; incominciano a rompersi in punta, ma non mi irritano i nervi, t’assicuro; al contrario le guardo con piacere, pensando che potrò presto surrogarle con altre fatte da me; quel giorno sarà una festa; mi par di vedere il sorriso soddisfatto di mio marito; egli calzerà allegramente le mie pantofole e baciandomi sulla fronte mi dirà: «Brava mogliettina!» Ah! quanta poesia.
Carolina alzò, sdegnosetta, le spalle.
— E legge il giornale anche lui, tuo marito?
— Tutti i giorni, è ben naturale. Che vuoi! egli non è un letterato; Berchet non può tenerlo al corrente degli affari del suo paese e Prati non gli saprebbe dire se la rendita è alta o bassa. Mio marito bada a’ suoi negozi, fa conti, acquista e vende; quando ha concluso un buon affare, mi abbraccia giulivo e: «Lavoro per te, sai! quanto più sarò ricco la mia donna avrà agi e la mia donna sei tu!» È sfortunato? gli riesce male un interesse? mi abbraccia egualmente: «Tu sei il mio conforto; quando lascio malcontento lo studio, trovo la gioia e la felicità sul tuo cuore!» Ecco, mi pare, del sentimento squisitissimo. Forse che tuo marito non fa altrettanto?
— Sì, non nego...
— Ma vedi dunque? Tu sei abituata a quel sentimento convenzionale che è piuttosto sentimentalismo e per questo disprezzi il vero sentimento, il sentimento del cuore. Tu cerchi la poesia nei versi e la poesia è dovunque e più che tutto nella realtà. Tuo marito ti sembra volgare perchè accende la lucerna? A’ miei occhi acquista merito, è di sentire delicato, ha riguardi per te, non vuole che tu stessa ti affatichi in una tediosa occupazione. Anche il mio accende la lucerna sulla modesta mensa, e gli sorrido; mi fa l’effetto del Creatore, mi dà la luce.
⁂
Carolina tentennava il capo, aveva fra le treccie una stella di lustrini e ad ogni movimento, quelle brillantate faccette scintillavano come sguardi maliziosi di pupille nere.
— Anche tu non mi comprendi!
— C’è almeno qualcuno che abbia avuto questa fortuna o mia graziosa sfinge?
— Vuoi alludere a quel giovane che il tuo spiritello famigliare ha veduto in mia compagnia?... Ebbene, non lo nego, quello è un giovane simpaticissimo, colto, artista, letterato... un po’ di tutto.
— Una biblioteca circolante.
— Oh! se lo conoscessi! Egli mi apprezza immensamente, riconosce la mia sensibilità, divide i miei gusti poetici; ora sta spiegandomi i passi difficili dell’Aminta e del Pastor fido; è un lavoro un po’ lungo.
— Eh! lo credo, perchè i passi difficili abbondano in queste due novelle, ma se io fossi in te non vorrei farmeli spiegare di notte, sul bastione... Anzichè facilitare i passi, questo sistema può crearti degli imbrogli.
— È stato un capriccio! ma spero bene che non penserai...
Carolina si fermò imbarazzata.
— Io vorrei poter non pensare nulla; sarebbe il meglio.
— Dubiti forse della mia onestà?
— Io non dubito di nessuno; so appena che il mondo ciarla e che non bisogna lasciarlo sbizzarrire troppo in supposizioni. Sono false, tu dici. Che monta? Non c’è a fianco la traduzione come nelle opere greche per la comodità dei confronti, e il pubblico crederà sulla parola. Del resto, mia cara amica, anche lungi dai curiosi e dal maldicenti, questa tua inclinazione è pericolosa. Le vie del cuore sono seminate di trabochetti; si crede di passeggiare sulla ghiaia fina e compatta e si rotola invece... chi sa dove!
— Tu sei felice, vivi con tuo marito in una perpetua luna di miele e t’è facile moralizzare. Se sapessi che vuol dire il vuoto del cuore!
— Lo so benissimo; il vuoto del cuore vuol dire non essere amati, non avere un petto su cui posare il nostro capo, non un’anima che risponda alla nostra; ma tu queste cose le hai. Filippo ti ama, egli vive della tua vita, ti dà la felicità della pace, dell’amore, ti dà gli agi e la sicurezza dell’esistenza.
— Sì, sì, sì, ma non c’è poesia!
— Come, non c’è poesia? Questa è la grande, la vera poesia; quella che tu cerchi è la poesia imbellettata e artificiale delle frasi sonore e dei concetti vuoti. Tu hai la realtà, e sogni le larve!
— Io sogno l’ideale.
— Ebbene, che cos’è questo? A quindici anni il mio ideale era un giovinetto magro, pallido, sparuto, stretto di spalle, lungo di collo, imberbe, coi grandi occhi cintati d’azzurro... Già, tutto questo mi pareva ideale. E poi aspirazioni ideali alla luna, alle stelle, baci ideali, ebbrezze ideali, tutto per aria, tutto nelle nuvole.
— In alto! — fece Carolina con enfasi.
— Sicuro; come la pioggia che finchè sta in alto non conclude nulla e se vuol esser utile a qualche cosa discende sulla terra.
— Tu non potrai negare che l’amore nobile, l’amore sublime è quello che si distacca dalla terra e vola a cielo.
— Con tua pace, l’amore nobile, l’amore sublime è quello dell’uomo che dice alla donna: «Ti do il mio nome e la mia casa, vieni, mangia del mio pane, bevi alla mia coppa e ti riposa sul cuor mio.» Qui c’è tutto, sai? C’è la massima poesia, c’è il sentimento, c’è la verità, c’è la natura. Io non capisco perchè il cielo debba essere più poetico della terra, della terra ove ci sono i fiori, ove c’è il mare, ove c’è la donna.
Carolina faceva spalluccie. Io continuai:
— Lasciamo stare le digressioni e teniamoci stretti all’argomento. Che speri tu da questa romanzesca amicizia?... maggiori gioie di quelle che ti può dare e che ti dà tuo marito? Come farai a nobilitare, a sublimare un’affezione illegittima? Sono dunque così tortuose e buie le vie che conducono al cielo?
— Il brutto vizio che tu hai di scrivere per le stampe t’ha affilata la lingua per modo che io non posso tenerti dietro a ragionare. E poi dovresti sapere, te che la pretendi a scrittore psicologico, dovresti sapere che la donna non è fatta per ragionare molto e che in materia di simpatie poi non ragiona affatto.
— Ma disgraziata! tu scherzi col fuoco.
— Oh!... — fece Carolina offesa — che opinione hai tu de’ miei principi?
— L’opinione che finiranno male... scusa...
— Sono stanca di questi discorsi! — esclamò l’amica mia alzandosi repentinamente. Io feci altrettanto e presi commiato.
Avevo il cuore dolorosamente stretto; nello scendere le scale incontrai il portinaio che saliva con una letterina; seppi molto tempo dopo che proveniva dall’Arturo... dico Arturo per un modo di dire; si chiamava Giulio, e conteneva questi versi, che se non danno un’alta idea di valore poetico per parte dell’autore, dovevano però impressionare moltissimo la sentimentale Carolina:
Degli occhi tuoi dolcissimi |
⁂
Carolina infatti (sono tutte cose che mi raccontò ella stessa) si sprofondò deliziosamente nella lettura di questo madrigale. L’idea di essere bionda come una stella la trasportava. Bionda come l’oro, bionda come le spiche sono paragoni soliti e prosaicamente terreni; ma una stella!
— Dio! come sono infelice! — concluse l’ideale donnina — mio marito non s’è mai accorto ch’io ho i capelli di questo biondo.
Il marito evocato in modo così poco lusinghiero apparve, quasi per incanto, sulla soglia dell’uscio. Aveva le sue pantofole nere ricamate a mazzi di rose e le mani in tasca.
— Carolina, mia cara, vai a dare un’occhiata a quei piccioni?... se il naso non mi tradisce sentono un po’ l’abbruciaticcio.
Un’occhiata ai piccioni; ella! le cui pupille facevano palpitare un poeta!
⁂
L’ideale di Carolina, statemi attente fanciulle, che parlo per voi, era un marito impossibile. Un marito che si alza alla mattina colla voglia di sciogliere un inno al creato; che passa il resto del giorno a indovinare i pensieri di sua moglie, a trasalire co’ suoi nervi, a palpitare col suo cuore; un marito che legge Jacopo Ortis e che tra il lesso e l’arrosto trova modo di citare qualche verso di Lamartine; un marito pieno di grandi idee, di concetti sublimi, di pensieri superiori a quelli di tutti gli altri uomini, bello, poetico, romanzesco; senza dolori di denti, senza reumatismi, senza raffreddori, senza calli, non soggetto a nessuna delle volgarità della materia. Deve mangiar poco perchè questo è indizio di animo delicato; odiare il vino, abborrire lo zigaro, annoiarsi in compagnia degli amici è riporre ogni suo diletto nella contemplazione della moglie. Oh! un marito che mi adori così!...
Zitto, ragazze; chiedete un poco alle vostre mamme se di questi mariti ne sono mai spuntati sotto la cappa del cielo.
Esse vi risponderanno di no; ed io aggiungo: fortunatamente.
Buon Dio, come si potrebbe vivere con un uomo sempre ai nostri piedi? un uomo grande poi, un uomo sublime; c’è di che morirne. Nessuno ammazza con tanta sicurezza, nemmeno un brigante, come ammazzano questi esseri superiori che hanno l’aria di portare sulle spalle il firmamento e lo fanno pesare sulle costole degli altri.
No, no, ragazze, statevi al minor danno, e voi che sognaste per marito un eroe da romanzo, uno di quelli che passano la notte a sospirare sotto la finestra, a baciare l’erba che voi avete calpestato, tutto ciò si legge, non è vero, nei romanzi? e dietro questi bei tipi vi formate il vostro ideale; no, no, ragazze, preferite un marito in prosa; val meglio sotto tutti i rapporti; e se porta le pantofole, non vi spaventate; e se mette il berretto di cotone, non inorridite; e se vuole accendere la pipa, deh! ragazze, non fate le schifiltose, anzi, se vi è caro un mio consiglio, porgetegli voi stesse lo zolfanello colle vostre bianche manine. Vi giuro che sarete ugualmente poetiche; più, è il modo questo di creare una poesia tutta vostra, senza l’intervento di quei guastamestieri che sono i poeti, senza le vecchie armi dello zeffiro e del rio. Voi, in questo semplice atto di condiscendenza, nel sorriso col quale lo accompagnerete, nello sguardo riconoscente che vi sarà reso, troverete maggior poesia che non in tutti i versi della terra.⁂
Passò molto tempo prima ch’io vedessi Carolina; finalmente seppi che era stata gravemente ammalata; a questa notizia il mio cuore, indipendentemente dai puntigli, decise di andarla a trovare. Era a letto e dormiva. Le persiane chiuse, le tende accuratamente abbassate, gli usci difesi da paraventi, i guanciali del letto disposti con previdente accortezza, le tazze, le medicine schierate sul nitido tovagliolo; tutto l’aspetto di quella camera rivelava una cura intelligente e affettuosa. Filippo, il marito, seduto su una poltrona, calmo e paziente, approfittava del sonno della moglie per dare una occhiata alle ultime notizie del Sole.
Volli ritirarmi, ma egli mi vide, s’alzò, diede uno sguardo a Carolina, lisciò colla mano il guanciale che faceva alcune pieghe e movendo alla mia volta mi invitò tacitamente col gesto a precederlo nel gabinetto attiguo.
— E così fu una cosa seria? — domandai.
— Oh molto seria! ma tutto è passato; sì, non c’è più pericolo, tutto è passato! — così parlando il suo volto raggiava d’amore: — Ho vegliato dieci notti al suo capezzale; ne’ suoi lunghi deliri io solo le fui compagno; solo la mia mano la calmava nei trasporti della febbre. Non ho mai fatto l’infermiere, signora e le assicuro che non me ne sentivo punto la vocazione, eppure la cosa non mi è riuscita male! no.
Carolina fece un movimento nel suo letto, il marito accorse con premura, io lo seguii. Nell’istante che entravo egli le porgeva da bere e le labbra pallide di Carolina si atteggiarono a un sorriso di ringraziamento. Quando mi vide, un fuggitivo rossore le inondò le guancie; mi chiamò per nome.
— Non agitarti, cara — le disse Filippo.
— No, sono tranquilla; desidero parlare un momento colla mia amica.
⁂
— Egli è un angelo! — esclamò stringendomi la mano, intanto che Filippo si trovava in fondo alla camera a ripiegare il Sole. — Quanto sentimento, quanta delicatezza sotto un’apparenza così semplice! Ed io che...
Un pensiero doloroso contrasse la fronte dell’ammalata.
— Sta cheta dunque, hai sentito che non devi agitarti? Sono ben contenta che tu abbia riconosciuto i meriti di tuo marito, ma un’altra volta credimi in parola senza ammalarti...
— Oh! se tu sapessi quanto egli è buono! — continuò Carolina coll’entusiasmo febbricitante de’ suoi nervi ancora deboli.
— Anche tu sei buona ora; vedrai quanta felicità ti aspetta! Ma non metter fuori le braccia... così, da brava.
— Quando stavo tanto male e che egli, curvo sul letto, spiava i miei desideri nel mio sguardo, non puoi credere che giubilo mi sentissi in cuore; sembravamo vedere un cherubino colle ali d’oro.
— T’inganni cara, tu vedevi un buon maritino affettuoso, tenero e fedele. Lascia stare i cherubini: dopo tutto non puoi sapere se sono migliori di tuo marito.
— Ah! è vero... l’ideale, sempre l’ideale che ritorna! — mormorò Carolina mezzo ridendo, mezza sospirando.
Io la minacciai scherzosamente col dito.
Ella soggiunse a bassa voce:
— Sono guarita, non temere; quello là...
— Chi? l’Arturo?
— Giulio, intanto che parlava a me di stelle e di etere, faceva all’amore colla mia cameriera.
— Sia ringraziato il Signore! Ora puoi vedere tu stessa da qual parte trovasi la verità.
— Carolina, ciarli troppo! — disse il marito.
— Mi sento tanto bene!
⁂
Per finire vi dirò che in una delle ultime mattine di primavera, lungo i viali dei vecchi giardini pubblici, incontrai Filippo e sua moglie. Carolina era bella di gioventù e di brio; aveva un elegante vestito color violetta pallida che non guastava per nulla.
— Tu stai benissimo, a quanto pare?
— Sì... avuto riguardo al mio stato... — rispose Carolina, abbassando gli occhi con adorabile imbarazzo.
— Ah!...
E la coppia felice proseguì la sua passeggiata. Andrò questa sera a trovarla; ho anche io il mio granello d’orgoglio e non mi credo affatto estranea alla conversione di Carolina. Avessi convertito voi pure, care giovinette, che vi abbandonate con troppa estasi all’ideale! Credete, la vera poesia e il vero amore stanno nella realtà.