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Un ideale. | 127 |
Io non avevo proprio nessun argomento per negare il fatto; chinai il capo sospirando e promettendo a me stessa di venirne in chiaro. Andai difilato da Carolina; ella mi accolse colla solita squisita gentilezza, mi fece molta festa, ma non tardai a osservare che era un po’ eccitata, un po’ distratta. La strinsi di domande, feci lodi sterminate di suo marito, mi congratulai sulla sua felicità domestica... e intanto la osservavo profondamente. Ella spiegazzava i suoi manichini.
— Tu sei stata ben fortunata sposando Filippo!
— Oh sì! — e sbadigliò.
— I vostri caratteri armonizzano perfettamente.
— Senti, vuoi farmi un piacere? Parliamo d’altro. Sei stata ai Lituani?
— È dunque vero? — esclamai prendendole con forza una mano e fissandola negli occhi.
Ella si svincolò un po’ imbarazzata e diffidente, ricollocò a suo posto il velo della poltrona che non si era menomamente smosso e disse con accento strisciante, molle, come di persona annoiata:
— Non so che vuoi dire, mia cara.
⁂
— Tu sei ben padrona de’ tuoi segreti, o Carolina; ma allora custodiscili meglio.
— Che?
— Non lasciarti vedere alle dieci di sera sui bastioni...
Ella arrossì fino al bianco dell’occhio, ma non osò rispondere.