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132 | Novelle gaje. |
derà sulla parola. Del resto, mia cara amica, anche lungi dai curiosi e dal maldicenti, questa tua inclinazione è pericolosa. Le vie del cuore sono seminate di trabochetti; si crede di passeggiare sulla ghiaia fina e compatta e si rotola invece... chi sa dove!
— Tu sei felice, vivi con tuo marito in una perpetua luna di miele e t’è facile moralizzare. Se sapessi che vuol dire il vuoto del cuore!
— Lo so benissimo; il vuoto del cuore vuol dire non essere amati, non avere un petto su cui posare il nostro capo, non un’anima che risponda alla nostra; ma tu queste cose le hai. Filippo ti ama, egli vive della tua vita, ti dà la felicità della pace, dell’amore, ti dà gli agi e la sicurezza dell’esistenza.
— Sì, sì, sì, ma non c’è poesia!
— Come, non c’è poesia? Questa è la grande, la vera poesia; quella che tu cerchi è la poesia imbellettata e artificiale delle frasi sonore e dei concetti vuoti. Tu hai la realtà, e sogni le larve!
— Io sogno l’ideale.
— Ebbene, che cos’è questo? A quindici anni il mio ideale era un giovinetto magro, pallido, sparuto, stretto di spalle, lungo di collo, imberbe, coi grandi occhi cintati d’azzurro... Già, tutto questo mi pareva ideale. E poi aspirazioni ideali alla luna, alle stelle, baci ideali, ebbrezze ideali, tutto per aria, tutto nelle nuvole.
— In alto! — fece Carolina con enfasi.
— Sicuro; come la pioggia che finchè sta in alto non conclude nulla e se vuol esser utile a qualche cosa discende sulla terra.