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126 | Novelle gaje. |
— Alla buon’ora! ecco un mezzo semplice e sicuro per aver ragione voi.
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Non avrei potuto altrimenti far tacere quella linguaccia. Ma che spina ei m’aveva fitta nel cuore! Figuratevi che Carolina è la più simpatica fra le mie amiche; buona, cortese; ci siamo maritate insieme; ci vogliamo un bene! un bene!
E suo marito, dunque? che brav’uomo! quasi come il mio. Assolutamente io non potevo ammettere le insinuazioni di quel ciarliero maldicente; ma d’altra parte se era vero, com’egli aveva giurato, di averla veduta una sera sul bastione in compagnia d’uno sconosciuto... oh, imprudente Carolina! Lo stesso giorno mio marito, rientrando a pranzo, mi disse:
— Ho incontrato la tua amica...
— Carolina?
— Appunto; era insieme a un giovanotto...
— Biondo, alto, pallido... è suo marito.
— Ma no, ma no. Costui è piccolo, bruno, volto rosso quasi imberbe.
— Ti sei forse ingannato, non sarà stata Carolina.
— Oh! per questo era proprio lei; aveva un cappello nero.
— Tutte le donne oramai portano cappelli neri; sono di moda.
— Ma aveva una certa piuma azzurro-mare che non tutte hanno; e poi, se ti dico che era lei!