Novelle e racconti (Carrer)/La Catalana dal bel sorriso

La Catalana dal bel sorriso

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Tre incontri e un matrimonio L'Ospite
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LA CATALANA DAL BEL SORRISO.

Oh il bel cielo della Catalogna! Le aure ridenti, gli splendidi tramonti! Più che altro, la fresca bellezza degli abitanti, e delle donne singolarmente! A vederle danzare alla foggia voluttuosa della contrada, ti senti investire da un sentimento d’amore, quasi fosse esso tutta l’anima dell’universo; ti sembra non aver vissuto fino a quell’ora che una vita fredda ed inerte, e fredda ed inerte ti sembra da indi sempre la [p. 280 modifica]vita, ricordandoti sotto altro cielo, e in mezzo altre genti, quel cielo, quelle donne, quei balli.

Filippo, francese di nascita, condottosi in Catalogna per non so che suoi negozii famigliari, si abbattè ad una di quelle donne, la vista delle quali segna il cominciamento di una nuova era per la vita di un giovane. Non so se ad uno di que’ balli, de’ quali si è detto, o in altro luogo, ma lo scontrarsi degli occhi di Filippo in quelli della Catalana ebbe tutto l’indefinbile affascinamento che la parola simpatia non esprime che molto imperfettamente. Sembrava loro di essersi altra volta veduti, eppure quel loro vedersi aveva tutte le lusinghe della novità; credevano leggersi scambievolmente nei cuori traverso un’occhiata che ne era la manifestazione, e tuttavia mille dubbii e mille contradditorii giudizii insorgevano loro nell’animo; avrebbero voluto rimanersi lì fermi tutta la vita, e un senso irrequieto di avida curiosità in pari tempo gli stimolava a partirsi, per poi tornare ad accertarsi se quella prima unanime gioia che gli inebbriava fosse accidentale, o altrimenti. Misteri di un primo amore, cui tanto vale l’intendere, quanto il togliere ad esso i più cari de’ suoi prestigii.

Non diremo le reciproche interrogazioni fatte da’ due giovani a sè medesimi, i diverbii col proprio cuore; diverbii, o meglio soliloquii, ne’ quali la giovanile inesperienza, credendo di ritirarsi da un primo passo già fatto sulla via delle pas[p. 281 modifica]sioni, vi si inoltra ognora più; soliloquii ne’ quali la ragione alle prese colla fantasia ha un più terribile nemico a domare che non è la realtà medesima. Queste cose sarebbero soverchie a narrare perchè sempre le stesse; e più per l’esperienza che può averne fatto chicchessia, che per l’abuso delle descrizioni dei novellatori. Anche le assiduità di Filippo, e le ritrosie della giovane sono facilmente immaginabili. Sorvoliamo adunque ciò che vi ha di più bello nello stadio amoroso, ossia le prime mozze parole con cui sembra aver detto troppo quando nulla s’è detto, e da cui nulla credesi poter intendere, quando tanto se ne potrebbe che nulla più; le incertezze, le imprevisioni, gl’indovinamenti; tutto ciò in somma che per essere oltremodo dolce a provare, languido e prolisso riesce pur sempre per quanto di rapidità e di calore ci ponga chi narra.

Siamo lungo il mare, sovra un’amena spianata, cui fiancheggiano e profumano deliziosamente frequenti boschetti d’aranci. Filippo se ne sta avvicendando passi e parole con un giovane catalano di severa fisonomia, e di cuore ardentissimo. Uscito d’una delle più notevoli famiglie della contrada, lascia trasparire in ogni suo gesto, nonchè in ognuna delle rare e misurate parole, l’orgoglio della nobiltà spagnuola di cui fa parte. E tuttavia una dolcezza negli occhi, una soavità nel sorriso, che quantunque contrasti sensibilmente col resto del suo portamento, non [p. 282 modifica]saprebbesi dire a lui sconveniente. Era persona per cui Filippo aveva una commendatizia, ed, abitando Madrid, se ne veniva a quando a quando in Catalogna a trovarvi una sorella sua dimorante presso una zia. I due giovani avevano stretto amicizia poco men che fraterna in assai breve tempo, e la disparità de’ temperamenti, anzi che nuocere, aveva servito a fare più che mai intima la loro unione.

Camminavano adunque insieme lungo quella spianata, come s’è detto; quando lo spagnuolo (il suo nome era Alfonso) si arrestò improvvisamente, e disse a Filippo:

— E tu credi che sieno eletti i natali di questa giovane, che notturna ti attende a colloquii d’amore dalla finestra?

— Non ci ho, salvo questa che tu accenni, ragione alcuna per dubitarne; e questa ancora sarà buona ragione per te; per me, ti protesto, che la non tiene quel tanto che tu vorresti.

— Tu ci andrai dunque notturno, e in barchetta, come mi hai detto?

— Senz’altro, dacchè le finestre di lei rispondono sull’acqua.

— E nessuno indizio potesti ritrarre intorno al nome di lei, o al suo casato?

— Nessuno.

— E nè manco in qual parte sia la sua abitazione, il palagio, se ti par meglio?

— Nè manco questo. Un servo mi si deve far vedere ad un buon mezzo miglio fuori della cit[p. 283 modifica]tà, e da me chiamato per Leonardo, accostare alla riva un barchetto e guidarmi al luogo appostato.

— Siete avventurosi in amore voi altri Francesi!

In questo la faccia di Alfonso si rannuvolò notabilissimamente; e Filippo ebbe luogo ad accorgersi della impressione più sempre crescente che fatta avevano le sue parole sull’animo dell’amico.

— Qui non c’è luogo a rivalità nazionale, m’immagino; proruppe gaiamente il francese. Lo spagnuolo rispose con un sorriso, che molto avea del forzato, e in cui l’amaro grandemente sovrabbondava. Poi disse: nonchè avventurosi, sono però molto facili que’ della vostra nazione, e poca differenza ci fate da fiore a fiore, purchè non siano di quelli che portano spine.

— E ti par poco l’andarne all’insaputa del chi e del come, a discrezione di un uomo che non ho mai veduto, e che tanto potrebbe essermi nemico o rivale, quanto non aver nome Leonardo?

— È vero, potrebbe avere altro nome.

— E della giovane che ne so io, se non che ella sorride per tal modo da credere che non possa avervi tristezza per chi la vede in quell’atto? Un sorriso, amico mio, che può solo di quanto cade sotto occhio umano far dimenticare il resto di quella sua maravigliosa bellezza. Un sorriso... Dobbiamo girar canto, che mi crolli pel braccio? [p. 284 modifica]

— Perdona, è un poco di convulsione che talvolta mi prende al fare o all’udire discorsi assai accalorati. E tu se’ acceso, mi sembra, e sono assai vive le tue descrizioni. Tira innanzi. . .

— Poco ci ho a dire, e nulla che valga gli effetti di quel sorriso. Tutte le volte, e non furono molte, che vidi la mia sconosciuta, si fu tra gente, e l’ultima sola, ad un ballo mascherato, mi fu conceduto parlarle. Se dovessi raccontarti, in proposito della facilità che attribuisci alla nostra nazione, l’esitanza con cui apriva bocca a domandarle tale o tal altra cosa, anche delle più indifferenti! Parevami che ogni risposta potesse contenere lo sfacimento della cara illusione in cui mi trovava; che in ogni risposta ci potesse essere una rivelazione che avvelenasse la dolcezza che aveva per me la vita in quell’ora. Che fosse stato un sogno quanto mi era sembrato fino a quel punto realtà! Ma finalmente una parola mi ha rassicurato, e più che una parola tutta amore, un lampo di quel sorriso incantevole... non vorrei però essere troppo eloquente a costo del mio povero braccio...

— Via, prosegui: le son cose da nulla, e la memoria di quel caro sorriso, assai caro eh? deve farti indifferente a queste freddure.

— Quantunque il nostro dialogo fosse assai breve, ci potrei lavorar sopra un romanzo. Ma non voglio; e poi non c’è mica assai tempo in mezzo, dacchè prima dell’annottare mi conviene dar ordine a qualche mia faccenduola. [p. 285 modifica]

— Sì, ciascuno ha le sue.

— A rivederci domani, e forse che possa narrarti qualche cosa di più particolare sul proposito della mia zingana.

— Che zingana? borbottò malamente Alfonso.

— Ella era mascherata da zingana.

— Ti avrà cantata la tua buona ventura: me ne rallegro. A domani.

Ciò detto si congedarono.

La notte si faceva più che mai alta e tenebrosa, quando Filippo si condusse al luogo assegnato, mezzo miglio fuori della città. Quivi giunto, trovò a riva un barchetto, con sulla poppa un uomo, che al nominare Leonardo gli fece segno d’entrare. Avevano appena lasciato la riva, e Filippo ponevasi in silenzio a considerare la propria situazione, quando un gemito, come di moribondo, si fe udire indi a poca distanza. Che è questo? disse Filippo. Rispose dalla poppa Leonardo un cotal suono inarticolato, quasi dicesse: Che ne so io? Che ne posso sapere? E continuò remando di tutta lena. Filippo attese anco un istante a quella parte, e non gli fu udito più cosa alcuna. Giunsero rimpetto le finestre, e Filippo diventò tutto occhi ed orecchi. Avrebbe voluto interrogare Leonardo, ma non seppe trovarci modo. Finalmente un lontano barlume colorò lievemente le invetriate; la barca diede una scossa che poco più ci voleva a capovolgerla. Filippo fu per rimproverare il poco abile battelliero, ma pensò di esse[p. 286 modifica]re forse stato egli stesso a scuoterla per l’apparire del lume desiderato sulla finestra.

La finestra si schiuse: per quanto ne lasciava apparire il lume, che indi a un brevissimo momento si spense, la faccia della bella Catalana aveva perduto la sua ordinaria vivacità. Un insolito pallore vi si era diffuso; pallore che avrebbesi potuto credere non più che il solito colore degli innamorati, se le pupille immobili e rientrate non avessero lasciato sospettare un turbamento, scompagnato da ogni dolcezza. Filippo attribuì quella mutazione alla singolarità del modo con cui ne venivano a colloquio egli e la sconosciuta. Dopo breve silenzio si fe animo a domandare: E dovrete esser per me sempre mistero? Non potrò gustare accolta in un nome quanta armonia possano avere le parole tutte? Mia bella zingana, non vogliate che io faccia l’indovino con poco effetto. Ditemi il vostro nome, e sarà questa la mia buona ventura.

— Zingana? Le sono tra i balli, e non hanno nome. Quando anche mi nominaste, secondo che io vi dicessi, credereste chiamarmi pel mio vero nome? Se amate la musica delle parole non siete che molto indietro nell’arte; v’è la musica del silenzio, proprio fatta pel cuore. Le zingane cantano agli altri la buona ventura, ma non sanno la propria. Le zingane sono cianciere; voi altri, uomini, sapete come si tace.

— Che discorsi mi fate? Io non posso intendervi. [p. 287 modifica]

— Il mare è in bonaccia, la luna sorride dall’alto, i freschi venticelli fanno invito a partire. Il profumo delle rose... ci avete voi rose in Francia? E sono esse si fragili, di sì corta vita, come le nostre?

— Ma, che domande son queste? Vi prego...

— Prego io; quando tornerete nella vostra bella contrada, cogliete una rosa e sfogliatela per mio amore. Non altro. Vi darà gusto a vedere quelle foglioline aggirarsi lentamente d’intorno a voi, e poi cadere. Pestatele tutte, una per una... e per mio amore, sapete.

— Oh Dio! che cosa è questo mai?

— Vi piace la musica? Volete che vi canti la buona ventura?

Sparito è il verno, tornano i fior;
A che non vieni mio, dolce amor?
Per farmi inganno nell’aspettar
Vorrei cantar...

La misura è sbagliata, non è vero? Non ho chi mi batta la solfa. Ditelo a Leonardo, al vostro battelliero. Udite se vada meglio quest’altra.

La giovinezza da me fuggì,
Non trovo il canto de’ primi di!
De’ primi dì!...
Oh Francia bella! popolo altier...
Ma in Spagna s’ama... ma in Spagna s’ama...
Se fosse ver!...

Credete ch’io voglia star qui a cantar tutta notte? Addio, addio. [p. 288 modifica]

La finestra dopo queste parole si chiuse, e Filippo si rimase stupefatto ad attendere che si aprisse di nuovo; ma inutilmente. Mille stravaganti pensieri gli traversarono la mente. Un poco di maretta cominciava a sommovere l’acqua su cui sobbalzava il battello; ma era nulla a petto della interna agitazione del giovane. Nel sibilo del vento, e nel mormorio dei flutti, udiva la voce della sconosciuta ripiena di bizzarra malinconia. Ella è fuori del senno, disse fra sè, ma non era tale quando la vidi altre volte. Chi sa svolgermi questo nodo? O forse che volle farsi beffe della mia credulità? Tu, Leonardo, che me ne dici? Il battelliero mormorò un altro di que’ suoni inarticolati, che significano in tutte le lingue: Che so io? che ne posso sapere? — Ti ficcherò nella gola un pugnale, se non sai rispondermi, gridò allora furiosamente il giovane francese. E levavasi da sedere per gettarsi addosso al battelliero, e costringerlo a parlare. Ma questi spiccò un salto dalla poppa, rispingendo sempre più al largo la barca e lanciandosi in sulla riva. Sulla quale arrivato, si dileguò rapidissimo tra gli alberi, di maniera che fu vano ogni studio posto dall’altro a raggiugnerlo, atteso l’indugio dell’accostare di nuovo alla riva la barca, e la poca pratica de’ luoghi. Errò nulladimeno tutta notte, e solamente sulr albeggiare, disperato di più ritrovare Leonardo, si ricondusse in città.

Riavutosi alcun poco, si avvide del male che [p. 289 modifica]aveva fatto a non bene tener l’occhio a’ luoghi per ritrarre notizie della sconosciuta; ma dapprima l’ansietà, quindi la maraviglia e il dolore, per ultimo la stizza lo avevano distratto per guisa, che nulla più gli era rimasto nella memoria tranne una finestra, un lume fioco, un volto pallido e un malinconico canto. Oh a voler paragonare queste rimembranze col sorriso che irradiava altra volta la faccia alla sconosciuta! Rivedrà egli più quel sorriso?

Quando riparlò con Alfonso non osò raccontargli la sua avventura. Temette di far argomento di scherzo una donna e una storia che lasciavano nella sua anima una impressione di profondo dolore. Si contentò di dirgli che la cosa non eragli riuscita, come aveva a principio creduto, e il contegnoso spagnuolo di rispondere: Voi siete facili a credere, voi altri francesi.

Tornato a Parigi, da indi a qualche tempo si abbattè Filippo in Alfonso, cui trovò molto cangiato d’aspetto e di umore. Gli si proferse per quanto poteva, e tuttochè l’altro per nulla si giovasse di quella esibizione, non mancarono di ripetutamente visitarsi, e di uscire alcuna volta al passeggio in compagnia. Un giorno che Alfonso, come non era solito di fare presso che mai, uscì in un sorriso, Filippo fu per tramortire dall’angoscia che ne provò al cuore. Che avete? gli disse seccamente lo spagnuolo. Nulla, rispose l’altro; una rassomiglianza che mi fa torna[p. 290 modifica]re alcun tempo addietro. — Sempre bizzarri ad un modo! Dopo questa esclamazione di Alfonso la conversazione morì. Indi a qualche giorno fu portata all’albergo di Alfonso una lettera, per la quale gli convenne partire sul fatto e ricondursi in Ispagna. Mille dubbii erano nati nella mente di Filippo; e a chiarirsi d’alcuno, pensò andarne in traccia d’uno spagnuolo, famigliarissimo di Alfonso, e rimasto a Parigi dopo la partenza di lui. Si studiò andargli ai versi il più possibile, e le rivelazioni che potè ritrarne si riducono al breve dialogo seguente:

— Quel sorriso che mi ha fatto tramortire comparso sulle labbra di Alfonso?

— Era lo stesso che vi fece innamorare della sorella sua Eulalia.

— La era dunque pazza quella infelice?

— Non altro che pazza esser poteva una donna, della nascita di Eulalia, accordandovi un notturno convegno come a suo innamorato.

— Ma quando le parlai altre volte non sembrò tale.

— Ma tale divenne, dacchè almeno poterono, attesa la vostra garrulità, sapersi dal fratel suo i vostri accordi.

— Che le fosse stato ingiunto di fingersi pazza?

— Quest’è un secreto che ora sta nella tomba.

— Come?

— La lettera, che fece partire Alfonso di Parigi così repentinamente, portava la notizia del[p. 291 modifica]la morte di Eulalia, che da qualche tempo viveva in un ritiro, guardata come persona priva del senno.

— E non bastava ad Alfonso la lezione data a me e alla sorella sua in quella notte?

— Forse Eulalia pagò quella lezione col perdere il senno davvero.

— Oh io l’ho veramente calpestato quel fiore, com’ella diceva! Oh, com’ella cantava, egli è nella Spagna che si ama! E il battelliero?

— Era Alfonso stesso.

— E Leonardo?

— Lo avete udito gemere moribondo, mentre languiva trafitto qual complice della tresca.