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sioni, vi si inoltra ognora più; soliloquii ne’ quali la ragione alle prese colla fantasia ha un più terribile nemico a domare che non è la realtà medesima. Queste cose sarebbero soverchie a narrare perchè sempre le stesse; e più per l’esperienza che può averne fatto chicchessia, che per l’abuso delle descrizioni dei novellatori. Anche le assiduità di Filippo, e le ritrosie della giovane sono facilmente immaginabili. Sorvoliamo adunque ciò che vi ha di più bello nello stadio amoroso, ossia le prime mozze parole con cui sembra aver detto troppo quando nulla s’è detto, e da cui nulla credesi poter intendere, quando tanto se ne potrebbe che nulla più; le incertezze, le imprevisioni, gl’indovinamenti; tutto ciò in somma che per essere oltremodo dolce a provare, languido e prolisso riesce pur sempre per quanto di rapidità e di calore ci ponga chi narra.

Siamo lungo il mare, sovra un’amena spianata, cui fiancheggiano e profumano deliziosamente frequenti boschetti d’aranci. Filippo se ne sta avvicendando passi e parole con un giovane catalano di severa fisonomia, e di cuore ardentissimo. Uscito d’una delle più notevoli famiglie della contrada, lascia trasparire in ogni suo gesto, nonchè in ognuna delle rare e misurate parole, l’orgoglio della nobiltà spagnuola di cui fa parte. E tuttavia una dolcezza negli occhi, una soavità nel sorriso, che quantunque contrasti sensibilmente col resto del suo portamento, non