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re forse stato egli stesso a scuoterla per l’apparire del lume desiderato sulla finestra.

La finestra si schiuse: per quanto ne lasciava apparire il lume, che indi a un brevissimo momento si spense, la faccia della bella Catalana aveva perduto la sua ordinaria vivacità. Un insolito pallore vi si era diffuso; pallore che avrebbesi potuto credere non più che il solito colore degli innamorati, se le pupille immobili e rientrate non avessero lasciato sospettare un turbamento, scompagnato da ogni dolcezza. Filippo attribuì quella mutazione alla singolarità del modo con cui ne venivano a colloquio egli e la sconosciuta. Dopo breve silenzio si fe animo a domandare: E dovrete esser per me sempre mistero? Non potrò gustare accolta in un nome quanta armonia possano avere le parole tutte? Mia bella zingana, non vogliate che io faccia l’indovino con poco effetto. Ditemi il vostro nome, e sarà questa la mia buona ventura.

— Zingana? Le sono tra i balli, e non hanno nome. Quando anche mi nominaste, secondo che io vi dicessi, credereste chiamarmi pel mio vero nome? Se amate la musica delle parole non siete che molto indietro nell’arte; v’è la musica del silenzio, proprio fatta pel cuore. Le zingane cantano agli altri la buona ventura, ma non sanno la propria. Le zingane sono cianciere; voi altri, uomini, sapete come si tace.

— Che discorsi mi fate? Io non posso intendervi.