Novelle (Sercambi)/Novella V
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V
Essendo stato il preposto a dormire mentre che l’altore dicea la ditta novella, svegliandosi, sentendo le donne e li omini ridere dimandò qual’era la cagione. Pulii per alquante giovanette bal5 danzose ditta la novella del marcifaccio; e quella intesa, come loro incominciò a ridere, dicendo a l’altore che ne dica una la quale lui senza dormire ascolterá volentieri fine che alla cittá di Pistoia perveranno. L’altore rispuose che sará fatto e disse:
DE MAGNA PRUDENTIA
De’ re Gostanzo di Portogallo e della donna, figliuola
de’ re di Tunisi.
Lo re Gostanzo di Portogallo avendo preso per donna la figliuola de’ re di Tunisi nomata Galiana, bellissima e giovana e atta più tosto a du’ che a uno per la sua fortezza e bellezza, divenne che, essendo venuta a marito al ditto re Gostanzio e di le’ Gostanzio re prendendo molto diletto e piacere, contentandosi di lei più che marito mai donna che avesse, divenne che la ditta Galiana reina, non parendoli avere a sua sofficienzia il suo contentamento, secretamente delle parti di Tunisi ebbe un giovano bellissimo in forma di femmina vestito in forma di cameriera, afermandoli esser mandata dalla madre per sua compagnia; la reina quella, di volontà di Gostanzio re, ricevette.
E stato alquanto tempo insieme, la ditta nuova cameriera dormendosi colla reina (come) si convenia, prendendo diletto insieme, avenne che una notte lo re Gostanzio dormendo, in visione li parve vedere uno ramarro grossisimo che carnalmente con la sua donna giacea. Lo re stupefatto con tremore si destò avendo già nel cuore concetto nuova malizia, sì per l’amore che portava alla donna sua, sì per la paura che quasi di spasmo morìo. E mandato per suoi maestri e istrolagi narrando la sua visione e la cagione della sua infermità, li quali senza alcuno rimedio partendosi non sapendo trovare il tinore né la ragione di tal malatia, lo re e i reali veduto tal fatto, avuto novo consiglio e narrato il difetto de’ re, fu deliberato, doppo molti consigli, che si mandi per tutta Cristianitá e per la Giudea imbasciaria con pieno mandato che qualunca persona promette di guarire lo re che in recomenda e’ drá tutto ciò che altri sa dimandare salvo la corona e la donna. E qual persona promettesse e non facesse sano lo re, sia morto. Questo consiglio piacque a tutti e, fermato con bolle e carte, si elessero molti imbasciadori in più luoghi; e massimamente per la Italia s’elesseno tre imbasciadori onoreveli con piena balìa.
E perché de li altri non è da far menzione, tornerò a dire che giunti i ditti imbasciadori a Vignone e quine non trovando rimedio allo re, si dirizzonno verso Saona e dapoi alla cittá di Genova; e intrati in mare pervennero a Pisa, sempre investigando di savi omini. Giunto in Pisa, pogo acquisto fenno: si dirizzonno verso Lucca. E stati a Lucca alcuni dì, passonno per la via di Pistoia. E perché in Pistoia arenno più tosto trovato di molte barlette che astrolagi, niente acquistarono, e caminaron verso Firenze per la via del Pogio a Caiano. Essendo del mese di luglio, inne’ grandi caldi, i preditti imbasciatori giunseno a Paretela e quine sposarono, dando pensieri che loro e’ loro cavalli e famigli mangiassero e alquanto posassero.
E veduto l’ora da doversi partire per andare a Firenze, domandaro del camino: fu per uno cavalieri fiorentino nomato messer Aluisi Salviati, il quale quine era venuto per ispasso, ditto: «Io vado a Firenze, noi possiamo andare insieme». L’imbasciadori, vedendo costui in forma di cavalieri e solo, stimolino co’ lui seguri potere andare a Firenze. E intrati in camino e caminato alquanto, l’uno delti imbasciadori parlò dicendo: «Messer, acciò che non c’incresca la via, montate in sul nostro ronzino e noi monteremo in sul vostro». Messer Aluisi, che vedea il suo cavallo esser da poco e quello dello imbasciadore d’assai, quasi isdegnato niente rispuose. E caminando vennero a una acqua, la quale per lo distruggere della nieve lo giorno era assai grossa e torba. E giunto quine uno delli imbasciadori disse: «Messere, se io fusse conte come siete voi, a ogni acqua farei un ponte». Messer Aluisi più malanconoso arebbe volentieri abandonatoli, ma pur la gentilezza lo fe’ star fermo senz’altro parlare tanto che funno presso a Firenza a una arcata. Ediquinde vedendo alquanti lumi con preti uscire fuora della porta di Firenza disseno a messer Aluisi che voleano dire quelli lumi e preti. E messer Aluisi disse: «Èglie uno morto che si porta a soppellire». Li ambasciatori dissero: «È morto o vivo?» Messer Aluisi scornato e più malinconoso a niente risponde. Et entrati dentro in Firenze, messer Aluisi li acompagnò all’albergo della Scala al Ponte alla Carraia che quine era vicino e tornòsi a casa sua, innella quale altri che una sua figliuola pulcella d’età di anni xiiii nomata Calidonia in quella casa dimorava con messer Aluisi.
Giunto messer Aluisi, la figliuola a l’usato modo fattoseli incontra e vedutolo malanconoso cominciò a dimandare il padre qual fusse la cagione della sua malinconia; alla qual messer Aluisi narrò tutto ciò che li imbasciadori forestieri li aveano fatto e ditto. Calidonia, udendo tutto ciò, pregò il padre che si confortasse e che li piacesse che quelli imbasciadori la mattina seguente fusseno a desnare con lui. Messer Aluisi udendo la figliuola disse: «Dolcissima figliuola, come possiamo noi ricevere tali, che non abiamo tanto?» La figliuola disse: «Padre ottimo, io impegnerò la mia palandra e con quelli denari faremo onore a quelli forestieri». Lo padre piangendo disse: «Come comparirai a Santa Riparata e alle feste tra l’altre pulcelle disonestamente vestita?» Al cui Calidonia rispuose: «Padre perfetto, sperate in Dio e Dio di tutto ci ristorerà». Alle cui parole il padre disse ch’era contento.
E ristrinte le lagrime dentro, all’albergo della Scala se n’andò e quine trovò li ambasciadori; e fatto la debita reverenzia, l’invitò per la mattina rivegnente a desnare seco. Lo magior de’ tre, vedendolo assai poveramente vestito, per compassione disse che non era di bisogno. Messer Aluisi disse: «E’ conviene che ne consoliate me et una dolcissima figliuola che domatina desniate meco». Li altri imbasciadori ristringendosi col primo disseno: «Noi siamo venuti in questi paesi per investigare la salute del nostro re; e se noi non prendiamo buona domestichezza con alcuni buoni omini, come potremo la imbasciata mai compiere? A noi pare che liberamente acettassimo lo ’nvito. E perché questo cavalieri dimostra esser povero e perché ha una figliuola piú bella, diciamo che, per compasione, di tal desnare li donassimo c fiorini, e così acordati acettassimo lo invito». E così fenno.
Messer Aluisi, così, malanconoso tornò alla figliuola, dicendo: io «Ellino hanno acettato, come faremo?» La figliuola disse: «Bene!» E tratto la sua palandra dello scrigno e datala al padre, il padre quella con lacrime prese e a l’usurieri portola, per iiii fiorini le misse pegno e tornò alla figliuola e disse: «Ecco i denari della tua palandra». La figliuola quelli prese, di presente mandò per una sua servente che di contra a le’ stava e a lei impuose che comprasse di quelle cose che bisognavano. E fornito di tutto et aparecchiato onorevilmente, all’ora del desnare messer Aluisi, vedendo la sua figliuola aver tutto aparecchiato, di tenerezza lagrimando di tanto provedimento fatto per lei, subito si mosse et andò a l’albergo, dove trovò li tre imbasciadori e quelli richiese. Con messer Aluisi si misero in via lassando ogni loro famiglio.
Condutti a casa di messer Aluisi e sagliti le scale, la donzella con allegra e bella faccia riceuto l’imbasciadori e levate loro le mantella da dosso e fattoli puonere a sedere, aparecchiato loro l’acqua alle mani, si lavarono (né altra donzella che Calidonia non era a quel desinare, salvo la servigiale che portava e aregava le vivande e altre cose bisognevoli). Messi a mensa l’imbasciadori, el padre e Calidonia servendoli, e di molte maniere di vivande aparecchiato, vini e confetti, intanto che li ambasciadori diceano tra loro esser loro nel secondo paradiso. E così mangiaro agiatamente e con piacere.
Mangiato, prima che da taula si partisseno, Calidonia, fatta la debita reverenzia, parlò alto dicendo: «Magnifici signori, io sono vergine Calidonia, figliuola di messer Aluisi Salviati gentilissimo di Firenza, la quale per l’amor paterno e dalla ragione costretta mi stringe il dovere a chiarire le vostre menti d’alcune cose per voi narrate allo mio dolcissimo padre, lo quale d’alcuno pensieri costretto non vi potéo dare quella buona risposta che l’animo vostro desiderava; e pertanto a me come di sua carne nata, ha di dovere le suoi mancate cose ristorare. E pertanto vi prego che degnamente ascoltiate quello dirò». L’imbasciadori, parendo loro esser costei cosa divina più che umana, funno contenti d’ascoltare quello ch’ella dir volesse.
La quale cominciò a dire: «Quando per voi fu ditto a mio padre che montasse in sul vostro cavallo e voi in sul suo per non increscere il camino, rispondo che altro non volovate se non che ’l mio padre dicesse alcuna novella e voi il simile». L’imbasciadori disseno: «Voi dite la verità». «Alla parte che voi diceste dell’acqua e del ponte rispondo: se mio padre fusse ricco come già fu, tutto arè’ fatto ciò, ché arè’ fanti che arenno fatti la via dinanti alle sell’e arenno portati buoni fiaschi di vino». L’imbasciadori disseno: «Certo dite il vero». «Alla parte voi diceste se quello era corpo morto o vivo rispondo che se tale innella sua estrema vita fu ben disposto, che quello era vivo, o se fu mal disposto, lui era morto». L’imbasciadori avendo auto da costei la soluzione delle lor questioni funno assai piú lieti che di prima.
E fatto silenzio a queste parole, Calidonia cominciò a dire a questi imbasciadori, pregandoli che d’onde fussero e dove andassero e la cagione e perché dovesseno a lei narrare. Lo magior de’ tre imbasciadori udendola cominciò a dire: «Costei vorrè’ sapere quello che a noi sarè’ vergogna narrareli». E deliberato voler il dono de’ fiorini c lassare, strintosi insieme co’ compagni di tali denari li compagni rispuosero che veramente a loro parea che di tutto ciò che la giovana avea domandato essere da narrarli, sperando di ciò potere più tosto prenderne alcuno frutto che altro; e narratoli e datoli fiorini c, prendere loro camino.
E messo in efetto e tornati a sedere dove s’erano levati, il magiore narrò sotto brevità tutta la loro faccenda et il perché e d’onde veniano et u’ andavano. Udito a pieno Calidonia tale imbasciata, disse loro: «Che guigliardone o vero premio arà chi il vostro re liberasse?» Li quali rispuoseno e mostronno la loro balìa. Calidonia preso licenzia dal padre di parlare, il padre dandolali non sapendo di che volesse parlare, ella disse: «Signori ambasciadori, ii principali cose, le quali <vorrei> che con sacramento mel promettiate». L’ambasciadori ciò udendo dissero che volentieri prometteano e disseno che ella chiedesse. Calidonia aregato quine uno libricciuolo di Nostra Donna in sul qual fece giurare a’ ditti imbasciadori, e prima giuronno che mai a persona del mondo non manifesterenno lei esser femmina ma sì medico, e simile farenno che’ re farè’ tutto ciò ch’ella chiedesse, offerendose a esser morta se di tal malatia non guarisse il re. Fatto il sacramento e data la imposta del partire l’imbasciadori lieti si tornarono all’albergo.
E il padre di Calidonia pensoso e con grande malinconia delle cose promesse ritornatosi in casa, disse: «O Calidonia, mia dolcissima figliuola, o che è stato quello che hai promesso?» Calidonia rispuose e disse: «Sperate in Dio e faite bene et ogni bene ve ne averrà. Et ora si parrà quanto è il vostro sangue gentile et il vostro cuore ardito di consentire alla vostra figliuola: per Dio, dite di sì!» Messer Aluisi, che (come) sé l’amava, disse: «Dì e comanda ciò che vuoi et io farò tua volontà». Calidonia disse: «Padre, vendete questa casa e faite d’averne fiorini viii cento e quelli a me aregate». Lo padre disse: «E’ serà fatto». E subito la ditta casa vendéo, sotto nome di maritare la figliuola, per fiorini viii cento e quelli auti a lei li portò. Li quali subbito diliberò si spendesseno in questo modo: prima, che per lei si comprasse uno ambiante di pregio di fiorini 80; et uno ronzino per uno famiglio di fiorini xx; et uno trottieri per lo padre di fiorini 80; e una mula o vero cavallo per una valige di fiorini xx. E per lei si facessen iii veste, l’una d’un bellissimo drappo a oro di stima di fiorini 150, con tutt’i fornimenti; e uno vestire in forma di medico con uno cappuccio grande foderato di vaio, di pregio di fiorini 50; et uno altro vestire per modo di cavalcare con stivali valigi e cappello, di spesa in tutto di fiorini 50. E al padre ordinò di vestimenti assai orrevili oltr’a quelli avea, di spesa di fiorini c. Lo resto de’ ditti fiorini 800, colle massarizie di casa, con altre cosette, in somma di fiorini 500, si misero in borsa. E col nome di Dio si partiro di Fiorenza del mese di luglio.
E tanto caminarono che del mese di ogosto giunseno alle confini de’ re di Portogallo. E mandato innanti alcuno a cavallo notificando la venuta del nuovo medico, lo re tutto ralegratosi mandò loro incontra molti baroni più giornate. E giunti insieme, onorevilmente acompagnati innella città dov’era lo re Gostanzio, condutti e sposati al palagio reale, lo medico andò a visitare lo re e contortòlo; a cui lo re fe’ bella ricevuta e molto sperò sanità. Riposati la sera, li ambasciatori parlonno a’ re dicendo che certo lo medico lo volea guarire, ma che volea che a lui fusse atenuto «quello abiamo promisso, offerendose voler morire se di tal malatia non vi guarisce». A cui lo re rispuose e disse che la mattina volea che in presenzia de’ reali e baroni l’obligo fusse fatto; e così fe’ comandare. E al medico fe’ dire che prima che ad altro si vegna, che volea che fusse seguro della promessa.
Venuta la mattina e raunato il consiglio, lo re fattosi portare e quine venuto il medico, in presenza di tutti lo re promisse e di ciò s’obligò: escludendone la corona e la sua donna, ogni altra cosa messe in abandono. Fatto questo, il medico s’obligò che se di tal malatia non lo guada lui volea esser morto, né altro premio volea. Piacque a’ re e a li altri l’obligazioni. E fatto questo lo medico disse: «Santissima corona, prima che io vegna ad alcuna medicina, io voglio che a me sia conceduto libero e mero imperio in tutta la vostra famiglia e simile della vostra persona come se fusse voi». Alla qual parte lo re fu contento, dandoli piena balìa sopra di sè e di tutta la sua corte, così de li omini come delle donne; e tale comandamento fe’ fare sotto grieve pena.
Avuto il medico nuovo tale giurisdizione e volendo provar se con efetto era ubidito, non molti giorni apresso fuen venuti che fe’ raunare tutte le genti d’arme e messi innella sala, innella quale fe’ venire lo re. E venuto, lo medico comandò che quelli armati traesseno fuora le spade; le quali cavate, subito comandò, stando presso a’ re, che venisseno a uccidere lo re. Coloro mossi da tale comandamento e venuti per amazzare lo re, lo medico disse: «Non faite, tiratevi indirieto». E così fenno. E veduto il medico che ogni dominio avea della casa e delle persone, dandosi a investigare della condizione della donna e della sua nazione, trovato che quelle di quel paese tegnono che du’ lo fanno meglio che uno, stimò per certo costei non dovere stare contenta solo de’ re, ma con altri saziare la sua bestiale volontà. Et eziandio, per suo intelletto il ditto medico comprese innella faccia d’alcuna cameriera esser alcuno atto maschile. Di che stimando la sua medicina potere adoperare, divenne che a mezzo settembre fe’ richiedere e volse aver tutti, maschi e femine, per li loro propri nomi. E quelli avuti, fe’ loro comandare che sotto pena della morte ciascuno fusse innella grande sala de’ re, là u’ quine era fatto uno nobilissimo letto innel quale lo re si dovea posare.
E venuti tutti, ciascuno secondo il suo grado e tal con armi, e le donne onorevilimente vestite, e fatto la richiesta di ciascuno e trovandosi tutti esser quine venuti; lo medico facendo puoner da parte le brigate, e prima li reali, apresso li gentili omini, poi li scudieri e famigli e generalmente tutt’i maschi sanza arme; e tutti quelli che armati erano il ditto medico innel mezzo della sala apresso a’ re li ritenne colle spade nude in mano. E voltosi a madonna la reina e l’altre reali e donne che quine erano, e quelle fe’ stare apresso de’ letto de’ re; e doppo queste, loro cameriere e servigiali, digradando la stanza delle camerieri secondo la stanza delle loro donne. Fatto tale essembramento, comandò a’ ditti armati che qualunca fusse quello o quella che del suo luogo si movesse senza sua saputa o che subito non facesse quello che fusse comandato, che di presente fusse fatto morire. Disposto ognuno di ubidire il suo comandamento, e lui subito comandò che lo re fusse spogliato nudo come nacque: e fu fatto. Apresso che tutti li reali e li altri baroni et omini si dovessero nudi spogliare: e fu ubidito. Comandò loro che non si rivestano senza sua licenzia. Or chi vedesse massarizie aparecchiate a turare buche! Certo assai ve n’avea.
La reina, che sapea l’opera che tenea, dubitando e stando sospesa, e quasi diliberata di partirsi fue tutta mossa, ma non potendosi partire steo a vedere. E rivolto il medico verso a la reina e all’altre donne dicendo: «Spogliatevi»; e non potendo resistere, tutte si spoglionno nude. E i panni di ciascuna fatti discostare, lo medico con uno torchio acceso (perché s’apressava a sera et anco perché lo re fusse piú certo della sua entenzione) acostandosi alla reina e faccendo a quella aprire le gambe, co’ lume dimostrò a ciascuno lei esser femina. E cosí andò a ciascuna dell’altre donne.
Giunto il medico alle camberiere e vedutane una infra l’altre tener le gambe molto chiuse, comandandoli che quelle aprisse, lei pure stringendo, la compagna che da lato l’era disse: «Or come, non pensi tu ubidire il nostro medico? E non credi tu che altri abia così caro lo suo onore come tu lo tuo?» E aperse le braccia: afferrandoli le cosce, le gambe aperse. E come quella l’ebbe aperte, subito li uscio dinanti uno pasturale che sarè’ stato sufficente a ogni gran prelato. Lo medico co’ lume acostandosi e trovando questa cameriera con sì fatta massarizia e così fatto manico, per lo qual il ditto medico comandò a madonna la reina che conducesse la sua cameriera dinanti a’ re col manico in mano. La reina costretta e di paura tremante, in presenzia di tutte le donne e di quelli omini condusse a’ re la sua cameriera. Lo medico domandò tal cameriera d’onde fusse e di che nazione. Lui rispuose ch’era dell’alte montagne, nato di vile condizioni. Allora il medico disse: «Santa corona, questi è quello ramarro che ha giaciuto colla vostra donna reina». Lo re vedendo tal fatto, subito, senza rivestirli, senza alcuna cosa, in presenzia di tutta la corte e del populo in sulla piazza li fe’ insieme ardere. E così morinno.
E fatto tale giustizia e fatti rivestire ogni persona, incominciato i’ re a prender conforto, richiesti tutti i medici della terra per dare a’ re confezioni ristorativi, in poghi giorni il ditto re fu sano et in buon punto e fresco più che rosa di magio.
Lo medico nuovo, sentendo la sanità de’ re, parlò colli imbasciadori dicendo: «Ogimai è tempo che io me ne ritorni in mio paese, e per merito io vi voglio pregare che dichiate a’ re che mantegna la promessa e ’l sacramento fatto». L’imbasciadori se n’andorno a’ re e disseno: «Santa corona, lo medico ci ha ditto che vorrè’ che voi li atenesse la promissa e ’l sacramento fatto, e vuole che in presenzia di tutta la vostra corte, donne e cavalieri, li facciate quello che a voi chiederà». Lo re rispuose: «Volentieri, ma ben sono male contento che sì valente omo et assai giovanetto se ne vada, che sarei contento che qui dimorasse». Li ambasciadori disseno: «Faite il vostro dovere e poi lassate a lui il pensieri dell’andare e dello stare». Lo re fu contento et ordinò che lo dì di san Michele Arcangelo, «che serà in domenica, vegna a chiedere ciò che li piace et io l’aterrò meritamente secondo la promessa fatta».
Tornati l’imbasciadori al medico e tutto narrato, fu contento. E disse al padre: «Padre dolcissimo, omai è tempo che Dio ci ristori di tutti i vostri e miei affanni. E pertanto piacciavi, come sempre siete stato meco in una camera a dormire, così domenica mattina sarete a conciarmi. E faite che io abbia del lustro che s’usa a Firenze, che io voglio dimostrare più bella <ch’io> sia». Lo padre, ch’era disposto a tutto servirla, comperò di quelle cose che a far belle <le> donne si richiede e <a> lei <le trasse>.
La domenica mattina, vestita quella onorevile robba, conciatasi la bionda treccia e legiermente alla costa a voltasela et in capo uno capuccio grande in modo di medico messosi et uno mantello scherlatto in dosso che niente della palandra si vedea, e ben parea un piacevole e giovano medico, intanto che molte volte le donne che lui aveano veduto, e massimamente la mattina, s’inamoronno di lui.
E raunato i’ re con tutti i baroni e donne lo dì nomato, fu richiesto lo medico che venisse a chiedere la grazia promessa. Et uscendo di camera aconcio come ditto, e dirieto il padre vestito onorevilmente, e giunti innella sala là u’ da tutti li fu fatto sommo onore e venuto davanti a’ re, lo re li parla, doppo il molto contentamento avuto per la sua venuta, che lui era presto a tutto ciò ch’e’ chiedere sapesse, salvo la corona; e così presente tutti i baroni e donne promisse. Al quale rispuose: «Io, chi mi sia, sono nato di gentil sangue e di buona e reale terra e il padre mio ho avuto sempre apresso di me. E se vi piaccia che io dica tutto quello che a me bisogna e di mia condizione in processo del mio ragionamento, sì <vi> suplico <rispondere> alla mia domanda. E se questo promettete, dirò». Lo re di nuovo giura e promette di tutto fare. Allora, mutato parlare, disse: «Carissimo re et a me signore, voi sete senza donna, et onesta e savia bisognerò’ al vostro magnifico stato, e non di quelle che disonestamente viveno, come già lo provaste. E pertanto io vi chiego che vi piaccia prendere Calidonia figliuola vergine di messer Aluisi Salviati, di Italia nata, per vostra sposa e moglie legittima. E acciò che possiate esser certo della sua bellezza e bontà, vi dico che io sono quella che vo’ che vostra sposa sia». E gittatosi il mantello da dosso e il capuccio di capo, rimase in sì fatta robba lustrante come il sole.
Lo re, questo vedendo, mille anni parendoli d’averla, contento con uno anello in presenzia di tutti la sposò; e la festa fu inestimabile, lodando il suo senno, lo re tenendosi il piú contento uomo del mondo, disponendo il padre di Calidonia conte; e insieme vissero lungo tempo.
Ex.º v.