Novelle (Sercambi)/Novella IIII

Novella IIII

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IIII


Lo preposto avendo udito la novella di Ganfo e tutte le donne, e per non star ozioso disse a l’altore che conducesse la brigata con una bella novella tanto quanto durerá il giorno, stimando esser quasi l’ora declinata del di, che si possa andare al dilettevole castello di Saminiato. L’autore presto cominciò a dire:


DE MALVAGITATE ET MALITIA

Del preditto Ganfo e di Zanobi calzolaio.


Magnifico preposto, e voi, omini e donne desiderosi di udire, essendo Ganfo pilicciaio grosso e materiale, nientedimeno alla sua bottega era sottile. E faccendo l’arte sua in una bottega a San Cristofano di Lucca, uno fiorentino nomato Zanobi calzolaio avendo preso a pigione lo solaio dove stava Ganfo a bottega — pensando il ditto Zanobi che per fare dispiacere al ditto Ganfo la bottega dovesse abandonare acciò che lui <l>’avesse per potervi l’arte sua delle scarpe fare — et avendo sentito il modo che Ganfo avea tenuto quando disse esser morto, pensò: «Io potrò con costui fare ogni dispiacere, e come matto mi lasserà e crederà cosa che io li faccia». E fatto tale fondamento, diliberò Zanobio ogni dì du’ volte coll’orina sua bagnare le pelli di Ganfo.

E cominciò più presto potea, che alla scala dove Zanobio montava fe’ uno pertuso, dove Zanobio metteva il suo marcifaccio e quine orinava, intanto che tutte le pelli bagnava. E cosí s’ingegnava di ritener l’orina per potere le pelli di Ganfo tener fresche, che ogni volta che venia a orinare quell’era il suo luogo. [p. 24 modifica]

Ganfo, che ogni mattina trovava le sue pelli bagnate, lamentandosi di Zanobi perché di sopra li stava e dicendo che facea male a gittar l’acqua in sulle sue pelli, Zanobio dicendo che topi sono quelli che bagnano le pelli e non sia acqua; dolendosi Zanobio che per le pelli di Ganfo non potea vivere in casa, tanti topi n’aveano alettati, a cui Ganfo disse: «O veramente io ci terrò una gatta che questi topi piglierà, o io abandonerò questa bottega». Zanobio udendo dire che abandonerè’ la bottega se la gatta non prendesse i topi, sapendo il fatto, solicitamente più che di prima orinava in sulle pelli, avendo in quel luogo fatto uno pertuso dove Zanobio, come ditto, mettea marcifacio e di di quello ricopria per modo che Ganfo né altri acorgersene potea.

Ganfo, posto che fusse di grossa materia, con un sottile ingegno, come sogliono fare alcune volte i matti, stimò lo bagnare le suoi pelli non esser topi, e dispose quello di certo vedere. E fatto vista di chiudere la bottega, dentro vi si nascos’e per lo luogo dov’erano bagnate le suoi pelli si misse a riguardare. Venuta la sera, Zanobio, com’era sua usanza, sì puose il marcifaccia per lo pertuso pendente molto a similitudine che ogni tristo cane ha gran coda. Ganfo che questo vede, niente dice, ma come savio rafrena la furia e a suo tempo delibera manifestare il suo senno contra la mattia di Zanobio. E poco stante Ganfo se n’andò a posare.

E la mattina, ch’era uno sabbato, dolendose che’ topi li guastavano le pelli disse: «Di vero se la gatta che io ci metrò stasera non prenderá li topi che non mi lassano le miei pelli asciutte io mi partirò della bottega e provediròne un’altra». Zanobio, che tutto ode, pensa in tutto ’l dì non orinare per poter la sera bagnare compiutamente le pelli di Ganfo. Ganfo, che s’era acorto del tratto, andò alla pescaria e quine trovò un luccio grosso di piú di libre xx e quello comprò. Fulii ditto quello volea fare di quel luccio cosí grosso; lui rispose: «Li preghi che monna Tedora mia dolce moglie fece a Dio e l’orazione de’ frati mi fenno risurescere; e pertanto io voglio che quelli godano». E così si diliberò da coloro che li dimandavano ridendosi di lui.

Giunto a casa Ganfo disse alla donna che conciasse quel luccio, salvo la testa che la volea portare a frate Zanobio, ch’era molto [p. 25 modifica]santo. La donna quello crede e conciò il resto; e Ganfo quella testa ne porta secretamente alla sua bottega senza che altri se ne acorgesse.

Zanobio calzolaio avendo il giorno molto beuto e ritenuta l’orina per poter le pelli di Ganfo guastare, giunse con grande volontà alla scala e aperto il buco misse il marcifaccia giuso e cominciò a orinare. Ganfo questo vedendo, aperto la testa del luccio e ’l marcifaccia preso e strettamente colle mani serrato la testa, intanto che Zanobio credette che fusse la gatta, dicendo et alettando la gatta con dolci parole. Ganfo dimostrando esser gatta, io dicendo: «Miau, Miau», stringendo la testa del luccio, Zanobio non potendo piú sostener per lo dolore, e fu costretto a dover gridare. Li vicini accorrendo e trovando Zanobio col marcifaccia giú della scala, stimando la gatta di Ganfo averlo preso, e biasmando Zanobio del vituperio che avea fatto a Ganfo — avendo sempre afermato Zanobio che i topi eran quelli che le pelli bagnavano — disseno tutti al ditto Zanobio che se male ne l’è avenuto l’ha bene comperato. Zanobio che per lo dolore era quasi finito e non potendo parlare, stimonno i vicini Zanobio morire e diliberonno andare a casa di Ganfo per aprire la bottega e per levare la gatta dal marcifaccio. Ganfo, sentito questa voce, presto, acciò che non vi fusse trovato, lassò et aperse la testa del luccio. Zanobio tramortito fu portato in sul letto. E chiesto il prete, e’ confessòsi per fallo commesso chiedendo a Ganfo perdono, e in poghi giorni passò di questa vita. Di che Ganfo per amenda secretamente ogni dì per la sua anima diceva una avemaria.

Ex.º iiii.