Molto strepito per nulla/Atto primo
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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MOLTO STREPITO
PER NULLA
ATTO PRIMO
SCENA I.
Dinanzi alla casa di Leonato.
Entrano Leonato, Ero, Beatrice ed altri con un Messaggiere
Leon. Questa lettera mi annuncia che don Pedro di Aragona verrà questa notte a Messina.
Mess. Ei ne è a poca distanza anche ora; non ne era a tre leghe quando io lo lasciai.
Leon. Quanti uomini avete perduto in quella mischia?
Mess. Pochi di grado e niuno di nome. È una doppia vittoria, allorchè il vincitore riconduce dal campo le sue schiere intatte. Seppi qui che don Pedro ha colmato d’onori un giovine fiorentino chiamato Claudio; onori molto meritati per una parte, ed equamente concessi. Ei s’è comportato meglio che non prometteva la sua età, compiendo sotto aspetto di agnello le opere di un leone. Ma ha soperchiata di troppo la maggiore aspettativa, perch’io possa farvi il racconto delle sue gesta.
Leon. Suo zio, che è qui in Messina, sarà molto lieto di ciò.
Mess. Gli ho già recate alcune lettere, di cui parve assai allietarsi. La sua gioia era tale che, per sembrar modesta, aveva bisogno di essere mescolata a qualche segno di amarezza.
Leon. Proruppe egli forse in lagrime?
Mess. In abbondanti lagrime.
Leon. È il sollievo d’un cuore troppo pieno di sentimento. Non vi sono volti più schietti di quelli inondati così. Quanto è meglio piangere di gioia, che rallegrarsi dei pianti altrui!
Beat. Ti prego di dirmi se il signor Montanto è tornato dalla guerra o no?
Mess. Non conosco nessuno di questo nome, signora; l’uomo a cui accennate non era nell’esercito.
Leon. Di chi richiedete, nepote?
Ero. Mia cugina dimanda del signor Benedick di Padova.
Mess. Oh! è tornato; ilare come sempre.
Beat. Egli sparse una volta lettere per Messina, e sfidò Cupido a chi scoccherebbe meglio una freccia. Il buffone di mio zio, che lesse il cartello, rispose sotto il nome di Cupido, accettando il duello. Ora, ve ne prego, quanti uomini ha egli uccisi o divorati in questa guerra? Ditemi solo quanti ne ha uccisi! Perchè feci voto di mangiare tutti i trafitti da lui.
Leon. In verità, nipote, voi provocate troppo il signor Benedick; ma egli saprà rispondervi, non ne dubito.
Mess. Quel giovine ha prestato buoni servigli, signora, in queste guerre.
Beat. Voi avete vettovaglie rancide, ed egli vi ha aiutato a consumarle. È a mensa che è un valente eroe, fornito come si trova di un eccellente stomaco.
Mess. Ed è anche un buon soldato, madonna.
Beat. Buon soldato, vicino a una signora; ma in faccia ad un uomo che è egli?
Mess. È un valente in faccia a un valente, un uomo innanzi a un uomo, pieno di ogni virtù.
Leon. Non giudicate male, ve ne prego, di mia nipote, signore. V’è una specie di allegra guerra fra il signor Benedick e lei. Non mai essi s’incontrano senza lottare insieme di arguzie.
Beat. Oimè! ei non guadagnerà nulla in ciò. Nel nostro ultimo conflitto quattro dei suoi cinque spiriti rimasero zoppicanti, ed ora è soltanto governato da uno: cosìcchè, se esso gli dà bastante lena per ben comportarsi, lasciamoglielo come l’unica differenza che lo distingue dal suo palafreno. Questo è il solo bene che gli rimanga e che gli dia ancora qualche diritto al nome di creatura ragionevole. — E quale è ora il suo compagno d’armi? Ei ne ha un nuovo ogni mese che giura di amar sempre.
Mess. È ciò possibile?
Beat. Possibile? Nulla di più facile; le sue affezioni somigliano alle forme del suo cappello, che cambiano ad ogni moda.
Mess. Veggo, signora, che quel gentiluomo non sta nei vostri libri.
Beat . No, e se vi fosse abbruciereì tutta la biblioteca. Ma ve ne prego, qual è il suo compagno? Non avete fra di voi qualche giovine insensato che voglia fare con lui un viaggio all’inferno?
Mess. Ei convive molto col nobile Claudio.
Beat . Oh signore! si appiccherà a lui come una malattia; perocchè si comunica più facilmente della peste; e chiunque ne riman preso, impazzisce. Dio aiuti il nobile Claudio! Se il Benedìck lo coglie, dovrà spendere più di mille lire per guarire.
Mess. Vuo’ procacciargli la vostra amicizia, signora.
Beat . Fatelo, buon amico.
Leon. Perciò non diverrete insensata, nipote.
Beat . No, finchè la canicola non venga in gennaio.
Mess. Don Pedro si avvicina. (entrano Don Pedro, seguito da Baldassare ed altri; Don Giovanni, Claudio e Benedick) Don Pedro. Buon signor Leonato, voi andate in cerca di fastidii: il mondo suol schivare le occasioni dello spendere, ma voi correte incontro ad esse.
Leon. Non mai alcuna noia entrò in casa mia colle sembianze di vostra grazia; alla partenza d’un importuno il contento rimane: ma quando voi vi dipartite da me, il dolore occupa ìì vostro posto e ogni felicità si accomiata.
D. Pedro. Voi assumete il vostro fardello con molta gentilezza. — Io credo che questa sia vostra figlia.
Leon. Sua madre me lo ha detto molte volte.
Ben. N’eravate forse in dubbio, signore, per chiedergliene?
Leon. No, signor Benedick; avvegnachè talora voi non eravate che un fanciullo.
D. Pedro. La risposta è arguta, Benedick. Da ciò possiamo indurre quel che voi ora valete sendo uomo. (guardando Ero) In verità, i suoi lineamenti somigliano quelli del padre. — Siate lieta, donzella, poichè avete l’imagine di un uomo pieno di onore.
Ben. Se il signor Leonato fosse suo padre, scommetto tutta Messina, che ella non gli somiglierebbe.
Beat. Stupisco che vogliate parlare continuamente, signor Benedick. Nessuno vi bada.
Ben. Che! Mia cara sdegnosa! Voi siete anche al mondo?
Beat. È egli possibile che lo sdegno muora, allorchè ha sempre un alimento per cibarsi, quale è il signor Benedick? La gentilezza stessa deve farsi collerica, se voi ve le appresentate.
Ben. Perchè anche la gentilezza è una donna. Ma è sicuro, ch’io sono amato da tutte le donne, tranne che da voi: e vorrei che il mio cuore s’addolcisse per esse, perchè in verità non ne amo alcuna.
Beat. Qual felicità per le donne! Senza di ciò sarebbero continuamente infestate da uno scipito adoratore. Ringrazio Dio e il mio sangue freddo per essere in ciò del vostro umore. Meglio mi piace udir latrare il mio cane a un corvo, che intendere un uomo che mi giuri amore.
Ben. Dio mantenga sempre Vossignoria in questi sentimenti! così qualche onesta persona porterà il capo più leggero.
Beat . Se fosse un capo come il vostro, un po’ di peso non potrebbe che giovargli.
Ben. Voi sareste eccellente nell’istruire pappagalli.
Beat. Un uccello della mia lingua vuol preferirà a un quadrupede della vostra.
Ben. Desidererei che il mio cavallo avesse il fuoco della vostra lingua e fosse di egual lena. — Ma seguite la vostra via in nome di Dio! io ho finito.
Beat . Voi terminate sempre con un salto da rozza: vi conosco da lungo tempo.
D. Pedro. (che ha parlato fin allora sommessamente con Leon.) Ecco tutto. — Signor Claudio, Benedick, il mio caro amico Leonato ne ha tutti invitati. Io gli ho detto che noi staremo qui almeno un mese, ed egli desidera cordialmente che qualche occasione ci induca a fermarci anche di più. Oso giurare che brama ciò con sincerità.
Leon. Se lo giurate, signore, non giurerete il falso. — Lasciate ch’io vi dia il benvenuto, signore (a D. Giov.): essendo riconciliato col principe, vostro fratello, io vi debbo ogni osservanza.
D. Giov. Vi ringrazio: non son di molte parole, ma vi ringrazio.
Leon. Piace a Vossignoria di precederne?
D. Pedro. Datemi la vostra mano; entreremo insieme. (escono tutti tranne Benedick e Claudio)
Claud. Benedick, osservasti tu la figlia del signor Leonato?
Ben. Non l’osservai, ma la vidi.
Claud. Non è una modesta fanciulla?
Ben. M’interrogate voi sul suo conto da onest’uomo per sapere il mio giudizio imparziale, o volete ch’io vi parli secondo il mio costume da tiranno dichiarato del suo sesso?
Claud. No, ve ne prego, parlate da senno.
Ben. Ebbene, in coscienza, mi sembra troppo bassa per una lode alta, troppo bruna per una lode chiara, e troppo piccola per una lode grande: soltanto questo posso dire di lei, che se fosse diversa da quello che è, non sarebbe bella; ed essendo qual è, non so amarla.
Claud. Voi credete ch’io celii; ma vi prego sinceramente di dirmi qual vi rassembra.
Ben. La volete comprare, che ne fate tante ricerche?
Claud. Il mondo intero potrebbe pagar forse un tal gioiello?
Ben. Sì, certo, ed anche colla custodia in cui metterlo. Ma affermate voi ciò gravemente, o vi fate beffa di me, venendomi a narrare che l’Amore sa trovare le lepri, e che Vulcano è un eccellente carpentiere? Su qual chiave s’ha egli a cantare per mettersi all’unisono con voi?
Claud. Ai miei occhi ella è la più vaga fanciulla ch’io mai vedessi.
Ben. Io posso vedere senza occhiali, e in lei non scorgo tanti vezzi. Vi è sua cugina che, se posseduta non fosse da quelle sue furie, la vincerebbe in beltà, come il primo giorno di maggio vince l’ultimo di dicembre. Ma io spero che non vorrete diventar marito: non è così?
Claud. Diffiderei di me stesso, quand’anche avessi giurato il contrarìo, se Ero acconsentisse a sposarmi.
Ben. A tanto siete giunto? Non vi sarà dunque un uomo nel mondo che voglia portare il suo berretto senza sospetti? Non vedrò io in vita mia un nubile di sessant’anni? Ite, poichè il giogo vi piace, piegate il collo, e passate sospirando le domeniche. Mirate! Don Pedro toma per cercarvi. (rientra Don Pedro)
D. Pedro. Qual segreto vi ha qui trattenuti, per non venire con noi nella casa di Leonato?
Ben. Vorrei che Vostra Grazia mi costringesse a dirlo.
D. Pedro. Ciò vi impongo sulla vostra fedeltà.
Ben. Voi udite, conte Clauuio: potrei essere segreto come un mutolo, e mi piacerebbe che aveste di me tale idea: ma sulla mia fedeltà... notate voi queste parole? sulla mia fedeltà... Egli è innamorato, signore. Di chi? dovrebbe ora chiedermi Vostra Grazia. Badate come corta è la risposta: di Ero, la corta figlia di sir Leonato.
Claud. Se ciò fosse, ei vi avrebbe di già rivelato il mio segreto.
Ben. A simiglianza del vecchio racconto, signore, ei vi ha detto: ciò non è, non è così; ma, in verità, Dio non voglia che ciò accada.
Claud. Se la mia passione non cambia presto. Dio non voglia che fosse volta ad altra donna.
D. Pedro. Amen, se l’amate, perocchè quella donzella è ben degna di amore.
Claud. Voi parlate così per scandagliarmi, signore.
D. Pedro. In verità, non vi manifesto che il mio pensiero.
Claud. E in buona fede, signore, io vi ho esposto il mio.
Ben. E sulle mie due fedi e verità, io pure vi ho chiarito quello che pensavo.
Claud. Sento ch’io l’amo.
D. Pedro. So ch’ella è degna di amore.
Ben. Io non sento, nè so come poss’essere amata, nè come sia degna di amore, e questa mia opinione è così radicata in me, che il fuoco stesso non potrebbe distruggerla; io morirei sul rogo, conservandola.
D. Pedro. Tu fosti sempre un eretico ostinato verso la bellezza.
Claud. E non mai potè sostenere la sua parte, fuorchè a scapito della sua coscienza.
Ben. Che una donna mi abbia concepito ne la ringrazio; che partorito mi abbia, umilmente del pari la ringrazio: ma ch’io voglia avere sulla fronte lo strumento che richiama i cani dalla caccia per portarlo sempre, è quello che tutte le donne mi scuseranno di non fare. Come non voglio offender esse dubitando di alcune, così voglio avere il diritto di non fidarmi di nessuna; e l’ammenda che m’impongo (e per cui andrò lieto) sarà di vivere smogliato.
D. Pedro. Prima di morire ti vedrò pallido d’amore.
Ben. Di collera, di malattia o di fame, potrà essere, signore; ma non di amore. Provatemi che l’amore mi costi più sangue che un fiasco di vino non potesse rendermene, e vi permetto di forarmi gli occhi colla penna di un autore di elegie, e di appendermi alla porta di un lupanare come insegna del cieco Cupido.
D. Pedro. Bene, se tu manchi a tal voto, diverrai un grande argomento di scherno.
Ben. Se questo fo, mi si sospenda a una bottiglia come un gatto; si tiri su di me al bersaglio, e quegli che mi colpisce, sia tocco sulla spalla, e chiamato Adamo1.
D. Pedro. Il tempo mostrerà, se il toro selvatico deve portare il giogo.
Ben. Il toro selvatico può far ciò: ma se mai il sensibile Benedick lo fa, strappate le corna dal toro e mettetele sulla mia fronte: ch’io sia grottescamente dipinto; e con grandi lettere, come si suol scrivere, quest’è un buon cavallo da annolare, scritto venga sotto di me, questi è Benedick, l’uomo che menò moglie.
Claud. Ove doveste prenderla, sarete geloso fino al furore.
D. Pedro. Quando Cupido non abbia vuotata la sua faretra in Venezia, tremerete di ciò fra breve.
Ben. Aspetto dunque il terremoto.
D. Pedro. Celiate pure fino all’ora fatale. Intanto, buon signor Benedick, entrate nella casa del signor Leonato, raccomandatemi a lui, e ditegli che non mancherò di andare alla sua cena, poichè ha fatti grandi apparecchi.
Ben. Recherò l’ambasciata: ed io vi raccomando..
Claud. Alla tutela di Dio: dato dalla mia casa (se ne avessi una)...
D. Pedro. Il sei di luglio: vostro affezionato amico, Benedick.
Ben. Non beffe, non beffe: il vostro discorso è slegato, e le parti ne son sì male unite che se ne veggono le fila. Prima di dir altro esaminate la vostra coscienza, per vedere, se non andiate soggetti ai vostri medesimi sarcasmi; così io vi lascio. (esce)
Claud. Ora che siam soli dirò che Vostra Altezza può farmi un gran bene.
D. Pedro. Voi possedete tutta la mia amicizia; istruitela e vedrete come è docile in ritenere una lezione che tende alla vostra felicità, per quanto ardua possa essere.
Claud. Sapete se Leonato abbia alcun figlio, signore?
D. Pedro. Figli no, fuori di Ero; ella è la sua sola creda; l’ami tu, Claudio?
Claud. Oh signore! quando voi passaste di qui per andare a quella guerra che è ora finita, io vidi Ero; ma non la vidi allora che coll’occhio di un soldato che sentiva nascere un’inclinazione nel suo cuore, e che aveva ben altro a fare che attendere ad essa per inebbriarsi di amore. Torno oggi in Messina, e i pensieri bellicosi fuggiti dal mio petto lasciano il mio cuor vuoto. In vece loro vengono in folla i teneri desiderii e le imagini care, che mi ricordano tutta l’affezione ch’io sentii per Ero prima di partire per la guerra.
D. Pedro. Eccotì divenuto amante perfetto. Ecco che già stancate l’orecchio del vostro confidente con mille parole. Se tanto vi piace Ero, ebbene amatela: io manifesterò i vostri sentimenti a lei e a suo padre, e voi possederete l’oggetto dei vostri voti. Non è a tal fine che mi rivelate questa bella istoria?
Claud. Qual dolce rimedio voi porgete all’amore! — Fu per tema solo che vi sembrasse troppo subitaneo che io ve lo descrissi con un lungo discorso.
D. Pedro. E perchè il ponte dev’egli essere più largo del fiume? Il miglior titolo per dimandare è la necessità di ottenere. Non vedete voi che tuttociò che qui può servirvi vien apparecchiato felicemente? In brevi parole, voi amate ed io voglio servirvi. So che questa notte vi sarà un ballo: in esso io compirò travestito la vostra parte, dire alla bella Ero che son Claudio, e verserò la mia anima nella sua. Io mi propinerò il suo orecchio coll’energia e l’ardore dei miei racconti amorosi; quindi ne porrò a parte il padre, pel che voi certamente otterrete Ero. Andiamo a por tosto questo disegno in esecuzione. (escono)
SCENA II.
Una stanza nella casa di Leonato.
Entrano Leonato e Antonio.
Leon. Ebbene, fratello, dov’è mio cugino, vostro figlio? Ha egli pensato a questa musica?
Leon. È molto intento a ciò. Ma, fratello, debbo darvi alcune nuove che certamente non aspettavate.
Leon. Sono esse buone?
Ant. Gli eventi lo chiariranno; ma finora sembreranno ottime. Il principe e il conte Claudio passeggiando dianzi pel giardino sono stati segretamente uditi da uno dei miei: il principe scopriva al conte ch’egli amava mia nipote, vostra figlia; che intendeva dichiararle il suo amore questa notte durante il ballo, e che se la trovava arrendevole voleva tosto porne a parte voi stesso.
Leon. Quegli che ciò disse è uomo di proposito?
Ant. È un garzone destro, e di senno: io chiamerò se volete interrogarlo.
Leon. No, no; consideriamo la cosa come un sogno, fino che non si riveli da sè. Vuo’ soltanto avvertire mia figlia, ond’ella si apparecchi a tale colloquio, e sappia rispondervi. Ite innanzi e prevenitela. (parecchie persone traversano la scena) Amici, voi sapete quello che dovete fare. Venite con me ed io vi impiegherò. Miei buoni amici, vogliate scusarmi, ed aiutatemi in questo momento di confusione. (escono)
SCENA III.
Un’altra stanza nella casa di Leonato.
Entrano Don Giovanni e Corrado.
Cor. Che avete, signore! Dacchè procede questa estrema tristezza?
D. Gio. Come la cagione del mio dolore non ha limiti, così la tristezza mia è senza misura.
Cor. Dovreste badare alla ragione.
D. Gio. £ quand’anche vi badassi, qual frutto me ne verrebbe?
Cor. Se esso non ripara al male presente, almeno dà la pazienza per sopportarlo.
D. Gio. Stupisco che essendo nato, come dici, sotto il segno dì Saturno, tu voglia applicare un topico morale a un mal disperato. Non posso dissimulare; convien ch’io sia tristo allorchè ne ho donde. Io non so sorridere alle follie di nessuno. Vuo’ mangiare quando il mio stomaco lo esige, dormire quando mi sento assopito, ridere allorchè ne ho talento, senza sojar mai i capricci altrui.
Cor. Si, ma voi non dovete mostrare apertamente il vostro carattere allorchè ve ne può venir biasimo. Non ha guari avevate prese l’armi contro D. Fedro, ed egli vi ha rimesso nelle sue buone grazie; ma è impossibile che le conserviate senza maggiore prudenza. È forza che aspettiate la stagione che recherà a maturazione i frutti.
D. Gio. Più mi piacerebbe essere una spica selvatica che una rosa, quando di ciò dovessi essere debitore a lui: meglio amerei lo sdegno universale che dover dissimulare per ottenere l’affetto degli uomini. Se niuno potrà darmi il titolo di uomo cortese, almeno mi verrà dato quello di burbero schietto. Di me niuno si fida fuorchè incatenandomi: s’io vengo posto al largo, ho i ceppi al piede: onde sono risoluto di fare il senno mio. Lasciami quale mi vedi senza cercar di mutarmi.
Cor. Non potete trarre alcun profitto dal vostro cruccio?
D. Gio. Vuo’ trarre tutto il partito possibile: ma chi viene? (entra Boracchio) Quali novelle, Boracchio?
Bor. Vengo da una gran cena. Leonato tratta il prìncipe vostro fratello con apparecchi regii, e si sta concertando un matrimonio.
D. Gio. È questa una base su di cui si possa fondare qualche malvagità? Dimmi chi è l’insensato che brama tanto di andar in rovina?
Bor. Quest’insensato è nient’altri che il braccio destro di vostro fratello.
D. Gio. Chi? l’elegante, il maraviglioso Claudio?
Bor. Claudio.
D. Gio. Famoso cavaliere! E su qual bella ha egli gittato gli occhi?
Bor. Sopra Ero, la figlia ed ereda di Leonato.
D. Gio. È in verità una colomba ben giovine! E come lo sapete?
Bor. Intento a profumare una sala, vidi venir verso di me Claudio e il principe in grave conferenza e mi nascosi dietro gli arazzi, da cui intesi che il principe avrebbe chiesta Ero per sè, e poscia ceduta l’avrebbe a Claudio.
D. Gio. Venite, venite, seguitemi; questa scoperta può divenire un alimento utile al mio sdegno. Quel giovine si gloria della mia caduta: se posso nuocergli in qualche modo lo farò di buon grado. Voi siete due uomini sicuri, e mi servirete.
Cor. Fino alla morte, signore.
D. Gio. Andiamo a questo ballo; la loro festa è così splendida, che mi hanno soggiogato. Vorrei che il cuoco avesse l’anima mia. Andiamo a combinare quello che vuol farsi.
Bor. Seguiremo Vostra Signoria. (escono)
Note
- ↑ Nome d’un famoso Arciero.