Misteri di polizia/XXXIV. Poesie inedite attribuite al Giusti

XXXIV. Poesie inedite attribuite al Giusti

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XXXIV. Poesie inedite attribuite al Giusti
XXXIII. Giuseppe Giusti XXXV. Luigi Napoleone Buonaparte in Toscana

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CAPITOLO XXXIV.

Poesie inedite attribuite al Giusti.

Come si sa, una parte delle poesie che corsero in Italia col nome di Giuseppe Giusti, fu dallo stesso poeta pubblicamente e costantemente rigettata come roba non sua: un’altra, all’incontro, fu da lui rifiutata, non perchè non gli appartenesse, ma perchè egli non vi riscontrava i caratteri di un’opera d’arte. Nella citata lettera ad Atto Vannucci del 14 settembre 1844, egli scriveva: „Soli vent’otto scherzi.... voglio che sieno pubblicati: il resto, o non è mio, lo rifiuto.... Questa scelta che ho fatto tra i miei scritti, non è mia solamente, ma anco consigliata da persone che ho amato e stimato.„ E al Vannucci scriveva così nell’intimità della confidenza, e quando per la fiera malinconia che aveva preso in quei giorni, il Giusti credeva, scrivendo al suo amico, di dettare il suo testamento letterario. La quale confessione in articulo mortis, come certamente non isfuggirà al lettore, era assai ben diversa di quella che per chiudere la bocca alla Polizia, era costretto a fare nella dedicatoria alla D’Azeglio; imperocchè, mentre qui delle poesie pubblicate alla macchia non riconosceva per sue che soli tre componimenti, nessuno dei quali di carattere satirico, nella lettera al Vannucci confessava che la sua attività letteraria era rappresentata non solo da quei vent’otto scherzi ch’egli sceglieva per legare ad essi il suo nome, ma ben anco da altri, ch’egli rifiutava come indegni di passare alla posterità.

Ma quali sono veramente le poesie apocrife? Quali quelle rifiutate? Fra le prime sono ora tutti d’accordo che debbano comprendersi: Il Creatore e il suo MondoCome vanno le coseIl GiardinoI Consigli di mio Nonno [p. 290 modifica]Fra una Marchesa e l’AstrologoIl fallimento del Papa. Quanto alle rifiutate, lo stesso Giusti ci apprende (Prefazione destinata ad un’edizione del 1848) che esse sono: La Mamma EducatriceUn insulto d’ApatiaIl mio nuovo AmicoIl ColeraProfessione di fede alle donneTirata contro Luigi FilippoRicottaL’Ave MariaParole d’un Consigliere al suo Principe — tutte scritte, diceva egli stesso, a 18 anni quando ero una mosca senza capo, più assai che non sono adesso.

A noi è toccata la fortuna d’imbatterci, frugando nell’Archivio Segreto della presidenza del Buon Governo, in tre poesie che non si trovano nè fra quelle che ora corrono stampate come apocrife, nè fra quelle rifiutate, e dalla Polizia attribuite al Giusti. Dobbiamo classificarle tra le prime o tra le seconde? Dobbiamo ritenerle uscite dalla penna d’uno di quei tanti anonimi imitatori, che ebbe in Toscana fra il 1839 e il 1848, il nostro poeta, o dobbiamo ritenerle come parte del patrimonio poetico del Giusti, ma da questo rifiutate, sia perchè dal lato dell’arte non riconosceva che avessero raggiunto quella perfezione d’insieme e di particolari a cui egli mirava in tutte le sue composizioni, sia perchè la natura stessa degli scherzi, come vedremo subito, gl’imponesse per avventura il dovere di sconfessarne la paternità?

Forse un accurato esame delle stesse poesie ci condurrebbe a dissipare un siffatto dubbio e a classificarle fra le rifiutate, se la loro forma, non sempre corretta, non ci costringesse una riserva di giudizio che il lettore non stenterà a capire.

Tutti sanno quanto il Giusti fosse amico della lima. Ciò che al pubblico (non esclusa la Polizia, come rilevasi dalla nota del Bologna al Corsini) pareva improvvisazione, non era che un faticoso lavoro d’intarsiatura. La facilità nel Giusti non era che artificio. L’arte nascondeva l’arte; e l’aver egli rifiutato qualcuna di quelle sue poesie giovanili, che pur corsero ammirate per le bocche di dotti e d’indotti, mostra come egli finamente sentisse in fatto d’arte, e questa riponesse in quella perfezione, che come scrive[p. 291 modifica]va Orazio, non è che il frutto d’un pazientissimo lavoro di correzione.

Certamente, nei componimenti di cui parliamo, e segnatamente in qualche arguto concetto, in qualche frase tagliente come la punta di un coltello, fa capolino il Giusti; ma gli elementi di prova sì limiterebbero a tutto ciò. Mancherebbe sempre la perfezione della forma; la quale mancanza nemmeno deporrebbe contro la autenticità dei detti componimenti; imperocchè, se il Giusti curò molto e pazientemente l’idea e la forma di quelle satire che egli destinava alla posterità, non si prese mai cura di quelle a cui egli non attribuiva che la vita d’un giorno.

E ciò che sopratutto ci mantiene nel dubbio e ci vieta di pronunciarci nettamente contrarî alla loro autenticità, è che la Polizia attribuiva tutti e tre i componimenti al Giusti. Sappiamo benissimo che le polizie non sono infallibili; ma nel nostro caso bisogna credere che la Polizia toscana avesse un buon naso, e i suoi bracchi mirassero giusto; chè, quantunque la prima conoscesse le poesie, che ora corrono fra le apocrife, pure mai ne attribuì la paternità al Giusti, mentre quando si trattò dell’Incoronazione, dello Stivale, del Mio nuovo Amico, del Congresso di Pisa, della Terra dei Morti, del Brindisi di Girella ecc. mise fuori il nome del nostro poeta. Avrebbe preso lucciole per lanterne soltanto per le Attualità fiorentine, pel Brindisi e pel Lamento dell’Imperatore d’Austria, i tre componimenti da noi scoperti?

L’Ispettore di Polizia di Pisa, Teodulo Botti, il 29 gennaio 1846, scriveva al Presidente del Buon Governo:

„Giuseppe Giusti, di Pescia, attualmente dimorante in Pisa trovandosi verso la metà del cadente mese a pranzo in casa del signor G. B. Toscanelli, recitò un Brindisi, che [p. 292 modifica]aveva già scritto. Questa composizione circola adesso per la città ed io mi credo nel dovere di trasmetterne copia alla S. V. Ill.ma.„

Ecco il Brindisi:



Facciamo un brindisi
  Al re dei re,
  Che lascia gli uomini
  Mestar da sè.

Ma già i miracoli
  Dei tempi andati
  Per noi son’algebra;
  Troppi peccati.

Torni sant’Orsola
  E ponga in fila
  Stuolo di vergini
  Undicimila.

Sulla sua cattedra
  Ritorni Piero;
  Se trova il bandolo
  Bravo davvero!

Il mondo variasi,
  E fanno bene
  Quei che lo pigliano
  Come egli viene.

E chi vuol vivere
  Vita giuliva
  Intuoni al secolo
  Un bell’evviva!

Evviva i medici,
  I ballerini,
  Che ci fan spendere
  Tanti quattrini!

Viva chi supplica
  Senza aver niente,
  Viva chi vantasi
  D’esser clemente!

Viva le rendite
  Di chi riscuote
  Da quei che pagano
  A tasche vuote!

Evviva l’opera
  Degl’ingegneri
  Che fanno ridere
  I forastieri!


Evviva i giovani
  Che son galanti
  Segnati al codice
  Dei negozianti!

Viva le femmine
  Vaghe, attillate,
  Viva le camere
  Ammobiliate!

Viva i filantropi,
  Gli umanitari.
  Viva le cabale
  Degl’impresari!

Viva la tattica
  Del giornalista,
  Che per proteggere
  La sua rivista,

Seppe con provvida
  Filosofia
  Farsi benevola
  La polizia!

Evviva il Principe
  Che ci governa;
  Gli presti Diogene
  La sua lanterna.

Evviva il bambolo
  Che regge Lucca,
  Che i propri sudditi
  Spesso pilucca;

Ch’ama le femmine
  Ed il buon vino,
  E fa da principe
  Senza un quattrino;

Che non vuol credere
  A punti Dei,
  E accende moccoli
  Solo agli Ebrei;

Ch’è poi di scandalo
  Alla Teresa
  Tutta di monache
  E tutta chiesa!

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Viva la vedova
    Del gran Guerriero,
    Avanzo sudicio
    Del putiferio!

Viva di Modena
    Il vecchio sire;
    Iddio gli anticipi
    Il Dies irae;

Che un de Profundis
    Di cuor gl’invia
    Coi rutti il popolo,
    E così sia!

Viva di Napoli
    I maccheroni,
    C’hanno più credito
    Dei lor padroni!

Evviva il principe
    Volta-bandiera,
    Viva la maschera
    Della frontiera;

Che crede facile
    Di far da bravo,
    Poi si fa scorgere
    E torna schiavo.

Viva il pontefice,
    Quel buon Gregorio,
    Che in breve vendere
    Dovrà il ciborio.


Perchè il carnefice
    Chiede l’argento
    Per poter prendere
    Un supplimento.

Anche gli Svizzeri
    Voglion quattrini;
    Vedi che tangheri,
    Che beduini!

E quelli zotici
    Carabinieri,
    Un dì gli rubano
    I candelieri.

Eh, via, prestategli
    La vostra mano;
    Lor date gratis
    Il Vaticano.

Strappate il fegato
    De’ romagnoli,
    Fatelo cuocere
    Dentro ai paioli,

E dopo offritelo
    A lui per cena;
    Farà, credetemi.
    La pancia piena:

E col suo giubilo,
    Col suo sorriso,
    Saprà dischiudervi
    Il paradiso.


Evviva il secolo
    Illuminato,
    Evviva il popolo
    Civilizzato!

Le Attualità fiorentine contengono una sanguinosissima satira di Leopoldo II, Granduca, e del ministero Cempini, Paüer e Humbourg succeduto ai due precedenti, l’uno del Fossombroni e l’altro del Corsini, che nel 1846, quando dall’un capo all’altro d’Italia serpeggiava uno spirito di libertà, aveva avuto la meschina idea di tener su ritto il [p. 294 modifica]cadavere impagliato della reazione coll’introdurre in Toscana le suore di carità, e collo stringersi in intima alleanza colla Corte romana, alla quale, in mezzo ad un grido di riprovazione che si levava da tutta l’Europa liberale, consegnava il rifugiato politico Pietro Renzi.

È una nota dell’Ispettore di Polizia di Firenze che attribuisce le Attualità fiorentine al Giusti.



È questo il secolo
    Che la parola
    Divien solubile
    E se ne vola.

Difficilissimo
    Ora diviene
    Trovar fra gli uomini
    Un uom da bene.

Ma questa regola
    Soffre eccezione
    Nel far l’analisi
    Delle persone.

Se a caso un discolo
    La fè non cura,
    Egli è impossibile
    Cangiar natura.

Ma se in un Principe
    Regna doppiezza,
    Che bella maschera
    Divien l’Altezza!

Che conta un codice
    Leale e franco,
    Quando tramutasi
    Il nero in bianco?

Se sempre un premio
    Trova il delitto,
    S’annulla il codice
    Con un rescritto.

È meglio vivere
    Senza una legge,
    Quando non trovasi
    Chi la protegge.


Quest’oggi al profugo
    Si dava aita.
    Domani attentasi
    Alla sua vita.

Oggi respingesi
    In cielo estrano;
    Domani rendesi
    Al Vaticano1

E là quel misero
    Sua sorte aspetta.
    Là dal suo carcere
    Grida vendetta.

Che azioni nobili!
    Che tratto umano!
    È bello, Etruria,
    Questo sovrano!

Quando nel Principe
    Regna doppiezza,
    Che bella maschera
    Divien l’Altezza!

Che vada al diavolo
    Chi ci governa,
    Giù nella polvere
    L’odiata terna

Dei diplomatici,
    Dei consiglieri,
    Appoggio e cardine
    Dei dicasteri.

Questo inettissimo
    Sciocco Consiglio
    Muove nel popolo
    Grave bisbiglio.

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E quando videsi
    In terra e in mare
    Scegliere gli asini
    Per consigliare?

Tolti dal numero
    Dei.... (?)
    E degli ipocriti
    San Firenzini;

Levàti in auge
    Non si sa come,
    Non hanno italico
    Nemmeno il nome.

Son piante esotiche
    Dell’Alemagna,
    Che in seno nutrono
    Qualche magagna;

E all’uopo stillano
    Dal sozzo seno
    Un sottilissimo
    Novo veleno.

Humbourg e Paüer,
    Poldin secondo,
    È il più ridicolo
    Terno del mondo.

A questo triplice,
    Strano cibreo,
    Di fresco aggiungesi
    Altro babbeo2,

Che coll’appoggio
    Dell’indulgenza
    Scroccato ha il titolo
    Dell’Eccellenza.

Ei sempre immagina
    Opere pie,
    Tien sempre a latere
    E birri e spie.

Fra i libri ascetici
    E le pandette
    Sogna l’ergastolo
    E le manette.


Se sorge un nuvolo,
    Una bufera,
    Ei t’apre l’adito
    Della galera.

Per quest’ipocrita
    Non v’ha divario:
    È tanto un vescovo
    Che un commissario.

Oh lasci subito
    Il suol toscano,
    Gregorio attendelo
    Nel Vaticano.

Là, dondolandosi
    Fra il bene e il male,
    Avrà la porpora
    Di Cardinale.

In questo secolo,
    A questa luna,
    Un figlio adultero
    Suol far fortuna.

Nato di copula
    D’uno scettrato,
    Da un sozzo talamo
    Vituperato,

Nutristi l’anima
    All’estorsione,
    Rubasti ai sudditi
    Per il padrone3.

Quand’eri in capite
    Dei Gabellieri,
    Fosti il cannibale
    Dei Finanzieri.

Le triste massime
    Son pubblicate,
    Né posson essere
    Dimenticate:

„Si paghi Cesare,
    Ma non col mio,
    Qui regna Cesare
    Non regna Iddio.„

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A suon di cabale,
    A suon d’imbroglio,
    T’apristi un adito
    Al regio soglio.

Chi sa qual traffico
    Hai macchinato?
    Chi sa qual turbine
    C’hai preparato!


Ma sempre, o stolido!
    Non dormiremo,
    Verrà quell’epoca
    Che sorgeremo!

Anche una fabbrica
    Di mole ingente,
    Diventa polvere,
    Diventa niente!


Infine, la poesia: Lamento dell’Imperatore d’Austria circolò nell’autunno del 1846; e il commissario di Santa Croce, in una sua nota del 2 ottobre al Presidente del Buon Governo scriveva: „È stata creduta dell’avv. Griusti, ma ad un suo amico che gliene fece ricerca, lo negò.„ La quale negativa non può che influire assai debolmente a dissipare il dubbio sulla paternità dello scherzo, visto che il Giusti, pur di non compromettere la sua pace, rinnegava pubblicamente verso quel tempo le sue migliori poesie — le satiriche.

Ecco, intanto, il Lamento dell’Imperatore d’Austria, ove, in più d’una strofa si sente l’autore dell’Incoronazione e dello Stivale:


Questo Papa benedetto4
Fin dal giorno che fu eletto
    Mi guastò la bussola.

Era meglio per l’Impero
Che sul trono di San Piero
    Ci montasse il diavolo.

Questo almeno per lo zelo
Di rubare anime al cielo,
    Strozzerebbe i sudditi.

Oh, quest’uomo intelligente
Era bene veramente
    Che restasse ad Imola.


E il divino Paracleto
Per dispetto cheto cheto
    Me lo fa pontefice!

Bella scelta è stata questa!
C’ho da far, colla mia testa
    Vuota come in sughero?

Questa è stata un’elezione
Che mi ha messo in convulsione,
    Che mi fa epilettico.

Con un papa liberale
V’è da farla molto male;
    Me lo dice Metternich

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Dove diavolo ha imparato
Sulle carceri di Stato
    Metter l’appigionasi?

Io per me voglio star alto,
Do i miei sudditi in appalto
    Al fedel carnefice.

Tanta gente che passeggia
All’intorno della reggia,
    Forma sempre ostacolo.

Gli è venuto la manìa
Di dar fuori l’Amnistia:
    Son cose da principe?

I sovrani un poco accorti
Fan la grazia solo ai morti;
    Come fece Modena.

Se quei birbi maledetti
Or dal papa son protetti,
    Buona notte Italia!


Se per chiasso anche il Chiappini
Aiutasse i papalini,
    V’è da andare a rotoli!

Ai bei tempi, mi ricordo,
Come andavasi d’accordo
    Con papa Gregorio!

Io per me non ho paura,
Tengo il banco alla sicura
    Finchè vive Metternich.

Ma se muore, piano piano
Me la batto, e vo a Milano
    A riportar l’olio.

Or che a fare ha principiato,
Dio lo sa nel suo papato
    Quante cose macchina!

Se non torna nei confini,
Vo veder se Lambruschini
    Gli dà un po’ d’arsenico.

La Polizia, peraltro, non tardò a conciliarsi col Giusti. Difatti, in un rapporto dell’Ispettore di quello stesso anno 1846, leggiamo; „In mezzo alle ciarle politiche e alle pretese dei rivoluzionari, c’è chi pone in ridicolo le pretensioni dei fanatici (legga il lettore: liberali) essendo stata posta in circolazione la seguente poesia:


„— Eroi Eroi,

Che fate voi?

„— Ponziamo il poi!„


E come si sa, il Giusti, di quest’ultima satira non rinnegò la paternità. E dal mettere in ridicolo il Gioberti, il Balbo, il D’Azeglio, il Salvagnoli, i quali allora erano gli uomini che ponzavano il poi, a quello d’inneggiare ai principi d’Italia che aveva vituperato, il passo era breve. L’anno seguente egli cantava in un carme diretto a Leopoldo II — il Toscano Morfeo:

Taccian l’accuse e l’ombre del papato
    Di scambievoli orgogli acerbi frutti:

[p. 298 modifica]

Tutti un duro letargo ha travagliato,
        Errammo tutti5.

Oggi in più degna gara a tutti giova
    Cessar miseri dubbî e detti amari,
    Al fiero incarco della vita nuova
        Nuovi del pari.



Note

  1. Alludesi alla consegna del Renzi.
  2. Giovanni Bologna, presidente del Buon Governo, nominato allora Consigliere di Stato, col titolo di Eccellenza.
  3. Giovanni Ba........i, che nel ministero presieduto dal Cempini ebbe il dipartimento delle finanze.
  4. Pio IX.
  5. Anche il Giusti, quando scrisse l’Incoronazione e lo Stivale?
    Viva Arlecchini
    E burattini;
    Viva gl’inchini;
    Viva le maschere
    D’ogni paese!