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va Orazio, non è che il frutto d’un pazientissimo lavoro di correzione.

Certamente, nei componimenti di cui parliamo, e segnatamente in qualche arguto concetto, in qualche frase tagliente come la punta di un coltello, fa capolino il Giusti; ma gli elementi di prova sì limiterebbero a tutto ciò. Mancherebbe sempre la perfezione della forma; la quale mancanza nemmeno deporrebbe contro la autenticità dei detti componimenti; imperocchè, se il Giusti curò molto e pazientemente l’idea e la forma di quelle satire che egli destinava alla posterità, non si prese mai cura di quelle a cui egli non attribuiva che la vita d’un giorno.

E ciò che sopratutto ci mantiene nel dubbio e ci vieta di pronunciarci nettamente contrarî alla loro autenticità, è che la Polizia attribuiva tutti e tre i componimenti al Giusti. Sappiamo benissimo che le polizie non sono infallibili; ma nel nostro caso bisogna credere che la Polizia toscana avesse un buon naso, e i suoi bracchi mirassero giusto; chè, quantunque la prima conoscesse le poesie, che ora corrono fra le apocrife, pure mai ne attribuì la paternità al Giusti, mentre quando si trattò dell’Incoronazione, dello Stivale, del Mio nuovo Amico, del Congresso di Pisa, della Terra dei Morti, del Brindisi di Girella ecc. mise fuori il nome del nostro poeta. Avrebbe preso lucciole per lanterne soltanto per le Attualità fiorentine, pel Brindisi e pel Lamento dell’Imperatore d’Austria, i tre componimenti da noi scoperti?

L’Ispettore di Polizia di Pisa, Teodulo Botti, il 29 gennaio 1846, scriveva al Presidente del Buon Governo:

„Giuseppe Giusti, di Pescia, attualmente dimorante in Pisa trovandosi verso la metà del cadente mese a pranzo in casa del signor G. B. Toscanelli, recitò un Brindisi, che