Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/La Terra dei Morti

La Terra dei Morti. — A G. C.

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Le Memorie di Pisa Il Mementomo
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LA TERRA DEI MORTI.


A G. C.



A noi larve d’Italia,
     Mummie dalla matrice,
     È becchino la balia,
     Anzi la levatrice;
     Con noi sciupa il Priore
     L’acqua battesimale,
     E quando si rimuore
     Ci ruba il funerale.

Eccoci qui confitti
     Coll’effigie d’Adamo;
     Sì par di carne, e siamo
     Costole e stinchi ritti.
     O anime ingannate,
     Che ci fate quassù?
     Rassegnatevi, andate
     Nel numero dei più.

Ah d’una gente morta
     Non si giova la Storia!
     Di Libertà, di Gloria,
     Scheletri, che v’importa?
     A che serve un’esequie
     Di ghirlande o di torsi?
     Brontoliamoci un requie
     Senza tanti discorsi.

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Ecco, su tutti i punti
     Della tomba funesta
     Vagar di testa in testa
     Ai miseri defunti
     Il pensiero abbrunato
     D’un panno mortuario.
     L’artistico, il togato,
     Il regno letterario

È tutto una moría.
     Niccolini è spedito;
     Manzoni è seppellito
     Co’ morti in libreria.
     E tu giunto a Compieta,
     Lorenzo, come mai
     Infondi nella creta
     La vita che non hai?

Cos’era Romagnosi?
     Un’ombra che pensava,
     E i vivi sgomentava
     Dagli eterni riposi.
     Per morto era una cima,
     Ma per vivo era corto;
     Difatto, dopo morto
     È più vivo di prima.

Dei morti nuovi e vecchi
     L’eredità giacenti
     Arricchiron parecchi
     In terra di viventi.
     Campando in buona fede
     Sull’asse ereditario.
     Lo scrupoloso erede
     Ci fa l’anniversario.

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Con che forza si campa
     In quelle parti là!
     La gran vitalità
     Si vede dalla stampa.
     Scrivi, scrivi e riscrivi,
     Que’ Geni moriranno
     Dodici volte l’anno,
     E son lì sempre vivi.

O voi, genti piovute
     Di là dai vivi, dite,
     Con che faccia venite
     Tra i morti per salute?
     Sentite, o prima o poi
     Quest’aria vi fa male,
     Quest’aria anco per voi
     È un’aria sepolcrale.

O frati soprastanti,
     O birri inquisitori,
     Posate di censori
     Le forbici ignoranti.
     Proprio de’ morti, o ciuchi,
     È il ben dell’intelletto;
     Perchè volerci eunuchi
     Anco nel cataletto?

Perchè ci stanno addosso
     Selve di baionette,
     E s’ungono a quest’osso
     Le nordiche basette?
     Come! guardate i morti
     Con tanta gelosia?
     Studiate anatomia,
     Che il diavolo vi porti.

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Ma il libro di natura
     Ha l’entrata e l’uscita;
     Tocca a loro la vita
     E a noi la sepoltura.
     E poi, se lo domandi,
     Assai siamo campati;
     Gino, eravamo grandi,
     E là non eran nati.

O mura cittadine,
     Sepolcri maestosi,
     Fin le vostre mine
     Sono un’apoteosi.
     Cancella anco la fossa,
     Barbaro inquïeto,
     Chè temerarie l’ossa
     Sentono il sepolcreto.

Veglia sul monumento
     Perpetuo lume il sole,
     E fa da torcia a vento:
     Le rose, le viole,
     I pampani, gli olivi,
     Son simboli di pianto:
     Oh che bel camposanto
     Da fare invidia ai vivi!

Cadaveri, alle corte
     Lasciamoli cantare,
     E vediam questa morte
     Dov’anderà a cascare.
     Tra i salmi dell’Uffizio
     C’è anco il Dies iræ:
     O che non ha a venire
     Il giorno del giudizio?