Michele Strogoff/Parte Seconda/Capitolo VII. Il passaggio dell'Yenisei

Parte Seconda - Capitolo VII. Il passaggio dell'Yenisei

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Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Seconda - Capitolo VII. Il passaggio dell'Yenisei
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CAPITOLO VII.

il passaggio dell’yenisei.


Il 25 agosto, al cader del giorno, la kibitka giungeva in vista di Krasnoiarsk. Il viaggio da Tomsk aveva durato otto giorni. Se non s’era compiuto più rapidamente, per quanto Michele Strogoff ci si fosse adoperato, dipendeva sopratutto [p. 90 modifica]da ciò, che Nicola aveva dormito poco. Onde impossibilità d’affrettare l’andatura del suo cavallo, che, in altre mani, non avrebbe impiegato più di sessanta ore in questo tragitto.

Fortunatissimamente, dei Tartari non era ancora quistione. Nessun battistrada s’era mostrato sulla via seguíta dalla kibitka. Codesto doveva sembrare abbastanza inesplicabile, e bisognava evidentemente che una grave circostanza avesse impedito alle truppe dell’Emiro di portarsi senza ritardo sopra Irkutsk.

Questa circostanza era avvenuta infatti. Un nuovo corpo russo, raccolto in gran fretta nel governo d’Yeniseisk, aveva marciato sopra Tomsk per cercare di ripigliar la città. Ma, troppo debole contro le truppe dell’Emiro, oramai concentrate, esso aveva dovuto battere in ritirata, Féofar-Kan, comprendendo i proprî soldati e quelli dei kanati di Kokand e di Kunduze, contava allora sotto i suoi ordini dugentocinquantamila uomini, ai quali il governo russo ancora non poteva opporre forze sufficienti. L’invasione pareva dunque non dovesse essere arrestata tanto presto, e tutta l’armata tartara doveva poter muovere contro Irkutsk.

La battaglia di Tomsk era del 22 agosto, — codesto Michele Strogoff lo ignorava, ma ciò spiegava perchè l’avanguardia dell’Emiro non si fosse ancora mostrata a Krasnoiarsk in data del 25.

Pure, se Michele Strogoff non poteva conoscere gli ultimi avvenimenti che s’erano compiuti dopo la sua partenza, questo almeno sapeva: che era innanzi ai Tartari di molti giorni, e che non doveva disperare di giungere prima d’essi alla città d’Irkutsk distante ancora ottocentocinquanta verste (900 chilometri). [p. 91 modifica]

D’altra parte a Krasnoiarsk, la cui popolazione è di circa dodicimila anime, egli contava bene che i mezzi di tragitto non gli potessero mancare.

Poichè Nicola Pigassof doveva arrestarsi in questa città, sarebbe necessario sostituirlo con una guida e cambiar la kibitka con un altro veicolo più rapido. Michele Strogoff, dopo di essersi rivolto al governatore della città ed aver dato prova della sua identità e della sua qualità di corriere dello czar, — il che non doveva essere difficile, — non dubitava di poter essere messo in grado di giungere ad Irkutsk nel più breve tempo possibile. Allora non avrebbe più che a ringraziare quel bravo Nicola Pigassof e partire immediatamente con Nadia, non volendo egli lasciarla prima d’averla consegnata a suo padre.

Per altro, se Nicola avesse risoluto di fermarsi a Krasnoiarsk, era, com’egli diceva, «a condizione di trovarvi dell’impiego.»

Infatti, codesto impiegato modello, dopo di aver tenuto fino all’ultimo momento un posto a Kolyvan, cercava di mettersi un’altra volta a disposizione dell’Amministrazione dei telegrafi.

— Perchè avrei io lo stipendio se non lavorassi? ripeteva egli.

Così, nel caso in cui questi servigi non potessero essere messi a partito in Krasnoiarsk, che doveva sempre trovarsi in comunicazione telegrafica con Irkutsk, egli si proponeva d’andare al posto d’Udinsk, od anche fino alla capitale della Siberia. In questo caso, dunque, egli continuerebbe a viaggiare col fratello e colla sorella; e in chi troverebbero essi una guida più sicura, un amico più affezionato?

La kibitka non era più che a mezza versta da [p. 92 modifica]Krasnoiarsk. Si vedevano a dritta ed a mancina le molte croci di legno che sorgono sulla via in vicinanza della città. Erano le sette pomeridiane. Sul limpido cielo si disegnavano i profili delle chiese e delle capanne costrutte in cima alla ripa dell’Yenisei. Le acque del fiume scintillavano alle ultime luci sparse nell’ammosfera.

La kibitka s’era fermata.

— Dove siamo noi, sorella? domandò Michele Strogoff.

— A mezza versta al più dalle prime case, rispose Nadia.

— È dunque una città addormentata? soggiunse Michele Strogoff. Io non odo nessun rumore.

— Ed io non vedo alcuna luce nell’ombra, nessuna spirale di fumo salire nell’aria, aggiunse Nadia.

— Bizzarra città! disse Nicola. Non ci si fa rumore e si va a letto di buon’ora.

Michele Strogoff ebbe la mente attraversata da un presentimento di mal augurio. Egli non aveva detto a Nadia tutte le speranze che aveva riposte sopra Krasnoiarsk, dove faceva conto di trovare i mezzi di compiere sicuramente il suo viaggio. Egli temeva tanto che la sua speranza fosse delusa ancora una volta! Ma Nadia aveva indovinato il suo pensiero, benchè non comprendesse più perchè il suo compagno avesse fretta di giungere ad Irkutsk, ora che la lettera imperiale gli mancava. Un giorno, anzi, essa lo aveva interrogato in proposito.

— Ho giurato d’andare ad Irkutsk, s’era egli accontentato di rispondere.

Ma, per compiere la sua missione, bisognava ancora trovare a Krasnoiarsk qualche modo rapido di locomozione. [p. 93 modifica]

— Ebbene, amico mio, diss’egli a Nicola, perchè non andiamo innanzi?

— Perchè temo di svegliare gli abitanti della città col chiasso della mia carretta.

E Nicola stimolò il suo cavallo con una lieve frustata. Serko mandò qualche latrato, e la kibitka scese al piccolo trotto la via che penetrava in Krasnoiarsk.

Dieci minuti dopo, essa entrava nella via maestra.

Krasnoiarsk era deserta! Non v’era più un Ateniese in questa Atene del Nord, come la chiama la signora di Bourboulon. Non uno de’ suoi equipaggi così splendidi ne percorreva le vie larghe e pulite. Non un passeggiero seguiva i marciapiedi che rasentano la base delle sue magnifiche case di legno, di aspetto monumentale. Non un’elegante Siberiana, vestita secondo le ultime mode di Francia, passeggiava in mezzo a quel parco meraviglioso, tagliato in una foresta di betulle che si prolunga fino al margine dell’Yenisei. La grossa campana della cattedrale era muta, mute le campane delle altre chiese, e pure è raro che una città russa non sia piena del suono delle sue campane. Ma qui era l’abbandono assoluto. Non v’era più anima viva in quella città, poco prima così vivace!

L’ultimo telegramma partito dal gabinetto dello czar, prima della rottura del filo, aveva dato ordine al governatore, alla guarnigione, agli abitanti, qualunque si fossero, d’abbandonare Krasnoiarsk, di portare via qualunque oggetto di valore o che potesse essere di qualche utilità per i Tartari, e di rifugiarsi ad Irkutsk. La medesima ingiunzione veniva fatta a tutti gli abitanti [p. 94 modifica]delle borgate della provincia. Era il deserto che il governo moscovita voleva fare dinanzi agli invasori. Non si pensò a discutere, neppure un istante questi ordini alla Rostopschin. Furono eseguiti, ed è per ciò che non rimase più una sola creatura viva a Krasnoiarsk.

Michele Strogoff, Nadia e Nicola percorsero in silenzio le vie della città. Provavano un’involontaria impressione di stupore. Essi soli producevano l’unico rumore che avvenisse allora in quella città morta. Michele Strogoff non lasciò apparire nulla di quanto provava allora, ma dovette provare una specie di rabbia contro la mala sorte che lo perseguitava, perchè le sue speranze erano ancora una volta deluse.

— Buon Dio! esclamò Nicola, giammai mi guadagnerò lo stipendio in questo deserto!

— Amico, disse Nadia, bisogna ripigliare con noi la via d’Irkutsk.

— È necessario davvero! rispose Nicola. Il filo deve funzionare ancora fra Udinsk ed Irkutsk, e là.... Partiamo, babbo?

— Aspettiamo domani, rispose Michele Strogoff.

— Hai ragione, rispose Nicola. Dobbiamo attraversare l’Yenisei, ed è necessario vederci....

— Vederci! mormorò Nadia pensando al suo compagno cieco.

Nicola l’aveva intesa, e, volgendosi verso Michele Strogoff:

— Scusami, babbo, disse. Oimè! sono tutt’uno per te la notte ed il giorno.

— Non rimproverarti di nulla, amico, rispose Michele Strogoff passandosi la mano sugli occhi. Con te per guida, io posso ancora fare qualche cosa. Riposati ancora alcune ore. Nadia faccia lo stesso, fin che sia giorno. [p. 95 modifica]

Nicola e la giovinetta non ebbero a cercare un pezzo per trovare un luogo di riposo. La prima casa di cui spinsero l’uscio era vuota come tutte le altre; non vi si trovava che qualche fastello di foglie. In mancanza di meglio, il cavallo dovette accontentarsi di questo magro cibo. Quanto alle provviste della kibitka esse non erano esauste e ciascuno n’ebbe la sua porzione. Poi, dopo essersi inginocchiati dinanzi ad una modesta immagine della Panaghia, appesa alla muraglia, e che l’ultima fiamma d’una lampada illuminava ancora, Nicola e la giovinetta s’addormentarono, mentre vegliava Michele Strogoff, su cui il sonno non aveva potere.

Il domani, 26 agosto, prima dell’alba, la Kibitka attraversava il parco di betulle per giungere al margine dello Yenisei.

Michele Strogoff era molto inquieto. Come attraversare il fiume se, come era probabile, ogni barca e chiatta erano state distrutte per ritardare le mosse dei Tartari? Egli conosceva l’Yenisei avendolo già attraversato più volte, sapeva che la sua larghezza è grande e che ha correnti impetuose nel doppio letto che si è scavato fra le isole. In circostanze ordinarie, per mezzo di chiatte preparate pel trasporto delle persone e dei cavalli, il passaggio dell’Yenisei richiede tre ore, ed è solo con fatica estrema che queste chiatte giungono alla riva destra. Ora, in mancanza di una barca, come mai potrebbe la kibitka andare da una riva all’altra.

— Io passerò ad ogni costo! ripetè Michele Strogoff.

Il giorno incominciava a spuntare quando la kibitka giunse sulla riva sinistra, proprio là dove [p. 96 modifica]metteva uno dei viali del parco. In quel luogo l’argine dominava di cento piedi il corso dell’Yenisei. Si poteva dunque osservarlo sopra una vasta estensione.

— Vedete una chiatta? domandò Michele Strogoff voltando avidamente gli occhi da una parte e dall’altra, per abitudine senza dubbio, e come se egli medesimo avesse potuto vedere.

— Albeggia appena, fratello, rispose Nadia. La nebbia è ancora fitta sul fiume e non si discernono le acque.

— Ma io le intendo muggire, rispose Michele Strogoff.

Infatti dagli strati inferiori di quelle fessure usciva un sordo tumulto di correnti e di controcorrenti che s’urtavano. Le acque, altissime in quel tempo dell’anno, dovevano scorrere con impeto di torrente. Tutti e tre ascoltavano, aspettando che la cortina di nebbie si diradasse. Il sole saliva rapidamente sopra l’orizzonte, ed i suoi primi raggi non dovevano tardare ad asciugar quei vapori.

— Ebbene? domandò Michele Strogoff.

— Le nebbie cominciano a diradarsi, fratello, rispose Nadia; già la luce le penetra.

— Non vedi ancora la superficie del fiume, sorella?

— Ancora no.

— Un po’ di pazienza, babbo mio, disse Nicola. Tutto questo sparirà. To’, ecco il vento, la nebbia se ne va; le alte colline della riva destra mostrano già le loro file d’alberi. Se ne va! se ne va! I raggi del sole hanno condensato questa massa di nebbie. Ah! com’è bello, povero il mio cieco, e che disgrazia per te di non poter contemplare uno spettacolo simile! [p. 97 modifica]

— Vedi tu un battello? domandò Michele Strogoff.

— Non ne vedo alcuno, rispose Nicola.

— Guarda bene, amico, su questa riva e sull’altra, fin dove giunge la tua vista. Non vedi un battello, una barca, un canotto di corteccia?

Nadia e Nicola, aggrappandosi alle ultime betulle della ripa, si erano curvati sopra il fiume. Il campo offerto ai loro sguardi era immenso. L’Yenisei in quel punto non misura meno d’una versta e mezza, e forma due bracci, di diversa importanza, che le acque seguono rapidamente. Fra questi bracci riposano molte isole piantate di ontani, di salici e di pioppi, che sembrano tante navi verdeggianti tagliate nei flutti. Al di là si scaglionano le alte colline della riva orientale, coronate di foreste le cui vette s’imporporavano di luce. A monte ed a valle l’Yenisei si prolunga a perdita d’occhio. Tutto quell’ammirabile panorama si presentava allo sguardo in un perimetro di cinquanta verste.

Ma non una barca nè sulla riva sinistra, nè sulla destra, nè sul margine delle isole. Erano state tutte portate via o distrutte. Certissimamente se i Tartari non facevano venire dal sud un materiale necessario a fare un ponte di barche, le loro mosse verso Irkutsk dovevano essere arrestate un pezzo davanti a questa barriera del Yenisei.

— Io mi ricordo, disse Michele Strogoff, che v’ha più su, presso alle ultime case di Krasnoiarsk, un piccolo porto. Gli è là che le chiatte s’accostano. Amico, risaliamo il corso del fiume, e vedi un po’ se qualche barca non fu dimenticata sulla riva.

Nicola si slanciò nella direzione indicata. Nadia [p. 98 modifica]aveva preso Michele Strogoff per mano e lo guidava con passo rapido. Una barca, un semplice canotto grande tanto da poter portar la kibitka od almeno tre persone, e Michele Strogoff non esiterebbe a tentare il passaggio.

Venti minuti dopo, tutti e tre erano giunti al piccolo porto, le cui ultime case s’abbassavano al livello del fiume. Era una specie di villaggio posto ai piedi di Krasnoiarsk.

Ma non v’era una barca sul greto, non un canotto che servisse d’imbarco, nulla insomma con cui si potesse costrurre una zattera sufficiente per tre persone.

Michele Strogoff aveva interrogato Nicola, e costui gli aveva fatto la risposta sconfortante che la traversata del fiume gli sembrava assolutamente impossibile.

— Noi passeremo, rispose Michele Strogoff.

E proseguirono le ricerche. Si frugò nelle poche case adagiate sugli argini ed abbandonate come l’altre di Krasnoiarsk. Bastava spingerne la porta. Erano capanne di povera gente, assolumente vuote. Nicola visitava l’una, Nadia percorreva l’altra. Lo stesso Michele Strogoff entrava qua e là e cercava di riconoscere colla mano qualche oggetto che potesse essergli utile.

Nicola e la giovinetta, ciascuno dal canto suo, avevano invano frugato in quelle capanne e stavano per abbandonare le loro ricerche, quando s’intesero chiamare.

Entrambi tornarono sull’argine e videro Michele Strogoff sulla soglia dell’uscio.

— Venite! gridò egli.

Nicola e Nadia mossero subito incontro a lui ed entrarono nella capanna. [p. 99 modifica]

— Che cosa è questo? domandò Michele Strogoff toccande colla mano diversi oggetti ammucchiati in fondo ad uno stanzino.

— Sono otri, rispose Nicola, e ve n’ha, in fede mia, una mezza dozzina.

— Sono pieni?

— Sì, pieni di kumyss, e giungono opportuni per rinnovare le nostre provviste.

Il kumiss è una bevanda fabbricata con latte di giumenta o di cammello, bevanda fortificante, ed anche inebbriante, e Nicola non poteva che rallegrarsi di quella scoperta.

— Mettine una da parte, gli disse Michele Strogoff, ma vuota tutte le altre.

— Subito, babbo mio.

— Questo ci ajuterà a traversare l’Yenisei.

— E la zattera?

— Sarà la kibitka medesima, che è tanto leggiera da galleggiare. D’altra parte la sorreggeremo con questi otri, come pure il cavallo.

— Ben immaginato, babbo mio! esclamò Nicola, e coll’ajuto del cielo giungeremo a buon porto... forse non in dritta linea perchè la corrente è rapida.

— Che importa! rispose Michele Strogoff. Passiamo prima, e sapremo ben ritrovare la via d’Irkutsk al di là del fiume.

— All’opera, disse Nicola incominciando a vuotare gli otri ed a trasportarli fino alla kibitka.

Un otre pieno di kumyss fu riservato, e gli altri, chiusi con cura, dopo d’esser stati prima colmati d’aria, furono adoperati come apparecchi galleggianti. Due di questi otri attaccati al fianco del cavallo erano destinati a sostenerlo a galla.

Altri due messi agli stangoni della kibitka, fra le [p. 100 modifica]ruote, ebbero per iscopo d’assicurare l’equilibrio della sua cassa, trasformata così in zattera.

Quest’opera non fu lunga.

— Non avrai paura, Nadia? domandò Michele Strogoff.

— No, fratello, rispose la giovinetta.

— E tu, amico?

— Io! esclamò Nicola. Io vedo avverato finalmente uno de’ miei sogni: navigare in carretta!

In quel luogo il margine in declivio era favorevole al varamento della kibitka. Il cavallo la trascinò fino all’orlo delle acque, e poco stante l’apparecchio ed il suo motore galleggiavano alla superficie del fiume. Quanto a Serko, egli s’era bravamente gettato a nuoto.

I tre passeggieri, ritti sulla cassa, s’erano tolti le scarpe per precauzione, ma in grazia degli otri non ebbero neppure dell’acqua fino alle caviglie.

Michele Strogoff teneva le redini del cavallo, e secondo le indicazioni che gli dava Nicola, egli dirigeva obliquamente l’animale, ma risparmiandolo perchè non voleva stancarlo troppo contro la corrente. Fino a tanto che la kibitka seguì il filo delle acque, la cosa andò bene, e in capo a pochi minuti aveva passato le ripe di Krasnoiarsk. Andava alla deriva verso il nord, ed era oramai evidente che non toccherebbe l’altra sponda se non molto a valle della città. Ma poco importava.

La traversata dell’Yenisei si sarebbe dunque compiuta senza gran difficoltà anche su questo apparecchio imperfetto, se la corrente fosse stata regolare; ma per somma disgrazia molti gorghi si manifestavano alla superficie delle acque tumultuose, e non andò guari che la kibitka, non [p. 101 modifica]ostante tutto il vigore adoperato da Michele Strogoff per farla deviare, fu irresistibilmente trascinata in uno di quegli imbuti.

Colà il pericolo divenne grande. La kibitka non si dirigeva più verso la riva orientale, non andava nemmeno più alla deriva, ma girava con estrema rapidità, inchinandosi verso il centro del vortice come un acrobata sulla pesta d’un circo. La sua velocità era estrema; il cavallo poteva a stento tener la testa fuor d’acqua e rischiava d’essere asfissiato nel turbine. Serko aveva dovuto prendere un punto d’appoggio sulla kibitka.

Michele Strogoff comprese quanto accadeva. Si sentì trascinato secondo una linea circolare che si restringeva a poco a poco e da cui non poteva più cavarsi. Non disse una parola. Gli occhi suoi avrebbero voluto vedere il pericolo per evitarlo meglio.... Non lo potevano più fare.

Nadia anch’essa taceva. Le sue mani aggrappate ai ridoli della carretta la sorreggevano contro i movimenti disordinati dell’apparecchio che s’inclinava sempre più verso il centro di depressione.

Quanto a Nicola non comprendeva egli la gravità della situazione? Era flemma la sua, o disprezzo del pericolo? Coraggio, od indifferenza? La vita era forse senza valore agli occhi suoi, e, secondo l’espressione degli Orientali, «un albergo di cinque giorni,» che per amore e per forza bisogna lasciare il sesto? Fatto è che la sua faccia sorridente non si smentì un istante.

La kibitka rimaneva dunque presa in quel turbine, ed il cavallo era sfinito di forze. A un tratto Michele Strogoff, togliendosi quelle vestimenta che potevano dargli impaccio, si buttò nell’acqua, poi, [p. 102 modifica]afferrando con braccio vigoroso la briglia del cavallo, gli diede un tale impulso che riuscì a spingerlo fuor del raggio d’attrazione; ripresa subito dalla rapida corrente, la kibitka andò alla deriva con velocità nuova.

— Evviva! esclamò Nicola.

Due ore soltanto dopo aver lasciato il porto di sbarco, la kibitka aveva attraversato il gran braccio del fiume e veniva a toccare il margine di un’isola a più di sei verste sotto il suo punto di partenza.

Colà il cavallo tirò un’altra volta la carretta sulla riva e venne data un’ora di riposo al coraggioso animale. Poi l’isola fu attraversata in tutta la sua larghezza, all’ombra delle sue magnifiche betulle, e la kibitka si trovò in riva al piccolo braccio dell’Yenisei.

Questa seconda traversata fu più facile. Nessun turbine rompeva il corso del fiume in questo secondo letto, ma la corrente n’era tanto rapida, che la kibitka non toccò la riva destra se non a cinque verste a valle. In tutto aveva perduto undici verste.

Questi gran corsi d’acqua del territorio siberiano, sui quali non fu gettato ancora verun ponte, sono ostacoli seri alla facilità di comunicazione. Tutti erano stati più o meno funesti a Michele Strogoff. Sull’Irtyche, la chiatta che lo traghettava con Nadia era stata assalita dai Tartari. Sull’Obi, aveva avuto il cavallo colpito da una palla ed era scampato come per miracolo ai cavalieri che l’inseguivano. A tirar bene i conti questo dell’Yenisei era stato il meno disgraziato.

— Non sarebbe stato tanto divertente, esclamò Nicola fregandosi le mani, nello sbarcare sulla [p. 103 modifica]riva destra del fiume, se non fosse stato tanto difficile!

— Ciò che per noi fu soltanto difficile, amico, rispose Michele Strogoff, sarà forse impossibile ai Tartari.