Pagina:Michele Strogoff.djvu/317


— 93 —

il passaggio dell’yenisei


— Ebbene, amico mio, diss’egli a Nicola, perchè non andiamo innanzi?

— Perchè temo di svegliare gli abitanti della città col chiasso della mia carretta.

E Nicola stimolò il suo cavallo con una lieve frustata. Serko mandò qualche latrato, e la kibitka scese al piccolo trotto la via che penetrava in Krasnoiarsk.

Dieci minuti dopo, essa entrava nella via maestra.

Krasnoiarsk era deserta! Non v’era più un Ateniese in questa Atene del Nord, come la chiama la signora di Bourboulon. Non uno de’ suoi equipaggi così splendidi ne percorreva le vie larghe e pulite. Non un passeggiero seguiva i marciapiedi che rasentano la base delle sue magnifiche case di legno, di aspetto monumentale. Non un’elegante Siberiana, vestita secondo le ultime mode di Francia, passeggiava in mezzo a quel parco meraviglioso, tagliato in una foresta di betulle che si prolunga fino al margine dell’Yenisei. La grossa campana della cattedrale era muta, mute le campane delle altre chiese, e pure è raro che una città russa non sia piena del suono delle sue campane. Ma qui era l’abbandono assoluto. Non v’era più anima viva in quella città, poco prima così vivace!

L’ultimo telegramma partito dal gabinetto dello czar, prima della rottura del filo, aveva dato ordine al governatore, alla guarnigione, agli abitanti, qualunque si fossero, d’abbandonare Krasnoiarsk, di portare via qualunque oggetto di valore o che potesse essere di qualche utilità per i Tartari, e di rifugiarsi ad Irkutsk. La medesima ingiunzione veniva fatta a tutti gli abitanti