Memorie (Bentivoglio)/Libro secondo/Capitolo III
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Capitolo III.
Dissolvesi il primo matrimonio del re di Francia con madama Margherita di Vallois, e segue il secondo fra lui e la prencipessa Maria de’ Medici; per questa occasione va legato a Fiorenza il cardinale Aldobrandino, e poi subito in Francia.
Poco dopo essersi effettuato questo matrimonio fra il duca di Parma e l’Aldobrandina, publicossene un altro di conseguenze molto piú grandi, ch’era seguito fra il re di Francia Enrico quarto e la prencipessa Maria de’ Medici figliuola del giá granduca Francesco e dell’arciduchessa Giovanna d’Austria, e nipote di Ferdinando succeduto a Francesco. Aveva Enrico gran tempo innanzi quando era solamente re di Navarra, e quando egli seguitava la setta degli ugonotti, avuta per moglie Margherita di Vallois sorella di Carlo nono. A tal matrimonio era condesceso il re principalmente con fine di ridurre alla religione cattolica Enrico e d’unirlo cosí d’interessi come si univa di sangue alla casa reale contra i medesimi ugonotti, da’ quali veniva perturbato ogni di maggiormente il regno.
Ma perché in questa sorte di pratiche si era proceduto con diversi artifici dall’una e l’altra banda, avevano i contraenti avuto riguardo molto piú alla materia temporale dello stato che alla spirituale del sacramento; di modo che non essendosi in questa parte osservate bene tutte le sollennitá necessarie, veniva a restar manchevole il matrimonio, e soggetto a potersi agevolmente dissolvere quando fosse nata qualche occasione che a ciò inducesse o l’una o l’altra parte delle persone che l’avevano contratto. E con prove manifeste poi si era veduto riuscire poco felice questa sorte di congiunzione, percioché Enrico, fatto allora cattolico, era caduto ben tosto nuovamente nell’eresia, mostrandosi alieno di Margherita come ella scambievolmente di lui. Quindi nasceva che ambidue vivessero poco insieme, o che se tal volta pur tornavano a riunirsi, presto con nuovi e con maggiori disgusti tornassero a separarsi. Il non essere uscita prole di sorte alcuna da tal matrimonio l’aveva fatto apparire tanto piú ancora infausto. Né questo vincolo aveva mai ritenuto Enrico dal favorire gli ugonotti, dal. far sua la lor causa, dal publicarsi lor capo e dal sostenere la fazione loro con tutti gli altri mezzi piú vantaggiosi. Succeduto poi l’infelice caso di Enrico terzo, aveva incontrato questo Enrico quarto infinite difficultá dentro e fuori, ma dichiaratosi finalmente vero cattolico le aveva superate, e con somma gloria e felicitá al pacifico possesso del regno era poi pervenuto, né altro ormai piú mancandoli che di perfezionare in esso l’intiero stabilimento della sua regnatrice casa col vedere stabilirsi in se medesimo la sua propria real descendenza, egli perciò era venuto in resoluzione di voler affatto dissolvere il primo suo matrimonio a fine di poterne celebrare con speranza maggiore di prole un secondo. Fra il pontefice Clemente e lui passava ogni piú stretta ed affettuosa corrispondenza, e professava egli un grand’obligo verso il pontefice per essersi mostrato pieno di tanto zelo e di tanta affezione verso la Francia, ma particolarmente verso lui stesso, e nell’averlo ben riunito con la sede apostolica e nell’aver poi si ben maneggiata la pace che si era conclusa fra lui ed il re di Spagna.
Dunque fermatosi Enrico in questo pensiero, sí come a lui non era stato malagevole di giustificare con molte ragioni appresso il papa la sua dimanda cosí all’incontro il papa non si era mostrato difficile nell’ammetterla, e nel disporsi a farne seguir poi anche favorevolmente l’effetto. A procurare la dichiarazione di nullitá il re aveva mandato a Roma espressamente un ambasciatore straordinario, e questo era stato Nicolò Brulard signore di Sillery, che prima aveva esercitata molti anni l’ambasceria di Francia appresso la republica de’ svizzeri, che era poi intervenuto alla negoziazione della pace in Vervin e che allora godeva uno de’ primi luoghi appresso il re ne’ maggiori impieghi della corona. Io lo trovai poi gran cancelliere di Francia al tempo della mia nunziatura in quel regno, e veramente mi parve uno de’ maggiori soggetti nelle cose di giustizia e di stato che per l’una e l’altra qualitá potessero da qualsivoglia gran prencipe adoprarsi. Alle instanze del re, come ho detto, si era inclinato il papa con benigna disposizione ed aveva commessa questa causa di nullitá in Francia, deputando a tal’effetto il cardinale di Gioiosa l’arcivescovo d’Arles ed il vescovo di Modena suo proprio nunzio con facoltá di venire a sentenza, e questi finalmente l’avevano data in favore del re, dichiarando nullo il suo matrimonio, ed adducendo per una delle cause principali, fra l’altre, che Margherita per forza e non per consenso vi fosse condescesa e l’avesse contratto, e avesse poi ancora ella stessa fatte quelle dichiarazioni che dal canto di lei sopra tal nullitá bisognavano. Con questo successo, nel quale dalla parte di Roma aveva specialmente avuta gran mano il cardinale d’Ossat, rimaso libero il re dal suo primo vincolo matrimoniale, si era applicato egli fissamente quanto prima a passare al secondo. Erangli proposti da varie bande vari partiti, ma finalmente inclinò a quello che ho detto della prencipessa Maria de’ Medici. Restava molto fresca tuttavia nel regno la memoria dell’altra regina uscita pure da quella casa, e dal granduca il re ne’ suoi maggiori travagli aveva non solo ricevuti prudenti consigli in parole ma opportunissimi aiuti ancora piú volte in denari. Era poi dotata d’una singolar bellezza del corpo e d’ogni altro piú singolare ornamento d’animo la prencipessa Maria in se medesima. Onde la pratica di questo congiungimento ritrovò tal disposizione dall’una e l’altra parte che fu, si può dire, all’istesso tempo e mossa e conclusa. Correva la primavera di quel celebre anno santo del mille seicento quando furono accordate in Fiorenza le scritture di questo si celebre matrimonio. Andò per tale effetto da Roma a Fiorenza il medesimo signore de Sillery, e vi andò accompagnato dal signor d’Alincourt cavaliere dello Spirito Santo, che il re aveva inviato a Roma ambasciatore straordinario per trattar quanto si favorevolmente era succeduto intorno alla dissoluzione del matrimonio accennato. Questo Alincourt era figliuolo del signor di Villeroy primo segretario di stato, e l’inviò poi il medesimo re alcuni anni dopo all’istessa corte di Roma per suo ambasciatore ordinario. Accordati che furono gli articoli del matrimonio nella debita forma, se ne tornarono il signor di Sillery a Roma ed Alincourt a Parigi. Né tardò poi molto il re a spedire il signor di Bellaguardia a Fiorenza per effettuare in nome suo il matrimonio nella debita forma, e per condurre la nuova regina in Francia. Era il signor di Bellaguardia cavaliere di chiaro sangue e di nobilissima qualitá, e godeva il carico di gran scudiere, cioè di cavallerizzo maggiore, che è uno de’ primi e de’ piú stimati offici del regno. Aveva egli avuto gran luogo tra i favoriti d’Enrico terzo, e pur tuttavia continuava in molto favore appresso il medesimo Enrico quarto. Io conobbi pur’anche, e trattai molto domesticamente con questo cavaliere in Francia, e fui ospite suo in Digiun che è la terra principale della ducea di Borgogna, della quale provincia egli era governatore quando io fatto cardinale passai di lá nel ritorno mio da quel regno. E certo non aveva la Francia signore alcuno né di piú nobile presenza né di piú belle maniere né di piú cavalleresche azioni. Era egli soldato ancora, ma la sua principale qualitá consisteva in essere perfetto cavaliere di corte, e bisognava che in questa parte veramente ognuno gli cedesse come in effetto ognuno gli cedeva. Giunto in Fiorenza e ricevuto con le dimostrazioni d’onore e di stima che piú convenivano, vi soggiornò egli qualche tempo per darlo a mettere insieme un buon numero di galere sulle quali doveva la regina essere condotta per mare in Francia e lasciata in Marseglia. Per trovarsi alla celebrazione del suo sponsalizio era venuto a Fiorenza il duca di Mantova con la duchessa sorella maggiore della regina, e perché dovevano la granduchessa di Toscana e la medesima duchessa di Mantova accompagnar la regina fino a Marseglia, perciò tutto questo grande apparato faceva differire la sua partita piú di quello che il re averebbe voluto.
In tanto aveva desiderato il re che il papa volesse tanto piú render sollenne questo matrimonio con inviare a Fiorenza legato il cardinale Aldobrandino suo nipote acciò in suo nome benedicesse lo sponsalizio, e fattane l’instanza fu cosí ben ricevuta che il papa con ogni prontezza elesse al ministerio il nipote. Publicata la legazione, il cardinale si preparò subito ad eseguirla e risolvette di farla in ogni piú splendida e strepitosa forma. Scelse egli in suo seguimento un buon numero di vescovi e di altri prelati, che tutti erano de’ piú conspicui, e similmente un buon numero de’ primi baroni di Roma e d’altri cavalieri ancora pur molto principali. A si nobile e numeroso accompagnamento corrisposero le livree che si fecero, e le famiglie e tutte l’altre circostanze con le quali potesse ciascun de’ prelati de’ baroni e de’ cavalieri comparire piú onorevolmente che gli fosse possibile in cosí fatta occorrenza. Né poteva il cardinale far di vantaggio perché la sua propria comparsa, e di tutti i suoi separatamente, seguisse con ogni pompa e splendidezza maggiore.
Ma questa legazione di Fiorenza se ne tirò dietro un’altra unitamente, che lo fece trasferire subito per negozi gravissimi in Francia. Aveva allora quel re mosso contra il duca di Savoia apertamente la guerra per sforzarlo con l’armi a restituire il marchesato di Saluzzo, dopo essere riuscito vano ogni accordo. E perché nel successo di essere venuto in mano di Savoia quel marchesato avevano li spagnoli avuta parte grandissima per gli oggetti che gli moveva a desiderare di chiudere quella porta a’ francesi in Italia, perciò non si dubitava, che restando accesa tra il re di Francia ed il duca di Savoia la guerra, non fussero li spagnuoli per unire l’armi loro manifestamente con quelle del duca. Prevedevasi ciò dal papa, e consideravasi da lui il pericolo d’avere nuovamente a vedere suscitato un incendio di guerra, che averebbe potuto rinovare le miserie di quello che da lui poco innanzi, con tanta gloria di lui medesimo e con si gran benefizio della cristianitá, si era estinto. In modo che essendogli nata questa occasione d’inviare il cardinale Aldobrandino legato a Fiorenza, egli stimò che fusse opportunissima l’occasione ancora di spedirlo con ogni celeritá maggiore a procurar la pace tra il re di Francia e il duca di Savoia, ed a stabilire tanto piú nel medesimo tempo quella ch’era seguita sí frescamente col mezzo suo fra l’istesso re di Francia e il re di Spagna. Maturato ben prima questo pensiero, come in altro luogo si vedrá piú distintamente, chiamò il sacro collegio de’ cardinali in un concistoro particolare e diede loro parte dell’una e dell’altra resoluzione che aveva presa. Disse che il re di Francia con molto affetto l’aveva richiesto a voler inviare legato a Fiorenza il cardinale Aldobrandino suo nipote, accioché in nome suo benedicesse il sponsalizio matrimoniale che doveva seguire tra esso re e la prencipessa Maria de’ Medici. Che a tale instanza egli con ogni volontá era condesceso sperando che da un tal matrimonio fosse per nascere un gran bene alla cristianitá, e specialmente alla Francia; che ogni di quel re facendo apparire la sua riverenza verso la Chiesa verso la santa sede e verso la religione cattolica, poteva sperarsi che i suoi descendenti, all’imitazione di Carlo magno e di tanti altri loro gloriosi progenitori di nome e d’azione veramente re cristianissimi, fossero per mostrare il medesimo zelo e pietá in favore della Chiesa, e ch’avessero particolarmente a liberare la Francia dall’eresia e ridurre quel regno all’antica e sola religione cattolica. Ciò disse il papa in riguardo alla legazione di Fiorenza.
Quindi ripigliato il ragionamento, diede parte al sacro collegio della guerra, che aveva mossa il re di Francia contra il duca di Savoia, e del pericolo che soprastava alla cristianitá d’un incendio molto peggiore per tal cagione. Rappresentò l’obligo che egli aveva d’usar tutti i remedi possibili per estinguerlo, e ch’egli perciò stimava necessario d’inviare speditamente il medesimo cardinale Aldobrandino in Francia dopo che si fusse sbrigato dalla legazione di Fiorenza; e domandò poi in ultimo il parere loro a’ cardinali sopra l’una e l’altra delle legazioni. Fu dal sacro collegio l’una e l’altra sommamente approvata. Onde finito il concistoro, fu dal papa con le ceremonie solite data la croce della legazione al cardinale Aldobrandino, il quale fu poi accompagnato da tutti i cardinali a cavallo nell’abito loro consueto in tal occasione sin fuori della Porta del popolo, dove egli si licenziò da loro mostrando di mettersi allora in viaggio. Nondimeno egli non partí quell’istesso giorno, ma tornato in carrozza chiusa a palazzo si trattenne tutto quel di col papa, e poi nel seguente, che fu alli ventisei di settembre, si pose effettivamente in viaggio.
Andava egli con numerosissima compagnia, onde era necessario di compartire in giornate brevi e commode il viaggio che si faceva. In tre alloggiamenti pervenne alli confini del granduca, dove trovò don Antonio de’ Medici fratello naturale della regina, che in nome di lei e del granduca era venuto ad incontrarlo ivi e riceverlo. Dal medesimo don Antonio fu egli poi sempre accompagnato e condotto ad alloggiare di luogo in luogo secondo la distribuzione delle giornate, e per tutto ricevè quell’onore e quelle commoditá che piú convenivano in riguardo alla sua persona ed a quelle di tutti gli altri che lo seguitavano. In sette giorni, dopo esser entrato nel dominio del granduca, egli giunse vicino a due miglia a Fiorenza: fatto ivi ricevere ed alloggiare dal granduca in un monasteri© bellissimo dell’ordine cartusiano, per dover poi nel giorno seguente far la sua solenne entrata in quella cittá. Alquanto prima ch’egli giungesse al monasterio, venne il granduca medesimo in carrozza col prencipe suo primogenito e con un nobile accompagnamento di molte altre carrozze ad incontrarlo e riceverlo, e dopo averlo lasciato nel monasterio tornò a Fiorenza.
Intanto si erano disposte tutte le cose necessarie per l’entrata solenne del cardinale. Avvicinatosi dunque egli nella mattina del di seguente, che fu quello di san Francesco, alla cittá, per un breve spazio di strada gli venne incontro a cavallo il granduca, menando seco nel modo stesso don Virginio Orsino duca di Bracciano suo nipote per via di sorella, don Giovanni de’ Medici e don Antonio, del quale ho detto di sopra, con tutto il resto della sua corte e della nobiltá di Fiorenza pur a cavallo; facendo apparire, con ogni maggior ostentazione di pomposo apparecchio, quanto dalla regina e da lui si desiderasse di vedere seguire in ogni piú splendida e piú maestosa forma quel primo e piú solenne ricevimento. Ma in quell’atto medesimo portò il caso che succedesse un fastidioso incontro, dal quale fu per ricevere un gran disturbo e forse per disordinarsi affatto la legazione. Trovavansi di giá a cavallo insieme il cardinale ed il granduca, e innanzi loro andava meschiato l’accompagnamento dell’uno e dell’altro, restando i prelati del cardinale di dietro della sua persona ed a quella del granduca. Pareva conveniente al legato che i principali baroni venuti con lui dovessero ritenere l’ultimo luogo, che veniva ad essere il primo innanzi a lui legato ed al granduca, lasciandovi solamente quello spazio in mezzo, che era necessario ad essere portata la croce innanzi al legato. Erano col granduca i tre sopradetti signori con superbissime livree portate da un gran numero di staffieri, e venivano con intenzione di voler essi restare nel primo accennato luogo avanti il cardinale ed al granduca. A tal fine si erano fermati in disparte aspettando che passasse tutta intiera la cavalcata per mettersi poi nel detto luogo, ma di ciò fatto consapevole il cardinale ne mostrò senso col granduca, e gli fece instanza che procurasse di persuadere don Virginio a cavalcare in confuso con gli altri romani baroni; fra questi erano quattro i piú principali, cioè Marzio Colonna duca di Zagarolo ch’era il piú vecchio, Giovanni Antonio Orsino duca di Santo Gemini, Lotario Conti duca di Poli e Pavolo Savelli signore d’Albano, della qual cittá egli ebbe poi titolo di prencipe. E perché papa Clemente per levar i disturbi che portava seco questa materia di precedenza fra i baroni romani aveva dichiarato con un particolare suo decreto che tra di loro l’etá precedesse e non la persona, il cardinale perciò fece dal suo maestro di ceremonie intendere a don Virginio ch’egli doveva ricordarsi del decreto che il papa aveva fatto in questa materia. Parve a don Virginio che ciò lo pungesse e che il cardinale mostrasse di voler pareggiar lui, ch’era capo degli Orsini, con Marzio, che non era capo de’ Colonnesi. Onde con termini risoluti fece rispondere al cardinale ch’egli era a Fiorenza e non a Roma, e che in Roma eziandio egli non aveva mai voluto sottoporsi alla legge di quel decreto. Riportata al cardinale questa risposta se ne alterò grandemente, e rinovò l’instanza al granduca perché disponesse don Virginio e gli altri due sopradetti ad unirsi mescolatamente con i baroni romani. Usò il granduca nuove diligenze a tal effetto, e con don Virginio in particolare; nondimeno egli constantemente fece rispondergli che in ogni altra occasione l’averebbe ubbidito, ma che lo supplicava a perdonarli se in quella per onor suo e della sua casa non poteva ubbidirlo. Da tale risposta alteratosi maggiormente il legato, e parendoli che in ciò restasse offesa la dignitá del papa e la riputazione sua propria, con parole risentite ordinò subito che venisse la sua carrozza da viaggio, ch’era poco lontana, dichiarandosi col granduca di voler piú tosto ritornarsene a dietro che soffrire una tale azione. Ma il granduca addolcitolo con termini pieni di rispetto e d’onore, lo pregò a non volere maggiormente turbarsi perché egli averebbe rimediato al disordine, e perciò subito egli medesimo andò a trovare don Virginio, e operò di maniera che lo fece partire e tornare nella cittá con gli altri due insieme. A questo modo cessò il disturbo.
Giunto il legato alla porta della cittá gli si presentò innanzi col clero il vescovo di Fiesole, come piú antico suffraganeo del cardinale di Fiorenza arcivescovo, e gli diede a baciare la croce, per la quale ceremonia il cardinale ed il granduca scesero da cavallo. Quindi rimontati, fu ricevuto il cardinale sotto il baldachino nell’abito cardinalizio piú maestoso, ed a quel modo con il granduca al suo lato sinistro fu condotto alla chiesa catedrale, dove fatta l’orazione consueta in tali occorrenze e data la benedizione al popolo, se n’andò ai palazzo del granduca, e salite le scale fu da lui condotto alle proprie sue stanze, che erano con tutto il resto del suo appartamento ammobigliate in ogni piú splendida e sontuosa forma. Dopo aver desinato andò egli a far con la regina il primo suo complimento, e da lei fu ricevuto il cardinale con ogni dimostrazione maggiore e di stima e di cortesia, visitò poi egli subito la granduchessa la duchessa di Mantova e la duchessa di Bracciano.
Preso che ebbe il cardinale un conveniente riposo insieme con tutti i suoi, che furono ricevuti anch’essi ed alloggiati con ogni maggior commoditá e lautezza, si venne all’azione del contratto matrimoniale, ed a quest’effetto si transferirno la mattina delli sei di ottobre il legato ed il granduca insieme a cavallo con un numerosissimo accompagnamento alla chiesa catedrale. Dopo loro seguitava la regina in carrozza con le prencipesse nominate di sopra e col prencipe di Toscana, e la sua carrozza era accompagnata pur da un gran numero d’altre nelle quali erano le dame della regina delle dette prencipesse e della propria cittá di Fiorenza. Dopo queste carrozze veniva a cavallo il duca di Mantova col signor di Bellagarda col signor di Sillery venuto in quell’occasione da Roma a Firenze, col duca di Bracciano con don Giovanni e don Antonio de’ Medici, e questa divisione a cavallo si era fatta per meglio aggiustare i luoghi. Le livree che furono esposte in tale occasione riuscirono delle piú splendide e piú superbe che si fussero mai in altro tempo vedute in Italia, ed il simile fu de’ vestiti delle gioie e d’altri ornamenti con i quali e la regina e le prencipesse e le dame si fecero vedere in quella sollennitá. Né minore fu l’ostentazione in ciò dalla parte ancora de’ prencipi e de’ cavalieri. Comparve il granduca vestito di bianco e ricchissimamente adornato, come quegli che in nome del re con procura particolare doveva contraere il matrimonio, e perciò egli in pari luogo si trattenne in chiesa con la regina. Dunque, preso che ebbe il legato quel luogo che a lui si doveva nello spazio dove era l’altare maggiore, e similmente la regina ed il granduca; e poi gli altri prencipi e prencipesse e ambasciatori, fu celebrata in ogni solenne forma di ceremonia dal legato la messa, ed al tempo debito si presentarono innanzi a lui la regina e il granduca e per mano sua seguí la celebrazione del matrimonio. Terminata la messa, tornossi al palazzo del granduca, con l’istesso ordine. Avvicinatosi poi la notte, ragunossi tutta la medesima compagnia in una gran sala per godere una festa di ballo, che durò fin quasi alla mezzanotte. Quindi passossi ad una real cena. In capo alla sala dove il convito si celebrò sorgeva alquanto dal suolo un tavolato coperto di tapeti finissimi, nel quale sotto un ricchissimo baldachino era distesa una mensa per otto persone. E queste furono alla man destra la regina la duchessa di Mantova e la granduchessa con la duchessa di Bracciano, ed alla man sinistra il legato e il duca di Mantova il granduca e il prencipe suo primogenito. Ne’ due lati della medesima sala correvano poi lunghissime tavole, nelle quali cenarono all’istesso tempo dall’una e l’altra parte le dame servite confusamente da cavalieri. Con piú reale e piú maestosa magnificenza non poteva essere apparata la sala, ed a proporzione riuscí in tutto le parti il convito. A quest’azione corrisposero tutte l’altre ancora, e di tornei e di feste e di caccie e di comedie e d’altri vari trattenimenti, con i quali furono celebrati quei giorni ne’ quali soggiornò il cardinale in Fiorenza. Ma riuscí famosissima specialmente una rappresentazione recitata in musica, per la gran diversitá dell’invenzioni esquisite che vi apparirono cosí intorno alla singolar bellezza della scena principale trasmutata piú volte mirabilissimamente in piú scene, come intorno all’eccellenza delli intramezzi delle machine, de’ canti de’ suoni e altri mille trattenimenti che del continuo rapivano il teatro in ammirazione. E certo si potè star in dubio se quelle fossero meraviglie imaginate o pur vere, o se avessero piú dell’umano o piú del divino, e se in quel tempo fosse stato maggiore o il gusto che la scena recava con sí rara e sí bene accompagnata varietá di spettacoli o pure il diletto, che dal teatro nasceva per sí alta e sí maestosa ragunanza di spettatori. Era particolarmente arricchito d’un gran numero di bellissime dame il teatro, ma sopra tutto la regina appariva non men regina in bellezza che in qualitá, con sí gran forza erano tirati gli occhi di tutti a rimirare i suoi, tanta era nel rimanente ancora la perfezione del suo volto, e sí rara in tutte le altre parti quell’armonia di bellezza che in lei si ammirava e che al bello d’ogni altra con sí manifesta superioritá prevaleva. Tale in Fiorenza manifestavasi la regina, ma sedici anni dopo quando io giunsi a Parigi, nel qual tempo continuava ella nella regenza per la tenera etá del re suo figliuolo e tuttavia riteneva il governo del suo regno, io la trovai pur similmente con sí vago e fresco aspetto che la sua bellezza d’allora non punto meno risplendeva nell’abito vedovile di quello si fosse veduta risplender prima nel maritale. E puoté farsi giudizio che sí come ella aveva superate giá tutte le bellezze d’Italia, cosí avesse riportato il medesimo vantaggio poi anche sopra tutte quelle di Francia. Sbrigatosi il cardinale da questa sua prima legazione con tutto quel maggior gusto che poteva darsi o riceversi da ogni parte, risolvè di mandar a Roma quasi tutto l’intiero suo accompagnamento di prima, e di tener seco quel solo numero di persone che necessario fosse al fare con ogni celeritá maggiore il suo viaggio di Francia, onde non ritenne se non il vescovo d’Avellino ch’era stato suo medico, e volle condur seco anco due predicatori eminenti, che furono il Monopoli capuccino del quale io parlai di sopra, ed il padre don Paolo Tolosa dell’ordine teatino. Erano però molto differenti, e quasi del tutto contrari fra loro questi due predicatori nella professione del predicare. Il Monopoli, come allora toccai con mano, mostravasi tutto austero e d’abito e di faccia e di voce e di parole e d’azioni, e purché egli apparisse dotto non si curava d’apparire eloquente. All’incontro il vestir del Tolosa poco variava dall’abito ecclesiastico piú commune. Egli era dotato di nobile e graziosissimo aspetto, e corrispondeva all’aspetto la voce e ’l gesto; e al gesto ogni altra parte ch’egli faceva nel pulpito, e benché valesse molto nella dottrina vedevasi nondimeno che il suo talento maggiore consisteva nell’eloquenza. In tanta dissimilitudine riusciva l’uno però similissimo all’altro e di stima e di laude, perché ciascuno di loro nel suo genere di predicare non poteva essere udito con frequenza maggiore di concordia ed accompagnato con maggior pienezza d’applauso.
Il Monopoli fu poi creato cardinale come accennai pur di sopra, ed il Tolosa fu fatto prima vescovo di Bovino e poi arcivescovo di Chieti, e mandato nunzio a Turino quasi con universal concetto che avesse a riuscir cardinale anch’egli nella medesima promozione.
Ma tornando al cardinale, partí egli da Fiorenza alli sedici dell’istesso mese di ottobre e s’incaminò verso Bologna. Al partire gli furono presentati dalla regina e dal granduca due bellissimi diamanti in anello, ed egli all’incontro presentò loro varie nobilissime gentilezze di devozione. Su l’atto della partita il granduca col prencipe suo figliuolo accompagnò il cardinale per due miglia di strada, e piú innanzi poi fu accompagnato fino a Pratolino dal duca di Bracciano, da don Giovanni e da don Antonio, che gli fecero vedere quella deliziosa villa del granduca non piú distante che di cinque miglia dalla cittá. Continuò poi don Antonio ad accompagnarlo per tutto il rimanente della Toscana, facendolo per tutto ricevere ed alloggiare nel modo stesso che era seguito al suo venire a Fiorenza, né poi tardò molto a partire la regina condotta per mare sulle galere del papa di Toscana e di Malta, e accompagnata, come accennai, dalla granduchessa e dalla duchessa di Mantova sino a Marsiglia, e l’accompagnarono sin lá parimente il duca di Bracciano, don Giovanni e don Antonio de’ Medici con un grandissimo numero d’altri cavalieri e d’altre qualificate persone.