Memorie (Bentivoglio)/Libro secondo/Capitolo II

Capitolo II

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Capitolo II.

Segue il matrimonio fra il duca di Parma, Ranuccio Farnese, e Margherita Aldobrandina, pronipote del papa; viene a Roma il duca stesso ad effettuarlo, e quello che in tal materia discorresse la corte.

Ma nel medesimo tempo che tante e si esemplari azioni ecclesiastiche edificavano si altamente gli occhi e molto piú gli animi della cristianitá, non potè restare libero il papa da quei discorsi che furono fatti allora per una azione sua temporale, che non si giudicava corrispondente a queste spirituali ora qui riferite, oltre a quelle che piú di sopra ho giá raccontate. L’occasione di tali discorsi nacque dal matrimonio che si trattava in quel tempo, e che poi segui, fra il duca Ranuccio di Parma e Margherita Aldobrandina pronipote del papa. Questa era figliuola di Giovan Francesco e d’Olimpia sorella del Cardinal Aldobrandino, e d’anni ancora si teneri che appena la rendevano abile al matrimonio.

Nel condurre questa pratica erano varie le considerazioni che si facevano dall’una e dall’altra parte. Sperava il duca con tal parentado di potere in molte maniere avantaggiare gli stati suoi in Lombardia, e gli altri vicini a Roma che la sua casa godeva in feudo dalla sede apostolica; ma non poco lo rimordeva il parere che fusse troppo inferiore questo matrimonio a quelli che piú frescamente l’avo Ottavio ed il padre Alessandro avevano fatti, per via de’ quali aveva goduto e godeva la casa Farnese cosí alte e cosí splendide parentele.

Dall’altro canto vedeva il papa quanto averebbe potuto importare alla casa sua Punirsi con quella d’un tal potentato in Italia, feudatario della sede apostolica ed in conseguenza obligato a rendere ogni ossequio maggiore alla Chiesa, e che essendo prencipe aderente ancora per tutti i rispetti alla [p. 128 modifica] corona di Spagna, averebbe potuto ne’ vantaggi di casa Farnese appresso quella corona farne godere unitamente alla casa Aldobrandina nella medesima corte.

Ma queste considerazioni quanto piú avevano del temporale, tanto maggiormente nell’animo suo ritrovavano opposizioni ecclesiastiche. Parevagli che un tal matrimonio troppo eccedesse le condizioni della sua casa, che troppo ripugnasse alla moderazione fin’allora da lui professata, e che avendo egli nella devoluzione di Ferrara con invitta constanza ributtato ogni allettamento di trasferire quell’acquisto nella sua casa, ora l’azione presente lo farebbe variare troppo dalle passate, e specialmente da quelle massime spirituali che in tutto il corso del suo pontificato egli aveva voluto far prevalere tanto sopra le temporali. Cosí discorreva il papa, e sapevasi di certo che erano stati veri gli allettamenti con i quali da molti prencipi de’ maggiori d’Italia e fuor d’Italia, gelosi di vedere tanto aggrandire lo stato temporale della sede apostolica, si era procurato di persuaderlo a far l’accennato acquisto per la sua casa, al quale effetto avevano, oltre al calor de’ consigli, fatte insieme non meno calde l’offerte; ma egli pieno di zelo veramente apostolico aveva sempre con uguale constanza e ributtati quelli e molto piú ributtate queste. Anzi egli in tal occasione piú volte aveva celebrato il suo gloriosissimo antecessore Pio quinto, chiamando santissima la bolla con la quale da lui si era posto si grande e si giusto freno alle cupidigie de’ futuri pontefici, col proibire sotto gravissime pene ogni sorte d’infeudazione, e pregiandosi che in essa particolarmente avesse avuta gran parte il cardinale Giovanni suo fratello, dal medesimo Pio quinto promosso al cardinalato. E niun cardinale piú del medesimo Clemente si era opposto a Gregorio decimo terzo ed al nipote Sfondrato nell’inclinazione che essi avevano mostrato a favore del duca di Ferrara, venuto a Roma particolarmente a procurare la nuova infeudazione di quello stato per la sua casa.

Ma quanto piú ritenuto andava il papa in questa sorte di pratica, tanto piú inclinato scoprivasi il cardinale Aldobrandino [p. 129 modifica]a procurarne l’effettuazione, benché il papa non ne volesse sapere niente; ma il cardinale Aldobrandino, ch’era cresciuto d’anni e d’autoritá, e insieme di spiriti che avevano dell’imperioso molto piú che del moderato, desiderava sommamente di vedere ingrandire la sua casa per tutte le vie possibili, fra le quali stimava che una delle maggiori fusse d’imparentarla con alcun prencipe italiano di tal qualitá che dopo le mutazioni solite de’ ponteficati potesse tanto piú servir d’appoggio per stabilirla e per sostenerla. Onde egli e con l’esempio di molti altri pontefici che avevano contratte parentele di gran lunga maggiori, e specialmente con la ragione di doversi far questa con un prencipe feudatario della sede apostolica, si sforzava di levare ogni opposizione dalla parte del zio, e passando anco liberamente piú innanzi, diceva che il zio avendo acquistato si gran merito con la Chiesa con la riunione della Francia, e con la cristianitá nella pace generale fra le due corone, e con la santa sede particolarmente nella recuperazione di Ferrara, oltre all’aver con altre sue celebri azioni reso similmente glorioso il suo ponteficato, poteva bene giustamente ricevere come per ricompensa del medesimo suo ponteficato questo vantaggio per la sua casa, la quale, come egli replicava spesso, si unirebbe con un’altra che doverebbe dalla sede apostolica riconoscere la sua principale dipendenza. Con queste e con altre ragioni che potevano piú movere il zio sforzavasi il nipote di farlo condescendere al matrimonio, e valendosi per tal fine appresso di lui ancora d’altri mezzi opportuni, l’andò piegando in maniera che finalmente lo tirò all’intiera approvazione della pratica, nella quale essendo concorso pienamente poi anche il duca, fu però tirata innanzi, e con ogni gusto dell’una e dell’altra parte il matrimonio fu stabilito.

Volle il duca effettuarlo in quella forma che potesse piú sodisfare il papa e far maggiormente apparire quant’egli stimava d’imparentarsi con la sua casa; onde pigliò risoluzione di venire a Roma egli stesso, affinché sotto gli occhi e per mano del papa medesimo il matrimonio potesse l’intiero suo [p. 130 modifica] compimento ricevere. Dunque passato il verno di quell’anno milleseicento nel qual tempo il negozio si era maneggiato e concluso, il duca si pose in viaggio, e conducendo seco un fiorito numero de’ piú qualificati suoi feudatari, venne a Roma e vi giunse verso il fine d’aprile. Dal cardinale Aldobrandino in compagnia di tutte le creature del papa, egli fu incontrato un pezzo fuori della cittá, e poi fu raccolto dal papa con tutte quelle dimostrazioni d’affetto e d’onore che da lui si potevano desiderare. Quindi si venne alla celebrazione del matrimonio, e segui sul principio di maggio nella seguente maniera. Discese il papa nella cappella ordinaria di Sisto con l’intervento di tutto il sacro collegio de’ cardinali, ma senza cappa. Disse la messa recitandola nel modo commune, e quando fu il tempo gli si presentorno avanti in genocchione li sposi, e con le proprie mani secondo il rito solito della Chiesa congiunse amendue in matrimonio. Trattennegli poi l’istessa mattina a pranzo in tavola separata secondo l’uso de’ pontefici con tutti i prencipi, e il duca fu sempre alloggiato in palazzo, se non in quanto egli ebbe gusto essere ospite qualche volta anco del cardinale suo fratello e d’abitare nel proprio si maestoso edificio loro farnesiano. Dimorò il duca in Roma quel tempo che fu necessario, e lasciati gli ordini che bisognava per condurre a Parma la nuova sposa in quella forma che piú conveniva, egli con alcuni pochi de’ suoi presa la posta se ne tornò similmente a Parma con piú spedito viaggio, per aspettarla poi e riceverla egli in quella cittá con ogni piú splendida e piú lieta accoglienza. Era di tredeci anni allora l’etá di lei e sopra di trenta quella del duca. Intorno alla presenza ed altre qualitá di lui toccossi giá di sopra quanto bastò, nell’occasione di essere stato egli a riverire il papa a Ferrara. In lei appariva una bell’aria di volto, e vi s’aggiungeva una grazia particolare in tutto il resto del portamento, e sapendosi che la madre, donna di tanta virtú, con ogni piú diligente cura l’aveva allevata, stimavasi che tali dovessero riuscire le sue qualitá di moglie che avesse a restarne con ogni maggiore sodisfazione il marito. E poco dopo ancora ella parti di Roma per andarsene a Parma. [p. 131 modifica]

Intanto la corte sempre avida di sapere, e che al fine tutto sa e nulla tace, aveva penetrato che il duca né partisse con gusto intiero né intieramente lo lasciasse in palazzo, e che egli avesse molto piú domandato di quello che avesse ottenuto. Giudicavano specialmente i piú avveduti della corte medesima quasi impossibile fra il duca e Aldobrandino potersi stabilire buona e ferma corrispondenza. Il duca veniva reputato prencipe d’alti spiriti e dominanti, e perciò credevasi ch’egli non fosse per contenersi dentro a quei termini che avrebbe voluto Aldobrandino, pieno d’alti concetti e bramoso della dominazione ancora egli, e che abbagliato dalle fuggitive grandezze presenti si fermava molto piú in esse che nel disporsi alle declinazioni future. Cosi giudicava la corte, e veramente questo riusci non giudizio ma vaticinio. Percioché dopo succeduti fra loro di tempo in tempo vari disgusti per varie occorrenze che nondimeno lasciavan luogo al poter vivere dissimulati, nacquero poi tali accidenti che fecero disunir gli animi e piú ancora gl’interessi dell’una e l’altra parte, e convertirono finalmente l’amore in odio, la stima in disprezzo, ed ogni senso di parentela in professione aperta d’inimicizia, e questi accidenti perturbarono in maniera il papa stesso che per opinione commune tanto piú presto per tanto lamentevole esito ne segui al fine la sua morte. Né si dubita ch’egli non rimproverasse quest’azione piú volte al nipote, e non si mostrasse pentito di essere condesceso nei sensi di lui, piú tosto che di aver ritenuto con maggior costanza i suoi propri.

Ma di questi e altri successi ne’ quali parve che papa Clemente col declinar dell’etá sempre piú umanasse, per cosí dire, e sempre piú intenerisse a favore de’ suoi, io di mano in mano altrove anderò parlando conforme alle occasioni che in varie maniere gli andarono producendo.