Marmi e lapidi di Milano nella Villa Antona-Traversi di Desio

Diego Sant'Ambrogio

1900 Indice:Diego Sant'Ambrogio - Marmi e lapidi di Milano nella Villa Antona-Traversi di Desio, 1900.pdf Scultura/Milano Marmi e lapidi di Milano nella Villa Antona-Traversi di Desio Intestazione 10 maggio 2024 25% Da definire


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MARMI E LAPIDI DI MILANO

NELLA

VILLA ANTONA-TRAVERSI DI DESIO




Già si ebbe occasione di render conto ai lettori dell’Archivio Storico Lombardo, nel I.° fascicolo trimestrale del 1896, del rinvenimento di cinque lapidi funerarie e di alcuni frammenti marmorei dispersi della nostra città nella Villa e nel giardino degli Uboldi in Cernusco sul Naviglio, fra cui annoveravasi come scultura di singolar importanza, di Giovan Giacomo Della Porta, l’elegante sarcofago del 1544, che adornava un giorno la chiesa di Santa Maria della Pace, in ricordanza dello spagnuolo Gian Lupo Soria.

Una messe altrettanto copiosa e di non minore pregio era a sperarsi si ottenesse dall’ispezione, cortesemente acconsentita dagli attuali possessori della principesca Villa Antona-Traversi di Desio 1, per quanto concerne i numerosi cippi, stemmi, bassorilievi e marmi con iscrizioni che si sapevano da tempo esistenti a scopo ornamentale nella base della torre gotica che, coll’annes[p. 128 modifica]sovi fabbricato dell’egual stile, veniva costrutta ad abbellimento del giardino nel 1844 sopra disegno del celebre pittore bolognese Palagi Pelagio (vedasi l’allegata tavola).

Non è dunque che da quest’ultima data, relativamente recente, che tutti quei frammenti scultorii ed epigrafici furono artisticamente disposti con senso decorativo nella fantasiosa costruzione del Palagi, ma una gran parte di essi già esisteva in Desio, ed anzi a poca distanza dal luogo attuale, nell’antica villa dei Marchesi Cusani, cui si sostituiva nel 1844 da Giovan Battista Traversi l’attuale edificio di maestoso aspetto e d’una suntuosità quasi reale.

Tutto induce quindi a ritenere che l’acquisto di quei diversi pezzi abbia avuto luogo fino dai primi anni del XIX secolo, allorchè, colla soppressione delle sepolture nell’interno delle chiese e, in molti casi, delle chiese stesse, andarono venduti all’incanto bassorilievi e marmi scritti d’ogni sorta, con uno sperpero ed una dispersione tali da riescir difficile oggidì il rendersi conto anche approssimativamente di quel che sia avvenuto pur dei più conosciuti fra di essi.

Degli ottanta e più frammenti della torre di Desio, uno solo ricorda la patrizia progenie dei Cusani che ebbe in Milano tombe e ricordi diversi, cosicchè è a ritenersi che la collezione di quelle anticaglie, disparatissime fra di loro, sia stata originata in parte da ricuperi di quella famiglia ed in parte, altresì, da acquisti separati stati fatti qua e là nell’intento più che altro di procurarsi artistici ricordi.

Eppure, nonostante che quel vero ripostiglio archeologico di tanto interesse, esistesse a poca distanza da Milano ed in una residenza, parecchie volte visitata da artisti e letterati, di famiglia che ha in Milano stessa un grandioso palazzo, nessuna notizia venne fin qui data di quei reliquati, se non quella generica contenuta nel primo volume Illustrazione del Lombardo-Veneto, in cui accennavasi sulle generali ad una sola delle molte lastre e scolture tombali raccoltevi, e cioè a quella di un De Guzman, perito in giovane età all’assalto di Lodi nel 1528. [p. 129 modifica]

E, senza qui esimermi dall’osservare che ciò avvenne anche pei marmi e per le epigrafi di Cernusco sul Naviglio che erano pure in vista di tutti in un pubblico giardino, non riescirà discaro di avere intanto una preliminare notizia di quel tesoretto artistico ed epigrafico che trovasi raccolto ed inesplorato nella villa di Desio, e che offrirà per molto tempo materia di studio ed osservazione proficua a quanti si dilettano della storia dell’arte lombarda.

Come già s’è detto, essendo i rilievi marmorei di cui discorriamo, riuniti unicamente a titolo decorativo, nessun ordine osservasi nella disposizione loro: una serie di stemmi ed alcuni busti con qualche medaglione di buon carattere adorna la parte superiore del fianco della finta chiesa attigua alla gran torre piramidale del Palagi, e più in basso stanno, quali in nicchie, quali su piedestalli, statue grandi c piccole, e più vicino a terra, frontali d’avello e le epigrafi funerarie.

Sul lato della torre in cui s’apre la porta d’accesso, con colonne dai vaghi capitelli e statuette tolte esse pure ad antichi monumenti, vediamo anche due frontali di camino, l’uno di essi assai guasto della seconda metà del XVI secolo, con una cornice a mensolette bugnate e puttini raffiguranti le diverse stagioni, ma l’altro in buon essere ancora e del più gaio ed elegante stile del rinascimento con putti ignudi tenenti fra loro ghirlande sormontate da aquilette e nel mezzo lo scudo dei Casati, colla torre recinta dalle due treccie di Santa Giustina.

E venendo ora a discorrere innanzi tutto delie varie lastre tombali ed epigrafiche, e ira di esse, di quella già ricordata allo spagnuolo De Guzman, noteremo che è dessa dell’altezza di m. 2.30, compresavi la sottostante iscrizione, e di una larghezza di cent. 80.

Com’è accennato sotto il n. 472 del III volume delle Iscrizioni milanesi, trovavasi questa lapide originariamente nel pavimento sotto il grande arco davanti all’altar maggiore di Santa Maria delle Grazie, e solo più tardi fu portata nel piccolo chiostro, recentemente restaurato, davanti alla sagrestia di quel tempio, da dove venne asportata con altri marmi, taluno dei quali [p. 130 modifica]fu rinvenuto, anni or sono, con diverse lapidi della Pace, nel brolo attiguo all’antico convento domenicano.

La collocazione sua precitata nel pavimento spiega i guasti lievi ma più l’erosione del marmo nei punti salienti della statua supina del Ramirez De Guzman, raffigurato in pieno assetto di guerra, con armatura intera a parti snodate, corazza, bracciali, cosciali ed il morione ai piedi sul iato destro della persona, mentre dal lato sinistro vi sta un libro chiuso.

Il capo ricoperto da un berretto con lunga piuma, riposa su due cuscini: porta il defunto baffi e barba intera accuratamente arrotondata quale usava l’imperatore Carlo V, e mentre, la mano sinistra riposa sull’elsa delta lunga spada stesa sulla sua persona, la destra pare accarezzi nervosamente il pugnale o stocco che gli pende al fianco.

In una specie d’attico all’estremità superiore di questa lastra tombale dovevano essere riprodotti gli stemmi di questo capitano dei fanti, morto valorosamente di 35 anni all’assalto di Lodi nel 1528, e che vantava la discendenza sua dalla illustre famiglia dei De Guzman di Spagna; essi andarono però scalpellati all’epoca della Cisalpina, come abrase andarono pure le lettere in corsivo della epigrafe che qui appresso si riproduce, per le discordanze che offre nella disposizione e in alcune parole, fra cui in quella di mestissimi invece di meritissimi, col testo dell’Allegranza.

L’iscrizione è la seguente:

DIEGO RAMIREZ DE GVZMAN RAMIRI NVGXEZ DE GVZMAN FILIO
genere ab Hispaniae regibus INGENIO QDEM DIVINO ATQ
IPSIS MORTALIBVS GRATISS * Q DVM IN LAVDENSI EXPVGNA
TIONE DVRISS * CAE * COHORTIS DVCTOR INTER PRIMOS SIN
GVLARI VIRTVTE VOLITARET AD MVROS ICTV TORRENTI
FEMVR TRANSFIXVS MORTEM SVAE INCLITE FAMILIE DEBITAM
NEC NON INGENTIS ANIMI SVI ARDORI PAREM OCCVBVIT
PROPINQVI AMICIQ FORTIS IVVENI comitiq DVLCISSQ AMICO
MESTISS * POSTERE MDXXVIII TTIO KAL * IVLII * VIXIT ANN. XXXV.

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Non appare da questa lapide di Desio che vi sia stato aggiunto, come vorrebbe il Valeri, il verso seguente:

QVOD FORTVNA NEGAS ARS OPEROSA DABIT

la qual sentenza sarebbe rimasta ad attestare altresì della eccellenza dell’opera d’arte che dava ai posteri l’effigie per intero del guerriero che i fati avevano rapito; in ogni medo, e benchè trattandosi di persona di cospicua famiglia venuta a mancare sì tragicamente nel 1528, allorchè fiorivano in Milano come scultori egregi il Busti, il Solari ed il Cristoforo Lombardi, detto il Lombardino, è alle scuole di questi egregi artisti che par debbisi quel simulacro attribuire, i guasti sofferti da quel marmo non permettono di mettere innanzi alcuno di quei nomi gloriosi dell’arte lombarda, e il lavoro non esce apparentemente dalla media dei ricordi tumulari consimili, poco essendovi a notare di lodevole anche nella trascrizione epigrafica cui si dava invece grande importanza nei lavori di qualche conto.

Di ben maggiore considerazione sono, vicino a questa lapide del De Guzman, due statuette della Forza colla colonna fra le mani, e presumibilmente della Giustizia cui manca però l’attributo della bilancia, le quali, collocate su due pilastrini aventi fra di loro in mezzo un medaglione di 60 centimetri di diametro col soggetto della Sacra Famiglia, si manifestano opera egregia di Agostino Busti detto il Bambaja, e potrebbero anche essere le due statue tuttora mancanti a compiere il numero di sei, vedute dal Vasari nel sarcofago dei Birago di San Francesco Grande.

Tali statue sono anzi delle stesse dimensioni (ad un dipresso 65 cent. d’altezza), e dell’egual valore tecnico di quelle delle Virtù predisposte dal Busti pei monumento a Gastone di Foix, e di una statua affine a quella della Forza colla colonna fra mani, il calco fa bella mostra di sè nel Museo Archeologico al disopra dello scaffale a vetri vicino alla statua tumulare del defunto eroe.

Avvertasi ad ogni modo che un’altra statuetta nello stile del Busti che, dal puttino che tiene col braccio sinistro si qualifiche[p. 132 modifica]rebbe come la personificazione dello Carità, vedesi nella torre di Desio, sul terrazzo che guida alla camera gotica superiore, decorata, com’è noto, col gruppo di Fausto e Margherita del Tantardini, e coi mirabili vetri tedeschi del 1607, del 1683 e del 1689 che vanno fra i migliori che si conoscano di quell’arte.

Quanto al medaglione, benchè in assenza d’ogni data non riesca possibile lo stabilire la provenienza sua anche approssimativamente, e solo leggasi al basso in una cartella ad orecchiette nello stile del rinascimento la scritta: Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi, lo stile del Busti riesce oltremodo perspicuo nella grazia della Vergine dinanzi ai cui piedi stanno sollazzandosi il bambino Gesù e San Giovanni. Nello sfondo angeli oranti e testine alate di divini messaggeri e sul lato destro la figura barbuta di San Giuseppe: più importante sul Iato sinistro una persona con larga giubba e dalla copiosa zazzera sforzesca in cui direbbesi effigiato lo stesso Duca Lodovico il Moro.

£ accenniamo alla scuola del Busti cui si collega pure quella del Briosco e che fu prodiga fra di noi di tanti lavori nella prima metà del XVI secolo, inquantochè al XV secolo e così chiaramente alla scuola dell’Omodeo si appalesa invece ascrivibile altro medaglione, press’a poco delle eguali dimensioni e in candido marmo di Carrara, collocato a poca distanza esso pure dalla tomba De Guzman, e che rappresenta il giovinetto Cristo nella Sinagoga ritto in piedi su una specie di soppalco a gradinate, e cui stanno ascoltando, volgendo le spalle agli osservatori, come usò di frequente l’Omodeo nei suoi bassorilievi, parecchi dottori della Sinagoga drappeggiati all’orientale e con abiti dalle pieghe cartacee.

Poco più in alto altro medaglione ma di terracotta, con busto racchiuso in una specie di conchiglia, rivela esso pure l’arte purissima ed degente del XV secolo, e ricordano l’acconciatura del capo e lo sparato dell’abito i costumi delle gentildonne italiane di quell’epoca.

Sulla bellezza artistica e sull’importanza di questi medaglioni si insiste anzi, nonostante i guasti loro arrecati dal tempo, inquantochè, fatta eccezione di un disco coll’effigie di Filippo Maria [p. 133 modifica]Visconti, di una medaglia con profilo di donna dalle sigle B. L., e di altra consimile in bianco marmo con un cavaliero irrompente contro nemici da lui atterrati, la qual ultima vedesi presso la scala d’accesso alla torre, le altre medaglie d’arenaria incluse nell’edificio a scopo ornamentale furono eseguite verso la metà del XIX secolo e sono tolte dai calchi fatti alla Certosa di Pavia dalla Ditta Pierotti-Perabò dei duchi e delle duchesse di Casa Visconti e degli Sforza.

Ed ora, venendo a discorrere di altra lastra tombale che trovasi disposta sotto una specie di edicoletta posticcia costruita da frammenti disparati, a pochi passi appena da quella del De Guzman, abbiamo sott’occhi in essa un esemplare cospicuo dell’arte nostrana del principio del XIV secolo, mirabile non solo per le sculture ad altorilievo di cui va fregiata, ma altresì per la bellezza e nitidezza dei caratteri epigrafici in puro gotico dell’iscrizione (Vedasi l’annessa tavola, che comprende anche le due statuette del Busti e il medaglione testè citato).

È un frontale d’avello, delle dimensioni di m. 2.20 di lunghezza per un’altezza di cent. 80, in cui vedonsi scolpiti con alto magistero e a tutto rilievo la Vergine col divino infante in braccio, fra Sant’Agostino a sinistra e San Marco a destra, il qual ultimo le presenta il tumulato vestito in abito talare e colle mani divotamente giunte in atto di supplicazione.

Grande è la perizia dello scalpello negli abiti vescovili di Sant’Agostino e in quelli a larghe pieghe dell’apostolo San Marco, i cui nomi appajono scritti in gotico sull’orlo superiore, ed anche nell’atteggiamento della Vergine e del Bambino e più nei visi di questi diversi personaggi vi è un forte sapore di realismo e pregi grandi di sentimento. La devozione ed una confidente aspettazione traspirano veramente dalle fattezze dei defunto ginocchioni, di cui sappiamo, dall’iscrizione gotica che leggesi sui lato destro, che morì nel 1310, e che era giusto e pio e largo di soccorsi ai bisognosi i quali sostentava non solo, ma colmava di elemosine.

Questo frontale d’avello è pertanto disposto nei modo grafico e coll’iscrizione seguente: [p. 134 modifica]Anno tnilíeno deno dominiquc ’■ triccno

Nona dies me bri s dal gaudi:

a ttise novtmbris \ cum jusfo noe Mirani de Becha J loe

Qui pitis (ih ws futi alone be nignus egenis hos sttstintando ncc non etimo j

nia dando.


Rappresentando poi la scultura un agostiniano presentato alla Vergine da San Marco, fu facile l’arguire la provenienza di questo davanzale di avello dalla chiesa di S. Marco in Milano, e intatti troviamo segnato questo sepolcreto fra i dispersi di quella chiesa a pag. 204 del vol. IV delle Iscrizioni milanesi del Cav. Forcella.

Il felice rinvenimento suo viene per altro a rettificare l’iscrizione quale era stata data dal Forcella sulle traccie dello Schrader, del prof. Luigi Torelli e dell’Errera, avvertendo che mentre del secondo capoverso si dà la versione seguente, e cioè: Nona dies membris dat gaudi a mense novembris nomine cum moritur Mirani de Bechaloe, essa va rettificata dopo la parola novembris, secondo quanto aveva scritto il Pulcinelli, cum justo nomine, ecc.

E aggiungasi che questo vetusto documento marmoreo è ora ricuperato per sempre e lascierà comodo di maggiori studii e di controllo agli epigrafisti. Esso trovavasi in passato nel chiostro [p. 135 modifica]dei morti del convento agostiniano di San Marco milanese, ma ignoravasi ciò che vi avesse raffigurato lo scalpello dell’ignoto artista 2, indicandosi solo che v’erano riprodotte alcune figure di religiosi in abito eremitano e niun cenno facendosi dello stemma inquartato che pure vi si vede.

Un altro frontale d’avello, proveniente esso pure da Milano, a cui parrebbe riferirsi il cartello colla scritta: «Anguigerae gloria gentis» posto al disopra della lastra tombale testè citata, è quello che vedesi nella parte di mezzo del finto edificio medioevale di Desio e delle dimensioni esso pure di circa due metri di larghezza per un’altezza di cen. 90 con due stemmi viscontei, aventi la biscia nella prima partizione c la croce nella seconda, disposti simmetricamente intorno ad una testa scolpita di leone.

Si potrebbe pensare che siamo qui di fronte a qualcuna delle tombe viscontee, fra cui quella della prima Beatrice d’Este, esistenti a San Francesco Grande, e la supposizione prenderebbe parvenza dalle diverse statue nello stile del trecento che sopravanzano qua e là in questo edificio di stile gotico di Desio, quali a poca distanza un simulacro di guerriero appoggiato alla spada intorno alla quale è avvolta a fitte ripiegature la cintola, e cui fa simmetria un San Francesco in umile atteggiamento, e sopra il frontale stesso in questione, tre statue delle dimensioni di novo minori del vero, raffiguranti San Pietro a sinistra, un Vescovo con pallio e lunga stola sul petto e il pastorale nella destra, e infine un guerriero a destra colla spada dalla cintola avvolta intorno alla guaina essa pure.

Manca per altro qualsiasi indicazione scritta o contrassegno alcuno per dedurre al riguardo sicure conseguenze.

Altrettanto deve dirsi pel bel frontale di sepolcro che vedesi nel basamento della torre a poca altezza da terra, scolpito con perizia ed accuratezza in marmo di Carrara e delle dimensioni consuete di m. 1.70 per un’altezza di cent. 65. [p. 136 modifica]

Il pallio è diviso in tre scomparti coi Santi Giorgio e Vittore, designati in caratteri gotici nei due lati estremi e nel mezzo la scena tipica di siffatti sarcofagi del defunto presentato alla Vergine col bambino in grembo da Santa Caterina d’Alessandria, contraddistinta dalla ruota de! martirio.

Che poi il tumulato fosse un guerriero, lo indica chiaramente il lucco che lo ricopre con larga cintura al disopra da cui pende il pugnale al fianco, e il vedersi ai lari i due santi guerrieri per eccellenza, di San Giorgio in atto di trapassare colla lancia il temuto drago, e di San Vittore con larga bandiera tripartita nella mano destra; ma niuna traccia assolutamente del nome suo e della provenienza almeno di questa bell’arca del XIV secolo.

L’egual scena di San Giorgio che uccide il mostro, questa volta alla presenza della vergine . da lui liberata, la quale sta poco lungi ginocchioni, la scorgiamo pure a Desio in un frammento di lastrone ornamentale in pietra amfibolica di color azzurrino, cui pare si colleghi altro lastrone con un putto fra due draghi d’un bel carattere del Rinascimento. Anche per tali sculture nessun dato di riferimento benchè nel bassorilievo di San Giorgio si abbiano sott’occhi due stemmi con fascia a fusi accostati e drago alato in cimiero, quale hanno i Foscarini di Venezia, ed era assegnato nell’antica araldica milanese alla poco nota famiglia dei Capizucchi, e, con qualche variante, agli Osio.

Due volte vediamo invece ripetuto lo scudo dei Mandelli coi tre leoni passanti, in questi rilievi marmorei, e solo in uno di essi foggiato con qualche ricercatezza a forma di quadrilobo con fiorami ai quattro lati ed un mostro dalle lunghe orecchie tese e dalla bocca spalancata al disopra dell’elmo pentolare, vediamo inscritte le iniziali di P. E. che accennerebbero al nome di un Pietro Mandelli.

Ritenuto che la stirpe patrizia dei Mandelli, fregiata del distintivo dei tre leoni d’Inghilterra, oltre le tombe di Santa Maria della Passione, aveva un marmo con pomposa iscrizione al disopra della porta dei SS. Cosma e Damiano, la qual chiesa fu poi adibita ad uso di teatro dei Filodrammatici, e sorgeva un giorno [p. 137 modifica]sull’area delle vetuste case di quel ceppo avito, è a questo edificio per l’appunto che sarebbe da ascriversi la dispersione di quei due scudi araldici.

Naturalmente, più dei marmi figurati, ma mancanti di chiara iscrizione, riesce facile il reperimento del luogo d’origine c il completamento delle epigrafi, per le lapidi di qualsiasi genere pur se frammentarie, e infatti riescì agevole il ridurre alla sua integrale dizione la lastra marmorea ridotta alla sola metà di destra, di cui diamo qui appresso il testo integrale, segnando in carattere corsivo la parte di essa che manca a Desio.

Divae Apol — LONIAE CAPVT

ex Transylv — ANIA DIVINI NVMINIS

benignitate dep — ORTATVM ET HVIC

religiosi tempio — A FRANC. CALDARINO

summa cum pi — ETATE OBLATVM

in hoc loco — OPERA FRANCISCI

Cusani huju — S TEMPLI CANON

ici integerri — MI ASSERVATVR

III Kal. a. — VGV • M • DI.II.


Il nome dei Cusani, cui apparteneva in origine la Villa Antona-Traversi di Desio, appare qui per la prima volta nella parte mancante di questa lapide dell’anno 1552 che esisteva un giorno nella Basilica di S. Nazaro Maggiore, al dir del Torre, sotto il pulpito ove leggevasi ii Vangelo.

La parte ritrovata consentiva intanto di rettificare in Caldarino il nome di Calderino letto dal Puccinelli, ma più valse a far sospettare che dalla egual chiesa di San Nazaro Maggiore provenissero col tramite del Cusani le altre lapidi di cui diremo qui appresso, come infatti ne fu confermato dal loro riscontro colla collezione del Forcella.

Una di esse che trascriviamo integralmente per la differenza di data che offre con quella segnata nelle Iscrizioni milanesi del 1595 (vol. 1, 626), e per la diversa disposizione epigrafica, è quella che il Puccinelli lesse un giorno presso la Cappella di S. Ulderico in S. Nazaro Maggiore e trascrisse come se datata dal 1613. [p. 138 modifica]

Essa è la seguente:


D. VLDF.lt ICO PONT t-IVIVS A«AE PRAESIDI

KYERON1MVS T.ATVADA CANONI CORVM NaTV MAXSMVS VT TANTVM NV.MEN KT CINERES HaC ARA CONDITI RLLJtílOSJVS COLA NT VR

VECTIGaLIBVS SACERDOTI AD REM DIVINAMI QVOTIDIE FACIENDAM ET PSALMODJAM JN ODKO REC1TANDAM ATTUI BVT13

JVKE FASQVF. LEGEXDI SACERDOTE QVAMD1V V1X.ER1T RF.CEPTO VB1 DECESSEIUT CANON1CIS REL3CTO ANNO MDCXV VSVENS P.

Altre due iscrizioni provengono infatti dalla basilica di San Nazaro Maggiore e furono presumibilmente ritirate dai Cusani insieme a quella più sopra citata di loro pertinenza, e ci vediamo indotti a qui riprodurle entrambe per intero, attese le varianti che presentano nella grafia se non nelle date, con quelle riprodotte dal Cav. Forcella.

La prima di esse (vol. V, 558), si riferisce alla famiglia de Cordes, ed esisteva un giorno in San Nazaro nella parete destra della cappella del Rosario che è la terza a destra della chiesa.

Essa è del seguente tenore, con varianti in ispecial modo nei nomi esteri che vi figurano:

D. O. M.

PRAENOB. IV VENI IO JaCOBO DE CORDES

MCOBERGAE DXO

PATRE NATO UNO JO. CAROLO DE CORDES EQV1TE WiCHELAE CRUSCA li PI RETHVE WAERLOSAE ET TOPARCHA E1‘ DNA ISABELLA DE ROB1AXO STIRP1BVS NOB.’ 5 * 4 ET ANTIQ,. vl! * ORIVNDIS E NERVIIS 1LLE HAEC MEDIOLANI^

QVI DVM ROMAE OBTENTO JUBII.AEO PATRIA COuITAT VARIOLIS IN HAC VRBE MORITVR DIE 23 DKC. A. 1Ó5C. [p. 139 modifica]

Si tratta dunque di un nobile De Cordes morto a Milano di vajuolo di ritorno dal Giubileo del 1650 indetto da Papa Innocenzo X, come è pure di altro nobile straniero, certo Giovan Enrico De Elven l’altra lapide funeraria di Desio delle dimensioni di cent. 50 di larghezza per un’altezza di m. 1.35 che ha pure varianti colla epigrafe riprodotta colla erronea data del 1622 nella Raccolta Forcella Vol. I, N. 633, come dal testo che segue.

D. O. M.

JOaXXES henricvs ab elven Q.VKM V1RTVS ATQVK NOBILJTAS GOMITI SALMAK GVL3ELMO SALENTI NO PRO R£GE CATH. BELLICA!-: REI CON SI LI A RIO

AC DVARVM EQVITVM PED1TVMQVF.

GLR MANICAR Vii LEGIONEM IN JNSVB1UA DVCTOR1 ITA COMJIEKDARVKT

VT EVM DOMVS SVAE PKAF.FECTVM D1XER1T AC POST VF.RVAE OBSIDJONE.M EQV1TVM CATAPKRACTORVM TVRMAK IMPOSVFRIT IMMATVRA MORTE PRAEBtAPTVS POST KVNVS MILITARI POMPA DVCTVM EADEM HERILI BKN1GNITATE HVNC TVMVLI HONOREM ACCLPIT

KAL. SEPT. aNX. MDCXXVi.

Ascrivibile presumibilmente alla Chiesa di San Nazaro Maggiore essa pure per la vicinanza col gruppo delle altre tre lapidi testè riportate, piuttostochè a disperso marmo della chiesuola di San Nazaro c Celso alla Barona, fuori di Porta Ticinese, ed in ogni modo epigrafe non compresa nella Raccolta Forcella nè trascritta fin qui dagli autori milanesi, e come tale di maggior interesse storico, è la iscrizione del 1624 che segue su lastra di marmo [p. 140 modifica]delle dimensioni di cent. 75 di larghezza per un’altezza di cent. 8; e che fa menzione di un membro della famiglia Spinola.

D. O. M.

tK HV1VS» SACELLI RBBCTIOXE

AI PECVLURBM DIVI NAZARI ET CELSI CVLTV ALAONlS spi ny la e civ. jaxvens. eam legaxtis

COMKNUA PIETATEM

CVM AVTEM V1DER1S SACERDOTVX P. V. CAP.’ 1 ELI. 0 ’”’* Al ISTVD ALTARE QVOT/ CELEB. m AC IN HOC l»SAI . M

STATI M AC A vero REUDITV EX PROVEXT ’ ElVS LOCOR 6AXCIS S. GEORGI JaNVaE CONGRVENS MKKCES VT 1LLE HAXC COXSTITVTA RESPOXBSltl VALEAT COMKNDATIS ET RELIGIONE**

1. D. PROP. KY CaN. 04 UVIVS INSIGNE BASILICA CRAY.... P. I». AN. SAL MDCLIV.


Altre due lapidi infine, ed una di esse di qualche importanza storicamente, riscontriamo inoltre nell’inesplorato ripostiglio di Desio, le quali non figurano fin qui nella Raccolta Forcella, benchè provenienti manifestamente esse pure da Milano.

Sono di data relativamente recente ed una d’esse fu tolta indubbiamente non già, come poteva supporsi, da San Francesco Grande ove gli Anguissola, oriundi di Piacenza, avevano una sepoltura con vetusta iscrizione del secolo XV riprodotta dal Forcella sotto il N. 118 del IV volume delle Iscrizioni, ma bensì dalla Chiesa di Sant’Eustorgio, ove esisteva nel pavimento della navata maggiore fra il 4.° e il 5.° pilone.

L’epigrafe, riprodotta a pag. 143 del volume II delle Iscrizioni milanesi, venne fatta apporre nel 1772 dai conte Carlo Antonio Anguissola, il quale vi aggiunse la delineazione dello stemma poco prima approvato dall’apposita Consulta araldica, e le ultime cinque linee.

Essa è la seguente: [p. 141 modifica] ANTIQVISSIMAE ANGVISCIOLAWVM MONY QVOD BEATRIC MAGXI 10. GALEATH! PRIME MEDIOLAN! BYCIS BARTHOLOMARY’S ET BERNARDYS ANGVISCIOLA COMITES ILLVSTRISSIMAE MATRI POSVEXYNT VETVSTATE PROUE COLLAPSYM CO. INLINS ANGVINCIOLA TYDISCVS INSTACYAYIT ANNO DOMINI MIX Stemme Gentifizio TISSERAN GENTILITIAN TRIEVAL HARALDECO ANNO MDCCLXXIT PR 1 MARTII RECOGNITAM 10. ANTONTYS CAROLYS ANGYISCIOLA TUDIECKS SICCES COMMENTS P.


Dispersa andò invece dalla Chiesa di San Francesco Grande la lapide Anguissola testè ricordata, come oramai perduto per l’arte può tenersi il monumento che sorgeva in quel vetusto tempio di Beatrice d’Este, della famiglia ducale Viscontea, cui ascrivemmo solo dubitativamente il frontale marmoreo cogli stemmi del biscione avente al disopra alcune statue di vecchia data, benchè altro marmo coll’angue viscontea osservisi a Desio nell’architrave della porta sotto la torre.

Più importante di questa lapide ma di più piccole dimensioni, e cioè di 53 centimetri di larghezza per un’altezza di centim. 90, nė riprodotta fin qui dal Forcella e da altri epigrafisti, è l’iscri[p. 142 modifica]zione in marmo antibolico di colore azzurrognolo che ricorda un personaggio dei tempi napoleonici di qualche lustro e tale che meritò nel Famedio cittadino l’onore di un medaglione, descritto sotto il N. 526 della tav. I, vol. VII della Raccolta Forcella.

Questo personaggio è quel Giuseppe Luosi (1765-1830) che fu, come si direbbe ora, Ministro di Grazia e Giustizia sotto il primo regno italico e come tale addivenne ai provvedimenti speciali di cui è cenno nella iscrizione che segue:

NAPOLEONE M. IMPERATORE RECE ANN. IMPERIT REGNI ITAL. II EVGENIO NAP. FILIO PRORIGE JOSEPIIVS LVOSINS 1.EGIONS HONORARIAX ET CORONAL FERRAR EQVES PRIMARIVS SYMMVS RE DICIARIAE PRAEFECTVS TABULARIVM SEXATYS MEDIOLANENSIS A VETERI SQVALLORE ET SITY DEMOVIT 1T CELEBUIORI HAC SEDE IN FORO DESIGNATA ABITIS SVPREMAM TRIBVXLIV 1! DECORATI MAGISTRATVVM COMMODO VRSIS ORNAMENTO STATVIT PRIDIE AL. SEXTIL CIOCCY.


E poichè i tempi e le vicende dell’epoca napoleonica sono ora oggetto di rinnovati studii critici, viene questa lapide, che ornò un tempo la sede del Senato di Milano, a portar nuova luce in argomento, tanto più dopo il lungo oblio che passò su di essa e sul nome del chiaro uomo che veniva in quel marmo illustrato.

Dopo ciò, par qui superfino di insistere su altra lapide di Desio che trascriviamo per altro in calce in ricordanza di un oblato Giov. Battista Repossi, già preposto nella chiesa del S. Sepolcro [p. 143 modifica]e passato poscia ad altro tempio, della quale epigrafe parimenti non è cenno nella collezione delle Iscrizioni milanesi 3, e innanzi ultimare questa breve rivista archeologica, preteriamo richiamare l’attenzione su qualche altro marmo di carattere artistico infisso del pari a scopo ornamentale nella torre e nel fabbricato a sesto acuto dei giardino di Desio.

L’estendersi al riguardo sull’importanza loro, in mancanza delle fotografie tutte che valgano a darne una idea adeguata riesce affatto superfluo, e solo la riproduzione, ad esempio, delle varie statuette (cinque almeno) di angeli suonanti tube, arpe e cimballi varrebbe a far apprezzare questi sperperati avanzi dell’arte scultoria lombarda della seconda metà del XV secolo, nello stile del Mantegazza e dell’Omodeo, cui ben si associano altri angeli oranti ginocchioni, più piccoli ma dell’egual scuola di quelli della Cagnola ultimamente acquistati dal Museo archeologico.

Squisita d’esecuzione anche una Madonna col bambino in un’anconetta a ventaglio benchè semplice lavoro di figulina, e di maggior pregio ancora ed altresì di maggiori dimensioni altra Madonna col putto Gesù ritto in piedi sulle sue ginocchia, scultura egregia in marmo della metà del XIV secolo, e che ha nell’ingenua grazia della composizione e nelle sobrie pieghe dell’abito la maestà ieratica delle Madonne di Giovanni da Campione.

Sempre fra le cose minori notiamo pure una lastrina di marmo [p. 144 modifica]romboidale colla voce PAX sormontata da una corona e il motto in una cartella più in basso, proprio della famiglia dei Rescalli di Disce pati, senza che si possa asserire che pervenga dalla soppressa chiesa di Milano divenuta ora il salone Perosi.

Bella assai anche una targhetta coll’aquila sorante dell’araldica arcaica.

Deperite invece tino al punto da riescire illeggibili le iscrizioni, sono varie lastre tombali; una di esse, di m. 1 per lato, porta lo stemma apparentemente dei Mantegazza ma con sirena alata in cimiero spiegante un vessillo, e ai lati le lettere G. Z. f. f., un’altra di 2 metri di lunghezza per 1 di altezza, ha il leone con una stella nello scudo, il cervo in cimiero e la sigla G. V. ed un’ultima delle eguali dimensioni all’incirca, dallo scudo irriconoscibile e con una figura femminile in cimiero tenente un filattero spiegato nella destra ed una spada snudata ed in palo nella sinistra.

Una targa ovoidale, coll’aquila nel mezzo, porta scritto il nome della famiglia Caldera.

Notevoli anche una specie di dossale di marmo di Gandoglia in due pezzi con accurate riquadrature, e delle dimensioni di m. 1.30 di larghezza per 1 metro d’altezza, e due mezze statue al naturale delle sibille Coreana e Frigia, di buona lavorazione e colle iscrizioni relative nei cartelli che tengono spiegati fra mani, e i motti di Virginis a partu saeci a beata fluent nell’una, e di Virginis in corpus voluit dimittere coelo ipse deus prolem.

Ma, su tutti questi lavori di scultura e su altri parecchi di cui si tace per brevità, ha la preminenza la bella statua di Madonna col bambino seduto se non meglio adagiato in grembo, delle dimensioni quasi al naturale, che vedesi con sottostante elegantissimo piedestallo a piedi quasi della gran torre.

La testa va recinta di corona ducale e l’impresa viscontea della colomba in raggiante scorgesi pure sul disco che serve di gancio al manto della Vergine sul dinanzi del petto, cosicchè direbbesi questa statua eseguita un giorno, e apparentemente nei primi anni del XV secolo, da artista alla dipendenza della Fabbrica del Duomo. [p. 145 modifica]

Ciò vien tradito anche dal sottostante piedestallo con puttini che tengono festoni fra mano, secondo l’usanza del nuovo stile del Rinascimento in Toscana dapprima e poscia fra di noi, non senza osservare che il garbo toscano si manifesta in genere da molti particolari di questa statua, fra cui dalle pieghe ricadenti simmetricamente sul Piedestallo dell’abito della Vergine, quali imitò Jacopino da Tradate nella statua di Martino V, ma è precipua caratteristica dello stile di Nicolò d’Arezzo, e, fra l’altre opere sue, della statua del San Luca testè rivendicatagli da C. von Fabriczy ed oggidì nel cortile del Bargello.

È dunque a questo artista che lavorò nei primi anni del XV secolo anche per la Cattedrale di Milano, più che non a Jacopino da Tradate che ricorre il pensiero per l’assegnazione di questa vaghissima statua della Vergine che ha in tutto un sapor schietto e le doti mirabili dell’arte toscana del protorinascimento.

Coll’augurio pertanto che un più maturo studio abbia ad accertare siffatte conclusioni che tornerebbero ad alto onore dell’arte lombarda e toscana dai primordii del XV secolo, poniamo fine a questi brevi cenni illustrativi, reputando, dopo il già detto, inopportuno il soffermarsi pel momento su altri marmi minori, fra cui due grandi lastre con stemmi ben delineati ma con iscrizioni obliterate, e così pure su certa colonna a spirale di scaglia rossa, collocata presso la scala d’accesso alla torre, e che ha un capitello ed un piedestallo figurati di grande interesse.

Vi sarà tempo al caso più tardi per questa messe secondaria, a dir vero, ubi majora nitent, e devesi frattanto giudicare una ben fortunata riconquista per l’epigrafia e per l’arte milanese la ricomparsa quasi fra di noi di questo manipolo di epigrafi e di marmi della città di Milano che era quasi follia lo sperare di veder conservato fino a noi dopo lo sperpero avvenuto di tutto quanto costituiva il patrimonio storico ed artistico della città dell’Olona.

Diego Sant’Ambrogio.

Note

  1. Rendo grazie in ispecial modo all’Ill.mo sig. Comm. Tommaso Tittoni, marito di Donna Bice Antona-Traversi, che si compiacque, sulla richiesta fattagli, di accordarmi cortesemente il permesso di visitare la villa ed i marmi e le iscrizioni di Desio, aggiungendovi poscia la facoltà di farne eseguire le fotografie.
  2. Dallo stile si appalesa lo stesso Ugo da Campione cui il Gotthold Meyer ascrive il sarcofago Suardi, del 1309, già in S. Stefano di Bergamo.
  3. Il testo dell’epigrafe è il seguente: IO. BAPTIST A REPOSSIVS ECCLESJAE PRIMVM S. SEPVLCRI DEH INC HV1VS BASILICA* PRAEPOS1TVS OBLATOS CONTRATREs C A NO X 1 C O S COUKGAS . HDE4.ES VNIVERSOS VT S1BI PREC A NT VR A ETERNA M R E Q V I E M HiC IACKXS ROC \T OlílJT IV NON. APRILI S ANNO SAL. MDCCXI.UI.