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Ciò vien tradito anche dal sottostante piedestallo con puttini che tengono festoni fra mano, secondo l’usanza del nuovo stile del Rinascimento in Toscana dapprima e poscia fra di noi, non senza osservare che il garbo toscano si manifesta in genere da molti particolari di questa statua, fra cui dalle pieghe ricadenti simmetricamente sul Piedestallo dell’abito della Vergine, quali imitò Jacopino da Tradate nella statua di Martino V, ma è precipua caratteristica dello stile di Nicolò d’Arezzo, e, fra l’altre opere sue, della statua del San Luca testè rivendicatagli da C. von Fabriczy ed oggidì nel cortile del Bargello.

È dunque a questo artista che lavorò nei primi anni del XV secolo anche per la Cattedrale di Milano, più che non a Jacopino da Tradate che ricorre il pensiero per l’assegnazione di questa vaghissima statua della Vergine che ha in tutto un sapor schietto e le doti mirabili dell’arte toscana del protorinascimento.

Coll’augurio pertanto che un più maturo studio abbia ad accertare siffatte conclusioni che tornerebbero ad alto onore dell’arte lombarda e toscana dai primordii del XV secolo, poniamo fine a questi brevi cenni illustrativi, reputando, dopo il già detto, inopportuno il soffermarsi pel momento su altri marmi minori, fra cui due grandi lastre con stemmi ben delineati ma con iscrizioni obliterate, e così pure su certa colonna a spirale di scaglia rossa, collocata presso la scala d’accesso alla torre, e che ha un capitello ed un piedestallo figurati di grande interesse.

Vi sarà tempo al caso più tardi per questa messe secondaria, a dir vero, ubi majora nitent, e devesi frattanto giudicare una ben fortunata riconquista per l’epigrafia e per l’arte milanese la ricomparsa quasi fra di noi di questo manipolo di epigrafi e di marmi della città di Milano che era quasi follia lo sperare di veder conservato fino a noi dopo lo sperpero avvenuto di tutto quanto costituiva il patrimonio storico ed artistico della città dell’Olona.

Diego Sant’Ambrogio.