Maria Stuarda (Alfieri, 1946)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Arrigo, Maria.
e, giovasse pur anco, io nol potrei.
Ma tu, perché di menzognero affetto
perfide voglie vesti? Io giá t’offesi,
è ver; ma apertamente ognor ti offesi.
Norma imparar da me dovevi almeno,
come un tuo pari offendere si debba.
Maria Qual favellar? Che fu? giá, pria che salda
fra noi concordia si rinnovi, ascolto...
Arrigo Fra noi concordia? Sempiterna io giuro
inimistá fra noi: schiudi i tuoi sensi;
m’imíta: io voglio a te insegnar la via,
onde trabocchi il rattenuto a lungo
rancor tuo cupo: io risparmiarti voglio
piú finzíoni, e piú lusinghe omai;
e piú delitti.
Maria Oh cielo! e tal rampogna
merto io da te?
Arrigo Ben dici. A tal sei giunta,
che il rampognarti è vano. Assai fia meglio
disdegnoso silenzio; altro non merti: —
ma pur, mi è dolce un breve sfogo; e il farti
or, per l’ultima volta, udir mia dura,
Mezzi appo me, piú forti assai de’ tuoi,
e meno infami, stanno. In guise mille
a te far fronte entro al tuo regno io posso:
né il tuo poter mel toglie: a me nol vieta
altri, ch’io stesso: avviluppar non voglio
nelle private rie nostre contese
quest’innocente popolo. — Ma, udrai
al nuovo dí, ciò che di me n’avvenne:
pur che a te presso io mai non rieda. Ai fidi
tuoi consiglieri, e a’ tuoi rimorsi in mezzo,
(se pur ten resta) omai ti lascio.
Maria Ingrato,...
per piú non dirti: e il guiderdon fia questo
dell’immenso amor mio? del soffrir lungo?
del soverchio soffrir?... Cosí mi parli?...
Cosí ti scolpi? — In te il dispregio, or donde?
Chi son io non rimembri, e chi tu fosti?...
Deh! perdona; or mi sforzi a dirti cosa,
che a me piú il dir, che a te l’udirla, incresce.
Ma, in che t’offesi io mai? Nell’invitarti
a tornar, forse? in raccettarti troppo
piú caldamente ch’io mai nol dovessi?
nel concederti troppo? o nel supporti
di pentimento, e di consiglio ancora
capace, o almen di gratitudin lieve,
il duro petto?
Arrigo In trono siedi: e il trono
alta efficace ell’è ragion pur sempre.
Ma, stupor nullo è in me: quanto ora avviemmi,
tutto aspettai. Pure, il saper ti giovi,
ch’io né di furto oprerò mai, né a caso;
che sconsigliato, debile, atterrito
non son, qual pensi; e che vostre arti vili...
Maria Opra a tuo senno omai: sol io ti priego,
che non s’intessa il tuo parlar di motti
di chi gli ascolta, e di chi gli usa.
Arrigo In detti
t’offendo io sempre; e me tu in fatti offendi.
Fuor di memoria giá?...
Maria Profondamente
memoria in cor dei tanti avvisi io serbo,
ch’io non curai; saggi, veraci avvisi;
che i tuoi modi, il tuo cor, te, qual ti sei,
pingeanmi appien, pria che la man ti dessi.
Creder non volli, e non veder, pur troppo
cieca d’amor... Chi s’infingeva allora?...
Rispondi, ingrato... Ahi lassa me! — Ma tardo
è il pentirmene, e vano... Oh cielo!... E fia,
fia dunque ver, che ad ogni costo or vogli
nemica avermi?... Ah! nol potrai. Ben vedi;
di sdegno appena passeggera fiamma
tu accendi in me: solo un tuo detto basta
a cancellare ogni passata offesa:
pur che tu l’oda, è l’amor mio giá presto
a riparlarmi. Or, deh! perché non vuoi,
qual ch’ella sia, narrarmi or la cagione
del novello tuo sdegno? Io tosto...
Arrigo Udirla
vuoi dal mio labbro dunque; ancor che nota,
non men che a me, ti sia? ten farò paga.
Non del finto amor tuo, non delle finte
tue parolette; e non dell’assegnata
diversa stanza; e non del tolto figlio;
e non di regia autoritá promessa,
giá omai tornata in piú insolenti oltraggi;
di tanto io no, non mi querelo: i modi
usati tuoi, son questi; è mia la colpa,
s’io a te credea. Ma il sol, ch’io non comporto,
è l’oltraggio che a me novello or fai.
E che? di tante tue stolte vendette,
anco la iniqua Elisabetta a parte?
Maria Che mai mi apponi? Oh ciel! qual prova?...
Arrigo Ormondo
perfido è, sí, ma non quant’altri; invano
a tentare, a promettere, a sedurre,
e a lusingar, me l’inviasti. Udissi
trama simíl giammai? Volermi a forza
far traditore? onde ritrar pretesti
poi di velata iniquitá...
Maria Che ascolto?
M’incenerisca il ciel, s’io mai...
Arrigo Non vale,
no, spergiurare. Intera io ben conobbi
la fraude tosto, e acconsentirvi io finsi,
per ingannar l’ingannator: ma stanco
giá son d’arte sí vile: ebbe giá piena
da me risposta Ormondo. Or sprezzeratti
Elisabetta, che ti odiava pria;
ella a biasmarti, ella a gridar fia prima
que’ tuoi stessi delitti, a cui t’ha spinto.
Maria Vile impostura ell’è. Chi spender osa
cosí il mio nome?...
Arrigo Atroce appieno han l’alma
i tuoi; non ten doler: solo, in dar tempo
ai loro inganni, ancor non son ben dotti.
Botuello e Ormondo in nobile vicenda
spíar volendo nel mio cor tropp’entro,
troppo hanno il loro, e troppo aperto il tuo.
Maria — Se in te ragion nulla potesse, o almeno
se tal tu fossi da ascoltarla, è lieve
chiarir quí tosto il tutto: entrambi insieme
chiamarli; udire...
Arrigo A paragon venirne
io di costoro?...
Maria E come in altra guisa
poss’io del ver convincerti? la benda
Arrigo È tolta omai:
troppo veggo... — Ma par, convinto e pago
vuoi farmi a un tempo tu? sol ten rimane
non dubbio un mezzo. Io di Botuello chieggo
a te l’altera ed esecrabil testa;
d’Ormondo il bando immantinente. — A tanto,
di’ sei tu presta?
Maria Io veggo al fin (pur troppo!)
veggo ove tendi. Ogni uom, che il vero dirmi
possa, a te spiace: ogni uomo in cui mi affidi,
nemico t’è. Su via, dunque la strage
or di Rizio rinnova: uso tu sei
a far le ingiuste tue vili vendette
di propria mano tua. Botuello puoi
nel modo stesso generosamente
trucidar tu, da forte; a te non posso
vietar delitti: a me ragion ben vieta
le ingiustizie di sangue. Ov’ei sia reo,
Botuél si danni; ma si ascolti pria.
Or, mentr’io sottopor me stessa a schietto
e solenne giudizio non disdegno,
a dispotica voglia anco il piú vile
sottoporre ardirò del popol mio?
Arrigo Giustizia a’ rei mai non si vieta, e muta
pe’ buoni stassi: ecco il regnar, che giova. —
Ti lascio; addio.
Maria Deh! m’odi...
Arrigo Ultima notte,
ch’io non al sonno, ma all’angoscie dono,
passarla io vo’ nell’assegnata rocca.
L’invito accetto; e, infin che l’alba lungi
dall’abborrita tua cittá mi scorga,
stanza ove teco io non mi stia, m’è grata.
Confusíon recarti, ancor che lieve,
credea pur anco; ma il credea da stolto. —
Securo il viso hai quanto doppio il core.
SCENA SECONDA
Maria.
che far poss’io?... Qual furia oggi l’inspira?...
Onde i sospetti infami?... In che si affida?
Nel mio spregiato amor?... Ma, s’egli imprende?...
Ah! pur ch’ei resti... Ah! s’egli parte, in tutti
odio di me, piú che di se pietade,
ne andrá destando: e sallo il ciel s’io sono
d’altro rea, che d’averlo amato troppo,
e non ben conosciuto. Or, che diranno
gli empj settarj, a calunniarmi avvezzi
da sí gran tempo giá? Possenti assai
fansi ogni dí... Forse a costor si appoggia
l’indegno Arrigo... Ah, d’ogni parte io scorgo
timore, e dubbj, e perigli, ed errori!
Mal fia il risolver; dubitar fia il peggio...
SCENA TERZA
Maria, Botuello.
tu di consiglio or non soccorri, io forse
di precipizio orribile sto all’orlo.
Bot. Da gran tempo vi stai; ma or piú che pria...
Maria E che? tu pur d’Arrigo i sensi?...
Bot. Io l’opre
d’Arrigo so. Mi udisti mai, regina,
non che del tuo consorte, a te d’altr’uomo
accusatore io mai venirne? Eppure
necessitade oggi a ciò far mi astringe.
Maria Dunque trama si ordisce?...
Bot. Ordirsi? a fine
Quanto importasse il vigilar noi sempre
sovra Arrigo, e il saper del suo ritorno
la cagion vera, il sai, ch’io tel dicea:
ma poco andò, ch’io la scopriva appieno.
Introdotto appo lui, tentollo Ormondo;
pria lusinghe gli dié, promesse poscia:
quindi attentossi ei di proporgli, e ottenne,
che a lui si desse il figliuol tuo...
Maria Che sento?
a Ormondo?...
Bot. Sí; perché il trafughi in corte
d’Elisabetta.
Maria Ahi traditor!... Mio figlio
tormi?... Ed in man darlo a colei?...
Bot. Mercede
del tradimento pattuísce Arrigo,
ch’ei reggerá quí solo. A te dar legge,
di Roma il culto conculcar piú sempre,
il proprio figlio in perdizion mandarne,
(vedi padre!) ei disegna...
Maria Oh ciel! Deh! taci.
Inorridir mi sento... E avea poc’anzi
ei tanto ardir, che a me imputava, ei stesso,
artificio sí stolto? ei da me disse
indotto Ormondo a ordir la trama; e tesi
da me tai lacci: iniquo!...
Bot. Ei teco all’arte
or ricorrea, temendo a te palese
giá il tradimento. Io dianzi, in nome tuo,
di sconsigliarlo io m’attentava: ei scusa
cerca, e non trova, a tanto error; né il puote,
né il sa negare: in gravi accenti d’ira
quindi ei prorompe sí, che in me diviene
certezza omai ciò ch’era pria sospetto.
Corro ad Ormondo; e il debil cor d’Arrigo,
gli espongo; e fingo che la trama, incauto,
scoperta in parte hammi lo stesso Arrigo.
Scaltro nell’arti delle corti Ormondo,
pur tradito si crede; e altrove tosto
volte sue mire, ei non mel niega; assévra
bensí, che primo Arrigo era a proporgli
di rapire il fanciullo; e ch’ei fea tosto
in se pensiero di svelarti il tutto:
e che a tal fin con lui fingea soltanto
d’acconsentirvi. Allora, io pur fingea
di fede appien prestargli, e a tal lo indussi,
ch’ei stesso a te palesator sincero
d’ogni cosa or ne viene. Udirlo vuoi?
Egli attende...
Maria Venga egli, e tosto ei venga.
SCENA QUARTA
Maria.
in man di quella invidíosa, cruda,
nemica donna? E chi gliel dona? il padre;
il proprio padre il sangue suo tradisce,
il suo onore, se stesso? Insania tanta,
quando mai, dove mai, fu in uomo aggiunta
a tanta iniquitá?
SCENA QUINTA
Maria, Botuello, Ormondo.
che favellotti Arrigo?
Orm. Ei... si... dolea...
del lieve conto, in che ciascun quí il tiene.
togli ogni vel; sue temerarie inchieste,
e tue promesse temerarie, narra.
Orm. ... È vero,... ei... mi chiedea... d’Elisabetta,
in suo favor, l’aíta.
Maria Omai scusarti
sol puoi col vero. Il tutto io so. Che vale?
Taciuto invan l’avresti. Arrigo, ei stesso,
all’eseguir come all’imprender cauto,
ei primo avrebbe Elisabetta, e Ormondo,
e se tradito: ma di propria tua
bocca udir voglio...
Orm. A me doleasi Arrigo,
che mal si nutre a doppio regno in queste
mura il suo figlio: a Elisabetta quindi
darlo in ostaggio, di sua fede in pegno,
sceglieva ei stesso...
Maria Oh non mai visto padre!
E v’assentivi tu?
Orm. ...Con un rifiuto
nol volli a prima io disperar del tutto...
perch’ei null’altro disegnasse, io finsi...
Maria Basta; non piú. Macchinator d’inganni
Elisabetta, il credo, a me t’invia;
ma piú sottili almeno. Or vanne; al grado,
ciò che non merti per te stesso, io dono.
Ella intanto saprá, che a me si debbe,
se non piú fido, messaggier piú destro.
SCENA SESTA
Maria, Botuello.
passa ei tra ’l vero e la menzogna! In tempo
conoscerlo giovò.
non trovo in me, né forza: il cor mi sento
squarciare a un tempo e dal dubbio, e dall’ira,
e dal timore; e, il crederai? pur anco
da non so qual speranza...
Bot. Ed io pur spero,
ch’ora, ita a vuoto la scoperta trama,
null’altro mal sia per seguirne.
Maria Oh cielo!
Arrigo è tal, ch’or che scoperta ei vede
sua folle impresa...
Bot. E che può far?
Maria Può andarne
fuor del mio regno. Il duro ultimo addio
ei giá...
Bot. Fuor del tuo regno? — Anzi che noto
questo suo nuovo tradimento fosse,
tu giustamente gliel vietavi: or fora
piú giusto ancora; or, che in ammenda ei forse
de’ giá mal tesi aguati, altri ne andrebbe
a ritentar con piú felice ardire.
Maria Ciò penso anch’io; ma pure...
Bot. E chi sa, dove
volger or voglia i suoi maligni passi?
Chi sa qual farsi osi sostegno?... Avrallo;
ah! sí, pur troppo, nel rancore altrui
fido appoggio egli avrá. — Scegliere or dessi
il mal minor...
Maria Ma il minor mal qual fia?
Bot. Tu ben lo sai, meglio di me: ma al tuo
ottimo cor ripugna altrui far forza.
Eppur, che vuoi? d’Elisabetta in corte
vuoi che Arrigo ricovri? E se in persona
con essa ei tratta, allor, trame ben altre...
Maria Oh fatal giorno! e d’altri assai piú tristi
foriero forse! e fia pur vero, al fine
Misera me! Contro chi stato è pria
l’amor mio, la mia prima unica cura,
or io la forza adoprerei?... Nol posso...
e, sia che vuol, mai nol farò.
Bot. Ma, pensa,
ch’ei nuocer molto...
Maria E qual può danno ei farmi,
che il non amarmi agguagli?
Bot. Ove ei partisse,
certo, mai piú nol rivedresti...
Maria Oh cielo!...
Pur ch’io nol perda affatto...
Bot. O madre, il figlio
non ami, almen quanto il consorte? In grave
periglio ei sta; morte dell’alma vera,
empio eretico error sovrasta, il sai,
alla innocenza sua...
Maria Pur troppo io deggio...
Ma,... come mai?...
Bot. Se libertá fia sola
scema ad Arrigo; e nessun menom’atto
di forza usato alla real sua sacra
persona fosse?...
Maria Insofferente è troppo:
l’onta, il rimorso, e il disperato duolo
piú temerario potrian farlo ancora.
Fautori avrá, quanti ho nemici e infidi
sudditi rei.
Bot. ... Pur, di accertar l’impresa,
senza destar tumulto, io veggo un mezzo;
uno, e non piú. — Scende or la notte; il colle,
ove il suo regio ostel solo torreggia,
d’armi, fra l’ombre, cingi. Ivi ritratto
ei s’è pur dianzi ad aspettarvi il giorno,
per poi partirsi: e v’ha con se non molti
cortesemente: in lui cosí por mano
nessun si attenta; e cosí nullo a un colpo
il suo furor tu fai. Null’uom penétri,
per questa notte, a lui: doman poi campo
aperto lascia alle ragion tue giuste;
e a lui, se il può, campo a impugnarle lascia.
Maria Parmi il men reo partito; eppure...
Bot. Ah! credi,
ch’altro non n’hai.
Maria Ma, in eseguirlo...
Bot. Io cura
ne prenderò, se il brami...
Maria E se i comandi
si oltrepassasser mai?... Bada...
Bot. Che temi?
Ch’io nol sappia eseguir? Ma, breve è il tempo;
pria che ne manchi, io corro...
Maria Ah no;... t’arresta...
Bot. Farti or vo’ forza: io ti salvai, rimembra,
giá un’altra volta...
Maria Il so; ma...
Bot. In me ti affida.
SCENA SETTIMA
Maria.
Pende or da un filo la mia pace e fama.