Maria Stuarda (Alfieri, 1946)/Atto quinto
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ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Maria, Lamorre.
ansio, anelante, alle tue stanze, in ora
strana. Oh qual notte!...
Maria Or, che vuoi tu?
Lamor. Che fai?
Chi ti consiglia? Entro i recessi starti
puoi di tua reggia omai secura tanto,
mentre il consorte tuo di grida e d’armi
cinto?
Maria Ma in te, donde l’ardir?... Vedrassi
al nuovo dí, ch’io nulla a lui togliea,
che di nuocere a se.
Lamor. Qual sia il disegno,
egli è crudo, terribile, inaudito:
e la plebe furor piú assai ne tragge,
che non terrore. Or, ben rifletti: forse
v’ha chi t’inganna: a rischiararti in tempo
forse ch’io giungo. Uscirne sol può danno
dai satelliti rei, che inondan tutte
della cittá le vie, lugúbri tede
recando in mano, e minacciosi brandi.
Che fan costor del regio colle al piede
feri tenendo?
Maria Oh! del mio oprar ragione
a te degg’io? Son dritti i miei disegni:
e li saprá chi pur saper li debbe.
Ti affidi tu nella insolente plebe?
Lamor. In me mi affido, ed in quel Dio verace,
onde ministro io sono. A me la vita
toglier tu puoi, non la franchezza e l’alto
libero dire... Al tuo marito accanto,
se il vuoi, mi uccidi; ma mi ascolta pria.
Maria Che parli? Oh cielo!... e bramo io forse il sangue
del mio consorte? e chi ’l può dire?...
Lamor. Oh vista! —
Il cervo imbelle infra i feroci artigli
sta di arrabbiata tigre... Oimè! giá il fianco
ella gli squarcia... Ei palpitante cade,
espira;... e fu... Deh! chi non piange? — Oh lampo!
qual raggio eterno agli occhi miei traluce?
Mortal son io? — Le dense orride nubi,
ch’entro nera caligine profonda
tengon sepolto l’avvenire, in fumo,
ecco, si sciolgon rapide... Che veggo?
Io veggio, ahi! sí, quel traditor, che tutto
gronda di sangue ancora. Empio! fumante
di sangue sacro e tremendo, tu giaci
entro il vedovo ancor tiepido letto?
Ahi donna iniqua! e il soffri tu?...
Maria Qual voce?
Quali accenti son questi? Oh ciel! che parli?...
Presagj orrendi... Ei non mi ascolta; in volto
gli arde una fiamma inusitata...
Lamor. Oh nuova
figlia d’Acáb! giá l’urla orride sento,
giá di rabidi cani ecco ampie canne,
cui tuoi visceri impuri esser den pasto. —
figlio d’iniquitá, tu regni, e vivi?
Maria Fero un Nume lo invade!... Oh ciel!... Deh! m’odi...
Lamor. Ma no, non vivi: ecco la orribil falce,
che l’empia messe abbatte. Morte, morte...
sue strida io sento, e giá venir la miro.
Oh vendetta di Dio, deh, come sconti
ogni delitto!... Il ciel trionfa: è tolta,
ecco, è strappata la perfida donna
dalle braccia d’adultero marito...
ecco traditi i traditori,... Oh gioja!
Disgiunti sono,... e strazíati,... e morti.
Maria Tremar mi fai... Deh!... di chi parli?... Io manco.
Lamor. Ma qual vista novella?... Oh tetra scena!
Negri addobbi sanguigni intorno intorno
a fero palco?... E chi sovr’esso ascende?
Oh! sei tu dessa? O giá superba tanto,
or pure inchini la cervice altera
alla tagliente scure? Altra scettrata
donna il gran colpo vibra. Ecco l’infido
sangue in alto zampilla; e un’ombra accorre
sitibonda, che tutto lo tracanna. —
Deh, pago in ciò fosse il celeste sdegno!
Ma lunga striscia la trista cometa
dietro a se trae. Del fianco alla morente
donna, ecco uscir molti superbi e inetti
miseri re. Giá in un col sangue in loro
del re dei re la giusta orribil ira
scorre trasfusa...
Maria ... Ahi lassa me!... Ministro
del ciel, qual luce or ti rischiara? Ah! taci...
deh! taci... Io moro...
Lamor. Oh! chi mi appella?... Invano
tor mi si vuol questa tremenda vista...
Giá giá tornar nell’aere cieco in folla
veggio gli spettri. — Oh! chi se’ tu, che quasi
bipenne piomba!... Io miro entro a vil polve
rotolar tronco il coronato capo!...
E invendicato sei?... Pur troppo, il sei:
che a vendetta piú antica era dovuta
l’alta tua testa giá. — Pugnar,... ritrarsi,...
spaventare,... tremar;... quante a vicenda
regali scorgo ombre minori! Oh schiatta
funesta altrui, come a te stessa! i fiumi
fansi per te di sangue... E il merti?... Ah! fuggi,
per non piú mai contaminar col tuo
piè questa terra: va; fuggi; ricovra
lá, di viltade in grembo; agli idolatri
tuoi pari appresso: obbrobriosi giorni,
quivi favola al mondo, onta del trono,
scherno di tutti, orribilmente vivi...
Maria Che sento?... Oimè!... Quale incognita possa
han sul mio cor quei detti!...
Lamor. — Oh, d’agitata
mente, di accesa fantasia, di pieno
invaso petto alti trasporti! or dove
me traeste?... Che dissi?... Ove mi aggiro?...
Che vidi?... A chi parlai?... La reggia è questa?
La reggia?... O stanza di dolore e morte,
io per sempre ti lascio.
Maria Arresta...
Lamor. O donna,
di’; consiglio cangiasti?
Maria Ahi me infelice!...
Omai... respiro... appena. Io dunque deggio
dar di nuocermi il campo?...
Lamor. Anzi, dei torre
campo al nuocer; ma pria, veder chi nuoce.
Che a te Botuello non sia noto appieno,
il crederò, per tua discolpa: è tale
quel rio fellon, da stupir quanti iniqui
Maria Oh ciel! s’ei mi tradisse?...
Ma il diffidarne è il meglio. — Or tosto vanne
ad Arrigo tu stesso: a lui saratti
scorta Argallo in mio nome. Ove ei mi giuri
di non uscir di Scozia, anzi che tutto
non sia fra noi chiaro e quíeto, io giuro
sgombrar d’ogni arme, pria che aggiorni, il piano.
Va, corri, vola; ottien sol questo, e riedi.
SCENA SECONDA
Maria.
Ma, son io rea? Tu il sai, che il tutto scorgi. —
Pur presagj piú orribili non ebbi
nel core io mai... Che fia? Dal costui labro,
quai feri tuoni usciano! — A me non scese
notte piú infausta mai...
SCENA TERZA
Maria, Botuello.
Ove mi hai tratta? Ancor d’ammenda è tempo:
vanne, e gli armati tuoi...
Bot. Ma che? tu cangi
or consiglio altra volta?
Maria Io mai non dissi...
tu primo osasti...
Bot. Osai, sí, porti innanzi
piú dolce un mezzo ad ottener tuo fine,
di quanti in te ne disegnavi: e cura
a me ne desti; ed io l’impresi. Or, viste
ei di Botuello; e per gli spaldi in arme
corre, e provvede a disperata pugna.
Andar, venire, infuríar, mostrarsi
lá di fiaccole ardenti al lampo il vidi;
e scende al pian di sue minacce il suono.
Lieve è l’armi ritrar; ma Arrigo poscia
chi raffrenar potrá? Di me non parlo:
vittima poca (ov’io pur basti) a sdegno
sí giusto, io sono: ma di te, che fora?
Arrigo offeso...
Maria Ah! dimmi: or or Lamorre
non ne andava ad Arrigo?...
Bot. Io nol vedea. —
Di quel ministro di menzogna hai forse
udito i detti ancora?
Maria Ah sí, pur troppo!...
Benché ministro di nemica setta,
che non svelommi? oh ciel! presagj orrendi
ascoltai di sua bocca! All’ostinato
mio consorte in messaggio il mando io stessa:
deh! possa in lui quel suo parlar, non meno
che in me potea! Chi sa? spesso ha tai mezzi
l’invisibil celeste arbitro eletti:
forse è Lamor stromento suo. Va, corri;
fa ch’ei parli col re.
Bot. Lamor, nemico
di nostro culto, a suo talento ei spera
il debil senno governar di Arrigo;
quindi a lui finge essere amico. Iniquo!
Capo ei farsi di parte, altro non brama.
Giá in arme sta dei piú rubelli il nerbo;
manca il vessillo; e l’alzerá Lamorre.
Quai sien costoro, il sai; tu, che in lor mani
caduta un dí, dure dettar ti udisti
ingiuríose leggi: ed io il rimembro,
giuro, a tal non verrai: fia lealtade
ora il non obbedirti. Il passo a ogni uomo
è strettamente chiuso: a chi il tentasse,
ne va la vita. Invano, anco il piú fido
de’ tuoi, vi si appresenta; invan ci andava
in tuo nome Lamorre...
Maria E che? tant’osi?...
Bot. Oso, e voglio, salvarti: or, quel ch’io faccia,
appieno io ’l so. Se apertamente reo
tu non convinci Arrigo, or che a lui festi
aperto oltraggio, a mal partito sei.
Maria E sia che può: pria vo’ morir, che macchia
porre alla fama mia... Dunque, obbedisci;
zelo soverchio in te mi nuoce: or tosto,
va; sgombra il passo... Ma che veggio? Oh cielo!...
Qual lampo orrendo!... Ah!... quale scoppio! Trema,
s’apre la terra...
Bot. Oh!... di squarciata nube...
scende dal ciel... divoratrice... fiamma?...
Maria ... Si spalancan le porte!...
Bot. Oh! qual rimugge
l’aura infuocata!...
Maria ...Ahi! dove fuggo?...
SCENA QUARTA
Lamorre, Maria, Botuello.
dove fuggir potrai?
Maria Lamor!... che fia?...
Tu... giá ritorni?...
Lamor. E tu quí stai? Va, corri;
vedi ucciso il marito...
Maria Oimè!... che sento?...
Lamor. Fellone,
da te.
Bot. Ch’osi tu dirmi?...
Maria Ucciso Arrigo!...
Ma, come?... Oh cielo!... Il rio fragor?...
Lamor. Secura
statti. D’Arrigo è la magion disvelta
fin da radice, dalla incesa polve:
ei fra l’alte rovine ha orribil tomba.
Maria Che ascolto!...
Bot. Ah! certo; l’adunata polve,
che serbavasi chiusa a mezzo il colle,
Arrigo, ei stesso, disperato incese.
Lamor. Te grida ognun, te traditor, Botuello.
Maria Malvagio, avresti?...
Bot. Ecco il mio capo: ei spetta
a chi tal mi chiarisca. A te non chieggo
grazia, o regina: alta, spedita, e intera
giustizia chieggo.
Lamor. Ei non si uccise. Infame
gente lo uccise...
Maria Ahi reo sospetto! Oh pena
peggio assai d’ogni morte!... Oh macchia eterna!...
Oh dolor crudo!... — Or via, ciascun si tragga
dagli occhi miei. Saprassi il vero; e tremi,
qual ch’egli sia, l’autor perfido atroce
di un tal misfatto. Alla vendetta io vivo,
ed a null’altro.
Bot. Il tuo dolor, regina,
rispetto io sí; ma per me pur non tremo.
Lamor. Tremar dei tu? — Finché dal ciel non piomba
il fulmin quí, chi non è reo sol tremi.