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atto quarto 285
giunto mi sei?... temuto, orribil giorno!...

Misera me! Contro chi stato è pria
l’amor mio, la mia prima unica cura,
or io la forza adoprerei?... Nol posso...
e, sia che vuol, mai nol farò.
Bot.   Ma, pensa,
ch’ei nuocer molto...
Maria   E qual può danno ei farmi,
che il non amarmi agguagli?
Bot.   Ove ei partisse,
certo, mai piú nol rivedresti...
Maria   Oh cielo!...
Pur ch’io nol perda affatto...
Bot.   O madre, il figlio
non ami, almen quanto il consorte? In grave
periglio ei sta; morte dell’alma vera,
empio eretico error sovrasta, il sai,
alla innocenza sua...
Maria   Pur troppo io deggio...
Ma,... come mai?...
Bot.   Se libertá fia sola
scema ad Arrigo; e nessun menom’atto
di forza usato alla real sua sacra
persona fosse?...
Maria   Insofferente è troppo:
l’onta, il rimorso, e il disperato duolo
piú temerario potrian farlo ancora.
Fautori avrá, quanti ho nemici e infidi
sudditi rei.
Bot.   ... Pur, di accertar l’impresa,
senza destar tumulto, io veggo un mezzo;
uno, e non piú. — Scende or la notte; il colle,
ove il suo regio ostel solo torreggia,
d’armi, fra l’ombre, cingi. Ivi ritratto
ei s’è pur dianzi ad aspettarvi il giorno,
per poi partirsi: e v’ha con se non molti