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atto quarto 279
come dagli occhi trarti?

Arrigo   È tolta omai:
troppo veggo... — Ma par, convinto e pago
vuoi farmi a un tempo tu? sol ten rimane
non dubbio un mezzo. Io di Botuello chieggo
a te l’altera ed esecrabil testa;
d’Ormondo il bando immantinente. — A tanto,
di’ sei tu presta?
Maria   Io veggo al fin (pur troppo!)
veggo ove tendi. Ogni uom, che il vero dirmi
possa, a te spiace: ogni uomo in cui mi affidi,
nemico t’è. Su via, dunque la strage
or di Rizio rinnova: uso tu sei
a far le ingiuste tue vili vendette
di propria mano tua. Botuello puoi
nel modo stesso generosamente
trucidar tu, da forte; a te non posso
vietar delitti: a me ragion ben vieta
le ingiustizie di sangue. Ov’ei sia reo,
Botuél si danni; ma si ascolti pria.
Or, mentr’io sottopor me stessa a schietto
e solenne giudizio non disdegno,
a dispotica voglia anco il piú vile
sottoporre ardirò del popol mio?
Arrigo Giustizia a’ rei mai non si vieta, e muta
pe’ buoni stassi: ecco il regnar, che giova. —
Ti lascio; addio.
Maria   Deh! m’odi...
Arrigo   Ultima notte,
ch’io non al sonno, ma all’angoscie dono,
passarla io vo’ nell’assegnata rocca.
L’invito accetto; e, infin che l’alba lungi
dall’abborrita tua cittá mi scorga,
stanza ove teco io non mi stia, m’è grata.
Confusíon recarti, ancor che lieve,
credea pur anco; ma il credea da stolto. —
Securo il viso hai quanto doppio il core.