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atto quarto 281
tratta giá fora, se Botuél non era.

Quanto importasse il vigilar noi sempre
sovra Arrigo, e il saper del suo ritorno
la cagion vera, il sai, ch’io tel dicea:
ma poco andò, ch’io la scopriva appieno.
Introdotto appo lui, tentollo Ormondo;
pria lusinghe gli dié, promesse poscia:
quindi attentossi ei di proporgli, e ottenne,
che a lui si desse il figliuol tuo...
Maria   Che sento?
a Ormondo?...
Bot.   Sí; perché il trafughi in corte
d’Elisabetta.
Maria   Ahi traditor!... Mio figlio
tormi?... Ed in man darlo a colei?...
Bot.   Mercede
del tradimento pattuísce Arrigo,
ch’ei reggerá quí solo. A te dar legge,
di Roma il culto conculcar piú sempre,
il proprio figlio in perdizion mandarne,
(vedi padre!) ei disegna...
Maria   Oh ciel! Deh! taci.
Inorridir mi sento... E avea poc’anzi
ei tanto ardir, che a me imputava, ei stesso,
artificio sí stolto? ei da me disse
indotto Ormondo a ordir la trama; e tesi
da me tai lacci: iniquo!...
Bot.   Ei teco all’arte
or ricorrea, temendo a te palese
giá il tradimento. Io dianzi, in nome tuo,
di sconsigliarlo io m’attentava: ei scusa
cerca, e non trova, a tanto error; né il puote,
né il sa negare: in gravi accenti d’ira
quindi ei prorompe sí, che in me diviene
certezza omai ciò ch’era pria sospetto.
Corro ad Ormondo; e il debil cor d’Arrigo,