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276 maria stuarda
al reo tuo cor non comportabil voce. —

Mezzi appo me, piú forti assai de’ tuoi,
e meno infami, stanno. In guise mille
a te far fronte entro al tuo regno io posso:
né il tuo poter mel toglie: a me nol vieta
altri, ch’io stesso: avviluppar non voglio
nelle private rie nostre contese
quest’innocente popolo. — Ma, udrai
al nuovo dí, ciò che di me n’avvenne:
pur che a te presso io mai non rieda. Ai fidi
tuoi consiglieri, e a’ tuoi rimorsi in mezzo,
(se pur ten resta) omai ti lascio.
Maria   Ingrato,...
per piú non dirti: e il guiderdon fia questo
dell’immenso amor mio? del soffrir lungo?
del soverchio soffrir?... Cosí mi parli?...
Cosí ti scolpi? — In te il dispregio, or donde?
Chi son io non rimembri, e chi tu fosti?...
Deh! perdona; or mi sforzi a dirti cosa,
che a me piú il dir, che a te l’udirla, incresce.
Ma, in che t’offesi io mai? Nell’invitarti
a tornar, forse? in raccettarti troppo
piú caldamente ch’io mai nol dovessi?
nel concederti troppo? o nel supporti
di pentimento, e di consiglio ancora
capace, o almen di gratitudin lieve,
il duro petto?
Arrigo   In trono siedi: e il trono
alta efficace ell’è ragion pur sempre.
Ma, stupor nullo è in me: quanto ora avviemmi,
tutto aspettai. Pure, il saper ti giovi,
ch’io né di furto oprerò mai, né a caso;
che sconsigliato, debile, atterrito
non son, qual pensi; e che vostre arti vili...
Maria Opra a tuo senno omai: sol io ti priego,
che non s’intessa il tuo parlar di motti