Lezioni sulla Divina Commedia/Appendice/III. Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo

Appendice - III. Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo

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Appendice - II. Come si trasfigura il brutto? Appendice - IV. Critica dell'estetica hegeliana
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III

DAI RIASSUNTI DELLE LEZIONI TENUTE A ZURIGO

L’INFERNO

Lezione I - IL BRUTTO


In Dante e Beatrice vi ho mostrato lo stesso concetto che è in tutta la Divina Commedia. Il quale vi sta non come in una allegoria, separato dalla forma, ma quasi anima del mondo, forza viva, al di sotto della superficie, che muove tutto ciò che si vede al disopra. Epperò questo concetto ci accompagnerá dal primo infino all’ultimo canto del poema.

Vi sono de’ concetti di una grande ricchezza, che contengono dentro di sé tutto un mondo reale, il quale vi sta come involuto, insino a che l’uomo di genio col suo sguardo non lo ingravidi, per dir cosí, e non lo faccia partorire: Dante ne ha tratto fuori la Divina Commedia. Questo concetto contiene in sé tre momenti, la carne, lo spirito ed il passaggio dall’una all’altro, l’inferno, il purgatorio ed il paradiso.

L’inferno è il regno della carne o della materia. Questa formola comprende tutta la vita ne’ suoi diversi indirizzi, cosí come è stata compresa da Dante: scienza, religione, morale, politica, arte. E perciò l’inferno è ad un tempo il regno del falso o dell’errore (scienza), del male o delle passioni (morale), dell’anarchia o del disordine (politica), del brutto (arte). L’essere che comprende tutto questo è Lucifero, negazione di Dio.

Se l’inferno è il regno del brutto, e se l’arte è la manifestazione del bello, in che modo l’inferno può essere materia di poesia? O in termini piú generali il brutto può entrare nell’arte? [p. 335 modifica]

I Greci non ammettevano il brutto, se non come accessorio per dar risalto al bello: cosí la viltá di Tersite faceva splendere la bravura di Achille, e la candidezza della luna spicca in un cielo nuvoloso. Epperò i Greci non portavano mai le passioni fino al punto che elleno alterassero la bellezza de’ lineamenti. Gli Dei, quantunque sottomessi alle passioni, serbavano inalterata la loro serenitá: la collera non oscura la fronte, non contrae la faccia di Apollo: il suo corpo rimane eternamente giovine e bello. Questa olimpica serenitá i Greci esprimevano pure nella faccia umana ed è stata imitata da alcuni moderni, sopratutto dal Leopardi e dal Goethe. Dicesi che un pittore, dovendo rappresentare Elena, abbia avuto innanzi per modello sette delle più belle donne di Grecia, imitando da chi l’una e da chi l’altra parte, e facendo di sette bellezze imperfette una compiuta bellezza. Questa regola ci porta diritto ad un ideale astratto e di convenzione, come è il Goffredo del Tasso, che è un essere di ragione, costruito secondo un tipo di costruzione, anziché una creatura vivente, com’è l’Achille Omerico, di una perpetua giovinezza.

La scuola romantica, rifiutando questo ideale fattizio, questa separazione chimica del brutto e del bello, si è gittata nell’altro estremo, accarezzando e prediligendo il brutto. Secondo questa scuola l’arte deve riprodurre la vita nella sua veritá, e la vita non è né tragedia né commedia, ma dramma, cioè dolore e gioia, pianto e riso, morte e vita, successione e contrasto de’ piú diversi elementi. Tale è la scena de’ servi ubriachi, che succede alla morte del re Duncan nel Macbeth di Shakespeare; tale è la scena de’ musici nella Giulietta e Romeo; tale è il canto funebre de’ preti misto al canto gioioso de’ commensali nella Lucrezia Borgia. Questa teoria porta diritto alla imitazione della natura, all’annullamento dell’ideale, fondata com’è sul principio che l’arte debba riprodurre il reale.

L’inferno è la confutazione perentoria di tutt’e due le teorie. Da una parte esso dimostra contro la teoria classica che il brutto può far parte dell’arte; e dall’altro canto il brutto vi sta solitario, senza contrasto, confutazione della teoria romantica. E siccome [p. 336 modifica]l’inferno non rimane una concezione isolata nel mondo moderno, anzi il brutto si estende sempre piú nell’arte, e dal Boccaccio, dall’Ariosto, dal Cervantes si giunge fino al Leopardi ed al Byron, fino al Mefistofele di Goethe, che è l’incarnazione del brutto, il brutto come brutto; è necessario che noi prendiamo ad esame questa questione, cercando la spiegazione di un fenomeno tanto straordinario.

Cominciamo dal fatto psicologico. Innanzi ad un oggetto bello, il corpo involontariamente si china sul davanti, gli occhi prima vaganti vi si fissano sopra, e la fantasia svegliatasi d’un tratto vi lavora su. E se tu sei poeta te lo approprii e lo riproduci nella tela, nel marmo, nella parola. Innanzi ad un oggetto brutto gli occhi si chiudono per metá, il corpo piega indietro, quasi in atto di allontanarsi, il naso si raggrinza, e le labbra fanno un movimento laterale, con una contrazione delle guance, come si fa quando si sente cattivo odore. Egli è che l’anima ha un orrore ingenito per il brutto; egli è che l’uomo è un animale estetico. E perciò stando a questa impressione, il brutto non può non dee far parte della poesia. Nondimeno, quando noi vediamo il brutto esser tanta parte della poesia moderna, non dobbiamo starci contenti a questo, dobbiamo spingere piú oltre le nostre ricerche.

Secondo il concetto cristiano il corpo non è l’espressione dell’anima, come presso i Greci, ma la prigione dell’anima. Il cristiano tiene a vile la materia, e macera il corpo co’ digiuni e co’ cilicii; il corpo è per lui il velo, l’apparente; il sostanziale è nello spirito. Onde nella poesia romantica si tiene poca cura della forma esterna, intorno a cui travagliavano tanto i Greci. La poesia è tutta nello spirito, al di dentro; ma come la materia poetica non è il concetto astratto, ma il fantasma prodotto dalla fantasia; egli avviene che lo spirito lampeggia al difuori, in alcuni tratti che attirano a sé l’attenzione, e le rubano tutto ciò che vi è di brutto nel rimanente.

Il tipo del bello cristiano è il Cristo, sozzo di sangue. Ma chi vuoi che guardi alle sue piaghe, quando ha innanzi quella faccia su cui splende tanto di cielo? Tale è la bellezza del martire [p. 337 modifica]cristiano, per esempio del santo Stefano di Dante. Il brutto vi sta, ma in lontananza, nell’ombra, e lo sguardo si arresta su quei tratti ne’ quali si rivela lo spirito.

Nel primo stadio lo spirito o il concetto è separato dal brutto: cosí un oggetto immondo e schifoso può essere nondimeno caro come memoria di un amico o di un parente. Tale è il brutto simbolico: l’Egiziano s’inginocchiava innanzi a quel mostro, che per lui era un Iddio; dileguatosi il significato per me ritorna un mostro.

Quando il sole irraggia la statua di Mennone, essa manda suoni musicali; tramontato il sole, essa ritorna una statua senza moto e senza vita, i piedi aderenti e le braccia rientrate. Quel sole deve calare al didentro della statua, quel concetto dev’essere il suo concetto, si che vivano inseparabilmente l’un l’altro: allora sará compiuta la trasfigurazione del brutto. Lo spirito può trasfigurare il brutto in tre modi corrispondenti alle tre forme dell’arte, comico, sublime e bello.

Abbiamo il comico, quando la bruttezza è accompagnata con la malizia, di cui sono esempii i buffoni de’ teatri ed il Sancho Pança del Cervantes.

Abbiamo il sublime, quando la bruttezza è congiunta con la forza fisica, come ne’ giganti, e con la forza morale, come in Riccardo III. Il gigante è sublime, perché noi guardiamo non a quella immane massa di carne, ma all’idea di forza, all’idea dell’infinito che si sveglia in noi. Esso è sublime come il fulmine e la tempesta. Riccardo III è sublime, perché in un corpo deforme chiude un’anima eroica.

Vaglia per tutti il suo famoso grido: Un cavallo, un cavallo! Il mio regno per un cavallo!

Abbiamo il bello, quando in un corpo brutto vive un’anima passionata e gentile. Tale è la Saffo.

Dante ha adempiuto a queste condizioni? Ha saputo egli trasfigurare il brutto? Lo vedremo nell’altra lezione.