Lettere per lo più premesse ad opere dall'autore pubblicate/Al marchese Gio. Giacomo Trivulzio

Al marchese Gio. Giacomo Trivulzio

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A Francesco Reina Ad Antonio Marsand
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AL NOBILISSIMO UOMO

il signor marchese

GIO. GIACOMO TRIVULZIO1


Con le altre loro sorelle, che presso di Voi, ragguardevolissimo signor Marchese, trovano sempre aura di benigno favore, vengono ad accompagnarsi queste xx Novellette di scrittore antico, tolte da un prezioso ed ignoto codice ch'è di vostra attinenza, e che ne contiene clvi. La vostra mercé io sono stato di questo codice il depositario per alcuni mesi, e sotto le mie cure esso acquistò nuova vita, mediante una copia fattane trarre, che rende di ovvia lettura ciò che prima poteasi a stento diciferare.

Se poco accettevole suol riuscire l'offerta di un’antica scrittura, di cui l'autenticità non sia ben comprovata, e di cui resti sconosciuto l’autore, sarà mio studio di conciliarmi possibilmente il vostro gradimento col dirvi ora alcuna cosa intorno al nome, alla patria, al [p. 342 modifica]tempo, e allo ingegno del Novellatore che sotto i vostri auspicj vede la luce.

Non potrà a buon conto rimanere ambiguità alcuna intorno al suo nome. Quantunque non ricordato espressamente nell’opera, leggesi tuttavia nel proemio di essa un Sonetto in nel quale (il lettore) lo proprio nome (dell’autore) col soprannome ritroverà. Accozzate in fatti le prime iniziali di ogni verso di questo ladro Sonetto, risulta Giovanni Sercambi, come potrete scorgere Voi medesimo dalla seguente copia fedele:

Già trovo si diè pace Pompeo
Immaginando il grave tradimento,
Omicidio crudele e violento,
Volendo ciò Cesare e Tolomeo.
Amò Ecuba quel reo
Nativo d’Antenor il di cui nome fia spento;
Nascose su l’altar con gran passione
Il convertir ringraziando Dio.
Sotto color di pace ancora Giuda
El nostro Salvator Cristo tradito,
Radendo sè di vita in morte cruda.
Considerando ciò dommi pace io
Avendo sempre l’anima mia cruda.
Mossa a vendetta, cancello il pensier mio.
Ben dico che la lingua colla mente
Insieme non diforma in leal gente.

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Assicurati intorno al nome e al soprannome, indaghiamo ora la patria di questo Giovanni Sercambi. Narra egli nel principio del suo lavoro, che una brigata di uomini, di donne, di preti, di frati riunitasi nel contado di Lucca nell’anno mccclxxiv, quando v’infieriva la peste, deliberò di allontanarsi da quell'infetto e malaugurato paese, e di mettersi in cammino per tutta Italia, dandosi buon tempo col novellare. Nomina per lo più la città di Lucca col titolo di nostra (vedi la novella iv) e la schiera de’ viandanti da Lucca si move, ed a Lucca finalmente reducesi dopo avere tenuto il seguente cammino. Passa da principio a Roma, indi a Napoli, e divaga per la Calabria, di dove retrocedendo visita Ancona, Ravenna, Bologna, Ferrara, Chioggia; e non volendo intrattenersi, a Vinegia per sospetti di peste, viene a Murano, quindi per Mestre a Treviso, a Feltre, a Padova, e dopo di aver veduto tutta la Lombardia portasi da Parma a Genova, indi a Savona. A questo passo il codice manca, ma da Savona a Lucca essendo breve il tragitto, pare che non possano desiderarsi se non che due o tre novelle a compimento dell'opera, e a vedere restituita la sollazzevole brigata alla città che dee reputarsi patria del Novellatore. [p. 344 modifica] L’anno 1374 di sopra indicato se non è precisamente quello in cui il Sercambi dettò il suo Libro, dee però riguardarsi siccome tessera che indica un’epoca di ravvicinamento. Ciò si convaliderà, sol che vi piaccia, egregio signor Marchese, di venir meco all’esame degli scrittori dell’antica storia letteraria italiana. Quantunque il nome di Cambi, o ser Cambi, o Sercambi trovisi or ripetuto, or confuso, nulladimeno due opere esistono, una delle quali a buon diritto si può giudicar appartenente al nostro autore. La Cronaca di Lucca è la prima di queste opere, che troverete inserita nel vol. xviii della grande Raccolta Rerum Italicarum Scriptores. Di questa Cronaca è dichiarato autore Giovanni Sercambi Lucchese; e in essa si leggono frammischiate otto Novelle che stanno appunto nel vostro Codice. È tratta da codesta Biblioteca Ambrosiana, e trascorre dall’anno 1400 sino al 1409. Osservò il Muratori nella sua Prefazione, che vi s’incontrano spesso alcune voci particolari del dialetto lucchese; e di queste, come di alcun’altra de’ varj dialetti d Italia, anche le Novelle presenti restano non di rado insudiciate. Troverete l'altra opera ricordata noi Calalogo de’ manoscritti della Biblioteca [p. 345 modifica]

Leopoldino-Lanrenziana (Tom. ii, col. 225), ed è un Commento al Paradiso di Dante. Il Bandini, che lo giudicò scritto intorno al fine del secolo xv, ne riportò, secondo il suo costume, le ultime parole, e sono: La soprascripta Expositione, Chiose, o vero Postille oc scripto io Johanne ser Cambi, ecc.: anche il Tiraboschi ci rammentò il Sercambi come storico lucchese, senza però nulla aggiugner del suo. Ora, avuto riguardo alla conformità del nome, del soprannome, all'epoche della vita e alla identità della patria, parmi di non posare sopra ombratili conghietture formando del cronista di Lucca, dello spositore di Dante e dello Scrittore delle Novelle un solo ed unico autore.

Voi, veneratissimo signor Marchese, che per annobilire le vostre insigni raccolte non abbisognate di mendicar i gioielli adulterati, so che avete già rinunziato al vanto di possedere il codice veramente originale delle Novelle di questo nostro Sercambi; dovete però trovarvi pago anche della vostra copia, ch'è pure di assai vecchia data, e unica per quanto io sappia. La forma de' suoi caratteri, e quella delle sue abbreviature, la qualità della carta e i modi tenuto dallo scrittore nell'ortografia, [p. 346 modifica]non lasciano dubbio che non sia stata eseguila in Toscana durante il secolo xv. Io so eziandio, che uno de’ vostri dottissimi amici, il quale è fregio di codesta insigne Ambrosiana, portò parere, che il carattere si rassomigli alcun poco a quello di Leonardo da Vinci, ad eccezione però della sua maniera particolare di scrivere alla orientale, cioè dalla destra alla sinistra. Una prova incontrastabile che sia copia questo vostro codice hassi in una Nota posta in calce dell’Indice, nella quale si accennano Miniature aggiunte a fregio del libro, che nel vostro esemplare non sono; e d’altra parte, in essa qua e colà si veggono certe lacune, le quali indicano troppo bene gl’inciampi incontrati dallo scrittore nella forse troppo scabrosa lettura dell’originale; lacune che rendono altresì il senso intralciato e poco intelligibile.

Dalle poesie di Giovanni Sercambi,che si trovano sparse fra questo suo Novelliere, ne scampi Iddio ogni fedel cristiano; e bastine il saggio del riportato Sonetto, che nasconde il suo nome. Le prose o Novelle sue meritano poi ben altro che imprecazioni. Piace in esse quell’aurea semplicità con cui scrivevano i nostri buoni padri, piace quella ingenua pit[p. 347 modifica]tura de’ vecchi tempi ed usanze, piacciono i tenui avvenimenti vivacemente dipinti, e sempre con quella proprietà di voci che assai difficilmente raggiugne la comune de’ moderni scrittori. Manca, è vero, al nostro Sercambi la purità della favella, spezialmente propria una volta degli abitatori delle sponde dell’Arno; nulladimeno potrebbesi pur concedere grazia a qualche suo vocabolo di conio italiano ed espressivo. Egli ha inoltre quella vibratezza di dialogo che tanto e’innamora quando leggiamo le Novelle di Franco Sacchetti. I suoi argomenti non sono sempre nuovi, perchè il Boccaccio ed altri ne maneggiarono alcuni e prima e poi, ma sono sempre con aria di novità esposti e trattati.

Voi non leggerete nella presente edizione alcuna delle Novelle che si trova imbrattata di oscenità e di laidezze, abbenchè posta per lo più in bocca di gente che porta cherca o cocolla, e abbenche l’autore protestisi in più di un luogo di essere un cristianello buono o morigerato. Non vi dissimulo, che tali Novelle appunto, sì per la condotta come per la sposizione, starebbero in cima a tutte; ma io so quale è il debito che mi corre, e so a chi indirizzo questo libro; nè intorno a ciò servirà parlar di vantaggio. [p. 348 modifica]

Nella stampa ho fedelmente seguito l’originale, e pressochè mantenuta l’antica ortografia; ma dove l’amanuense si mostrò uniforme, ricopiando alcune voci in modo oggidì disusato, mi parve opportuno di adottare per maggiore chiarezza l’uso comune; esempigrazia, in luogo di ritenere magore, gorno, cipta, ongni, messo, alchuno ho sempre sostituito maggiore, giorno, città, ogni, mezzo, alcuno, ecc. La interpunzione è rinnovata affatto, siccome quella ch’è più indispensabile a rendere il testo ordinato e chiaro.

Vi ho detto tutto, nobilissimo signor Marchese; ma ben mi accorgo che questa mia lettera è divenuta una lunghieria poco dicevole alla tenue mole del libro che vi presento. Voglio credere che di leggieri me ne scuserete quando vi pregherò, come faccio, ad accettarla in luogo della visita autunnale ch’io vi aveva promesso anche per quest’anno. Se carichi e brighe mi vietano di poter risalutare il deliziosissimo vostro giardino di Omate, sperare però mi giova che, andando Voi a diporto per quegli avviluppati sentieri, per quei verdi prati, e per quelle ombrose vallette, circondalo da un drappello di Grazie, che ben tale il formano le vostre elette figliuole, [p. 349 modifica]e la preclarissima vostra sposa, potrete allegrare ed esse e Voi colla lettura di alcuna tra queste festevoli novelle; e forse che tutti d’accordo consolerete allora d’un sorriso anche il loro editore, il quale nel dedicarvele vi offre tutto se stesso.

Note

  1. Lettera premessa alle Novelle di Giovanni Sercambi Lucchese per la prima volta pubblicate in Venezia, 1816, in 8.