Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Architettura

Architettura

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Proemio di tutta l'opera Scultura
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INTRODUZZIONE

DI MESSER GIORGIO VASARI

PITTORE ARETINO,

Alle tre Arti del Disegno, cioè Architettura, Pittura, e Scoltura,

e prima dell’Architettura,

Delle diverse Pietre, che servono a gl’Architetti per gl’ornamenti,

e per le statue alla Scoltura. Cap. I.


UANTO sia grande l’utile, che ne apporta l’Architettura, non accade a me raccontarlo; per trovarsi molti scrittori, i quali diligentissimamente, e a lungo n’hanno trattato. E per questo lasciando da una parte le calcine, le arene, i legnami, i ferramenti, e’l modo del fondare, e tutto quello, che si adopera alla fabrica, e l’acque, le regioni, e i siti largamente gia descritti da Vitruvio, e dal nostro Leon Batista Alberti, ragionerò solamente per servizio de’ nostri artefici, e di qualunque ama di sapere, come debbano essere universalmente le fabriche, e quanto di proporzione unite, e di corpi, per conseguire quella graziata bellezza, che si desidera; brevemente raccorrò insieme, tutto quello, che mi parrà necessario a questo proposito. E accioche piu manifestamente apparisca la grandissima difficultà del lavorar delle pietre, che son durissime e forti, ragioneremo distintamente, ma con brevità, di ciascuna sorte di quelle, che maneggiano i nostri artefici. E primieramente del porfido. Questo è una pietra rossa con minutissimi schizzi bianchi, condotta nella Italia gia dell’Egitto; dove comunemente si crede, che nel cavarla ella sia piu tenera, che quando ella è stata fuori della cava, alla pioggia, al ghiaccio, e al Sole, perche tutte queste cose la fanno piu dura, e piu difficile a lavorarla. Di questa se ne veggono infinite opere lavorate, parte con gli scarpelli, parte segate, e parte con ruote, e con smerigli consumate a poco a poco, come se ne vede in diversi luoghi diversamente piu cose: cioè, quadri, tondi, e altri pezzi spianati, per far pavimenti, e cosi statue per gli edifici, e ancora grandissimo numero di colonne e picciole, e grandi, e fontane con teste di varie maschere, intagliate con grandissima diligenza. Veggonsi anchora oggi sepolture con figure di basso e mezzo rilievo, condotte con gran fatica, come al tempio di Baccho fuor di Roma, a Santa Agnesa, la sepoltura che <e’> dicono di santa Gostanza figliuola di Gostantino Imperadore; dove son dentro molti fanciulli con pampani e uve, che fanno fede della difficultà, ch’ebbe chi la lavorò nella durezza di quella pietra. Il medesimo si vede in un pilo a Santo Ianni Laterano, vicino alla Porta santa, ch’è storiato; et evvi [p. 11 modifica]dentro gran numero di figure. Vedesi ancora sulla piazza della Ritonda una bellissima cassa fatta per sepoltura, laquale è lavorata con grande industria e fatica; et è per la sua forma, di grandissima grazia, e di somma bellezza, e molto varia dall’altre. E in casa di Egidio, e di Fabio Sasso ne soleva essere una figura a sedere di braccia tre e mezo, condotta a<’> dì nostri con il resto delle altre statue in casa Farnese. Nel cortile ancora di casa la Valle sopra una finestra una lupa molto eccellente, e nel lor giardino i due prigioni legati del medesimo porfido, i quali son quattro braccia d’altezza l’uno, lavorati da gli antichi con grandissimo giudicio; i quali sono oggi lodati straordinariamente da tutte le persone eccellenti, conoscendosi la difficultà, che hanno avuto a condurli per la durezza della pietra. A<’> dì nostri non s’è mai condotto pietre di questa sorte a perfezzione alcuna, per avere gli artefici nostri perduto il modo del temperare i ferri, e cosi gli altri stormenti da condurle. Vero è, che se ne va segando con lo smeriglio rocchi di colonne, e molti pezzi, per accomodarli in ispartimenti per piani, e cosi in altri varij ornamenti per fabriche; andandolo consumando a poco a poco con una sega di rame senza denti tirata dalle braccia di due uomini: laquale con lo smeriglio ridotto in polvere, e con l’acqua, che continuamente la tenga molle, finalmente pur lo ricide. E se bene si sono in diversi tempi provati molti begli ingegni, per trovare il modo di lavorarlo, che usarono gli antichi, tutto è stato in vano. E Leon Battista Alberti, il quale fu il primo, che cominciasse a far pruova di lavorarlo, non però in cose di molto momento, non truovò, fra molte, che ne mise in pruova, alcuna tempera, che facesse meglio, che il sangue di becco, perche se bene levava poco di quella pietra durissima nel lavorarla, e sfavillava sempre fuoco, gli servì nondimeno di maniera, che fece fare nella soglia della porta principale di Santa Maria Novella di Fiorenza, le diciotto lettere antiche, che assai grandi, e ben misurate si veggono dalla parte dinanzi in un pezzo di porfido; lequali lettere dicono Bernardo Oricellario. E perche il taglio dello scarpello non gli faceva gli spigoli, nè dava all’opera quel pulimento, e quel fine che le era necessario, fece fare un mulinello a braccia con un manico a guisa di stidione, che agevolmente si maneggiava apontandosi uno il detto manico al petto, e nella inginocchiatura mettendo le mani per girarlo. E nella punta, dove era o scarpello, o trapano, avendo messo alcune rotelline di rame, maggiori, e minori, secondo il bisogno, quelle imbrattate di smeriglio, con levare a poco a poco, e spianare facevano la pelle, e gli spigoli, mentre con la mano si girava destramente il detto mulinello. Ma con tutte queste diligenze, non fece però Leon Batista altri lavori, perche era tanto il tempo, che si perdeva, che mancando loro l’animo, non si mise altramente mano a statue, vasi, o altre cose sottili. Altri poi, che si sono messi a spianare pietre, e rapezzar colonne, col medesimo segreto, hanno fatto in questo modo. Fannosi per questo effetto alcune martella gravi, e grosse con le punte d’acciaio temperato fortissimamente col sangue di becco, e lavorato a guisa di punte di diamanti, con lequali picchiando minutamente in sul porfido, e scantonandolo a poco a poco il meglio, che si può, si riduce pur finalmente o a tondo, o a piano, come piu aggrada all’artefice con fatica, e tempo non picciolo<,> ma non gia a forma di statue, che di questo non abbiamo la maniera, e si gli dà il [p. 12 modifica]pulimento con lo smeriglio, e col cuoio strofinandolo, che viene di lustro molto pulitamente lavorato, e finito. E ancorche ogni giorno si vadino piu assottigliando gl’ingegni umani, e nuove cose investigando, nondimeno anco i moderni che in diversi tempi hanno, per intagliar’il porfido provato nuovi modi, diverse tempre, e acciai molto ben purgati, hanno come si disse disopra, insino a pochi anni sono<,> faticato in vano. E pur l’anno 1553 avendo il signor’Ascanio Colonna donato a papa Giulio III una tazza antica di porfido bellissima larga sette braccia, il Pontefice, per ornarne la sua vigna, ordinò, mancandole alcuni pezzi, che la fusse restaurata; perche mettendosi mano all’opera, e provandosi molte cose, per consiglio di Michelagnolo Buonarroti, e d’altri eccellentissimi Maestri, dopo molta lunghezza di tempo, fu disperata l’impresa, massimamente non si potendo in modo nessuno salvare alcuni canti vivi, come il bisogno richiedeva. E Michelagnolo, pur avezzo alla durezza de’ sassi, insieme con gl’altri se ne tolse giu, ne si fece altro. Finalmente, poiche niuna altra cosa in questi nostri tempi mancava alla perfezzione delle nostr’Arti, che il modo di lavorare perfettamente il porfido, accioche ne anco questo si abbia a disiderare, si è in questo modo ritrovato. Avendo l’anno 1555 il signor Duca Cosimo condotto dal suo palazzo, e giardino de’ Pitti, una bellissima acqua nel cortile del suo principale palazzo di Firenze, per farvi una fonte di straordinaria bellezza, trovati fra i suoi rottami alcuni pezzi di porfido assai grandi, ordinò, che di quelli si facesse una tazza col suo piede per la detta fonte; e per agevolar’ al maestro il modo di lavorar’il porfido, fece di non so che erbe stillar’un’acqua di tanta virtù, che spegnendovi dentro i ferri bollenti fa loro una tempera durissima. Con questo segreto adunque, secondo’l disegno fatto da me, condusse Francesco del TADDA intagliator da Fiesole la tazza della detta fonte, che è larga due braccia e mezzo di diametro, e insieme il suo piede, in quel modo, che oggi ella si vede nel detto palazzo. Il Tadda, parendogli, che il segreto dategli dal Duca fusse rarissimo, si mise a far prova d’intagliar’alcuna cosa, <e gli> riuscì cosi bene, che in poco tempo ha fatto in tre ovati di mezzo rilievo grandi quanto il naturale il ritratto d’esso Signor Duca Cosimo, quello della Duchessa Leonora, e una testa di Giesu Christo con tanta perfezzione, che i capegli, e le barbe, che sono difficilissimi nell’intaglio, sono condotti di maniera, che gl’antichi non stanno punto meglio. Di queste opere ragionando il Signor Duca con Michelagnolo, quando Sua Eccellenza fu in Roma, non voleva creder’il Buonarroto, che cosi fusse, perche avendo io d’ordine del Duca mandata la testa del Cristo a Roma, fu veduta con molta maraviglia da Michelagnolo, il quale la lodò assai, e si rallegrò molto di veder ne’ tempi nostri la Scultura arricchita di questo rarissimo dono, cotanto in vano insino a oggi disiderato. Ha finito ultimamente il Tadda la testa di Cosimo vecchio de’ Medici in uno ovato, come i detti disopra, e ha fatto, e fa continuamente molte altre somiglianti opere. Restami a dire del porfido, che per essersi oggi smarrite le cave di quello, è per cio necessario servirsi di spoglie, e di frammenti antichi, e di rocchi di colonne, e altri pezzi, e che però bisogna a chi lo lavora avvertire se ha avuto il fuoco, percioche quando l’ha avuto, se bene non perde in tutto il color’, ne si disfa, manca nondimeno pure assai di quella vivezza, che è sua propria, e non piglia mai cosi bene il pulimento, [p. 13 modifica]come quando non l’ha avuto, e<,> che è peggio, quello che ha avuto il fuoco si schianta facilmente quando si lavora. E da sapere ancora, quanto alla natura del porfido, che messo nella fornace, non si cuoce, e non lascia interamente cuocer le pietre, che gli sono intorno, anzi quanto a se incrudelisce, come ne dimostrano le due colonne, che i Pisani l’anno 1117 donarono a’ Fiorentini, dopo l’acquisto di Maiolica, le quali sono oggi alla porta principale del tempio di san Giovanni, non molto bene pulite, e senza colore per avere avuto il fuoco, come nelle sue storie racconta Giovan Villani. Succede al porfido il serpentino, il quale è pietra di color verde scuretta alquanto, con alcune crocette dentro giallette e lunghe per tutta la pietra; della quale nel medesimo modo si vagliano gli artefici, per far colonne e piani per pavimenti per le fabriche, ma di questa sorte non s’è mai veduto figure lavorate, ma si bene infinito numero di base per le colonne, e piedi di tavole, e altri lavori piu materiali. Perche questa sorte di pietra si schianta anchor che sia dura piu che’l porfido, e riesce a lavorarla piu dolce, e men faticosa che’l porfido; e cavasi in Egitto, e nella Grecia, e la sua saldezza ne’ pezzi non è molto grande. Conciosia, che di serpentino non si è mai veduto opera alcuna in maggior pezzo di braccia tre per ogni verso, e sono state tavole, e pezzi di pavimenti. Si è trovato ancora qualche colonna, ma non molto grossa, ne larga. E similmente alcune maschere, e mensole lavorate, ma figure non mai. Questa pietra si lavora nel medesimo modo, che si lavora il porfido.
Piu tenera poi di questa è il cipollaccio, pietra che si cava in diversi luoghi; il quale è di color verde acerbo, e gialletto, e ha dentro alcune macchie nere quadre, picciole e grandi, e cosi bianche alquanto grossette, e si veggono di questa sorte in piu luoghi colonne grosse, e sottili, e porte, e altri ornamenti; ma non figure. Di questa pietra è una fonte in Roma in Belvedere cioè una nicchia in un canto del giardino dove sono le statue del Nilo, e del Tevere<;> la quale nicchia fece far papa Clemente settimo col disegno di Michelagnolo, per ornamento d’un fiume antico, accio in questo campo fatto a guisa di scogli, apparisce, come veramente fa, molto bello. Di questa pietra si fanno ancora, segandola, tavole, tondi, ovati, e altre cose simili, che in pavimenti, e altre forme piane fanno con l’altre pietre bellissima accompagnatura, e molto vago componimento. Questa piglia il pulimento come il porfido, e il serpentino, e ancora si sega come l’altre sorti di pietra dette di sopra, e se ne trovano in Roma infiniti pezzi sotterrati nelle ruine, che giornalmente vengono a luce, e delle cose antiche se ne sono fatte opere moderne, porte, e altre sorti d’ornamenti, che fanno dove elle si mettono ornamento, e grandissima bellezza. Ecci un’altra pietra chiamata mischio dalla mescolanza di diverse pietre congelate insieme, e fatto tutt’una dal tempo, e dalla crudezza dell’acque. E di questa sorte se ne trova copiosamente in diversi luoghi, come ne’ monti di Verona, in quelli di Carrara, e in quei di Prato in Thoscana, e ne’ monti dell’Imprunetta nel contado di Firenze. Ma i piu begli, e migliori si sono trovati, non ha molto, a San Giusto a Monterantoli, lontano da Fiorenza cinque miglia, e di questi me n’ha fatto il Signor Duca Cosimo ornare tutte le stanze nuove del palazzo in porte, e camini, che sono riusciti molto belli; e per lo giardino de’ Pitti se ne sono dal medesimo luogo cavate colonne di braccia [p. 14 modifica]sette bellissime. E io resto maravigliato, che in questa pietra si sia trovata tanta saldezza. Questa pietra, perche tiene d’alberese piglia bellissimo pulimento, e trae in colore di paonazzo rossigno, macchiato di vene bianche, e giallicce. Ma le piu fini sono nella Grecia, e nell’Egitto, dove sono molto piu duri, che i nostri Italiani, e di questa ragion pietra se ne trova di tanti colori, quanto la natura lor madre s’è di continuo dilettata e diletta di condurre a perfetione. Di questi si fatti mischi se ne veggono in Roma ne’ tempi nostri opere antiche, e moderne, come colonne, vasi, fontane, ornamenti di porte, e diverse incrostature per gli edifici, e molti pezzi ne’ pavimenti. Se ne vede diverse sorti di piu colori, chi tira al giallo, e al rosso, alcuni al bianco e al nero, altri al bigio e al bianco pezzato di rosso, e venato di piu colori, cosi certi rossi<,> verdi<,> neri, e bianchi, che sono orientali; e di questa sorte pietra n’ha un pilo antichissimo largo braccia quattro e mezzo il Signor Duca al suo Giardino de’ Pitti, che è cosa rarissima, per esser come s’è detto orientale di mischio bellissimo, e molto duro a lavorarsi. E cotali pietre sono tutte di specie piu dura, e piu bella di colore, e piu fine, come ne fanno fede oggi due colonne di braccia dodici di altezza nella entrata di San Pietro di Roma, lequali reggono le prime navate, e una n’è da una banda, l’altra dall’altra. Di questa sorte quella ch’è ne’ monti di Verona, è molto piu tenera che l’orientale infinitamente, e ne cavano in questo luogo d’una sorte, ch’è rossiccia, e tira in color ceciato, e queste sorti si lavorano tutte bene a’ giorni nostri con le tempere e co’ ferri, si come le pietre nostrali, e se ne fa e finestre, e colonne, e fontane, e pavimenti, e stipidi per le porte, e cornici, come ne rende testimonanza la Lombardia, anzi tutta la Italia.
Trovasi un’altra sorte di pietra durissima molto piu ruvida, e picchiata di neri e bianchi, e tal volta di rossi, dal tiglio, e dalla grana di quella, comunemente detta granito. Della quale si truova nello Egitto saldezze grandissime, e da cavarne altezze incredibili, come oggi si veggono in Roma negli obelischi, aguglie, piramidi, colonne, e in que’ grandissimi vasi de’ bagni, che abbiamo a San Piero in Vincola, e a San Salvatore del Lauro, e a San Marco, e in colonne quasi infinite, che per la durezza, e saldezza loro non hanno temuto fuoco, ne ferro. E il tempo istesso, che tutte le cose caccia a terra, non solamente non le ha distrutte, ma ne pur cangiato loro il colore. E per questa cagione gli Egittij se ne servivano per i loro morti, scrivendo in queste aguglie, coi caratteri loro strani la vita de<’> grandi, per mantener la memoria della nobiltà e virtù di quegli. Venivane d’Egitto medesimamente d’una altra ragione bigio, il quale trae piu in verdiccio i neri e i picchiati bianchi; molto duro certamente, ma non si, che i nostri scarpellini per la fabricha di San Pietro non abbiano delle spoglie che hanno trovato messe in opera, fatto si che con le tempere de’ ferri, che ci sono al presente, hanno ridotto le colonne, e l’altre cose a quella sottigliezza ch’hanno voluto, e datoli bellissimo pulimento come al porfido. Di questo granito bigio è dotata la Italia in molte parti, ma le maggiori saldezze, che si trovino, sono nell’isola dell’Elba, dove i Romani tennero di continuo uomini a cavare infinito numero di questa pietra. E di questa sorte ne sono parte le colonne del portico della Ritonda, lequali son molto belle, e di grandezza straordinaria, e vedesi, che [p. 15 modifica]nella cava, quando si taglia, è piu tenero assai, che quando è stato cavato, e che vi si lavora con piu facilità. Vero è che bisogna per la maggior parte lavorarlo con martelline, che abbiano la punta, come quelle del porfido, e nelle gradine una dentatura tagliente dall’altro lato. D’un pezzo della qual sorte pietra che era staccato dal masso, n’ha cavato il Duca Cosimo una tazza tonda di larghezza di braccia dodici, per ogni verso, e una tavola della medesima lunghezza, per lo palazzo, e giardino de’ Pitti. Cavasi del medesimo Egitto, e di alcuni luoghi di Grecia anchora certa sorte di pietra nera detta paragone, laquale ha questo nome, perche volendo saggiar l’oro s’arruota su quella pietra, e si conosce il colore, e per questo paragonandovi su vien detto paragone. Di questa è un<’>altra specie di grana, e di un altro colore, perche non ha il nero morato affatto, e non è gentile, che ne fecero gli antichi alcune di quelle sphingi, e altri animali, come in Roma in diversi luoghi si vede, e di maggior saldezza una figura in parione d’uno Ermaphrodito accompagnata da un’altra statua di porfido bellissima. Laqual pietra è dura a intagliarsi, ma è bella straordinariamente, e piglia un lustro mirabile. Di questa medesima sorte se ne trova anchora in Thoscana ne’ monti di Prato, vicino a Fiorenza a x miglia, e cosi ne’ monti di Carrara, della quale alle sepolture moderne se ne veggono molte casse, e dipositi per i morti, come nel Carmine di Fiorenza alla capella maggiore, dove è la sepoltura di Piero Soderini (se bene non vi è dentro) di questa pietra, e un padiglione similmente di paragon di Prato tanto ben lavorato, e cosi lustrante, che pare un raso di seta, e non un sasso intagliato, e lavorato. Cosi ancora nella incrostatura di fuori del tempio di Santa Maria del Fiore di Fiorenza, per tutto lo edificio è una altra sorte di marmo nero, e marmo rosso, che tutto si lavora in un medesimo modo. Cavasi alcuna sorte di marmi in Grecia, e in tutte le parti d’Oriente, che son bianchi, e gialleggiano, e traspaiono molto, iquali erano adoperati da gli antichi per bagni, e per stuffe, e per tutti que’ luoghi, dove il vento potesse offendere gli abitatori. E oggi se ne veggono ancora alcune finestre nella tribuna di San Miniato a Monte, luogo de’ monaci di Monte Oliveto in su le porte di Firenza, che rendono chiarezza, e non vento. E con questa inventione riparavano al freddo, e facevano lume alle abitationi loro. In queste cave medesime cavavano altri marmi senza vene, ma del medesimo colore, del quale eglino facevano le piu nobili statue. Questi marmi di tiglio e di grana erano finissimi, e se ne servivano anchora tutti quegli, che intagliavano capitegli, ornamenti, e altre cose di marmo per l’architettura; e vi eran saldezze grandissime di pezzi, come appare ne’ Giganti di Monte Cavallo di Roma, e nel Nilo di Belvedere, e in tutte le piu degne, e celebrate statue. E si conoscono esser Greche, oltra il marmo, alla maniera delle teste, e alla acconciatura del capo, e a i nasi delle figure, iquali sono dall’appiccatura delle ciglia alquanto quadri fino alle nare del naso. E questo si lavora coi ferri ordinarij, e coi trapani, e si gli dà il lustro con la pomice e col gesso di Tripoli<,> col cuoio, e struffoli di paglia.
Sono nelle montagne di Carrara, nella Carfagniana vicino a i monti di Luni, molte sorti di marmi, come marmi neri, e alcuni che traggono in bigio, e altri che sono mischiati di rosso, e alcuni altri, che son con vene bigie, [p. 16 modifica]che sono crosta sopra a marmi bianchi; perche non son purgati, anzi offesi dal tempo, dall’acqua, e dalla terra, piglian quel colore. Cavansi anchora altre specie di marmi, che son chiamati cipollini, e saligni, e campanini, e mischiati, e per lo piu una sorte di marmi bianchissimi, e lattati, che sono gentili, e in tutta perfezzione per far le figure. E vi s’è trovato da cavare saldezze grandissime, e se n’è cavato anchora a giorni nostri pezzi di nove braccia per far giganti; e d’un medesimo sasso, ancora se ne sono cavati a’ tempi nostri due, l’uno fu il Davitte, che fece Michelagnolo Buonarroto, il quale è alla porta del palazzo del Duca di Fiorenza, e l’altro l’Ercole e Cacco, che di mano del Bandinello sono all’altro lato della medesima porta. Un altro pezzo ne fu cavato pochi anni sono di braccia nove, perche il detto Baccio Bandinello ne facesse un Nettuno, per la fonte che il Duca fa fare in piazza. Ma essendo morto il Bandinello è stato dato poi all’Ammannato scultore Eccellente perche ne faccia similmente un Nettuno. Ma di tutti questi marmi quelli della cava detta del Polvaccio, ch’è nel medesimo luogo, sono con manco macchie, e smerigli, e senza que’ nodi, e noccioli, che il piu delle volte sogliono esser nella grandezza de’ marmi, e recar non piccola difficultà a chi gli lavora, e bruttezza nell’opere, finite che sono le statue. Si sono ancora dalle cave di Seravezza in quel di Pietrasanta avute colonne della medesima altezza, come si puo vedere una di molte, che avevano a essere nella facciata di San Lorenzo di Firenze, quale è oggi abbozzata fuor della porta di detta Chiesa: dove l’altre sono parte alla cava rimase, e parte alla marina. Ma tornando alle cave di Pietrasanta dico che in quelle s’essercitarono tutti gli antichi: e altri marmi che questi, non adoperarono per fare que’ maestri, che furon si eccellenti, le loro statue; essercitandosi di continuo, mentre si cavavono le lor pietre per far le loro statue, in fare ne’ sassi medesimi delle cave bozze di figure, come anchora oggi se ne veggono le vestigia di molte in quel luogo. Di questa sorte adunque cavano oggi i moderni le loro statue, e non solo per il servitio della Italia, ma se ne manda in Francia, in Inghilterra, in Ispagna, e in Portogallo; come appare oggi per la sepoltura fatta in Napoli da Giovan da Nola scultore eccellente a Don Pietro di Toledo Vicerè di quel regno, che tutti i marmi gli furon donati e condotti in Napoli dal Signor Duca Cosimo de Medici. Questa sorte di marmi ha in se saldezze maggiori, e piu <pastose e morbide a lavorarle> , e se le dà bellissimo pulimento, piu ch’ad altra sorte di marmo. Vero è, che si viene tal volta a scontrarsi in alcune vene domandate da gli scultori smerigli, iquali sogliono rompere i ferri. Questi marmi si abbozzano con una sorte di ferri chiamati subbie, che hanno la punta a guisa di pali a facce e piu grossi e sottili; e di poi seguitano con scarpelli detti calcagniuoli; iquali nel mezzo del taglio hanno una tacca, e cosi con piu sottili di mano in mano, che abbiano piu tacche, e gli intaccano quando sono arruotati con uno altro scarpello. E questa sorte di ferri chiamano gradine, perche con esse vanno gradinando e riducendo a fine le lor figure; dove poi con lime di ferro diritte e torte vanno levando le gradine, che son restate nel marmo, e cosi poi con la pomice arrotando a poco a poco gli fanno la pelle che vogliono e tutti gli strafori che fanno, per non intronare il marmo gli fanno con trapani di minore e maggior grandezza, e di peso di dodici [p. 17 modifica]libre l’uno, e qualche volta venti, che di questi ne hanno di piu sorte, per far maggiori e minori buche, e gli servon questi per finire ogni sorte di lavoro, e condurlo a perfettione. De’ marmi bianchi venati di bigio gli scultori e gli architetti ne fanno ornamenti per porte, e colonne per diverse case, servonsene per pavimenti, e per incrostatura nelle lor fabriche, e gli adoperano a diverse sorti di cose; similmente fanno di tutti i marmi mischiati. I marmi cipollini sono un’altra specie di grana, e colore differente, e di questa sorte n’è anchora altrove che a Carrara, e questi il piu pendono in verdiccio, e son pieni di vene, che servono per diverse cose, e non per figure. Quegli che gli scultori chiamano saligni, che tengono di congelatione di pietra, per esservi que’ lustri ch’appariscono nel sale, e traspaiono alquanto, è fatica assai a farne le figure, perche hanno la grana della pietra ruvida e grossa: e perche ne’ tempi umidi gocciano acqua di continuo, o vero sudano. Quegli, che si dimandano campanini, son quella sorte di marmi, che suonano quando si lavorano, e hanno un certo suono piu acuto degli altri; questi son duri, e si schiantano piu facilmente, che l’altre sorti sudette, e si cavano a Pietrasanta. A Seravezza ancora in piu luoghi, e a Campiglia si cavano alcuni marmi, che sono per la maggior parte bonissimi per lavoro di quadro, e ragionevoli ancora alcuna volta per statue; e in quel di Pisa, al monte a San Giuliano, si cava similmente una sorte di marmo bianco, che tiene d’alberese, e di questi è incrostato di fuori il Duomo, e il Camposanto di Pisa, oltre a molti altri ornamenti che si veggono in quella città fatti del medesimo. E perche gia si conducevano i detti marmi del monte a San Giuliano in Pisa con qualche incommodo, e spesa, oggi avendo il Duca Cosimo, cosi per sanare il paese, come per agevolare il condurre i detti marmi, e altre pietre, che si cavano di que’ monti, messo in canale diritto il fiume d’Osoli, e altre molte acque, che sorgeano in que’ piani con danno del paese, si potranno agevolmente per lo detto canale condurre i marmi, o lavorati, o in altro modo con picciolissima spesa, e con grandissimo utile di quella città, che è poco meno, che tornata nella pristina grandezza, mercè del detto Signor Duca Cosimo, che non ha cura, che maggiormente lo prema, che d’aggrandire, e rifar quella Città, che era assai mal condotta innanzi, che ne fusse sua Eccellenza Signore.
Cavasi un<’>altra sorte di pietra chiamata trevertino, il quale serve molto per edificare, e fare anchora intagli di diverse ragioni, che per Italia in molti luoghi se ne va cavando, come in quel di Lucca, e a Pisa, e in quel di Siena da diverse bande; ma le maggiori saldezze, e le migliori pietre, cio è quelle che son piu gentili, si cavano in sul fiume del Teverone a Tigoli, ch’è tutta specie di congelatione d’acque, e di terra, che per la crudezza, e freddezza sua non solo congela, e petrifica la terra, ma i ceppi, i rami, e le fronde de gli alberi. E per l’acqua, che riman dentro, non si potendo finire di asciugare, quando elle son sotto l’acqua, vi rimangono i pori della pietra cavati, che pare spugnosa, e buccheraticcia egualmente di dentro, e di fuori. Gli antichi di questa sorte pietra fecero le piu mirabili fabriche, e edifici che facessero, come sono i Colisei, e l’Erario da San Cosmo e Damiano, e molti altri edifici, e ne mettevano ne’ fondamenti delle lor fabriche infinito numero; e lavorandoli non furon molto curiosi di farli finire, ma se ne servivano [p. 18 modifica]rusticamente. E questo forse facevano perche hanno in se una certa grandezza, e superbia. Ma ne’ giorni nostri s’è trovato chi gli ha lavorati sottilissimamente, come si vide gia in quel tempio tondo, che cominciarono, e non finirono salvo che tutto il basamento, in sulla piazza di San Luigi <de’> Francesi in Roma, il quale fu condotto da un Francese chiamato Maestro Gian, che studiò l’arte dello intaglio in Roma, e divenne tanto raro, che fece il principio di questa opera, la quale poteva stare al paragone di quante cose eccellenti antiche, e moderne, che si sian viste d’intaglio di tal pietra, per aver straforato sfere di astrologi, e alcune salamandre nel fuoco<,> imprese reali, e in altre, libri aperti con le carte lavorati con diligenza, trofei, e maschere, le quali rendono dove sono testimonio della eccellenza, e bontà da poter lavorarsi quella pietra simile al marmo, anchor che sia rustica. E recasi in se una gratia per tutto, vedendo quella spugnosità de’ buchi unitamente, che fa bel vedere. Il qual principio di tempio, essendo imperfetto fu levato dalla Nazione Franzese, e le dette pietre e altri lavori di quello, posti nella facciata della Chiesa di san Luigi, e parte in alcune capelle, dove stanno molto bene accomodate, e riescono bellissimi. Questa sorte di pietra è bonissima per le muraglie avendo sotto squadratola o scorniciata; perche si può incrostarla di stucco, con coprirla con esso, e intagliarvi cio ch’altri vuole, come fecero gli antichi nelle entrate publiche del Culiseo, e in molti altri luoghi, e come ha fatto a’ giorni nostri Antonio da San Gallo nella sala del palazzo del papa dinanzi alla capella, dove ha incrostato di trevertini con stucco, con vari intagli eccellentissimamente. Ma piu d’ogni altro Maestro ha nobilitata questa pietra Michelangelo Buonaroti nell’ornamento del cortile di casa Farnese, avendovi con maraviglioso giudizio fatto d’essa pietra far finestre, maschere, mensole, e tante altre simili bizzarrie, lavorate tutte come si fa il marmo, che non si può veder alcuno altro simile ornamento piu bello. E se queste cose son rare, è stupendissimo il cornicione maggiore del medesimo palazzo nella facciata dinanzi, non si potendo alcuna cosa ne piu bella, ne piu magnifica disiderare. Della medesima pietra ha fatto similmente Michilagnolo nel di fuori della fabrica di San Piero, certi tabernacoli grandi, e dentro<,> la cornice che gira intorno alla tribuna, con tanta pulitezza, che non si scorgendo in alcun luogo le commettiture può conoscer ognuno agevolmente quanto possiamo servirci di questa sorte pietra. Ma quello, che trapassa ogni maraviglia, è che avendo fatto di questa pietra la volta d’una delle tre tribune del medesimo San Pietro sono commessi i pezzi di maniera, che non solo viene collegata benissimo la fabrica, con vari sorti di commettiture, ma pare a vederla da terra tutta lavorata d’un pezzo. Ecci un’altra sorte di pietre che tendono al nero; e non servono a gli Architettori se non a lastricare tetti. Queste sono lastre sottili, prodotte a suolo a suolo dal tempo e dalla natura, per servizio degli uomini, che ne fanno anchora pile, murandole talmente insieme che elle commettino l’una nel altra, e le empiono d’olio secondo la capacità de’ corpi di quelle, e sicurissimamente ve lo conservano. Nascono queste nella riviera di Genova, in un luogo detto Lavagna, e se ne cavano pezzi lunghi x braccia, e i Pittori se ne servono a lavorarvi su le pitture a olio, perche elle vi si conservano su molto piu lungamente, che nelle altre cose, come al suo luogo si ragionerà [p. 19 modifica]ne’ capitoli della pittura. Aviene questo medesimo de la pietra detta piperno, da molti detta preperigno<,> pietra nericcia e spugnosa come il trevertino, la quale si cava per la campagna di Roma, e se ne fanno stipiti di finestre, e porte in diversi luoghi, come a Napoli e in Roma, e serve ella anchora a’ Pittori a lavorarvi su a olio, come al suo luogo racconteremo; è questa pietra alidissima, e ha anzi dell’arsiccio che no. Cavasi anchora in Istria una pietra biancha livida, laquale molto agevolmente si schianta, e di questa sopra di ogni altra si serve non solamente la Città di Vinegia, ma tutta la Romagna anchora, facendone tutti i loro lavori, e di quadro e d’intaglio. E con sorte di stromenti e ferri, piu lunghi che gli altri, la vanno lavorando; massimamente con certe martelline, andando secondo la falda della pietra, per essere ella molto frangibile. E di questa sorte pietra ne ha messo in opera una gran copia Messer Iacopo Sansovino, il quale ha fatto in Vinegia lo edificio Dorico della Panatteria, e il Thoscano alla Zecca in sulla piazza di San Marco. E cosi tutti i lor lavori vanno facendo per quella città, e porte, finestre, cappelle, e altri ornamenti, che lor vien comodo di fare; non ostante, che da Verona per il fiume dello Adige abbiano comodità di condurvi i mischi, e altra sorte di pietre; delle quali poche cose si veggono, per aver piu in uso questa. Nella quale spesso vi commettono dentro porfidi, serpentini, e altre sorti di pietre mischie, che fanno, accompagnate con esse, bellissimo ornamento. Questa pietra tiene d’alberese, come la pietra da calcina d<’>i nostri paesi, e come si è detto agevolmente si schianta. Restaci la pietra serena, e la bigia detta macigno, e la pietra forte, che molto s’usa per Italia, dove son monti, e massimamente in Thoscana, per lo piu in Fiorenza, e nel suo dominio. Quella ch’eglino chiamano pietra serena, è quella sorte che trae in azurrigno, o vero tinta di bigio, della quale n’è ad Arezzo cave in piu luoghi, a Cortona, a Volterra, e per tutti gli Appennini; e ne’ monti di Fiesole è bellissima, per esservisi cavato saldezze grandissime di pietre, come veggiamo in tutti gli edifici, che sono in Firenze fatti da Filippo di Ser Brunellesco, il quale fece cavare tutte le pietre di San Lorenzo, e di Santo Spirito, e altre infinite, che sono in ogni edificio per quella città. Questa sorte di pietra è bellissima a vedere, ma dove sia umidità, e vi piova su, o abbia ghiacciati adosso, si logora, e si sfalda; ma al coperto ella dura in infinito. Ma molto piu durabile di questa, e di piu bel colore, è una sorte di pietra azurrigna, che si dimanda oggi la pietra del fossato; la quale quando si cava il primo filare, è ghiaioso e grosso, il secondo mena nodi, e fessure, il terzo è mirabile, perche è piu fine. Della qual pietra Micheleagnolo s’è servito nella Libreria, e Sagrestia di San Lorenzo, per papa Clemente, per esser gentile di grana, e ha fatto condurre le cornici, le colonne, e ogni lavoro, con tanta diligenza, che d’argento non resterebbe si bella. E questa piglia un pulimento bellissimo, e non si può desiderare in questo genere cosa migliore. E percio fu gia in Fiorenza ordinato per legge, che di questa pietra non si potesse adoperare se non in fare edifizi publici, o con licenza di chi governasse. Della medesima n’ha fatto assai mettere in opera il Duca Cosimo, cosi nelle colonne e ornamenti della loggia di Mercato nuovo, come nell’opera dell’Udienza, cominciata nella sala grande del palazzo dal Bandinello, e nell’altra, che è a quella dirimpetto; [p. 20 modifica]ma gran quantità piu che in alcuno altro luogo sia stato fatto giamai, n’ha fatto mettere Sua Eccellenza nella strada de’ Magistrati, che fa condurre col disegno, e ordine di Giorgio Vasari Aretino. Vuole questa sorte di pietra il medesimo tempo a esser lavorata, che il marmo, e è tanto dura che ella regge all’acqua, e si difende assai dall’altre ingiurie del tempo. Fuor di questa n’è un’altra specie, ch’è detta pietra serena per tutto il monte, ch’è piu ruvida e piu dura, e non è tanto colorita; che tiene di specie di nodi della pietra; la quale regge all’acqua, al ghiaccio, e se ne fa figure, e altri ornamenti intagliati. E di questa n’è la Dovitia<,> figura di man di Donatello in su la colonna di Mercato vecchio in Fiorenza, cosi molte altre statue fatte da persone eccellenti non solo in quella città, ma per il dominio. Cavasi per diversi luoghi la pietra forte, la qual regge all’acqua, al Sole, al ghiaccio, e a ogni tormento; e vuol tempo a lavorarla, ma si conduce molto bene; e non v’è molte gran saldezze. Della qual se n’è fatto, e per i Gotthi, e per i moderni i piu belli edifici, che siano per la Toscana, come si puo vedere in Fiorenza nel ripieno de’ due archi, che fanno le porte principali dell’oratorio d’Orsanmichele, i quali sono veramente cose mirabili e con molta diligenza lavorate. Di questa medesima pietra sono similmente per la Città, come s’è detto, molte statue, e arme, come intorno alla fortezza, e in altri luoghi si può vedere. Questa ha il colore alquanto gialliccio, con alcune vene di bianco sottilissime, che le danno grandissima gratia; e cosi se n’è usato fare qualche statua ancora, dove abbiano a essere fontane, perche reggano all’acqua. E di questa sorte pietra è murato il Palagio de’ Signori, la Loggia, Orsanmichele, e il di dentro di tutto il corpo di Santa Maria del Fiore, e cosi tutti i ponti di quella città, il palazzo de’ Pitti, e quello de gli Strozzi. Questa vuole esser lavorata con le martelline, perch’è piu soda; e cosi l’altre pietre sudette vogliono esser lavorate nel medesimo modo, che s’è detto del marmo, e dell’altre sorti di pietre. Imperò nonostante le buone pietre, e le tempere de’ ferri, è di necessità l’arte, intelligenza, e giudicio di coloro, che le lavorano, perch’è grandissima differenza ne gli artefici, tenendo una misura medesima da mano a mano, in dar gratia, e bellezza all’opere, che si lavorano. E questo fa discernere, e conoscere la perfettione del fare da quegli che sanno, a quei che manco sanno. Per consistere adunque tutto il buono e la bellezza delle cose estremamente lodate ne gli estremi della perfettione che si dà alle cose, che tali son tenute da coloro che intendono, bisogna con ogni industria ingegnarsi sempre di farle perfette e belle, anzi bellissime e perfettissime. [p. 21 modifica]

De’ cinque ordini d’architettura: Rustico, Dorico, Ionico, Corinto, composto, e del lavoro Tedesco. Cap. III.


I
L lavoro chiamato Rustico è piu nano e di piu grossezza che tutti gl’altri ordini, per essere il principio, e fondamento di tutti; e si fa nelle modanature delle cornici piu semplici, e per conseguenza piu bello, cosi ne’ capitelli e base, come in ogni suo membro. I suoi zoccoli, o piedistalli che gli vogliam chiamare, dove posano le colonne, sono quadri di proporzione, con l’avere da piè la sua fascia soda, e cosi un’altra di sopra che lo ricinga in cambio di cornice. L’altezza della sua colonna si fa di sei teste, a imitatione di persone nane e atte a regger peso; e di questa sorte se ne vede in Toscana molte logge pulite e alla rustica<,> con bozze e nicchie fra le colonne e senza, e cosi molti portichi che gli costumarono gli antichi nelle lor ville; e in campagna se ne vede anchora molte sepolture, come a Tigoli e a Pozzuolo. Servironsi di questo ordine gli antichi per porte, finestre, ponti, acquidotti, erarij, castelli, torri e rocche da conservar munitione e artiglieria, e porti di mare, prigioni e fortezze, dove si fa cantonate a punte di diamanti e a piu facce bellissime. E queste si fanno spartite in vari modi, cioè o bozze piane, per non fare con esse scala alle muraglie, perche agevolmente si salirebbe quando le bozze avessono, come diciamo noi<,> troppo agetto, o in altre maniere, come si vede in molti luoghi, e massimamente in Fiorenza nella facciata dinanzi e principale della cittadella maggiore, che Alessandro primo Duca di Fiorenza fece fare; la quale per rispetto dell’impresa de’ Medici, è fatta a punte di diamante e di palle schiacciate, e l’una e l’altra di poco rilievo. Il qual composto tutto di palle e di diamanti uno allato all’altro, è molto ricco e vario e fa bellissimo vedere. E di questa opera n’è molto per le ville de’ Fiorentini, portoni, entrate e case e palazzi, dove e’ villeggiono; che non solo recano bellezza e ornamento infinito a quel contado, ma utilità, e commodo grandissimo a i cittadini. Ma molto piu è dotata la città di fabriche stupendissime fatte di bozze, come quella di casa Medici, la facciata del palazzo de’ Pitti, quello degli Strozzi, e altri infiniti. Questa sorte di edificij tanto quanto piu sodi e semplici si fanno, e con buon disegno, tanto piu maestria e bellezza vi si conosce dentro; [p. 22 modifica]et è necessario, che questa sorte di fabrica sia piu eterna e durabile di tutte l’altre, avvenga che sono i pezzi delle pietre maggiori, e molto migliori le commettiture, dove si va collegando tutta la fabrica con una pietra che lega l’altra pietra. E perche elle son pulite e sode di membri, non hanno possanza i casi di fortuna o del tempo nuocergli tanto rigidamente, quanto fanno alle altre pietre intagliate e traforate, o come dicono i nostri, campate in aria dalla diligenza degli intagliatori.

L’ordine Dorico fu il piu massiccio ch’avesser’i Greci, e piu robusto di fortezza e di corpo, e molto piu degl’altri loro ordini collegato insieme; e non solo i Greci, ma i Romani ancora dedicarono questa sorte di edificij a quelle persone che erano armigeri, come Imperatori d’eserciti, consoli, e pretori; ma agli Dei loro molto maggiormente, come a Giove, Marte, Ercole e altri, avendo sempre avvertenza di distinguere, secondo il lor genere, la differenza della fabrica o pulita o intagliata o piu semplice o piu ricca, accioche si potesse conoscere da gli altri il grado e la differenza fra gl’Imperatori, o di chi faceva fabricare. E per ciò si vede all’opere che feciono gl’antichi essere stata usata molta arte ne’ componimenti delle loro fabriche, e che le modanature delle cornici doriche hanno molta gratia, e ne’ membri unione e bellezza grandissima. E vedesi ancora che la proporzione ne’ fusi delle colonne di questa ragione è molto ben intesa, come quelle che non essendo ne grosse grosse ne sottili sottili hanno forma somigliante, come si dice<’> alla persona d’Ercole, mostrando una certa sodezza molto atta a regger’il peso degli architravi, fregi, cornici e il rimanente di tutto l’edificio che va sopra. E perche questo ordine, come piu sicuro e piu fermo degl’altri è sempre piacciuto molto al Signor Duca Cosimo, egli ha voluto che la fabrica, che mi fa far con grandissimo ornamento di pietra per tredici Magistrati civili della sua città e dominio, a canto al suo palazzo insino al fiume d’Arno, sia di forma Dorica. Onde per ritornare in uso il vero modo di fabricare, il quale vuole che gl’architravi spianino sopra le colonne, levando via la falsità de girare gl’archi delle logge sopra i capitelli, nella facciata dinanzi ho seguitato il vero modo che usarono gl’antichi, come in questa fabrica si vede. E perche questo modo di fare è stato da gl’architetti passati fuggito, percioche gli architravi di pietra, che d’ogni sorte si trovano antichi e moderni si veggono tutti, o la maggior parte, essere rotti nel mezzo, nonostante che sopra il sodo delle colonne, dell’architrave, fregio e cornice siano archi di mattoni piani che non toccano e non aggravano<,> io dopo molto avere considerato il tutto, ho finalmente trovato un modo bonissimo di mettere in uso il vero modo di far con sicurezza degl’architravi detti che non patiscono in alcuna parte, e rimane il tutto saldo e sicuro quanto piu non si puo desiderare, si come la sperienza ne dimostra. Il modo dunque è questo che qui di sotto si dirà a beneficio del mondo e degl’artefici. Messe su le colonne e sopra i capitelli gl’architravi, che si stringono nel mezzo del diritto della colonna l’un l’altro<,> si fa un dado quadro, essempigratia: se la colonna è un braccio grossa, e l’architrave similmente largo e alto, facciasi simile il dado del fregio, ma dinanzi gli resti nella faccia un ottavo per la commettitura del piombo, e un altro ottavo o piu sia intaccato di dentro il dado a quartabuono da ogni banda. Partito poi nell’intercolonnio il fregio in tre parti, le due dalle bande si augnino [p. 23 modifica]a quartabuono in contrario, che ricresca di dentro, accio si stringa nel dado, e serri a guisa d’arco. E dinanzi la grossezza dell’ottavo vada a piombo, e il simile faccia l’altra parte di là all’altro dado. E cosi si faccia sopra la colonna, che il pezzo del mezzo di detto fregio stringa di dentro, e sia intaccato a quartabuono insino a mezo. L’altra meza sia squadrata, e diritta, e messa a cassetta, perche stringa a uso d’arco, mostrando di fuori essere murata diritta. Facciasi poi, che le pietre di detto fregio non posino sopra l’architrave e non s’accostino un dito, percioche facendo arco viene a reggersi da se, e non caricar l’architrave. Facciasi poi dalla parte di dentro, per ripieno di detto fregio, un arco piano di mattoni alto quanto il fregio, che stringa fra dado e dado sopra le colonne. Facciasi dipoi un pezzo di cornicione largo quanto il dado sopra le colonne, il quale abbia le commettiture dinanzi come il fregio, e di dentro sia detta cornice, come il dado a quartabuono, usando diligenza, che si faccia, come il fregio, la cornice di tre pezzi, de’ quali due dalle bande stringhino di dentro a cassetta il pezzo di mezzo della cornice sopra il dado del fregio. E avertasi che il pezzo di mezzo della cornice vada per canale a cassetta<,> in modo che stringa in due pezzi dalle bande e serri a guisa d’arco. E in questo modo di far può veder ciascuno che il fregio si regge da se, e cosi la cornice, la quale posa quasi tutta in sull’arco di mattoni. E cosi aiutandosi ogni cosa da per se, non viene a regger l’architrave altro che il peso di se stesso<,> senza pericolo di rompersi giamai per troppo peso. E perche la sperienza ne dimostra questo modo esser sicurissimo, ho voluto farne particulare mentione a commodo e beneficio universale, e massimamente conoscendosi che il mettere, come gl’antichi fecero, il fregio e la cornice sopra l’architrave, che egli si rompe in spatio di tempo e forse per accidente di terremuoto o d’altro, non lo defendendo a bastanza l’arco che si fa sopra il detto cornicione. Ma girando archi sopra le cornici fatte in questa forma, incatenandolo al solito di ferri, assicura il tutto da ogni pericolo e fa eternamente durar l’edificio.

Diciamo adunque per tornar a proposito, che questa sorte di lavoro si può usare solo da se, e anchora metterlo nel secondo ordine da basso sopra il Rustico, e alzando mettervi sopra un altro ordine variato, come Ionico o Corinto o composto, nella maniera che mostrarono gli antichi nel Culiseo di Roma, nel quale ordinatamente usarono arte e giudicio. Perche avendo i Romani trionfato non solo de’ Greci, ma di tutto il mondo, misero l’opera composta in cima, per averla i Thoscani composta di piu maniere, e la misero sopra tutte come superiore di forza, gratia e bellezza, e come piu apparente dell’altre avendo a far corona all’edificio, che per esser ornata di be<’> membri, fa nell’opra un finimento onoratissimo e da non desiderarlo altrimenti. E per tornare al lavoro Dorico, dico, che la colonna si fa di sette teste d’altezza, e il suo zoccolo ha da essere poco manco d’un quadro e mezo di altezza, e larghezza un quadro, facendoli poi sopra le sue cornici e di sotto la sua fascia col bastone e due piani, secondo che tratta Vitruvio; e la sua base, e capitello tanto d’altezza una quanto l’altra, computando del capitello dal collarino in su; la cornice sua col fregio e architrave appiccata, risaltando a ogni dirittura di colonna con que’ canali che gli chiamano tigrifi ordinariamente, che vengono partiti fra un risalto e l’altro un quadro, dentrovi o teste [p. 24 modifica]di buoi secche, o trofei o maschere o targhe o altre fantasie. Serra l’architrave risaltando con una lista i risalti, e da piè fa un pianetto sottile tanto quanto tiene il risalto, a piè del quale fanno sei campanelle per ciascuno, chiamate gocce da gli antichi. E se si ha da vedere la colonna accanalata nel Dorico, vogliono essere venti facce in cambio de<’> canali, e non rimanere fra canale e canale altro che il canto vivo. Di questa ragione opera n’è in Roma al foro Boario, ch’è ricchissima, e d’un’altra sorte le cornici e gli altri membri al Teatro di Marcello, dove oggi è la piazza Montanara, nella quale opera non si vede base, e quelle che si veggono son Corinte. Et è openione che gli antichi non le facessero, e in quello scambio vi mettessero un dado tanto grande quanto teneva la base. E di questo n’è il riscontro a Roma al carcere Tulliano, dove son capitelli ricchi di membri piu che gli altri che si sian visti nel Dorico. Di questo ordine medesimo n’ha fatto Antonio da San Gallo il cortile di casa Farnese in campo di Fiore a Roma, il quale è molto ornato e bello; benche continuamente si veda di questa maniera tempij antichi e moderni e cosi palazzi, i quali per la sodezza e collegatione delle pietre son durati e mantenuti piu che non hanno fatti tutti gli altri edificij. L’ordine Ionico per esser piu svelto del Dorico fu fatto da gli antichi a imitatione delle persone che sono fra il tenero e il robusto, e di questo rende testimonio l’averlo essi adoperato e messo in opera ad Apolline, a Diana e a Bacco e qualche volta a Venere. Il zoccolo che regge la sua colonna lo fanno alto un quadro e mezo e largo un quadro, e le cornici sue di sopra e di sotto secondo questo ordine. La sua colonna è alta otto teste, e la sua base è doppia con due bastoni, come la descrive Vitruvio al terzo libro al terzo capo, e il suo capitello sia ben girato con le sue volute o cartocci o viticci, che ogniun se gli chiami, come si vede al Theatro di Marcello in Roma sopra l’ordine Dorico; cosi la sua cornice adorna di mensole e di dentelli, e il suo fregio con un poco di corpo tondo. E volendo accanalare le colonne, vogliono essere il numero de<’> canali ventiquatro, ma spartiti talmente che ci resti fra l’un canale e l’altro la quarta parte del canale, che serva per piano. Questo ordine ha in se bellissima gratia e leggiadria e se ne costuma molto fra gli architetti moderni. Il lavoro Corinto piacque universalmente molto a’ Romani, e se ne dilettarono tanto ch’e<’> fecero di questo ordine le piu ornate e onorate fabriche per lasciar memoria di loro; come appare nel tempio di Tigoli in sul Teverone, e le spoglie del tempio della pace, e l’arco di Pola, e quel del porto d’Ancona. Ma molto piu è bello il Pantheon, cioè la Ritonda di Roma, il quale è il piu ricco e’l piu ornato di tutti gli ordini detti di sopra. Fassi il zoccolo, che regge la colonna, di questa maniera, largo un quadro e due terzi, e la cornice di sopra e di sotto a proporzione, secondo Vitruvio; fassi l’altezza della colonna nove teste con la sua basa e capitello, il quale sarà d’altezza tutta la grossezza della colonna da piè, e la sua basa sarà la metà di detta grossezza, la quale usarono gli antichi intagliare in diversi modi. E l’ornamento del capitello sia fatto co’ suoi vilucchi e le sue foglie, secondo che scrive Vitruvio nel quarto libro, dove egli fa ricordo essere stato tolto questo capitello dalla sepoltura d’una fanciulla Corinta. Seguitisi il suo architrave, fregio e cornice con le misure descritte da lui, tutte intagliate con le mensole e u<o>voli e altre sorti d’intagli sotto il [p. 25 modifica]gocciolatoio. E i fregi di quest’opera si possono fare intagliati tutti con fogliami e ancora farne de<’> puliti o vero con lettere dentro, come erano quelle al portico della Ritonda<,> di bronzo commesso nel marmo. Sono i canali nelle colonne di questa sorte a numero ventisei, benche n’è di manco ancora; et è la quarta parte del canale fra l’uno e l’altro che resta piano, come benissimo appare in molte opere antiche e moderne misurate da quelle.

L’ordine composto, se ben Vitruvio non ne ha fatto menzione, non facendo egli conto d’altro che dell’opera Dorica, Ionica, Corinthia e Toscana, tenendo troppo licentiosi coloro che pigliando di tutt<’>e quattro quegli ordini ne facessero corpi che gli rappresentassero piu tosto mostri che uomini, per averlo costumato molto i Romani e a loro imitazione i moderni, non mancherò di questo ancora, accio se n’abbia notizia<,> dichiarare e formare il corpo di questa proportione di fabrica. Credendo questo, che se i Greci e i Romani formarono que’ primi quattro ordini e gli ridussero a misura e regola generale, che ci possino essere stati di quegli che abbino fin qui fatto nell’ordine Composto, e componendo da se delle cose, che apportino molto piu grazia che non fanno le antiche. E che questo sia vero ne fanno fede l’opere che Michelagnolo Buonarroti ha fatto nella sagrestia e libreria di San Lorenzo di Firenze, dove le porte, i tabernacoli, le base, le colonne, i capitelli, le cornici, le mensole e in somma ogni altra cosa hanno del nuovo e del composto da lui, e nondimeno sono maravigliose non che belle. Il medesimo, e maggiormente, dimostrò lo stesso Michelagnolo nel secondo ordine del cortile di casa Farnese e nella cornice ancora che regge di fuori il tetto di quel palazzo. E chi vuol veder quanto in questo modo di fare abbia mostrato la virtù di questo uomo, veramente venuta dal cielo, Arte, disegno, e varia maniera, consideri quello che ha fatto nella fabbrica di San Piero, nel riunire insieme il corpo di quella machina, e nel far tante sorti di vari e stravaganti ornamenti, tante belle modanature di cornici, tanti diversi tabernacoli e altre molte cose tutte trovate da lui e fatto variatamente dall’uso degl’antichi. Perche niuno puo negare che questo nuovo ordine composto, avendo da Michelagnolo tanta perfettione ricevuto, non possa andar al paragone degli altri. E di vero la bontà e virtù di questo veramente Eccellente Scultore<,> Pittore, e Architetto ha fatto miracoli dovunque egli ha posto mano, oltre all’altre cose che sono manifeste e chiare come la luce del Sole, avendo siti storti dirizzati facilmente e ridotti a perfezione molti edifici e altre cose di cattivissima forma, ricoprendo con vaghi e capricciosi ornamenti i difetti dell’arte e della Natura. Le quali cose non considerando con buon giudicio e non le immitando, hanno a’ tempi nostri certi Architetti plebei prosontuosi e senza disegno<,> fatto quasi a caso senza servar decoro, Arte o ordine nessuno, tutte le cose loro mostruose e peggio che le Tedesche. Ma tornando a proposito, di questo modo di lavorare è scorso l’uso che gia è nominato questo ordine da alcuni composto, da altri Latino, e per alcuni altri Italico. La misura dell’altezza di questa colonna vuole essere dieci teste, la base sia per la metà della grossezza della colonna e misurata simile alla Corinta, come ne appare in Roma all’arco di Tito Vespasiano. E chi vorrà far canali in questa colonna, può fargli simili alla Ionica o come la Corinta o come sarà l’animo di chi farà l’architettura di [p. 26 modifica]questo corpo, ch’è misto con tutti gli ordini. I capitelli si posson fare simili a i Corinthi, salvo, che vuole essere piu la cimasa del capitello e le volute o viticci alquanto piu grandi, come si vede all’arco suddetto. L’architrave sia tre quarti della grossezza della colonna e il fregio abbia il resto pien di mensole, e la cornice quanto l’architrave, che l’agetto la fa diventar maggiore, come si vede nell’ordine ultimo del Culiseo di Roma; e in dette mensole si posson far canali a uso di tigrifi e altri intagli secondo il parere dell’architetto; e il zoccolo, dove posa su la colonna, ha da essere alto due quadri, e cosi le sue cornici a sua fantasia o come gli verrà in animo di farle. Usavano gli antichi o per porte o sepolture o altre specie d’ornamenti, in cambio di colonne, termini di varie sorti: chi una figura ch’abbia una cesta in capo per capitello, altri una figura fino a mezo, e il resto<,> verso la base<,> piramide o vero bronconi d’alberi, e di questa sorte facevano virgini, satiri, putti, e altre sorti di mostri o bizzarie che veniva lor comodo, e secondo che nasceva loro nella fantasia le metteveno in opera. Ecci un’altra specie di lavori che si chiamano Tedeschi, i quali sono di ornamenti e di proporzione molto differenti da gli antichi e da’ moderni, ne oggi s’usano per gli eccellenti, ma son fuggiti da loro come mostruosi e barbari, dimenticando ogni lor cosa di ordine, che piu tosto confusione o disordine si può chiamare, avendo fatto nelle lor fabriche, che son tante, ch’hanno ammorbato il mondo, le porte ornate di colonne sottili e attorte a uso di vite, le quali non possono aver forza a reggere il peso di che leggerezza si sia, e cosi per tutte le facce e altri loro ornamenti facevano una maledizione di tabernacolini l’un sopra l’altro, con tante piramidi e punte e foglie, che non ch’elle possano stare, pare impossibile ch’elle si possino reggere. E hanno piu il modo da parer fatte di carta che di pietre o di marmi. E in queste opere facevano tanti risalti, rotture, mensoline e viticci che sproporzionavano quelle opere che facevano, e spesso con mettere cosa sopra cosa andavano in tanta altezza che la fine d’una porta toccava loro il tetto. Questa maniera fu trovata da i Gotthi che<,> per aver ruinate le fabriche antiche e morti gli architetti per le guerre, fecero dopo<,> coloro che rimasero<,> le fabriche di questa maniera; le quali girarono le volte con quarti acuti, e riempierono tutta Italia di questa maledizione di fabriche, che per non averne a far piu, s’è dismesso ogni modo loro. Iddio scampi ogni paese da venir tal pensiero e ordine di lavori, che per essere eglino talmente difformi alla bellezza delle fabriche nostre, meritano che non se ne favelli piu che questo. E però passiamo a dire delle volte. [p. 27 modifica] [p. 28 modifica] [p. 29 modifica] [p. 30 modifica] [p. 31 modifica]