Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Scultura
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DELLA SCULTURA
Che cosa sia la Scultura, et come siano fatte le sculture buone; et che parti elle debbino havere, per essere tenute perfette. Cap. VIII.
Et ancora, che le figure siano vestite, è necessario di fare i piedi, et le mani, che siano condotte di bellezza, et di bontà come l’altre parti. Et per essere tutta la figura tonda è forza, che in faccia, in profilo, et di dietro, ella sia di proporzione uguale, havendo ella, a ogni girata, et veduta, a rappresentarsi ben disposta per tutto. E necessario adunque, che ella habbia corrispondenza, et che ugualmente ci sia per tutto attitudine, disegno, unione, grazia, et diligenza, lequali cose tutte insieme dimostrino l’ingegno, et il valore dell’artefice. Debbono le figure cosi di rilievo, come dipinte, esser condotte piu con il giudicio, che con la mano, havendo a stare in altezza, dove sia una gran distanza; perche la diligenza dell’ultimo finimento non si vede da lontano; Ma si conosce bene la bella forma delle braccia, et delle gambe; et il buon giudicio nelle falde de’ panni con poche pieghe; perche nella simplicità del poco, si mostra l’acutezza dell’ingegno. Et per questo le figure di marmo, o di bronzo, che vanno un poco alte, vogliono essere traforate gagliarde; accioche il marmo, che è bianco, et il bronzo, che ha del nero, piglino all’aria della oscurità; et per quella apparisca da lontano il lavoro esser finito, et dappresso si vegga lasciato in bozze. La quale avvertenza hebbero grandamente gli Antichi, come nelle lor figure tonde, et di mezo rilievo che negli archi, et nelle colonne veggiamo di Roma, lequali mostrano ancora quel gran giudicio che egli hebbero. Et infra i Moderni si vede essere stato osservato il medesimo grandemente nelle sue opere da Donatello. Debbesi oltra di questo considerare, che quando le statue vanno in un luogo alto, e che a basso non sia molta distanza da potersi discostare a giudicarle da lontano, ma che s’habbia quasi a star loro sotto, che cosi fatte figure si debbon fare di una testa, o due piu di altezza. Et questo si fa perche quelle figure, che son poste in alto, si perdono nello scorto della veduta, stando di sotto, et guardando allo in su. Onde, cioche si dà di accrescimento, viene a consumarsi nella grossezza dello scorto, et tornano poi di proportione nel guardarle, giuste, et non nane; ma con bonissima gratia. Et quando non piacesse far questo, si potrà mantenere le membra della figura, sottilette, et gentili, che questo ancora torna quasi il medesimo. Costumasi per molti artefici, fare la figura di nove teste; la quale vien partita in otto teste tutta, eccetto la gola, il collo, et l’altezza del piede; che con queste torna nove. Perche due sono gli stinchi, due dalle ginocchia a’ membri genitali, et tre il torso fino alla fontanella della gola, et un’altra dal mento all’ultimo della fronte, et una ne fanno la gola, et quella parte, ch’è dal dosso del piede, alla pianta, che sono nove. Le braccia vengono appiccate alle spalle, et dalla fontanella all’appicchatura da ogni banda è una testa; et esse braccia sino a la appiccatura delle mani sono tre teste, et allargandosi l’huomo con le braccia apre apunto tanto quanto egli è alto. Ma non si debbe usare altra miglior Misura, che il Giudicio dello occhio; il quale se bene una cosa sarà benissimo misurata, et egli ne rimanghi offeso, non resterà per questo di biasimarla. Però diciamo, che se bene la misura è una retta moderazione da ringrandire le figure talmente, che le altezze, et le larghezze, servato l’ordine, faccino l’opera proportionata, et gratiosa; l’occhio nondimeno ha poi con il giudicio a levare, et ad aggiugnere, secondo, che vedrà la disgratia dell’opera, talmente, che e’ le dia giustamente proportione, gratia, disegno, et perfettione; acciò, che ella sia in se tutta lodata da ogni ottimo giudicio. Et quella statua, o figura, che haverà queste parti, sarà perfetta di bontà, di bellezza, di disegno, et di gratia. Et tali figure chiameremo tonde, purche si possino vedere tutte le parti finite, come si vede nel huomo girandolo a torno; et similmente poi l’altre, che da queste dependono. Ma e’ mi pare horamai tempo da venire a le cose più particulari.
Del fare i modelli di cera, et di terra, et come si vestino; et come à
proporzione si ringrandischino poi nel marmo; come si subbino,
et si gradinino, et pulischino, et impomicino; et si lustri
no, et si rendino finiti. Cap. IX.
De’ bassi, et de’ mezzi Rilievi, la difficultà del fargli; et in che consista il condurgli a perfezzione. Cap. X.
La seconda specie, che bassi rilievi si chiamano, sono di manco rilievo assai, ch’il mezo, et si dimostrano almeno per la metà di quegli, che noi chiamiamo mezo rilievo, e in questi si puo con ragione, fare il piano, i casamenti, le prospettive, le scale, et i paesi, come veggiamo ne’ pergami di bronzo in san Lorenzo di Firenze, et in tutti i bassi rilievi di Donato; il quale in questa professione lavorò veramente cose divine con grandissima osservazione. Et questi si rendono a l’ochio facili, et senza errori, ò barbarismi; perche non sportano tanto in fuori, che possino dare causa di errori, ò di biasimo. La terza spezie si chiamano bassi, et stiacciati rilievi, i quali non hanno altro in se, che ’l disegno della figura; con ammaccato, et stiacciato rilievo. Sono difficili assai, atteso, che e’ ci bisogna disegno grande, e invenzione. Avvenga, che questi sono faticosi a dargli grazia, per amor de’ contorni. Et in questo genere ancora Donato lavorò meglio d’ogni artefice con arte, disegno, et invenzione. Di questa sorte se n’è visto ne vasi antichi Aretini assai figure, maschere, et altre storie antiche, et similmente, ne’ Cammei antichi, et ne’ conij da stampare le cose di bronzo per le medaglie; et similmente nelle monete.
Et questo fecero perche, se fossero state troppe di rilievo, non harebbono potuto coniarle, ch’al colpo del martello non sarebbono venute l’impronte, dovendosi imprimere i Conij nella materia gittata, la quale quando è bassa, dura poca fatica a riempire i cavi del conio. Di questa arte vediamo hoggi molti artefici moderni che l’hanno fatta divinissimamente; et piu che essi antichi come si dirà nelle vite loro pienamente. Impero chi conoscerà ne’ mezi rilievi la perfettione delle figure, fatte diminuire con osservatione; et ne’ bassi la bontà del disegno, per le prospettive, et altre invenzioni; et nelli stiacciati, la nettezza, la pulitezza, et la bella forma delle figure, che vi si fanno; gli farà eccellentemente, per queste parti, tenere, ò lodevoli, ò biasimevoli; et insegnerà conoscerli altrui.
Come si fanno i modelli per fare di bronzo le figure grandi et picciole; et
come le forme, per buttarle; come si armino di ferri, et come si gettino
di metallo; et di tre sorti bronzo; et come gittate si ceselino, et si
rinettino; et come mancando pezzi, che non fussero venuti,
s’innestino, et commettino nel medesimo bronzo.
Cap. XI.
cimatura, laquale anima ha la medesima forma, che la figura del modello; et a suolo a suolo, si cuoce per cavare la humidità della terra, et questa serve poi alla figura; perche gittando la statua, tutta questa anima, ch’è soda, vien vacua, ne si riempie di bronzo, che non si potrebbe movere, per lo peso; cosi ingrossano tanto, et con pari misure questa anima, che scaldando, et cocendo i suoli, come è detto, quella terra vien cotta bene, et cosi priva in tutto dell’humido, che gittandovi poi sopra il bronzo, non puo schizzare, o fare nocumento; come si è visto gia molte volte con la morte de’ maestri, e con la rovina di tutta l’opera. Cosi vanno bilicando questa anima, et assettando, et contrapesando i pezzi fin che la riscontrino, et riprovino, tanto ch’eglino vengono a’ fare, che si lasci appunto la grossezza del metallo, o la sottilità di che vuoi, che la statua sia.
Armano spesso questa anima per traverso con perni di rame, et con ferri, che si possino cavare, et mettere; per tenerla con sicurta, et forza maggiore. Questa anima quando è finita, nuovamente ancora si ricuoce con fuoco dolce; et cavatane interamente l’humidità, se pur ve ne fusse restata punto, si lascia poi riposare, et ritornando a’ cavi del gesso; si formano quelli pezzo per pezzo con cera gialla, che sia stata in molle; et sia incorporata con un poco di Trementina, et di sevo. Fondutala dunque al fuoco, la gettano a metà per metà ne’ pezzi di cavo; di maniera, che l’artefice fa venire la cera sottile, secondo la volontà sua per il getto. Et tagliati i pezzi, secondo, che sono i cavi addosso a l’anima che gia di terra s’è fatta, gli commettono, et insieme gli riscontrano, et innestano; et con alcuni brocchi di rame sottili fermano, sopra l’anima cotta, i pezzi della cera, confitti da detti brocchi, et cosi a pezzo, a pezzo, la figura innestano, et riscontrono, et la rendono del tutto finita. Fatto cio vanno levando tutta la cera, dalle bave delle superfluità de’ cavi, conducendola il piu, che si può a quella finita bontà, et perfezione, che si desidera che habbia il Getto. Et avanti, che e’ proceda piu innanzi, rizza la figura, et considera diligentemente, se la cera ha mancamento alcuno, et la va racconciando, et riempiendo, o rinalzando, o abbassando, dove mancasse. Appresso finita la cera, et ferma la figura; mette l’Artefice su due alari, o di legno, o di pietra, o di ferro, come un’arosto, al fuoco la sua figura con commodità, che ella si possa alzare, et abbassare, et con cenere bagnata, appropriata a quell’uso, con un pennello tutta la figura va ricoprendo, che la cera non si vegga, et per ogni cavo, et pertugio la veste bene di questa materia. Dato la cenere, rimette i perni a traverso, che passano la cera, et l’anima, secondo, che gl’ha lasciati nella figura; percioche questi hanno a reggere l’anima di dentro, et la cappa di fuori, che è la incrostatura del cavo fra l’anima, et la cappa, dove il bronzo si getta. Armato cio, l’artefice comincia a torre della terra sottile con cimatura, et sterco di cavallo, come dissi battuta insieme; et con diligenza fa una incrostatura per tutto sottilissima, et quella lascia seccare, et cosi volta per volta si fa l’altra incrostatura, con lasciare seccare di continuo fin che viene interrando, et alzando alla grossezza di mezo palmo il piu. Fatto cio, que’ ferri, che tengono l’anima di dentro, si cingono con altri ferri, che tengono di fuori la cappa; et a quelli si fermano, et l’un, et l’altro incatenati, et serrati fanno reggimento l’uno a l’altro. L’anima di dentro regge la cappa di fuori, et la cappa di fuori, regge l’anima di dentro. Usasi fare certe cannelle fra l’anima, et la cappa, le quali si dimandano venti, che sfiatano all’insu, et si mettono verbigratia, da un ginocchio, a un braccio, che alzi; perche questi danno la via al metallo di soccorrere quello, che per qualche impedimento non venisse, et se ne fanno pochi, et assai secondo, che è difficile il getto. Cio fatto si va dando il fuoco a tale cappa ugualmente per tutto, tal che ella venga unita, et a poco a poco a riscaldarsi; rinforzando il fuoco sino a tanto, che la forma si infuochi tutta di maniera, che la cera che è nel cavo di dentro, venga a struggersi, tale che ella esca tutta per quella banda, per laquale si debbe gittare il metallo; senza che ve ne rimanga dentro niente. Et a conoscere cio, bisogna quando i pezzi s’innestano su la figura pesarli pezzo per pezzo; cosi poi nel cavare la cera ripesarla; et facendo il calo di quella, vede l’artefice se n’è rimasta fra l’anima, et la cappa, et quanta n’è uscita. Et sappi, che quì consiste la maestria, et la diligenza dell’artefice a cavare tal cera; dove si mostra la difficultà di fare i getti, che venghino begli, e netti. Atteso, che rimanendoci punto di cera, ruinarebbe tutto il getto, massimamente in quelle parti dove essa rimane. Finito questo, l’artefice sotterra questa forma vicino alla fucina, dove il bronzo si fonde, et puntella si, che il bronzo non la sforzi, et li fa le vie, che possa buttarsi; et al sommo lascia una quantità di grossezza, che si possa poi segare il bronzo che avanza di questa materia; et questo si fa, perche venga piu netta. Ordina il metallo, che vuole; et per ogni libra di cera ne mette dieci di metallo. Fassi la lega del metallo statuario di due terzi rame, et un terzo ottone; secondo l’ordine Italiano. Gl’Egizij, da’ quali questa Arte hebbe origine, mettevano nel bronzo i due terzi ottone, et un terzo rame. Del metallo elletro, che è degl’altri piu fine, si mette due parti rame, et la terza argento. Nelle campane per ogni cento di rame xx. di stagno: et a l’artiglierie per ogni cento di rame, dieci di stagno, accioche il suono di quelle sia più squillante, et unito. Restaci hora ad insegnare, che venendo la figura con mancamento, perche fosse il bronzo cotto, o sottile; o mancasse in qualche parte, il modo dell’innestarvi un pezzo. Et in questo caso lievi l’artefice tutto quanto il tristo, che è in quel getto, et facciavi una buca quadra cavandola sotto squadra; dipoi le aggiusti un pezzo di metallo attuato a quel pezzo, che venga in fuora quanto gli piace. Et commesso appunto in quella buca quadra col martello tanto lo percuota, che lo saldi, et con lime, et ferri faccia si, che lo pareggi, et finisca in tutto. Ora volendo l’artefice gettare di metallo le figure picciole, quelle si fanno di cera, o havendone di terra, o d’altra materia, vi fa sopra il cavo di gesso, come alle grandi, et tutto il cavo si empie di cera. Ma bisogna, che il cavo sia bagnato; perche buttandovi detta cera, ella si rappiglia per la freddezza dell’acqua, et del cavo. Dipoi, sventolando, et diguazzando il cavo, si vota la cera, che è in mezo del cavo: di maniera, che il getto resta voto nel mezo: il qual voto, o vano riempie l’artefice poi di terra, et vi mette perni di ferro. Questa terra serve poi per anima; ma bisogna lasciarla seccar bene.
Dapoi fa la cappa, come all’altre figure grandi, armandola, et mettendovi le cannelle per i venti, la cuoce di poi, et ne cava la cera; e cosi il cavo si resta netto, si che agevolmente si possono gittare. Il simile si fa de’ bassi, et de’ mezi rilievi, et d’ogni altra cosa di metallo. Finiti questi getti, l’artefice dipoi, con ferri appropriati, cioè Bulini, Ciappole, Strozzi, Ceselli, Puntelli, Scarpelli, e Lime, lieva dove bisogna; e dove bisogna spigne all’indentro, e rinetta le bave: e con altri ferri, che radono, raschia, e pulisce il tutto con diligenza, et ultimamente con la pomice gli da il pulimento. Questo bronzo piglia col tempo per se medesimo un colore, che trahe in nero, et non in rosso, come quando si lavora.
Alcuni con olio lo fanno venire nero; altri con l’aceto lo fanno verde; et altri con la vernice li danno il colore di nero; tale che ogn’uno lo conduce, come piu gli piace. Ma quello, che veramente è cosa maravigliosa, è venuto a tempi nostri questo modo di gettar le figure, cosi grandi, come piccole, in tanta eccellenza, che molti maestri le fanno venire nel getto in modo pulite, che non si hanno a rinettare con ferri, e tanto sottili quanto è una costola di coltello.
Et quello, che è piu alcune terre, et ceneri, che a cio s’adoperano, sono venute in tanta finezza, che si gettano d’argento, e d’oro le ciocche della ruta, e ogni altra sottile herba, o fiore agevolmente, et tanto bene, che cosi belli riescono come il naturale. Nel che si vede questa arte essere in maggior eccellenza, che non era al tempo degli antichi.
De’ conij d’acciaio per fare le medaglie di bronzo, o d’altri metalli, et
come elle si fanno di essi metalli; di pietre orientali, et di Cammei.
Cap. XII.
Ma le Monete, et l’altre medaglie piu basse, si improntano senza viti, a colpi di martello con mano; et quelle pietre orientali, che noi dicemmo disopra, si intagliano di cavo con le ruote per forza di smeriglio, che con la ruota consuma ogni sorte di durezza di qualunque pietra si sia. Et l’artefice và spesso improntando con cera quel cavo, che e’ lavora, et in questo modo, và levando dove piu giudica di bisogno, et dando fine alla opera. Ma i Cammei si lavorano
di rilievo; perche essendo questa pietra faldata, cioè bianca sopra, et sotto nera si va levando del bianco tanto, che o testa, o figura resti di basso rilievo bianca nel campo nero. Et alcuna volta per accomodarsi, che tutta la testa, o figura venga bianca in sul campo nero, si usa di tignere il campo, quando e’ non è tanto scuro, quanto bisogna. Et di questa professione habbiamo viste opere mirabili et divinissime antiche, et moderne.
Come di stucco si conducono i lavori bianchi, et del modo del fare la
forma di sotto murata, et come si lavorano. Cap. XIII.
Come si conducono le figure di legno, et che legno sia buono a farle.
Cap. XIIII.
Et degli artefici di cosi fatto mestiero si sono vedute ancora opere di bossolo, lodatissime; et ornamenti di noce bellissimi, i quali quando sono di bel noce che sia nero, appariscono quasi di bronzo. Et ancora habbiamo veduti intagli in noccioli di frutte come di Ciregie, et meliache di mano di Tedeschi, molto eccellenti; lavorati con una pacienza, et sottigliezza grandissima. Et se bene e’ non hanno gli stranieri quel perfetto disegno, che nelle cose loro dimostrano gl’Italiani, hanno niente di meno operato, et operano continovamente in guisa, che riducono le cose a tanta sottigliezza, che elle fanno stupire il mondo. Come si può veder’in un’opera, o per meglio dire in un miracolo di legno di mano di maestro Ianni Franzese, ilquale habitando nella città di Firenze, laquale egli si haveva eletta per patria, prese in modo nelle cose del disegno, del quale gli dilettò sempre la maniera Italiana, che con la pratica, che haveva nel lavorar il legno, fece di tiglio una figura d’un san Rocco grande, quanto il naturale. E condusse con sottilissimo intaglio tanto morbidi, e traforati i panni, che la vestono, et in modo cartosi, et con bello andar l’ordine delle pieghe, che non si puo veder cosa piu maravigliosa. Similmente condusse la testa, la barba, le mani, et le gambe di quel santo con tanta perfettione, che ella ha meritato, et meriterà sempre lode infinita da tutti gl’huomini, et che è piu, accio si veggia in tutte le sue parti l’eccellenza dell’artefice, è stata conservata insino a hoggi questa figura nella Nunziata di Firenze, sotto il pergamo, senza alcuna coperta di colori, o di pitture, nello stesso color del legname, e con la sola pulitezza, e perfettione, che maestro Ianni le diede bellissima sopra tutte l’altre, che si veggia intagliata in legno. Et questo basti brevemente haver detto delle cose della Scultura. Passiamo hora alla Pittura.