Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Scultura

Scultura

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Architettura Pittura
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DELLA SCULTURA

Che cosa sia la Scultura, et come siano fatte le sculture buone; et che parti elle debbino havere, per essere tenute perfette.     Cap. VIII.


A Scultura è una Arte, che levando il superfluo dalla materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo, che nella idea dello Artefice è disegnata. Et è da considerare, che tutte le figure di qualunque sorte si siano o intagliate ne’ Marmi, o gittate di bronzi, o fatte di stucco, o di legno, havendo ad essere di tondo rilievo, et che girando intorno si habbino a vedere per ogni verso; è di necessità, che a volerle chiamar perfette, ell’habbino di molte parti. La prima è, che quando una simil figura ci si presenta nel primo aspetto alla vista, ella rappresenti, e renda somiglianza a quella cosa, per la quale ella è fatta, ò fiera, o humile, ò bizarra, ò allegra, ò malenconica, secondo chi si figura. Et che ella habbia corrispondenza di parità di membra, cioè non habbia le gambe longhe, il capo grosso, le braccia corte, et disformi. Ma sia ben misurata, et ugualmente a parte a parte concordata, dal Capo a’ piedi. Et similmente se ha la faccia di vecchio, habbia le braccia, il corpo, le gambe, le mani, et i piedi di vecchio, unitamente ossuta per tutto, musculosa, nervuta, et le vene poste a’ luoghi loro. Et se harà la faccia di giovane, debbe parimente esser ritonda, morbida, et dolce nella aria, et per tutto unitamente concordata. Se ella non harà ad essere ignuda, facciasi, che i panni ch’ella hara ad haver addosso non siano tanto triti, c’habbino del secco, ne tanto grossi, che paino sassi. Ma siano con il loro andar di pieghe girati talmente, che scuoprino lo ignudo di sotto, et con arte, et grazia talora lo mostrino, et talora lo ascondino, senza alcuna crudezza che offenda la figura. Siano i suoi capegli, et la barba lavorati con una certa morbidezza, svellati, et ricciuti, che mostrino di essere sfilati, havendoli data quella maggior piumosità, et grazia, che può lo scarpello. Ancora, che gli scultori in questa parte non possino cosi bene contraffare la Natura, facendo essi le ciocche de’ capegli sode, et ricciute, piu di maniera, che di immitazione naturale.

     Et ancora, che le figure siano vestite, è necessario di fare i piedi, et le mani, che siano condotte di bellezza, et di bontà come l’altre parti. Et per essere tutta la figura tonda è forza, che in faccia, in profilo, et di dietro, ella sia di proporzione uguale, havendo ella, a ogni girata, et veduta, a rappresentarsi ben disposta per tutto. E necessario adunque, che ella habbia corrispondenza, et che ugualmente ci sia per tutto attitudine, disegno, unione, grazia, et diligenza, lequali cose tutte insieme dimostrino l’ingegno, et il valore dell’artefice. Debbono le figure cosi di rilievo, come dipinte, esser condotte piu con il giudicio, che con la mano, havendo a stare in altezza, dove sia una gran distanza; perche la diligenza dell’ultimo finimento non si vede da lontano; Ma si conosce bene la bella forma delle braccia, et delle gambe; et il buon giudicio nelle falde de’ panni con poche pieghe; perche nella simplicità del poco, si mostra l’acutezza dell’ingegno. Et per questo le figure di marmo, o di bronzo, che vanno un poco alte, vogliono essere traforate gagliarde; accioche il marmo, che è bianco, et il bronzo, che ha del nero, piglino all’aria della oscurità; et per [p. 33 modifica]quella apparisca da lontano il lavoro esser finito, et dappresso si vegga lasciato in bozze. La quale avvertenza hebbero grandamente gli Antichi, come nelle lor figure tonde, et di mezo rilievo che negli archi, et nelle colonne veggiamo di Roma, lequali mostrano ancora quel gran giudicio che egli hebbero. Et infra i Moderni si vede essere stato osservato il medesimo grandemente nelle sue opere da Donatello. Debbesi oltra di questo considerare, che quando le statue vanno in un luogo alto, e che a basso non sia molta distanza da potersi discostare a giudicarle da lontano, ma che s’habbia quasi a star loro sotto, che cosi fatte figure si debbon fare di una testa, o due piu di altezza. Et questo si fa perche quelle figure, che son poste in alto, si perdono nello scorto della veduta, stando di sotto, et guardando allo in su. Onde, cioche si dà di accrescimento, viene a consumarsi nella grossezza dello scorto, et tornano poi di proportione nel guardarle, giuste, et non nane; ma con bonissima gratia. Et quando non piacesse far questo, si potrà mantenere le membra della figura, sottilette, et gentili, che questo ancora torna quasi il medesimo. Costumasi per molti artefici, fare la figura di nove teste; la quale vien partita in otto teste tutta, eccetto la gola, il collo, et l’altezza del piede; che con queste torna nove. Perche due sono gli stinchi, due dalle ginocchia a’ membri genitali, et tre il torso fino alla fontanella della gola, et un’altra dal mento all’ultimo della fronte, et una ne fanno la gola, et quella parte, ch’è dal dosso del piede, alla pianta, che sono nove. Le braccia vengono appiccate alle spalle, et dalla fontanella all’appicchatura da ogni banda è una testa; et esse braccia sino a la appiccatura delle mani sono tre teste, et allargandosi l’huomo con le braccia apre apunto tanto quanto egli è alto. Ma non si debbe usare altra miglior Misura, che il Giudicio dello occhio; il quale se bene una cosa sarà benissimo misurata, et egli ne rimanghi offeso, non resterà per questo di biasimarla. Però diciamo, che se bene la misura è una retta moderazione da ringrandire le figure talmente, che le altezze, et le larghezze, servato l’ordine, faccino l’opera proportionata, et gratiosa; l’occhio nondimeno ha poi con il giudicio a levare, et ad aggiugnere, secondo, che vedrà la disgratia dell’opera, talmente, che e’ le dia giustamente proportione, gratia, disegno, et perfettione; acciò, che ella sia in se tutta lodata da ogni ottimo giudicio. Et quella statua, o figura, che haverà queste parti, sarà perfetta di bontà, di bellezza, di disegno, et di gratia. Et tali figure chiameremo tonde, purche si possino vedere tutte le parti finite, come si vede nel huomo girandolo a torno; et similmente poi l’altre, che da queste dependono. Ma e’ mi pare horamai tempo da venire a le cose più particulari.


Del fare i modelli di cera, et di terra, et come si vestino; et come à

proporzione si ringrandischino poi nel marmo; come si subbino,

et si gradinino, et pulischino, et impomicino; et si lustri

no, et si rendino finiti.     Cap. IX.


S
Ogliono gli scultori, quando vogliono lavorare una figura di marmo, fare per quella un modello, che cosi si chiama, cioè uno esemplo, che è una figura di grandezza di mezo braccio ò meno, ò piu secondo, che gli torna comodo, ò di terra, ò di cera, o di stucco; pur che e’ possin mostrar in quella [p. 34 modifica]l’attitudine, et la proportione, che ha da essere nella figura, che e voglion fare; cercando accomodarsi alla larghezza, et alla altezza del sasso, che hanno fatto cavare, per farvela dentro. Ma, per mostrarvi come la cera si lavora, diremo del lavorare la cera, et non la terra. Questa per renderla piu morbida, vi si mette dentro un poco sevo, et di trementina, et di pece nera, dellequali cose il sevo la fa più arrendevole; e la trementina tegniente in se; et la pece le dà il colore nero, et le fa una certa sodezza dapoi, ch’è lavorata, nello stare fatta, che ella diventa dura. Et chi volesse anco farla d’altro colore, puo agevolmente; perche mettendovi dentro terra rossa, ò vero cinabrio, ò minio, la farà giuggiolina, ò di somigliante colore. Se verderame, verde; et il simile si dice degli altri colori. Ma è bene da avvertire, che i detti colori vogliono esser fatti in polvere, e stiacciati, e cosi fatti essere poi mescolati con la cera liquefatta, che sia. Fassene ancora per le cose piccole, et per fare medaglie, ritratti, e storiette, et altre cose di basso rilievo, della bianca. E questa si fa, mescolando con la cera bianca, biacca in polvere come si è detto disopra. Non tacerò ancora, che i moderni Artefici hanno trovato il modo di fare nella cera le mestiche di tutte le sorti colori; onde nel fare ritratti di naturale di mezzo rilievo fanno le carnagioni, i capegli, i panni, et tutte l’altre cose in modo simili al vero, che a cotali figure non manca, in un certo modo, se non lo spirito, et le parole. Ma per tornare al modo di fare la cera. Acconcia questa mistura, e insieme fonduta, fredda ch’ella è; se ne fa i pastelli, iquali nel maneggiarli dalla caldezza delle mani si fanno come pasta, et con essa si crea una figura a sedere, ritta, o come si vuole, laquale habbia sotto un’armadura, per reggerla in se stessa, o di legni, o di fili di ferro, secondo la volontà dell’artefice, et ancor si può fare con essa, et senza, come gli torna bene. Et a poco a poco col giudicio, et le mani lavorando, crescendo la materia, con i stecchi d’osso, di ferro, o di legno, si spinge in dentro la cera, et con mettere dell’altra sopra si aggiugne, et raffina, finche con le dita si dà a questo modello l’ultimo pulimento. Et finito cio, volendo fare di quegli, che siano di terra, si lavora a similitudine della cera, ma senza armadura di sotto, o di legno, o di ferro, perche li farebbe fendere, et crepare. Et mentre, che quella si lavora, perche non fenda, con un panno bagnato si tien coperta, fino che resta fatta. Finiti questi piccioli modelli, o figure di cera, o di terra si ordina di fare un’altro modello, che habbia ad essere grande, quanto quella stessa figura, che si cerca di fare di marmo; nelche fare perche la terra, che si lavora humida nel seccarsi rientra; bisogna mentre, che ella si lavora, fare a bell’agio, et rimetterne su di mano in mano; et nell’ultima fine mescolare con la terra farina cotta, che la mantiene morbida, et lieva quella secchezza. Et questa diligenza fa, che il modello non rientrando rimane giusto, et simile alla figura, che s’ha da lavorare di marmo. Et perche il modello di terra grande si habbia a reggere in se, et la terra non habbia a fendersi, bisogna pigliare della cimatura, o borra, che si chiami, o pelo. Et nella terra mescolare quella, la quale la rende in se tegnente; et non la lascia fendere. Armasi di legni sotto, et di stoppa stretta, o fieno, con lo spago, et si fa l’ossa della figura, et se le fa fare quella attitudine, che bisogna; secondo il modello picciolo diritto, o a sedere, che sia, et cominciando a coprirla di terra, si conduce ignuda, lavorandola insino al fine. La qual condotta, se se le vuol poi fare [p. 35 modifica]panni addosso, che siano sottili, si piglia pannolino, che sia sottile; et se grosso, grosso; et si bagna; et bagnato, con la terra, s’interra non liquidamente, ma di un loto, che sia alquanto sodetto; et attorno alla figura si và acconciandolo, che faccia quelle pieghe, et ammaccature, che l’animo gli porge; di che secco verrà a indurarsi, et manterrà di continuo le pieghe. In questo modo si conducono a fine i modelli, et di cera, et di terra. Volendo ringrandirlo, a proporzione nel marmo; bisogna, che nella stessa pietra, onde s’ha da cavare la figura, sia fatta fare una squadra, che un dritto vada in piano a’ pie della figura, et l’altro vada in alto, et tenga sempre il fermo del piano; et cosi il dritto di sopra: et similmente un’altra squadra, o di legno, o d’altra cosa sia al modello, per via della quale si piglino le misure da quella del modello quanto sportano le gambe fora, et cosi le braccia; et si và spignendo la figura in dentro con queste misure riportandole sul marmo dal modello, di maniera, che misurando il marmo, et il modello a proporzione viene a levare della pietra con li scarpelli; et la figura a poco a poco misurata viene a uscire di quel sasso nella maniera, che si caverebbe d’una pila d’acqua pari, e diritta una figura di cera, che prima verrebbe il corpo, et la testa, et ginocchia, et apoco apoco scoprendosi, et in su tirandola, si vedrebbe poi la ritondità di quella fin passato il mezo; e in ultimo la ritondità dell’altra parte. Perche quelli, che hanno fretta a lavorare, et che bucano il sasso da principio, et levano la pietra dinanzi, et di dietro, risolutamente, non hanno poi luogo dove ritirarsi, bisognandoli; et di qui nascono molti errori, che sono nelle statue, che per la voglia, c’ha l’artefice del vedere le figure tonde fuor del sasso a un tratto, spesso si gli scuopre un’errore, che non puo rimediarvi, se non vi si mettono pezzi commessi, come habbiamo visto costumare a molti artefici moderni. Il quale rattoppamento è da ciabattini, et non da huomini eccellenti, o maestri rari; et è cosa vilissima, et brutta, et di grandissimo biasimo. Sogliono gli scultori nel fare le statue di marmo nel principio loro abozzare le figure con le subbie, che sono una specie di ferri da loro cosi nominati; iquali sono apuntati, et grossi; et andare levando, et subbiando grossamente il loro sasso, et poi con altri ferri detti calcagnuoli, c’hanno una tacca in mezo, et sono corti, andare quella ritondando per fino ch’eglino venghino a un ferro piano piu sottile del calcagnuolo, che ha due tacche, et è chiamato gradina. Col quale vanno per tutto con gentilezza gradinando la figura, con la proporzione de Muscoli, et delle pieghe; et la tratteggiano di maniera per la virtu delle tacche, o denti predetti, che la pietra mostra gratia mirabile. Questo fatto si và levando le gradinature con un ferro pulito. Et per dare perfezione alla figura, volendole aggiugnere dolcezza, morbidezza, et fine, si và con lime torte levando le gradine; il simile si fa con altre lime sottili, et scuffine diritte, limando, che resti piano; et da poi con punte di pomice si và impomiciando tutta la figura, dandole quella carnosità, che si vede nell’opere maravigliose della scultura. Adoperasi ancora il gesso di tripoli, accio che l’habbia lustro, et pulimento; similmente con paglia di grano, facendo struffoli si stropiccia, talche finite, et lustrate si rendono a gl’occhi nostri bellissime. [p. 36 modifica]

De’ bassi, et de’ mezzi Rilievi, la difficultà del fargli; et in che consista il condurgli a perfezzione.     Cap. X.


Q
Uelle figure, che gli scultori chiamano mezi rilievi, furono trovate già da gli antichi, per fare istorie da adornare le mura piane: et se ne servirono ne’ teatri, et negli archi per le vittorie; perche volendole fare tutte tonde, non le potevano situare se non facevano prima una stanza, ò vero una piazza che fusse piana. Ilche volendo sfuggire trovarono una specie, che mezo rilievo nominarono, et è da noi cosi chiamato ancora: ilquale à similitudine d’una pittura, dimostra prima l’intero delle figure principali, ò meze tonde, ò piu come sono; et le seconde occupate dalle prime, et le terze dalle seconde; in quella stessa maniera, che appariscono le persone vive, quando elle sono ragunate, et ristrette insieme. In questa specie di mezo rilievo, per la diminuzione dell’occhio, si fanno l’ultime figure di quello, basse come alcune teste bassissime, et cosi i casamenti, et i paesi, che sono l’ultima cosa. Questa specie di mezi rilievi da nessuno è mai stata meglio, ne con piu osservanza fatta, ne piu proporzionatamente diminuita, ò allontanata le sue figure l’una da l’altra; che da gli antichi. Come quelli che imitatori del vero, et ingegnosi, non hanno mai fatto le figure in tali storie, che habbino piano, che scorti, ò fugga; Ma l’hanno fatte co’ proprij piedi, che posino su la cornice di sotto; Dove alcuni de’ nostri moderni animosi più del dovere, hanno fatto nelle storie loro di mezo rilievo, posare le prime figure nel piano, che è di basso rilievo, et sfugge, et le figure di mezo sul medesimo in modo che stando cosi non posano i piedi con quella sodezza, che naturalmente doverebbono; la onde spesse volte si vede le punte de piè di quelle figure che voltano il di dietro, toccarsi gli stinchi delle gambe, per lo scorto che è violento. Et di tali cose se ne vede in molte opere moderne, et anchora nelle porte di san Giovanni, et in più luoghi di quella età. Et per questo i mezi rilievi, che hanno questa proprietà, sono falsi; perche se la metà della figura si cava fuor del sasso, havendon’a fare altre dopo quelle prime, vogliono havere regola dello sfuggire, e diminuire, et co’ piedi in piano, che sia piu inanzi il piano, che i piedi, come fa l’occhio e la regola nelle cose dipinte; et conviene che elle si abbassino dimano in mano a proporzione, tanto che venghino a rilievo stiacciato, et basso: et per questa unione, che in cio bisogna; è difficile dar loro perfezzione, et condurgli: atteso che nel rilievo ci vanno scorti di piedi, et di teste; ch’è necessario havere grandissimo disegno, a volere in cio mostrare il valore dello artefice. Et tanta perfezzione si recano in questo grado le cose lavorate di terra, et di cera, quanto quelle di bronzo, et di marmo. Perche in tutte l’opere che haranno le parti, ch’io dico, saranno i mezi rilievi tenuti bellissimi, et dagli artefici intendenti sommamente lodati.

La seconda specie, che bassi rilievi si chiamano, sono di manco rilievo assai, chil mezo, et si dimostrano almeno per la metà di quegli, che noi chiamiamo mezo rilievo, e in questi si puo con ragione, fare il piano, i casamenti, le prospettive, le scale, et i paesi, come veggiamo ne’ pergami di bronzo in san Lorenzo di Firenze, et in tutti i bassi rilievi di Donato; il quale in questa professione lavorò veramente cose divine con grandissima osservazione. Et questi si rendono a l’ochio facili, et senza errori, ò [p. 37 modifica]barbarismi; perche non sportano tanto in fuori, che possino dare causa di errori, ò di biasimo. La terza spezie si chiamano bassi, et stiacciati rilievi, i quali non hanno altro in se, che ’l disegno della figura; con ammaccato, et stiacciato rilievo. Sono difficili assai, atteso, che e’ ci bisogna disegno grande, e invenzione. Avvenga, che questi sono faticosi a dargli grazia, per amor de’ contorni. Et in questo genere ancora Donato lavorò meglio d’ogni artefice con arte, disegno, et invenzione. Di questa sorte se n’è visto ne vasi antichi Aretini assai figure, maschere, et altre storie antiche, et similmente, ne’ Cammei antichi, et ne’ conij da stampare le cose di bronzo per le medaglie; et similmente nelle monete.

Et questo fecero perche, se fossero state troppe di rilievo, non harebbono potuto coniarle, ch’al colpo del martello non sarebbono venute l’impronte, dovendosi imprimere i Conij nella materia gittata, la quale quando è bassa, dura poca fatica a riempire i cavi del conio. Di questa arte vediamo hoggi molti artefici moderni che l’hanno fatta divinissimamente; et piu che essi antichi come si dirà nelle vite loro pienamente. Impero chi conoscerà ne’ mezi rilievi la perfettione delle figure, fatte diminuire con osservatione; et ne’ bassi la bontà del disegno, per le prospettive, et altre invenzioni; et nelli stiacciati, la nettezza, la pulitezza, et la bella forma delle figure, che vi si fanno; gli farà eccellentemente, per queste parti, tenere, ò lodevoli, ò biasimevoli; et insegnerà conoscerli altrui.


Come si fanno i modelli per fare di bronzo le figure grandi et picciole; et

come le forme, per buttarle; come si armino di ferri, et come si gettino

di metallo; et di tre sorti bronzo; et come gittate si ceselino, et si

rinettino; et come mancando pezzi, che non fussero venuti,

s’innestino, et commettino nel medesimo bronzo.

Cap. XI.


U
SANO gl’artefici eccellenti, quando vogliono gittare, o metallo, o bronzo figure grandi, fare nel principio una statua di terra, tanto grande, quanto quella, che e’ vogliono buttare di metallo, et la conducono di terra a quella perfezione, ch’è concessa dall’arte, et dallo studio loro. Fatto questo, che si chiama da loro modello, et condotto a tutta la perfezione dell’arte, et del saper loro, cominciano poi con gesso da fare presa a formare sopra questo modello parte per parte, facendo addosso a quel modello i cavi di pezzi, et sopra ogni pezzo si fanno riscontri, che un pezzo con l’altro si commettano, segnandoli, o con numeri, o con alfabeti, o altri contrasegni; et che si possino cavare, et reggere insieme. Cosi a parte per parte, lo vanno formando; et ungendo con olio fra gesso, et gesso, dove le commettiture s’hanno a congiugnere, et cosi di pezzo in pezzo la figura si forma; et la testa, le braccia, il torso, et le gambe, per fin’all’ultima cosa: di maniera, che il cavo di quella statua, cioè la forma incavata, viene improntata nel cavo con tutte le parti, et ogni minima cosa, che è nel modello. Fatto cio, quelle forme di gesso si lasciono assodare, et riposare; poi pigliano un palo di ferro, che sia piu lungo di tutta la figura, che vogliono fare, et che si ha a gettare; et sopra quello fanno un’anima di terra, laquale morbidamente impastando, vi mescolano sterco di cavallo, et

[p. 38 modifica]cimatura, laquale anima ha la medesima forma, che la figura del modello; et a suolo a suolo, si cuoce per cavare la humidità della terra, et questa serve poi alla figura; perche gittando la statua, tutta questa anima, ch’è soda, vien vacua, ne si riempie di bronzo, che non si potrebbe movere, per lo peso; cosi ingrossano tanto, et con pari misure questa anima, che scaldando, et cocendo i suoli, come è detto, quella terra vien cotta bene, et cosi priva in tutto dell’humido, che gittandovi poi sopra il bronzo, non puo schizzare, o fare nocumento; come si è visto gia molte volte con la morte de’ maestri, e con la rovina di tutta l’opera. Cosi vanno bilicando questa anima, et assettando, et contrapesando i pezzi fin che la riscontrino, et riprovino, tanto ch’eglino vengono a’ fare, che si lasci appunto la grossezza del metallo, o la sottilità di che vuoi, che la statua sia.

Armano spesso questa anima per traverso con perni di rame, et con ferri, che si possino cavare, et mettere; per tenerla con sicurta, et forza maggiore. Questa anima quando è finita, nuovamente ancora si ricuoce con fuoco dolce; et cavatane interamente l’humidità, se pur ve ne fusse restata punto, si lascia poi riposare, et ritornando a’ cavi del gesso; si formano quelli pezzo per pezzo con cera gialla, che sia stata in molle; et sia incorporata con un poco di Trementina, et di sevo. Fondutala dunque al fuoco, la gettano a metà per metà ne’ pezzi di cavo; di maniera, che l’artefice fa venire la cera sottile, secondo la volontà sua per il getto. Et tagliati i pezzi, secondo, che sono i cavi addosso a l’anima che gia di terra s’è fatta, gli commettono, et insieme gli riscontrano, et innestano; et con alcuni brocchi di rame sottili fermano, sopra l’anima cotta, i pezzi della cera, confitti da detti brocchi, et cosi a pezzo, a pezzo, la figura innestano, et riscontrono, et la rendono del tutto finita. Fatto cio vanno levando tutta la cera, dalle bave delle superfluità de’ cavi, conducendola il piu, che si può a quella finita bontà, et perfezione, che si desidera che habbia il Getto. Et avanti, che e’ proceda piu innanzi, rizza la figura, et considera diligentemente, se la cera ha mancamento alcuno, et la va racconciando, et riempiendo, o rinalzando, o abbassando, dove mancasse. Appresso finita la cera, et ferma la figura; mette l’Artefice su due alari, o di legno, o di pietra, o di ferro, come un’arosto, al fuoco la sua figura con commodità, che ella si possa alzare, et abbassare, et con cenere bagnata, appropriata a quell’uso, con un pennello tutta la figura va ricoprendo, che la cera non si vegga, et per ogni cavo, et pertugio la veste bene di questa materia. Dato la cenere, rimette i perni a traverso, che passano la cera, et l’anima, secondo, che gl’ha lasciati nella figura; percioche questi hanno a reggere l’anima di dentro, et la cappa di fuori, che è la incrostatura del cavo fra l’anima, et la cappa, dove il bronzo si getta. Armato cio, l’artefice comincia a torre della terra sottile con cimatura, et sterco di cavallo, come dissi battuta insieme; et con diligenza fa una incrostatura per tutto sottilissima, et quella lascia seccare, et cosi volta per volta si fa l’altra incrostatura, con lasciare seccare di continuo fin che viene interrando, et alzando alla grossezza di mezo palmo il piu. Fatto cio, que’ ferri, che tengono l’anima di dentro, si cingono con altri ferri, che tengono di fuori la cappa; et a quelli si fermano, et l’un, et l’altro incatenati, et serrati fanno reggimento l’uno a l’altro. L’anima di dentro regge la cappa di fuori, et la cappa di fuori, regge l’anima di dentro. Usasi fare certe cannelle fra l’anima, et la cappa, le quali si [p. 39 modifica]dimandano venti, che sfiatano all’insu, et si mettono verbigratia, da un ginocchio, a un braccio, che alzi; perche questi danno la via al metallo di soccorrere quello, che per qualche impedimento non venisse, et se ne fanno pochi, et assai secondo, che è difficile il getto. Cio fatto si va dando il fuoco a tale cappa ugualmente per tutto, tal che ella venga unita, et a poco a poco a riscaldarsi; rinforzando il fuoco sino a tanto, che la forma si infuochi tutta di maniera, che la cera che è nel cavo di dentro, venga a struggersi, tale che ella esca tutta per quella banda, per laquale si debbe gittare il metallo; senza che ve ne rimanga dentro niente. Et a conoscere cio, bisogna quando i pezzi s’innestano su la figura pesarli pezzo per pezzo; cosi poi nel cavare la cera ripesarla; et facendo il calo di quella, vede l’artefice se n’è rimasta fra l’anima, et la cappa, et quanta n’è uscita. Et sappi, che quì consiste la maestria, et la diligenza dell’artefice a cavare tal cera; dove si mostra la difficultà di fare i getti, che venghino begli, e netti. Atteso, che rimanendoci punto di cera, ruinarebbe tutto il getto, massimamente in quelle parti dove essa rimane. Finito questo, l’artefice sotterra questa forma vicino alla fucina, dove il bronzo si fonde, et puntella si, che il bronzo non la sforzi, et li fa le vie, che possa buttarsi; et al sommo lascia una quantità di grossezza, che si possa poi segare il bronzo che avanza di questa materia; et questo si fa, perche venga piu netta. Ordina il metallo, che vuole; et per ogni libra di cera ne mette dieci di metallo. Fassi la lega del metallo statuario di due terzi rame, et un terzo ottone; secondo l’ordine Italiano. Gl’Egizij, da’ quali questa Arte hebbe origine, mettevano nel bronzo i due terzi ottone, et un terzo rame. Del metallo elletro, che è degl’altri piu fine, si mette due parti rame, et la terza argento. Nelle campane per ogni cento di rame xx. di stagno: et a l’artiglierie per ogni cento di rame, dieci di stagno, accioche il suono di quelle sia più squillante, et unito. Restaci hora ad insegnare, che venendo la figura con mancamento, perche fosse il bronzo cotto, o sottile; o mancasse in qualche parte, il modo dell’innestarvi un pezzo. Et in questo caso lievi l’artefice tutto quanto il tristo, che è in quel getto, et facciavi una buca quadra cavandola sotto squadra; dipoi le aggiusti un pezzo di metallo attuato a quel pezzo, che venga in fuora quanto gli piace. Et commesso appunto in quella buca quadra col martello tanto lo percuota, che lo saldi, et con lime, et ferri faccia si, che lo pareggi, et finisca in tutto. Ora volendo l’artefice gettare di metallo le figure picciole, quelle si fanno di cera, o havendone di terra, o d’altra materia, vi fa sopra il cavo di gesso, come alle grandi, et tutto il cavo si empie di cera. Ma bisogna, che il cavo sia bagnato; perche buttandovi detta cera, ella si rappiglia per la freddezza dell’acqua, et del cavo. Dipoi, sventolando, et diguazzando il cavo, si vota la cera, che è in mezo del cavo: di maniera, che il getto resta voto nel mezo: il qual voto, o vano riempie l’artefice poi di terra, et vi mette perni di ferro. Questa terra serve poi per anima; ma bisogna lasciarla seccar bene.

Dapoi fa la cappa, come all’altre figure grandi, armandola, et mettendovi le cannelle per i venti, la cuoce di poi, et ne cava la cera; e cosi il cavo si resta netto, si che agevolmente si possono gittare. Il simile si fa de’ bassi, et de’ mezi rilievi, et d’ogni altra cosa di metallo. Finiti questi getti, l’artefice dipoi, con ferri appropriati, cioè Bulini, Ciappole, Strozzi, Ceselli, Puntelli, Scarpelli, e Lime, lieva dove bisogna; e dove bisogna spigne all’indentro, e rinetta le bave: e con [p. 40 modifica]altri ferri, che radono, raschia, e pulisce il tutto con diligenza, et ultimamente con la pomice gli da il pulimento. Questo bronzo piglia col tempo per se medesimo un colore, che trahe in nero, et non in rosso, come quando si lavora.

Alcuni con olio lo fanno venire nero; altri con l’aceto lo fanno verde; et altri con la vernice li danno il colore di nero; tale che ogn’uno lo conduce, come piu gli piace. Ma quello, che veramente è cosa maravigliosa, è venuto a tempi nostri questo modo di gettar le figure, cosi grandi, come piccole, in tanta eccellenza, che molti maestri le fanno venire nel getto in modo pulite, che non si hanno a rinettare con ferri, e tanto sottili quanto è una costola di coltello.

Et quello, che è piu alcune terre, et ceneri, che a cio s’adoperano, sono venute in tanta finezza, che si gettano d’argento, e d’oro le ciocche della ruta, e ogni altra sottile herba, o fiore agevolmente, et tanto bene, che cosi belli riescono come il naturale. Nel che si vede questa arte essere in maggior eccellenza, che non era al tempo degli antichi.


De’ conij d’acciaio per fare le medaglie di bronzo, o d’altri metalli, et

come elle si fanno di essi metalli; di pietre orientali, et di Cammei.

Cap. XII.


V
Olendo fare le medaglie di bronzo, d’argento, o d’oro, come gia le fecero gl’antichi, debbe l’artefice primieramente, con Punzoni di ferro, intagliare di rilievo i punzoni nell’acciaio indolcito a fuoco, a pezzo per pezzo; Come per esemplo la testa sola, di rilievo ammaccato in un punzone solo d’acciaio; et cosi l’altre parti, che si commettono a quella. Fabbricati cosi d’acciaio tutti i punzoni, che bisognano per la medaglia, si temprano col fuoco; et in sul Conio dell’acciaio stemperato, che debbe servire per cavo, et per madre della medaglia, si và improntando a colpi di martello, et la testa, et l’altre parti a’ luoghi loro. Et doppo l’havere improntato il tutto, si và diligentemente rinettando, et ripulendo, et dando fine, e perfetione al predetto cavo, che ha poi a servire per Madre. Hanno tutta volta usato molti artefici, d’incavare con le ruote le dette Madri, in quel modo, che si lavorano d’incavo i Cristalli, i Diaspri, i Calcidonij, le Agate, gli Ametisti, i Sardonij, i lapis lazuli, i Crisoliti, le Corniuole, i Cammei, et l’altre pietre orientali; et il cosi fatto lavoro, fa le madri piu pulite, come ancora le pietre predette. Nel medesimo modo si fa il rovescio della medaglia; et con la madre della testa, et con quella del rovescio, si stampano medaglie di cera, o di piombo, le quali si formano di poi con sottilissima polvere di terra atta a ciò, nelle quali forme, cavatane prima la cera, o il piombo predetto, serrate dentro a le staffe, si getta quello stesso metallo, che ti aggrada per la medaglia. Questi getti si rimettono nelle loro madri d’acciaio: et per forza di viti, o di lieve, et a colpi di martello si stringono talmente, che elle pigliano quella pelle dalla stampa, che elle non hanno presa dal Getto.

Ma le Monete, et l’altre medaglie piu basse, si improntano senza viti, a colpi di martello con mano; et quelle pietre orientali, che noi dicemmo disopra, si intagliano di cavo con le ruote per forza di smeriglio, che con la ruota consuma ogni sorte di durezza di qualunque pietra si sia. Et l’artefice và spesso improntando con cera quel cavo, che e’ lavora, et in questo modo, và levando dove piu giudica di bisogno, et dando fine alla opera. Ma i Cammei si lavorano

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di rilievo; perche essendo questa pietra faldata, cioè bianca sopra, et sotto nera si va levando del bianco tanto, che o testa, o figura resti di basso rilievo bianca nel campo nero. Et alcuna volta per accomodarsi, che tutta la testa, o figura venga bianca in sul campo nero, si usa di tignere il campo, quando e’ non è tanto scuro, quanto bisogna. Et di questa professione habbiamo viste opere mirabili et divinissime antiche, et moderne.


Come di stucco si conducono i lavori bianchi, et del modo del fare la

forma di sotto murata, et come si lavorano.     Cap. XIII.


S
Olevano gl’antichi, nel volere fare volte, o incrostature, o porte, o finestre, o altri ornamenti di stucchi bianchi; fare l’ossa disotto di muraglia, che sia o di mattoni cotti, o vero di tufi, cioè sassi, che siano dolci, et si possino tagliare con facilità, et di questi murando facevano l’ossa di sotto; dandoli o forma di cornice, o di figure, o di quello, che fare volevano, tagliando de’ mattoni, o delle pietre, lequali hanno a essere murate con la calce. Poi con lo stucco, che nel capitolo IIII. dicemmo, impastato di marmo pesto, et di calce di Trevertino, debbano fare sopra l’ossa predette, la prima bozza di stucco ruvido, cioè grosso, et granelloso, accio vi si possi mettere sopra il piu sottile, quando quel di sotto ha fatto la presa; et che sia fermo, ma non secco afatto. Perche lavorando la massa della materia in su quel che è humido; fa maggior presa, bagnando di continuo dove lo stucco si mette; accio si renda piu facile a lavorarlo. Et volendo fare cornici, o fogliami intagliati, bisogna havere forme di legno, intagliate nel cavo, di quegli stessi intagli, che tu vuoi fare. Et si piglia lo stucco, che sia non sodo sodo, ne tenero tenero; ma di una maniera tegniente, et si mette su l’opra alla quantità della cosa, che si vuol formare, et vi si mette sopra la predetta forma intagliata, impolverata di polvere di marmo, et picchiandovi su con un martello, che il colpo sia uguale, resta lo stucco improntato; ilquale si va rinettando, et pulendo poi accio venga il lavoro diritto, et uguale. Ma volendo, che l’opera habbia maggior rilievo allo in fuori si conficcano, dove ell’ha da essere ferramenti, o chiodi, o altre armadure simili, che tenghino sospeso in aria lo stucco, che fa con esse presa grandissima, come ne gli edificij antichi si vede, ne’ quali si truovano ancora gli stucchi, et i ferri conservati sino al di d’oggi. Quando vuole adunque l’artefice, condurre in muro piano un’istoria di basso rilievo conficca prima in quel muro i chiovi spessi, dove meno, et dove piu in fuori, secondo che hanno a stare le figure, et tra quegli serra pezami piccoli di mattoni, o di tufi; a cagione che le punte, o capi di quegli, tenghino il primo stucco grosso, et bozzato, et appresso lo va finendo con pulitezza; et con pacienza, che e’ si rassodi. Et mentre che egli indurisce, l’artefice lo va diligentemente lavorando, et ripulendolo di continovo co’ pennelli bagnati, di maniera, che e’ lo conduce a perfettione, come se e’ fusse di cera, o di terra. Con questa maniera medesima di chiovi, et di ferramenti fatti a posta, et maggiori, et minori secondo il bisogno, si adornano di stucchi, le volte, gli spartimenti, et le fabbriche vecchie, come si vede costumarsi hoggi per tutta Italia, da molti maestri, che si son dati a questo esercizio. Ne si debbe dubitare di lavoro cosi fatto, come di cosa poco durabile. Perche e’ si [p. 42 modifica]conserva infinitamente, et indurisce tanto nello star fatto, che e’ diventa col tempo come marmo.


Come si conducono le figure di legno, et che legno sia buono a farle.

Cap. XIIII.


C
HI vuole che le figure del legno si possino condurre a perfettione, bisogna, che e’ ne faccia prima il modello di cera, o di terra, come dicemmo. Questa sorte di figure si è usata molto nella christiana religione atteso, che infiniti maestri hanno fatto molti crocifissi, et diverse altre cose. Ma in vero, non si da mai al legno quella carnosità, o morbidezza, che al metallo, et al marmo, et all’altre sculture, che noi veggiamo, o di stucchi, o di cera, o di terra. Il migliore nientedimanco tra tutti i legni, che si adoperano alla scultura, è il Tiglio; Perche egli ha i pori uguali per ogni lato, et ubbidisce piu agevolmente alla lima, et allo scarpello. Ma perche l’artefice, essendo grande la figura che e’ vuole, non puo fare il tutto dun pezzo solo, bisogna ch’egli lo commetta di pezi, et l’alzi, et ingrossi secondo la forma che e lo vuol fare. Et per appiccarlo insieme in modo, che e tenga, non tolga Mastrice di cacio, perche non terrebbe, ma colla di spicchi, con la quale strutta, scaldati i predetti pezi al fuoco, gli commetta, et gli serri insieme, non con chiovi di ferro, ma del medesimo legno. Ilche fatto, lo lavori, et intagli secondo la forma del suo modello.

Et degli artefici di cosi fatto mestiero si sono vedute ancora opere di bossolo, lodatissime; et ornamenti di noce bellissimi, i quali quando sono di bel noce che sia nero, appariscono quasi di bronzo. Et ancora habbiamo veduti intagli in noccioli di frutte come di Ciregie, et meliache di mano di Tedeschi, molto eccellenti; lavorati con una pacienza, et sottigliezza grandissima. Et se bene e’ non hanno gli stranieri quel perfetto disegno, che nelle cose loro dimostrano gl’Italiani, hanno niente di meno operato, et operano continovamente in guisa, che riducono le cose a tanta sottigliezza, che elle fanno stupire il mondo. Come si può veder’in un’opera, o per meglio dire in un miracolo di legno di mano di maestro Ianni Franzese, ilquale habitando nella città di Firenze, laquale egli si haveva eletta per patria, prese in modo nelle cose del disegno, del quale gli dilettò sempre la maniera Italiana, che con la pratica, che haveva nel lavorar il legno, fece di tiglio una figura d’un san Rocco grande, quanto il naturale. E condusse con sottilissimo intaglio tanto morbidi, e traforati i panni, che la vestono, et in modo cartosi, et con bello andar l’ordine delle pieghe, che non si puo veder cosa piu maravigliosa. Similmente condusse la testa, la barba, le mani, et le gambe di quel santo con tanta perfettione, che ella ha meritato, et meriterà sempre lode infinita da tutti gl’huomini, et che è piu, accio si veggia in tutte le sue parti l’eccellenza dell’artefice, è stata conservata insino a hoggi questa figura nella Nunziata di Firenze, sotto il pergamo, senza alcuna coperta di colori, o di pitture, nello stesso color del legname, e con la sola pulitezza, e perfettione, che maestro Ianni le diede bellissima sopra tutte l’altre, che si veggia intagliata in legno. Et questo basti brevemente haver detto delle cose della Scultura. Passiamo hora alla Pittura.