Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Proemio di tutta l'opera
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Proemio di tutta l'opera
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PROEMIO DI TUTTA
L’OPERA.
Comincerommi dunque dall’Architettura, come da la piu universale, et piu necessaria et utile agli huomini, et al servizio et ornamento della quale sono l’altre due: et brevemente dimostrerrò, la diversità delle Pietre; le maniere, o modi dell’edificare, con le loro proporzioni; et a che si conoschino le buone fabbriche, et bene intese. Appresso ragionando della Scultura, dirò come le statue si lavorino, la forma et la proporzione che si aspetta loro, et quali siano le buone sculture, con tutti gli ammaestramenti più segreti, et più necessarij. Ultimamente discorrendo della pittura, dirò del Disegno, de’ modi del colorire, del perfettamente condurre le cose, della qualità di esse Pitture, et di qualunche cosa che da questa dependa, de’ Musaici d’ogni sorte, del Niello, de gli Smalti, de’ lavori alla Damaschina, et finalmente poi delle stampe delle pitture. Et cosi mi persuado, che queste fatiche mie, diletteranno coloro che non sono di questi esercizij. Et diletteranno, et gioveranno a chi ne ha fatto professione. Perche oltra che nella introduzzione rivedranno i modi dello operare; et nelle vite di essi artefici impareranno dove siano l’opere loro; et a conoscere agevolmente la perfezzione, o imperfezzione di quelle; et discernere tra maniera et maniera: e’ potranno accorgersi ancora, quanto meriti lode et honore, chi con le virtù di si nobili arti, accompagna honesti costumi, et bontà di vita. Et accesi di quelle laudi, che hanno conseguite i si fatti, si alzeranno essi ancora a la vera gloria. Ne si caverà poco frutto de la storia, vera guida et maestra delle nostre azzioni, leggendo la varia diversità di infiniti casi occorsi agli Artefici, qualche volta per colpa loro, et molte altre della fortuna. Resterebbemi a fare scusa, de lo havere alle volte usato qualche voce non ben toscana, de la qual cosa non vo’ parlare; havendo havuto sempre piu cura, di usare le voci et i vocaboli particulari et proprij delle nostre arti, che i leggiadri, o scelti della delicatezza degli scrittori. Siami lecito adunque usare nella propria lingua, le proprie voci de’ nostri artefici, et contentisi ogn’uno de la buona volontà mia, laquale si è mossa a fare questo effetto, non per insegnare ad altri, che non so per me, ma per desiderio di conservare almanco questa memoria degli artefici piu celebrati, poi che in tante decine di anni, non ho saputo vedere ancora, chi n’habbia fatto molto ricordo. Con ciò sia che io ho piu tosto voluto con queste roze fatiche mie, ombreggiando gli egregij fatti loro, render loro in qualche parte l’obligo che io tengo alle opere loro, che mi sono state maestre, ad imparare quel tanto che io so, che malignamente vivendo in ozio, esser censore delle opere altrui, accusandole e riprendendole come alcuni spesso costumano. Ma egli è hoggimai Tempo di venire a lo effetto.
Il Fine del Proemio.