Le supplici (Eschilo)/Primo episodio
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PRIMO EPISODIO
danao
Di senno è d’uopo, figlie mie: né privo
di senno è questo vostro antico padre:
ei vi fu guida su le navi; ed ora
che siamo in terra, cauto ancor v’esorto
che ciò ch’io dico, nel pensier si scriva.
Polvere io veggo, d’uno stuol di genti
aralda muta: odo bronzine stridere
degli assi al rotear: scorgo una turba
di scudi armata e di crollanti lancie,
con curvi cocchi e destrïeri. Certo
sono i signor di questa terra: edotti
già dai lor nunzî, a esaminarci giungono.
O sia che innocua questa schiera appressi,
o acuto il cuore d’ira cruda, il meglio
è, figlie mie, scampar su questo clivo
ove i Numi han consesso. È piú che torre
sicura un’ara: è scudo non frangibile.
Presto, presto!, movete; e i rami supplici
ghirlandati di bende, a Giove sacri,
compostamente nella manca stretti,
dignitose parole e parche e flebili,
come conviene a stranïer che giunge,
ai forestieri rivolgete; e chiaro
narrate a lor questa incruenta fuga.
E pria dal vostro labbro in bando vada
ogni alterigia: verità da visi
modesti spiri, da sereno ciglio:
né sii prolissa o garrula: ché molto
n’han qui fastidio; e mostrati arrendevole:
sei bisognosa di soccorso e profuga:
né conviene ai da meno audace labbro.
coro
Parli assennato, o padre; ed assennato
è chi t’ascolta. I tuoi saggi consigli
ricorderò. Cosí Giove ci guardi!
danao
Con benevolo ciglio, oh sí!, ci guardi!
Tutto, se vuole Giove, avrà buon esito1.
coro
Sedermi già vicino a te vorrei!
danao
Non indugiare, il tuo disegno effettua!
coro
Giove, pietà, non ci voler disfatte!
danao
L’aligero di Giove anche or s’invochi!2
coro
Anche i tuoi raggi, o Sole, invoco; salvaci!
danao
E il puro Apollo, anch’esso dal ciel profugo3.
coro
Questo male ei conosce. Abbia pietà!
danao
Abbi pietà di noi, benigno assistici!
coro
Quale ancora invocar di questi Dèmoni?
danao
Veggo il tridente, simbolo del Nume4.
coro
Ci salvò in mare: in terra ora ci accolga!
danao
Ermete è qui: che nunzio è per gli Ellèni.
coro
Fauste novelle rechi a genti libere5.
danao
E venerate i Numi tutti ch’ànno
comunanza di queste are. Sedete
in questo puro asil, colombe pavide
dinanzi a infesti sparvïeri, ch’ànno
comune il sangue, e insozzano la stirpe.
Forse l’alato che un alato sbrana
rimarrà mondo? E l’uom che reluttante
strappa la figlia al reluttante padre,
rimarrà puro? Oh!, spento ancor, nell’Ade
la pena avrà che i temerarî attende.
Ché, pur fra i morti, un altro Iddio pronuncia
contro i misfatti l’ultima sentenza.
Siate accorte! E sian tali i detti vostri
che s’ottenga vittoria in questa impresa.
A capo d'una schiera d’armati, di cavalli, di carri, giunge, sopra un cocchio, il re.
pelasgo
A chi parliamo? Quale accolta è questa
che si pompeggia in vesti non elleniche.
in pepli e in drappi barbari? Non d’Argo
né d’altro luogo d’Ellade è la foggia
di queste donne. E meraviglio, come
senza nunzî d’araldi, e senza un ospite
che vi tuteli6, e d’ogni guida prive,
di tema esenti, a questo suol giungete.
Supplici rami presso a voi, su l’are
giaccion, qual’è dei peregrini usanza.
Sol questo intender può la terra d’Ellade:
congetturare tutto il resto è d’uopo,
ove parola a me non lo chiarisca.
corifea
Sí, straniera è la mia veste, è vero.
Ma dimmi, e tu chi sei? Privato o araldo
d’Ermete insigne? O re della città?
pelasgo
Sicuramente a me parlar tu puoi.
Io son Pelasgo, figlio di Palètone,
che dalla terra nacque; e son sovrano
di questo regno. Questi campi miete,
obbedïente ai cenni miei, l’epònima
gente pelasga. Il regno mio si stende
ad occidente su la terra tutta
cui lo Strimone limpido traversa:
i miei confini, le contrade abbracciano
dei Perrèbi, oltre il Pindo, e dei Peóni
le alture, e i monti di Dodona: l’umido
pelago segna l’ultimo confine.
Il mio dominio è tale. E questo piano,
Apio, dai piú remoti evi, fu detto.
Da un medico tal nome ebbe: dal figlio
fatidico d’Apollo, Api, che giunse
da Naüpatto, e questo suol purgò
dagli orribili mostri, onde la terra,
contaminata da sozzure antiche,
madre fu già: dalle mordaci belve
e dall’infesto serpeggiar di draghi.
A tanti mali, pronti e salutiferi
farmachi Api trovò: sí che gli Argivi,
nelle preci, in compenso, ognor l’onorano.
Dell’esser mio notizie avesti: adesso
di’ tu qual’è la tua stirpe; e sii breve:
lunghi discorsi la città non ama.
corifea
Breve sarà la mia risposta, e chiara.
Vantiamo argivo sangue; e siamo stirpe
della giovenca che fu madre ad Èpafo.
Molte prove darò che il vero dico.
pelasgo
Non so credere, udendo, o stranïere,
che d’Argo sia la discendenza vostra.
Somigliate piú presto a donne libiche,
non ad argive: il Nilo educa genti
simili a voi: nei visi alle lor figlie
gli uomini Ciprî ugual sigillo imprimono:
tali anche sono, a quanto odo, le nomadi
femmine d’India, che i cammelli inforcano
quasi cavalli, e le terre propinque
al suolo etíope scorazzando vanno.
Se l’arco in pugno aveste, alle carnivore
schive dei maschi Amazzoni potrei
anche simili dirvi. Or parla, e mostrami
come sia d’Argo il tuo sangue e la stirpe.
corifea
Narran che un tempo questo suolo argivo
die’ vita ad Io, sacerdotessa d’Era.
pelasgi
Senza dubbio, e di lei gran fama suona:
non dicon che con lei Giove s’uní?
corifea
Ascoso ad Era non restò l’amplesso.
pelasgo
Qual fine fra i due Numi ebbe la lite?
corifea
Era in giovenca tramutò la donna.
pelasgo
E s’avvicinò Giove alla cornigera?
corifea
Dicono: in forma di petulco tauro.
pelasgo
Che fece allor la sua possente sposa?
corifea
Onniveggente ad Io diede un custode.
pelasgo
Di qual pastore onniveggente parli?
corifea
D’Argo, figlio di Gea: l’uccise Ermète.
pelasgo
Fece altri mali alla giovenca misera?
corifea
Un assillo dei buoi spinse a irritarla....
pelasgo
Chi su l’Inaco vive, estro lo chiama
corifea
che dalla patria via la spinse a furia.
pelasgo
Questo con ciò ch’io so concorda in tutto.
corifea
Ed a Canòpo e sopra Menfi giunse.
pelasgo
. . . . . . . . . . . .
corifea
Giove la man su lei pose, e l’incinse.
pelasgo
E quale figlio a lui die’ la giovenca?
corifea
Èpafo: indizio del portento è il nome
pelasgo
. . . . . . . . . . . .
corifea
Libia, che dalla terra il nome assunse.
pelasgo
Quale altro ancor dei suoi rampolli memori?
corifea
Belo, ch’ebbe due figli: uno è mio padre.
pelasgo
Espressamente dimmi il nome suo!
corifea
Dànao. Cinquanta figli ha suo fratello.
pelasgo
Dir non ti spiaccia anche di questo il nome.
corifea
Egitto. Ed ora che l’intera mia
discendenza conosci, opera come
se ti fossi imbattuto in gente d’Argo.
pelasgo
D’antica affinità, bene or lo veggo,
a questo suolo siete strette. Or come
v’induceste a lasciar le patrie case?
Quale sciagura sopra voi piombò?
corifea
O signor dei Pelasgi, han varia forma
le sciagure degli uomini, né scorgere
potrai due mali aver le penne istesse.
Chi detto avria che cosí strana fuga
spingesse ad Argo queste antiche figlie
per il terror di nuzïali talami?
pelasgo
Perché mai, dimmi, a questi ospiti Numi
giunta sei tu, stringendo i rami supplici
testé recisi, in bianche bende avvolti?
corifea
Per non essere sposa ai miei cugini.
pelasgo
Odio t’ispira? Od empio ti par l’atto?
coro
Chi comprerà l’amico che lo domini?
pelasgo
Pur, le sostanze in modo tal s’accrescono.
coro
E sbarazzarsi dei tapini è agevole7.
pelasgo
Come pio verso te potrò mostrarmi?
coro
D’Egitto ai figli che mi chieggon, negami.
pelasgo
Nuova guerra affrontare? È dura cosa!
corifea
Giustizia assisterà chi per me lotta.
pelasgo
Se dal principio fu pur tua compagna.
corifea
La poppa d’Argo8 cosí ornata venera.
pelasgo
Veggo ombrato l’altare, e abbrividisco.
corifea
Grave è lo sdegno del Signor dei supplici.
coro
Strofe I
O di Palètone figliuolo, ascoltami,
re dei Pelasgi, con cuor benevolo.
Vedi me supplice, raminga, profuga,
come giovenca che il lupo incalza
sovra erta balza,
che al sommo vertice giunta, secura
leva il suo mugghio,
narra al bifolco la sua iattura9.
pelasgo
Dinanzi ai Numi tutelari scorgo
la vostra schiera, e ombrarla i rami supplici.
Buon esito l’arrivo abbia di queste
estranee figlie d’Argo; e dagli eventi
inaspettati e impreveduti, guerra
non surga: alla città guerre non giovano.
coro
Anastrofe I
Diva dei supplici, di Zeus che vigila
tutto, ministra, proteggi, o Tèmide,
questa incolpevole fuga. — E me giovine,
odi tu, saggio per bianca età.
Abbi pietà
di chi vien supplice. Degna mercede
ne avrai dai Superi,
grati alle offerte dell’uom che ha fede.
pelasgo
Ma non sedete innanzi al focolare
della mia casa. Se contagio macchia
la città, deve tutto quanto il popolo
provvedere ai rimedî. Io la promessa
non ti farò, se prima i cittadini
dell’evento non sian resi partecipi.
coro
Strofe II
La città solo tu sei, tu il popolo,
l’insindacabil principe:
l’altare, fuoco sacro alla patria,
tu reggi: l’unico tuo voto, l’unico
tuo cenno, tutto dal trono regio
dispone. Guàrdati dal sacrilegio.
pelasgo
Sopra chi m’odia il sacrilegio piombi!
Soccorrervi non posso io senza biasimo,
né saggio è disprezzar le preci vostre.
Terror m’ingombra: rimango perplesso,
fare o non fare e scegliere la sorte.
coro
Antistrofe II
Pur dal superno custode10 guardati,
vigile ognor sui miseri,
quanti ai parenti chiedono supplici
giusto soccorso, ma non l’impètrano.
Chi degli afflitti non si commuove
pei lagni, irato lo aspetta Giove.
pelasgo
E se i figli d’Egitto sostenessero
ch’àn diritto su te, sendo i piú prossimi
parenti tuoi, per legge patria, opporsi
chi a lor potrebbe? Dimostrar t’è d’uopo
che diritto non han per quella legge.
coro
Strofe III
Deh! in lor dominio non m’abbiano gli uomini!
Prima la fuga per me sarà farmaco
dell’odïoso connubio, e mi guidi
degli astri il raggio. Alleata or Giustizia
tu scegli, i Numi abbi in cuore, e decidi.
pelasgo
Facil non è. Non scegliere me giudice.
Te l’ebbi, a dire: senza i cittadini
nulla farei, pur se il potere avessi:
ché poi, volgendo tristi eventi, il popolo
non mi dovesse dir: «Per fare onore
a straniere, hai la città perduta».
coro
Antistrofe III
Agli uni e alle altre parente, c’invigila
Giove, che parte con equa bilancia
il bene ai giusti, ed ai tristi l’offesa.
Or se tale è la suprema giustizia,
perché compir ciò ch’è giusto ti pesa?
pelasgo
D’un meditar profondo e salutare
entro ai gorghi or convien che a guisa cali
di palombaro la pupilla vigile,
non torbida d’ebbrezza, affinché prima
tutti, per la città, per noi medesimi,
lieto esito abbian questi eventi, in modo
che né alcuno ci provochi a contesa
per rïaver le cose estorte, né
tradir dobbiamo voi, prostrate supplici
agli altari dei Numi; ed attirare
il Dio della rovina ultima, Alàstore,
ospite duro, che neppur nell’Ade
lascia liberi i morti. O non vi sembra
che la salvezza meditar convenga?
coro
Strofe I
Medita, e in tutto mostrati
pio protettor degli ospiti,
come Giustizia chiede.
No, non tradir la profuga,
che dall’avversa furia
d’empî sospinta, qui supplice siede.
Antistrofe I
Né patir che mi scaccino
dalle sedi santissime,
o tu che in questa terra
il poter sommo eserciti.
E sappi di questi uomini
lungi tener l’ingiurîosa guerra.
Strofe II
Non soffrire che in onta a la Giustizia
via si strappin le supplici
dai simulacri santi,
come puledre, ai redini
ghermite delle tortili
bende, e dei ricchi manti.
Antistrofe II
Che le tue case ed i tuoi figli, sappilo,
quanti di te nascessero,
all’opre tue conforme
triste o felice l’esito
avran. Di Giove medita
perciò le sante norme.
pelasgo
Ho meditato: a questi scogli io ruppi:
o con queste o con quelli, immane guerra
affrontare m’è forza: e sui navali
curri confitta è già questa carena11.
Esito non si avrà senza cordoglio,
o che tal lite male intendo. E inetto
esser vo’, pria che artefice di male.
E segua il bene come io pur lo spero.
corifea
Dei miei discorsi pur la mèta ascolta.
pelasgo
Udii già. Parla ancora; e tutto udrò.
corifea
Ho lacci e bende che i miei pepli stringono.
pelasgo
Cose tutte che a donne ben s’addicono.
corifea
È pronto in queste un gran soccorso, sappilo.
pelasgo
Di queste tue parole il senso spiegami.
corifea
Se tu nulla di certo a noi prometti.....
pelasgo
A che giovare ti potran le bende?
corifea
Di nuovi pinti voti a ornar questi idoli.
pelasgo
San d’enimma i tuoi detti. Or chiara esprimiti.
corifea
Ad appiccarmi a questi idoli súbito.
pelasgo
Le tue parole il cuore mi flagellano.
corifea
Inteso or m’hai: ben chiaro io t’ho parlato.
pelasgo
Troppo son questi eventi ineluttabili;
e a mo’ di fiume una congerie approssima
di danni. Il varco a un mare senza fondo
di sciagure io dischiusi; e non è facile
solcarlo; e porto alcun non c’è dei mali.
Ché se per noi non compio io tal dovere,
un contagio m’hai detto, al quale facile
non mi sarà sfuggire. Ove mi pianti
dinanzi ai Numi, e coi cugini tuoi,
figli d’Egitto, a prova d’armi io venga,
non sarà questa gran iattura, ove uomini
per via di donne il pian di sangue bagnino?
Se d’una casa i beni a sacco vanno,
altri acquistarne puoi, mercè dei Numi:
ove un labbro saetti inopportuno,
nuova parola può molcir l’antica;
ma molti doni offrir conviene ai Numi
e vittime sgozzar, perché non sgorghi
consanguineo sangue, e ben lontana
tal iattura rimanga. E tuttavia
d’uopo è lo sdegno paventar di Giove
protettore dei supplici: ché niuno
debbono al par di lui temere gli uomini.
Ora oprar devi tu, di queste vergini
padre canuto: questi rami supplici
raccogli in fascio, ed offrili, sovra altre
are, agli Dei che la città proteggono,
cosí che tutti i cittadini veggano
con gli occhi loro questo arrivo, e credito
non manchi ai detti miei. Ché incline è il popolo
a dare il biasmo. Ma potrà, vedendovi,
impietosir piú d’uno, e in odio prendere
lo stuol dei maschi, e ben disposto il popolo
essere verso noi: ché tutti sempre
benevolenza senton pei piú deboli.
danao
Gran ventura stimiam che in te troviamo
tal pïetoso protettore. Or tu
lasciaci alcun dei tuoi compagni, e guida
ai templi e all’are innanzi ai templi accese
dei Numi protettori essi ci siano,
ed a fianco ci stian, si che securi
moviam per la città: ché non è simile
il nostro aspetto al vostro: il Nilo e l’Inaco
nutron diversa stirpe. Or dall’ardire
nascer potrebbe uno sgomento: spesso
per non sapere, alcun l’amico uccise.
pelasgo
Compagni, andate. Quel ch’ei dice è giusto.
Siate a lor guida all’are della rocca
ove albergo han gli Dei. Con chi v’incontra
breve discorso sia, mentre guidate
questo nocchiero, supplice dei Numi.
coro
Bene hai parlato con mio padre: ei parte
ammaestrato. Ma io che farò?
Quale arra di fiducia arrechi a me?
pelasgo
Qui lascia i segni del travaglio, i rami.
coro
Ossequente ai tuoi detti, ecco, li lascio.
Depongono sull’are i rami supplici.
pelasgo
In questo bosco, al piano adesso scendi.
coro
Qual tutela mi dà bosco profano?
pelasgo
Non verranno a rapirti alati draghi!
coro
E se verran nemici anche piú infesti?
pelasgo
Fauste parole udire io solo voglio!
coro
Parla ancora il terror: non ti stupire.
pelasgo
Femminile terror sempre trasmoda.
coro
Lieta coi detti e con i fatti rendimi.
pelasgo
Breve tempo sarai lungi dal padre,
Io vado adesso, e i terrazzani chiamo,
ché rendere li voglio a te benevoli;
e il padre tuo di ciò che deve dire
istruirò. Tu qui rimani, e invoca
dei Numi d’Argo, con le preci, quello
che brami. Intanto in fretta io vo’. Süada
m’assista, e tutto la fortuna compia.
Le fanciulle scendono dal clivo sacro in orchestra, e si aggruppano intorno all’ara di Diòniso.
Note
- ↑ [p. 350 modifica]Sembra veramente innegabile che il v. 216 vada subito dopo il 212. Non seguo però l’ordinamento del Hermann, seguito dal Wecklein, col quale non si ottiene una perfetta concinnità di battute, e manca un verso alla sticomitia. Nella disposizione che adotto, e che non implica gran mutamento, ambedue gli inconvenienti riescono eliminati.
- ↑ [p. 350 modifica]L’aligero di Giove — dice lo scoliaste — è il Sole, che ridesta gli uomini al pari d’un gallo.
- ↑ [p. 350 modifica]Giove uccise Asclepio, figlio d’Apollo, per punirlo d’aver risuscitato un morto. Apollo per vendetta sterminò i Ciclopi, figli di Giove: e questi mandò Apollo in bando dall’Olimpo, a custodire in Tessaglia gli armenti di Admeto.
- ↑ [p. 350 modifica]Di Posidone.
- ↑ [p. 351 modifica]Intendo: faccia sí che non si cada in servitú dei figli d’Egitto: e rechi questo annunzio a noi che, dunque, saremo libere
- ↑ [p. 351 modifica]La tutela degli stranieri si esercitava dagli ospiti. In epoche piú recenti, ogni città designava magistrati incaricati della tutela di tutti gli stranieri. Si chiamarono pròsseni.
- ↑ [p. 351 modifica]Le Danaidi vogliono dire che cominciare a vedere le attenuanti dei nemici di chi implora, significa volersi interessare poco della sua sorte.
- ↑ [p. 351 modifica]Poppa della città sarebbe l’altare. Vedi i versi I sg. de: I Sette a Tebe.
- ↑ [p. 351 modifica]Questo brano fu imitato, parrebbe, da Eupoli nelle Capre. «Vede un lupo? — Alza un belato, e lo dice al pastore (Framm. 1).
- ↑ [p. 351 modifica]Questo superno custode è il Ζευς ξένιος καὶ ἰκέσιος, protettore degli ospiti e dei supplici.
- ↑ [p. 351 modifica]Il pascolo di Giove è l’Egitto.