Le ore inutili/Per un bacio
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PER UN BACIO.
Il giorno che Albertino Farri ebbe compiuto il suo ventunesimo anno di età fu visto passeggiare per le strette vie della città provinciale con un viso raggiante di allegrezza. La sua personcina dritta e svelta, la quale sorreggeva un visetto da topo nero e vispo, coi denti un po’ sporgenti sotto il labbro superiore e gli occhi lucenti sotto le ciglia lunghe, aveva quella mattina scatti di così bizzarra vivacità che le persone posate e calme ch’egli incontrava si volgevano ad osservarlo con uno sguardo diffidente.
Ma egli non se ne curava e continuava ad aggirarsi dalla piazzetta della chiesa alla piazzetta del municipio con la sua inquieta andatura a sbalzi e a salti, tra brevi soste sorridenti all’angolo di qualche viuzza ombrosa di dove sbucavano le massaie sorreggendo a fatica la rete di spago ricolma d’ortaggi olezzanti.
— Ella dovrebbe giungere da questa parte, — rifletteva per un momento Albertino imprimendo con le dita un moto vertiginoso al suo leggero bastoncino di bambù e frugando la stradetta ombrosa con lo sguardo acuto.
Ma poichè ella dopo un minuto d’attesa non era ancor giunta, con una rapida giravolta e alcuni passi precipitosi Albertino correva a collocarsi presso un altro angolo a spiare con la medesima inquietudine gaia e impaziente s’ella apparisse.
Ella apparve finalmente quando finì la messa cantata tra i fedeli che uscivano a gruppi dalla chiesa spalancata, tra odor d’incenso e di gigli, e s’avanzò tutta sola, vestita d’azzurro cupo, con un piccolo cappello nero adorno di una coroncina di miosotidi, per la viuzza lunga e deserta a capo della quale Albertino Farri aspettava trepidante.
Quando fu a pochi passi egli si staccò con un balzo e la salutò con un sorridente impaccio timido e ardito al tempo stesso, ponendosi quindi, sebbene non invitato, al suo fianco e proseguendo con lei il cammino.
Ella aveva corrugato le ciglia all’improvviso incontro e risposto freddamente al saluto ed ascoltava ora in un silenzio un po’ sdegnoso le parole perplesse del giovine.
— Come sono contento d’averla incontrata questa mattina, signora Anna-Maria! Era quasi una settimana che non la vedevo e temevo che fosse partita, signora Anna-Maria.
Egli insisteva per lusingarla su quei due nomi uniti, dei quali si compiaceva la giovine moglie del medico, che tutti in paese chiamavano più semplicemente la signora Anna o la signora Montani.
Unica figlia del conte Delbalzo, gentiluomo d’antica nobiltà già mezzo rovinato alla morte del proprio padre e morto poi egli stesso in una affannosa miseria con gli uscieri implacabili alla porta della sua camera d’agonizzante, ella s’era adattata a sposare il solo uomo che fosse stato ad entrambi generoso di devota benevolenza e d’aiuto disinteressato, ossia il dottor Montani, il medico quarantenne che aveva curato suo padre.
Uscita a diciott’anni da un aristocratico collegio religioso dove il suo nome e la sua povertà le davano diritto ad un posto gratuito, Anna-Maria era piombata in quella cittadina petulante e tediosa dove la sua bellezza e la sua superbia le avevano creato intorno la più diffidente solitudine, e per quattro anni aveva assistito allo sfacelo della stanca esistenza paterna, la quale chiedeva tutti i giorni ancora qualche cosa per trascinarsi avanti fino al domani.
Il dottor Montani, pietoso e buono ma povero anch’egli e provvisto solo delle risorse della sua professione, portava loro il conforto amichevole della sua parola e il sollievo delle sue cure, ma un altro uomo saliva di quando in quando il lungo viale della villa Delbalzo, entrava nelle piccole stanze della portineria, divenute ora l’ultimo rifugio all’antico padrone, e, portandosi via una firma tutta tremula e contorta del malato, lasciava sul suo letto alcuni sudici e preziosi biglietti di banca.
Suo padre aveva umilmente spiegato ad Anna-Maria che costui s’era arricchito esercitando la professione lucrosa dell’usuraio, dopo aver in gioventù arrischiato meno scaltramente la galera sotto una certa ma non abbastanza provata accusa di falsario, e che alla propria morte il ricavo di vendita della villa Delbalzo sarebbe bastato appena a sodisfare le sue avide ma del resto legalizzate pretese.
Tutto ciò era regolarmente avvenuto ed anni dopo, un mattino di maggio, la contessina Anna-Maria Delbalzo, diventata più borghesemente la signora Montani, uscendo dalla messa cantata con un abito azzurro cupo e un cappello adorno di miosotidi, camminava per una viuzza semideserta di quella cittadina provinciale, ascoltando piuttosto sdegnosamente le parole incerte di Albertino Farri, il quale le faceva da alcuni mesi una timida corte.
Ed Albertino Farri era il figlio di Alberto Farri, lo scaltro usuraio che anni innanzi saliva di quando in quando il lungo viale della villa Delbalzo per lasciarvi, mediante un’affannata firma di moribondo, alcuni sudici e preziosi biglietti di banca.
La casina del dottore, situata sulla strada provinciale un po’ lontano dall’abitato, già appariva splendente sotto il sole di mezzodì, tutta dipinta a strisce rosse e bianche, chiusa nella cintura verde del suo giardino, e Albertino Farri non aveva ancora comunicato alla signora Montani lo scopo per cui egli s’era posto al suo fianco accompagnandola per quasi mezz’ora di cammino.
Poichè egli nascondeva nella parte più intima dei suoi pensieri uno scopo ben determinato e, per raggiungerlo, gli occorreva innanzi tutto renderne partecipe l’insensibile donna dei suoi sogni, ossia la signora Anna-Maria.
Non ostante l’esordio piuttosto trepidante, egli non era riuscito ad avviare la loro conversazione sopra un terreno propizio alle dichiarazioni lungamente meditate e, rosso in viso per il sole e per l’ansia, continuava a discorrere di cose inutili e vaghe, lanciando tratto tratto di sotto alle ciglia qualche lungo sguardo indagatore alla sua compagna, la quale gli rispondeva a monosillabi senza guardarlo, andando dritto di fronte a sè col suo passo rapido e leggiero di giovinetta.
A poca distanza della casa un immenso pino stendeva la sua densa ombra sul biancore accecante della strada, e una rustica panca, costruita pei suoi riposi da qualche ingegnoso viandante, si appoggiava al tronco scabro dell’albero invitando i passeggeri a sostare un momento alla verde frescura.
Anna-Maria non resisteva mai alla tentazione d’abbandonare la sua persona sottile alla dolcezza riposante di quell’indugio prima d’iniziare la breve salita che la portava alle soglie della sua casa, e anche quella mattina sedette sulla panca rustica al rezzo odoroso del pino silvestre, e sorrise blandamente a se stessa con un piccolo sospiro di raccolta felicità.
Albertino rimase in piedi dinanzi a lei e trasse da quel sospiro la forza di manifestarle il proprio tenero sentimento.
Lo fece senza grazia, con parole e con gesti impacciati, ma con un tale fuoco di sincerità negli occhi e tale tremore d’emozione nella voce che Anna-Maria, la quale si scalzava lentamente i guanti a capo chino mentre egli parlava, alzò d’improvviso il capo e si pose ad osservarlo con una attenzione fra pietosa e meravigliata.
— Le voglio tanto bene, signora Anna-Maria, che non riesco neppure a dirglielo senza sembrare ridicolo a’ suoi occhi. Eppure bisogna assolutamente che glie lo confessi per non sentirmi più soffocare dall’ansietà ogni volta che la vedo e sentirmi morire di malinconia quando rimango due giorni senza vederla. Oggi, non so come, non so perchè, ho trovato il coraggio di salutarla e di accompagnarla fin qui. Capisco perfettamente di non averle fatto piacere, perchè una signora come lei non può che disprezzare un ragazzo come me. Eppure io non sono forse così stupido quanto sembro. Mi piace leggere e studiare e avrei voluto laurearmi, ma mio padre non me lo permette e vuole che m’occupi d’affari come lui.
La signora Montani a quell’accenno riabbassò il capo e si pose a guardarsi le unghie ch’erano rosee e lucide come smalto, ma fra l’arco delle sue sopracciglia si era scavata una piccola ruga sottile e diritta come un taglio, mentre un lieve sogghigno le contorceva la bocca.
— Io la faccio ridere, lo so, con le mie sciocchezze, — riprese mortificato Albertino. — Ma mi risponda almeno con una parola, anche con un’insolenza. Mi dica chiaramente che sono un idiota ed io me ne andrò senza più seccarla.
— È un bambino, — mormorò Anna-Maria, crollando il capo con un sorriso di compatimento blando, e s’alzò per riprendere la sua via.
Ma Albertino, rianimato da quella parola benevola, le si pose di fronte e la supplicò d’ascoltarlo ancora un momento, di sedere ancora un momento su quella panca all’ombra di quel pino sul quale incominciava allora il frinire alto e roco d’una cicala meridiana.
— Vede, — soggiunse Albertino con un sorriso d’ingenua malizia e di gioia infantile, — io non sono poi tanto bambino. Ho compiuto proprio oggi i miei ventun anni e mio padre questa mattina mi ha fatto un magnifico regalo.
— Me ne rallegro, — disse fra i denti con una beffarda ironia la signora Montani, e vide in pensiero passare fra quelle mani le firme di suo padre, alternate alla sudicia preziosità di alcune carte monetate.
— Ecco il regalo, — le confidava intanto Albertino Farri traendo con cura gelosa dal suo portafogli un biglietto di mille franchi e tenendolo disteso sotto i suoi occhi. — Ne posso fare quello che mi pare, comprarmi ciò che voglio, nessuno me ne chiederà conto.
Ed egli lo raggirava fra le dita con una specie di avidità sensuale che lo faceva in quel momento rassomigliare a suo padre, l’usuraio. Ma lo sguardo sprezzante che la signora Montani gli lanciò senza rispondere, lo trasse subitamente dalla sua venale compiacenza.
— Io potrei comprare per mille franchi di fiori e mandarglieli, riempirle tutta la casa di fiori rari e preziosi come le orchidee, — sospirò il giovine senza convinzione, ma con una voce e un viso pieno di sentimento.
Anna-Maria s’alzò dalla panca rustica con una breve risatina stridente.
— Adesso è proprio un po’ idiota, — gli affermò fissandolo negli occhi con una specie di gaia provocazione.
Erano l’una di fronte all’altro, così vicini che quasi si toccavano, e Albertino Farri contemplava da presso, estatico, per la prima volta, il bel viso superbo di Anna-Maria.
— Com’è bella la sua bocca quando ride così, — le susurrò tuttora immobile, quasi affascinato da quel riso che piano piano si spegneva sulle fresche labbra della donna. — Io darei qualsiasi cosa per poter baciare quella bocca, — sussurrò con improvvisa audacia, divenendo un po’ pallido, senza staccare da lei lo sguardo che palpitava sotto le ciglia lunghe.
Anna-Maria ebbe di nuovo un breve sussulto di riso e chiese ambigua, con una voce di beffa gioconda:
— Anche il biglietto di mille franchi?
— Anche quello, — rispose Albertino alzando con un bel disdegno le spalle, ma osservandola tuttavia con uno stupore alquanto scandalizzato.
Ella comprese il suo pensiero e continuò a ridere con una arguzia un po’ amara.
— Non crederà ch’io voglia vendere un bacio per mille franchi. Sarebbe buffo, non è vero? Buffo, lucroso e ignobile come quel genere d’operazioni che si praticano nella sua famiglia.
— Quali operazioni? — domandò inquieto Albertino.
Ma ella non gli rispose e proseguì, sempre sogghignando:
— Un biglietto di banca non è che un pezzo di carta e si può bruciare.
Albertino ascoltava spalancando gli occhi pieni di ansiosa meraviglia.
— E mentre brucia, — ella soggiunse lentamente, quasi suggerendogli la conclusione alla quale voleva ch’egli stesso giungesse — e mentre brucia c’è tutto il tempo....
— C’è tutto il tempo di dare un bacio a una donna, — finì in un mormorìo rauco il giovinetto, sempre fisso alla bella bocca che quasi gli si offriva e gli si prometteva.
Ella non disse più parola. Gli lanciò ancora di sbieco uno sguardo ed un riso balenanti e poi s’avviò rapidamente verso la casa rossa e bianca, splendente sotto il sole di mezzodì.
Poche sere dopo la signora Montani, tutta sola nella sua casa isolata fra il verde del giardino, leggeva un romanzo francese appoggiata al davanzale della finestra, quando udì aprirsi con un cigolìo il cancelletto in fondo al viale e un passo scricchiolare sulla ghiaia.
Quasi subito le apparve fra le due siepi di mortella Albertino Farri, il quale s’avanzava lentamente verso di lei, masticando, per darsi un contegno disinvolto, un rametto di cedrina. Quando giunse sotto la finestra egli la scorse e la salutò sorridendo:
— Buona sera, signora Anna-Maria. Ho visto passare il carrozzino di suo marito ed ho pensato che doveva essere sola ed annoiarsi. Perciò sono venuto a tenerle un po’ di compagnia.
— Io non mi annoio mai, — ella rispose col suo abituale orgoglio, sebbene pensasse tutto il contrario. E gli porse la mano dalla finestra bassa.
— Mi permette d’entrare? — chiese il giovine quando fu sulla soglia della stanza da pranzo e venne a sederle vicino.
Guardò la copertina del libro, poi guardò il viso della signora, che gli pareva ancora più freddo e altero del consueto. Tuttavia, dopo qualche esitazione, Albertino osò trarre un lungo sospiro e osò dire sottovoce:
— Sono venuto anche per seguire il suo consiglio dell’altra mattina.
— Il mio consiglio? — ripetè Anna-Maria corrugando la fronte come se non rammentasse.
— Sì, — soggiunse Albertino ancora più piano, — non si ricorda? Quel bacio, quel bacio, che si può dare a una donna mentre brucia un biglietto da mille franchi.
— Ma era una sciocchezza, — affermò ella sollevando le spalle. — Son cose che si facevano, che si son fatte in altri tempi, da altra gente. Non ha compreso la mia canzonatura?
— Io non voglio essere canzonato, — scattò Albertino alzandosi in piedi. — Voglio un suo bacio al prezzo che le ho detto e bisogna che me lo dia qui, questa sera stessa.
Egli aveva tratto dal portafoglio il suo biglietto di banca, lo aveva gettato con un atto di disprezzo sul tavolo, buttandovi sopra una scatola di fiammiferi. Anna-Maria lo osservava con una attenzione fra ironica e stupefatta, aprendo e chiudendo il suo romanzo.
Le pareva impossibile che quel ragazzo, figlio d’usuraio, certo usuraio egli stesso nell’anima, il quale possedeva per la prima volta una somma ch’egli riteneva quasi favolosa, fosse capace di buttarla così per lei, di distruggerla in una rapida fiammata per un bacio.
La stanzetta terrena si riempiva d’ombra e, fatto da questa anche più coraggioso, a grado a grado Albertino giunse in silenzio a sfiorare con le dita i capelli di Anna-Maria, la quale non si mosse.
— Non mi dice di no? — le mormorò tremando all’orecchio, e poichè ella continuava a tacere, s’allontanò di due passi e s’accostò al tavolo.
Si udì lo strofinìo del fiammifero acceso, si vide sprizzare, balenando, la scintilla rossa, poi nell’ombra grave della stanza, una piccola fiamma violacea continuò lentamente ad ardere sopra un vassoio di vetro nel centro della tavola: era il biglietto di mille franchi che lentamente si distruggeva.
Anna-Maria sentì in quel momento intorno alle sue spalle allacciarsi due braccia convulse di desiderio e sulla sua bocca premere freneticamente due labbra avide d’amore e fresche di giovinezza. Dimenticò chi fosse e che cosa volesse colui che la baciava così. Ma quando la piccola fiamma violacea si spense ed essi si staccarono con gli occhi torbidi e le vene pulsanti, ella ritrovò quasi subito, insieme con la sua naturale superbia, il ricordo amaro del passato, confuso ad un pentimento sottile e iracondo per l’oblioso abbandono presente.
Allora s’alzò, fece scattare la chiavetta della luce, guardò bene in faccia Albertino Farri, e il suo sguardo era quello d’una nemica.
— Ora che ha raggiunto il suo scopo può andarsene e non rimettere piede qui dentro, — gli ingiunse con voce bassa ma ferma.
Egli, ancora ansante, raggiunse umilmente la porta, poi si fermò e le rivolse d’un tratto la sua faccia da topo piena di sarcastica malignità.
— Me ne vado contento, — le disse sorridendo, ed accennando con l’indice teso le ceneri del biglietto che ancora fumavano sul vassoio di vetro, soggiunse: — Per un bacio, e per un bacio come questo, anche se adesso mi vedo scacciato per sempre da casa sua, valeva bene la pena di rimetterci un biglietto da mille franchi, tanto più....
Egli esitò, calcolò l’effetto delle sue parole, la spiò di sotto in su e attese ch’ella lo incitasse a completare la frase.
Anna-Maria aspettò un momento, mordendosi le labbra, e ribattè gelida:
— Tanto più?
E Albertino Farri, oltrepassando la soglia della stanza concluse:
— Tanto più che quel biglietto era falso.